ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  30,  quarto  e
 quinto  comma,  della  legge  6  agosto  1990, n. 223 (Disciplina del
 sistema radiotelevisivo pubblico e privato), promosso  con  ordinanza
 emessa  il  26  ottobre  1993 dal giudice per le indagini preliminari
 presso il Tribunale di Milano nel procedimento  penale  a  carico  di
 Incerti  Caselli  Patrizia  ed  altri, iscritta al n. 49 del registro
 ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  costituzione di Randazzo Rosa nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore
 Enzo Cheli;
    Udito l'avvocato Armando Costa  per  Randazzo  Rosa  e  l'Avvocato
 dello  Stato  Antonino  Freni  per  il  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Milano, sciogliendo la riserva formulata su  una  eccezione  avanzata
 dal  difensore della parte civile nel corso dell'udienza preliminare,
 con ordinanza del 26 ottobre 1993 (R.O. n. 49 del 1994), ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 30, commi quarto e
 quinto, della legge 6 agosto 1990, n.  223  (Disciplina  del  sistema
 radiotelevisivo  pubblico  e privato), in relazione agli artt. 3 e 25
 della Costituzione.
    Il comma quarto dell'art. 30 disciplina la  diffamazione  commessa
 "attraverso  trasmissioni  consistenti  nell'attribuzione di un fatto
 determinato" e punisce questa ipotesi - applicabile al concessionario
 e al delegato al controllo sulla trasmissione - con la pena  prevista
 dall'art. 13 della legge sulla stampa (legge 8 febbraio 1948, n. 47).
 Il  comma  quinto  dello  stesso  articolo  detta  regole processuali
 mediante rinvio all'art. 21 della citata legge sulla stampa e  intro-
 duce,  solo  per  la  diffamazione  mediante trasmissioni consistenti
 nell'attribuzione di un fatto determinato,  una  deroga  al  criterio
 generale  che  ispira la disciplina della competenza territoriale. La
 competenza viene, infatti, in questo caso, radicata presso il giudice
 del luogo dove risiede la parte offesa e non nel luogo dove il  reato
 e' stato consumato.
    Il  giudice  a  quo,  nel  motivare  in  ordine alla non manifesta
 infondatezza della questione, osserva che il criterio adottato  nella
 specie  dal  legislatore non rientra neppure tra quelli indicati come
 residuali dal codice di procedura penale, venendo, di conseguenza,  a
 introdurre  una  deroga  irragionevole al criterio generale, valevole
 solo per la diffamazione  aggravata  dall'attribuzione  di  un  fatto
 determinato  commessa  con il mezzo radiotelevisivo. Sempre ad avviso
 del  giudice  remittente,  i  lavori  parlamentari  non  fornirebbero
 elementi  utili  a chiarire se tale deroga risponda ad un particolare
 favor per la parte offesa  da  tale  delitto  o  sia  frutto  di  una
 dimenticanza rispetto agli altri reati.
    Viene, di conseguenza, prospettata la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, per la disparita' di trattamento che la norma impugnata
 introdurrebbe  rispetto  a  tutti gli altri reati commessi attraverso
 l'uso del mezzo radiotelevisivo, e,  in  particolare,  rispetto  alla
 diffamazione semplice.
    Il  giudice remittente osserva poi che l'autorita' giudiziaria del
 locus commissi delicti non puo'  conoscere  del  reato  in  tutte  le
 ipotesi  in  cui l'evento non coincide con la residenza dell'offeso e
 questo verrebbe  a  determinare  la  violazione  dell'art.  25  della
 Costituzione,  in  base  al  quale  la  disciplina  della  competenza
 andrebbe in qualche modo ancorata al luogo di consumazione del reato.
    2. - Si e' ritualmente costituita la parte offesa  Randazzo  Rosa,
 riportandosi all'ordinanza di rimessione.
    Nell'atto  di costituzione la parte privata - dopo aver richiamato
 i fatti che hanno dato luogo al giudizio a quo - sviluppa le  censure
 relative sia all'art. 3 che all'art. 25 della Costituzione.
    3.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che ha concluso per l'inammissibilita' e, in via subordinata,
 per l'infondatezza della questione.
    Quanto  all'inammissibilita',  l'Avvocatura  rileva   il   difetto
 assoluto  di  motivazione  dell'ordinanza  circa  la  rilevanza della
 questione ai fini  della  risoluzione  della  fattispecie  sottoposta
 all'esame  del  giudice  a  quo,  difetto  che  non  consentirebbe di
 comprendere neanche se, nell'ipotesi di accoglimento,  detto  giudice
 sia tenuto o meno a spogliarsi della controversia.
    Nel  merito,  L'Avvocatura ritiene che la scelta discrezionalmente
 operata dal legislatore con la norma impugnata non  sia  censurabile,
 ne'   sotto   il   profilo   della   razionalita'  ne'  sotto  quello
 dell'eguaglianza.
    La difesa dello Stato si sofferma,  in  particolare,  sulla  ratio
 della  disposizione, rinvenendola nell'esigenza di porre rimedio alla
 sproporzione  di  forze  esistente  tra  chi,  disponendo  del  mezzo
 televisivo,  pone  in  essere  condotte  diffamatorie particolarmente
 gravi e lesive per il soggetto diffamato,  e  quest'ultimo,  che  ha,
 invece, come unico mezzo di reazione la presentazione della querela.
    In   questa   situazione  l'eventuale  decisione  favorevole  resa
 dall'autorita' giudiziaria vicina al luogo di residenza abituale  del
 soggetto   offeso   potrebbe,   pertanto,   restituire  a  questi  la
 reputazione lesa e colmare la sottolineata sproporzione.
                        Considerato in diritto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Milano dubita della legittimita' costituzionale dell'art.  30,  commi
 quarto  e  quinto,  della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del
 sistema radiotelevisivo pubblico e privato), dove  si  individua  con
 riferimento  al  luogo  di residenza della persona offesa l'autorita'
 giudiziaria territorialmente competente  a  conoscere  dei  reati  di
 diffamazione  consistenti  nell'attribuzione di un fatto determinato,
 commessi attraverso trasmissioni radiofoniche e televisive.
    La questione viene sollevata in relazione:
       a)  all'art.  3  della  Costituzione,  per  la  disparita'   di
 trattamento  rispetto  a  tutti  gli  altri reati commessi attraverso
 l'uso del mezzo radiotelevisivo  e,  in  particolare,  rispetto  alla
 diffamazione semplice;
       b) all'art. 25 della Costituzione, dal momento che il principio
 del  "giudice  naturale" richiederebbe che la competenza territoriale
 sia in qualche modo ancorata al luogo di consumazione del reato.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Il giudice remittente - cosi' come eccepito dalla  Presidenza  del
 Consiglio  dei  Ministri  -  ha  omesso  completamente di motivare in
 ordine alla rilevanza della questione ai fini della risoluzione della
 concreta fattispecie sottoposta al suo esame, ne' ha esposto i  fatti
 che  hanno  dato  luogo  al  giudizio,  cosi'  da  poter identificare
 l'oggetto e i termini dello stesso.
    Lo svolgimento dei motivi espressi  nell'ordinanza  di  rimessione
 non   consente,   d'altro   canto,  di  ricostruire  con  certezza  i
 presupposti che renderebbero la questione pregiudiziale  e  rilevante
 rispetto al giudizio a quo, stante anche la contraddittorieta' che e'
 dato  rilevare  tra  la  motivazione  ed  il dispositivo della stessa
 ordinanza. Mentre da un  lato,  infatti,  in  alcuni  passaggi  della
 motivazione,  l'ordinanza sembra orientata a richiedere una pronuncia
 diretta a estendere la particolare competenza  territoriale  prevista
 dal  quinto comma dell'art. 30 quantomeno alla diffamazione semplice,
 dall'altro, il dispositivo della stessa ordinanza si limita,  invece,
 a   circoscrivere  la  domanda  alla  sola  caducazione  della  norma
 impugnata, cosi' da ricondurre  anche  l'ipotesi  della  diffamazione
 aggravata al regime ordinario della competenza.
    L'impossibilita'   di   valutare,   ai  fini  del  giudizio  sulla
 rilevanza, la connessione tra i fatti dedotti nel processo a quo e la
 questione  di  costituzionalita'  sollevata   conduce,   dunque,   ad
 affermare l'inammissibilita' della stessa.