IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso n. 642/91 proposto dal comune di Frascati rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Campeti, e presso lo stesso elettivamente domiciliato, in Frascati, via Armando Diaz n. 3, contro la regione Lazio costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Pia Montanaro e domiciliata nei propri uffici, in Roma, via Lucrezio Caro, 67; per l'annullamento del provvedimento del comitato regionale di controllo in data 5 novembre 1990, prot. 2571/1, relativo alla nomina di un commissario ad acta al fine della alienazione di aree di proprieta' collettiva, ai sensi dell'art. 8, secondo comma, della legge regionale n. 1/1986, nonche' degli atti connessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della intimata regione Lazio; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 13 febbraio 1992, il consigliere Eugenio Mele; Nessuno comparso per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Il ricorrente comune di Frascati espone che, a seguito dell'entrata in vigore della legge regionale del Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, che ha disposto l'alienazione a condizioni di favore di alcune aree di proprieta' collettive della comunita' di Frascati gestite, nella sua qualita' di ente esponenziale della stessa, del comune omonimo, ha proceduto a determinare il procedimento e ad attivare lo stesso al fine di individuare il valore corrispettivo delle aree da cedere ai beneficiari occupanti delle stesse, senza peraltro riuscire ad ottenere tutti gli elementi necessari. Intervenuto l'atto impugnato, con il quale il comitato regionale di controllo, nella ritenuta inerzia dell'amministrazione comunale, ha nominato un commissario ad acta, in sostituzione del comune, questo propone il presente ricorso, affidato al seguente, unico, articolato motivo di diritto: violazione ed errata applicazione della legge regionale del Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (all. 8), nonche' errore nei presupposti e carenza di motivazione, in quanto il comune ha fatto tutto quanto era in suo potere per determinare il pezzo della alienazione; inoltre mancherebbe il presupposto di atto dovuto all'amministrazione comunale che, solo, consente la nomina di un commissario ad acta e non sarebbe individuato in che cosa sia consistita la pretesa inadempienza del comune. L'amministrazione regionale si costituisce in giudizio e resiste al ricorso, rilevando come da tutto il comportamento del comune di Frascati - apertamente dilatorio e temporeggiativo - sia ricavabile la evidenza di quell'inerzia che consente appunto la nomina in sostituzione da parte del comitato regionale di controllo. La causa passa in decisione alla pubblica udienza del 13 febbraio 1992. D I R I T T O Ritiene il collegio di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge regionale del Lazio 8 gennaio 1986, n. 1, nella parte di essa (sesto comma) in cui individua la possibilita' di ridurre il prezzo dell'alienazione di aree di proprieta' collettiva su cui siano state costruite opere abusive riconducibili alla sanatoria di cui alla legge n. 47/1985, in correlazione con il primo comma dello stesso art. 8, nel quale e' prevista l'alienabilita' suddetta. La questione e' rilevante nella presente controversia e non manifestamente infondata. La rilevanza si induce dal fatto che, se venisse dichiarata la illegittimita' costituzionale delle norme prima indicate, verrebbe meno la necessita' della intera operazione alienativa secondo le modalita' stabilite nella legge regionale con la conseguenza che non ci sarebbe piu' ragione dell'emanazione dell'atto impugnato. Relativamente alla non manifesta infondatezza della questione, occorre rilevare che l'autonomia riconosciuta agli enti locali dell'art. 128 della Costituzione (e che di recente ha avuto una manifestazione applicativa con la legge n. 142/1990 di riforma dell'intero sistema) postula che tali enti sono attributari della somma degli interessi pubblici che pertengono alla comunita' locali di cui sono rispettivamente enti esponenziali, per cui, relazionando tale autonomia, costituzionalmente garantita, con la norma di cui all'art. 97 della Costituzione, nella parte di essa che si riferisce al buon andamento dell'attivita' della pubblica amministrazione, non puo' che concludersi che gli enti locali, nella utilizzazione operativa dei beni di pertinenza della collettivita'-locale, sono tenuti a ritrarre dagli stessi la massima possibile soddisfazione, conformemente alle esigenze della collettivita' di base. Ora, e' anche possibile (e nella specie e' anche evidente, stante l'inutilizzabilita' collettiva delle aree, da tempo occupate e con edificazioni private di carattere abusivo) che tale massimizzazione dell'interesse pubblico locale possa concretarsi nella alienazione di beni di proprieta' collettivo, ma se cioe', pare evidente che, trasposto il criterio della soddisfazione dell'interesse pubblico locale della utilizzazione diretta al versante economico, anche questo, al pari di quello, debba essere massimizzato, rendendo cosi', in termini succedanei, una utilita' pubblica gravemente compromessa. L'intervento della legge regionale, invece, da un lato individua una norma per l'alienazione delle aree di proprieta' collettiva abusivamente edificate nel corso degli anni (art. 8, primo comma) e, dall'atto determina la riduzione del prezzo di cessione di tali aree in presenza di particolari situazioni di esigenze abitative, andandosi cosi' a determinare una evidente vulnerazione della potesta' dell'ente locale di scegliere se procedere o meno alle alienazioni e i criteri da seguire in tale eventuale operazione. Peraltro, se e' vero che il sesto comma della legge regionale qui in esame individua solo una possibilita' per l'ente locale di ridurre il prezzo dell'alienazione e non un obbligo giuridico per lo stesso, e' pur vero che tale possibilita' e' puramente nominale, in quanto non si vede come, per i meccanismi caratteristici del diritto amministrativo che prevedono la necessita' di una logica motivazione accompagnatoria di qualsiasi scelta discrezionale, l'ente locale, in presenza di particolari esigenze abitative (che nel caso delle costruzioni abusive su terreni di proprieta' collettiva sono evidentemente in re ipsa), possa non procedere alla individuazione di un prezzo ridotto per le alienazioni de quibus, prezzo ridotto che, essendo il corrispettivo di un bene di uso collettivo e sostituendosi percio', nel parallelismo prima indicato, ad esso, non potrebbe essere in sintonia con il principio del buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione. Il collegio ritiene, pertanto, di sospendere l'esame del merito della presente controversia e di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' la stessa si pronunci sulla legittimita' costituzionale dei commi sesto e primo (in combinato disposto) della legge regionale del Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, nel riferito contesto con gli artt. 128 e 97 della Costituzione, relativamente ai profili indicati.