IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa n. 2923/93 promossa da Sangaletti Primo contro l'I.N.P.S.; Letti gli atti; Sciogliendo la riserva che precede; R I L E V A Il ricorrente, licenziato in data 31 agosto 1991 e posto in mobilita', con decorrenza 15 dicembre 1992 si e' visto negare dall'I.N.P.S. l'indennita' relativa in quanto titolare di assegno di invalidita', in applicazione dei d.l. nn. 478/1992, 31, 57 e 148 del 1993, reiterati fino alla conversione di quest'ultimo (successivo al deposito del ricorso) dalla legge n. 236/1993, che all'art. 6, settimo comma, recita: "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto i trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e l'indennita' di mobilita' sono incompatibili con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, degli ordinamenti sostitutivi, esonerativi ed esclusivi dell'assicurazione medesima, nonche' delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi". Il ricorrente in prima istanza ha proposto un'interpretazione della norma che, muovendo dalla genericita' della formulazione della stessa e dalla diversita' fra pensione di inabilita' e assegno di invalidita', non ricomprenda quest'ultimo fra i trattamenti incompatibili con l'indennita' di mobilita'; in seconda istanza ha eccepito l'illegittimita' costituzionale della norma stessa. L'I.N.P.S. nella sua memoria di costituzione ha evidenziato che il d.l. n. 40/1994, intervenendo ulteriormente nella materia, ha introdotto la possibilita' dell'opzione per il lavoratore pensionato, peraltro sostenendo che tale norma non si applicherebbe al caso di specie. Il decreto-legge citato dall'I.N.P.S., non convertito, e' stato reiterato (v. d.l. n. 299/1994 e da ultimo n. 185/1994, che all'art. 2, quinto comma, prevede: "all'atto dell'iscrizione nelle liste di mobilita' i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidita' devono optare tra tali trattamenti e quello di mobilita' .." e all'art. 12, secondo comma, prevede: "i lavoratori iscritti nelle liste di mobilita' alla data di entrata in vigore del presente decreto devono esercitare entro sessanta giorni da tale data l'opzione di cui all'art. 6, settimo comma, del d.l. n. 148/1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236/1993, come modificato dall'art. 2, quinto comma. Tale opzione ha effetto per il residuo periodo". Premesso che non vi e' ragione per cui la suddetta norma non debba applicarsi al caso di specie (come apoditticamente e incomprensibilmente affermato dall'I.N.P.S.), si osserva come alla luce della stessa non sia piu' praticabile l'interpretazione proposta dal ricorrente in quanto il legislatore, integrando l'art. 6, settimo comma, del d.l. n. 148/1993 convertito dalla legge n. 236/1993 (con efficacia per il futuro, ma con implicazioni anche per il passato sul piano interpetativo), ha espressamente ricompreso fra i trattamenti incompatibili con l'indennita' di mobilita' l'assegno oltre che la pensione di invalidita'. Diventa quindi rilevante sciogliere il dubbio di incostituzionalita' della norma, come gia' detto applicabile al caso di specie e non diversamente interpretabile, in quanto l'esito della causa si prospetta diverso nel caso di accertata illegittimita' (accoglimento del ricorso) o di legittimita' (rigetto del ricorso) della stessa. Detto cio' sulla rilevanza, il dubbio di incostituzionalita' (sollevato dal ricorrente con riguardo all'art. 6, settimo comma, del d.l. n. 148/1993 convertito dalla legge n. 236/1993 e rilevato d'ufficio con riguardo ai decreti successivi e in particolare al d.l. n. 185/1994 attualmente in vigore) non puo' dirsi manifestamente infondato in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. Infatti, poiche' l'assegno e la pensione di invalidita' hanno natura molto diversa (mentre le pensioni I.N.P.S. ordinarie hano natura squisitamente previdenziale, l'assegno di cui all'art. 1 della legge n. 222/1984, pur essendo a calcolo dei contributi, e' una prestazione atipica a natura eminentemente assistenziale: e' temporaneo, rinnovabile solo a domanda - almeno le prime tre volte -, non reversibile ai superstiti e puo' essere anche inferiore ai minimi vigenti per ogni altro trattamento pensionistico; lo stesso infine non esaurisce le possibilita' - o le possibili fonti - di reddito del lavoratore, a cui residua una parte della sua capacita' lavorativa), e in particolare il primo a differenza della seconda puo' cumularsi con la retribuzione (come avveniva nel caso del ricorrente che prima del licenziamento evidentemente cumulava l'assegno appunto con la retribuzione), non appare ragionevole da parte del legislatore trattare allo stesso modo due situazioni cosi' diverse, sancendo l'incompatibilita' con l'indennita' di mobilita' (che e' un trattamento sostitutivo della retribuzione) non solo della pensione, ma anche dell'assegno di invalidita'. Cio' evidenzia un primo profilo di possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione (irragionevole equiparazione di situazioni di- verse). Un altro profilo - di grado inferiore in quanto presuppone la legittimita' dell'incompatibilita' ed attiene al modo di attuazione della stessa - di possibile violazione della stessa norma della Costituzione e' rappresentato dalla introduzione dell'opzione con effetti esclusivamente per il futuro (irragionevole differenziazione di situazioni uguali): a seconda del momento della collocazione in mobilita' o dell'ottenimento dell'assegno, lavoratori pensionati che si trovano nella stessa situazione possono esercitare o meno l'opzione, senza che in cio' sia ravvisabile alcuna giustificazione. In particolare il ricorrente puo' esercitare l'opzione solo in relazione ad un certo periodo, perdendo per il resto - per effetto di un'unilaterale ed insindacabile scelta dell'I.N.P.S. - l'indennita' di mobilita', che fra i due trattamenti e' quello a lui piu' favorevole (e quindi perdendo quanto meno la differenza fra l'indennita' di mobilita', per cui egli avrebbe optato, e l'assegno di invalidita' che invece l'I.N.P.S. ha continuato a corrispondergli). Il sacrificio di una delle due prestazioni per effetto dell'incompatibilita' implica infine una riduzione del reddito del lavoratore pensionato che, essendo priva di giustificazione per le ragioni sopra esposte, sembra violare anche l'art. 38 della Costituzione. Poiche' la presente causa non puo' essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale di cui sopra, se ne dispone la sospensione, con immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della cancelleria.