Ricorso per la regione Toscana, in persona  del  presidente  della
 giunta regionale, autorizzato con deliberazione n. 6992 del 18 luglio
 1994,  rappresentato  e difeso per mandato in calce al presente atto,
 dall'avv. Vito Vacchi  e  dall'avv.  Fabio  Lorenzoni,  elettivamente
 domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Alessandria
 n.  130,  contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore
 per conflitto di attribuzioni  in  relazione  agli  artt.  2,  quinto
 comma,  4  e  5  del  d.P.R. 20 aprile 1994, n. 348, pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale n. 132 dell'8  giugno  1994,  avente  ad  oggetto:
 "Regolamento  recante  disciplina  del  procedimento di denominazione
 d'origine dei vini".
    Il procedimento  per  il  riconoscimento  delle  denominazioni  di
 origine "controllate" e "controllate e garantite" dei vini ha trovato
 una  sua  prima  compiuta disciplina legislativa nel d.P.R. 12 luglio
 1963, n. 930 (poi modificato con legge n. 302/1966), il cui art. 6 ha
 disposto che la domanda per il suddetto riconoscimento va  presentata
 dagli  interessati  all'ispettorato  compartimentale dell'agricoltura
 competente  per  territorio  che  la  istruisce  e  la  trasmette  al
 Ministero  dell'agricoltura  e  delle  foreste, munita del parere del
 comitato regionale dell'agricoltura.
    A seguito  del  trasferimento  delle  funzioni  dallo  Stato  alle
 regioni  in  materia di agricoltura e foreste, disposto con il d.P.R.
 n. 11 del 15 gennaio 1972, le regioni sono subentrate nelle pregresse
 competenze statali relative  alla  fase  istruttoria  di  ricevimento
 delle  domande  e di espressione del parere, preliminare all'atto fi-
 nale - rimasto nella competenza dello Stato - di riconoscimento della
 denominazione di origine controllata e garantita del vino.
    Per la disciplina  di  tali  acquisite  attribuzioni,  la  regione
 Toscana  ha  emanato  la  l.r.  26  aprile  1973,  n.  28, con cui ha
 disposto: "I pareri in merito alle domande  di  riconoscimento  delle
 denominazioni  di  origine  controllata e controllata e garantita dei
 mosti e dei vini di cui all'art. 6 del d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930,
 precedentemente attribuite al  comitato  regionale  dell'agricoltura,
 istituito  con  l'art. 5 del d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, integrato
 ai sensi dell'art. 3 della legge 2  giugno  1961,  n.  454,  sono,  a
 partire  dalla  data  di  entrata  in vigore della presente legge, di
 competenza di una commissione regionale cosi' composta:
       a)  dal  componente  la  giunta  regionale  incaricato  per  le
 questioni  attinenti  l'agricoltura  o  da  un  suo "delegato" che la
 presiede;
       b) da due esperti designati dal consiglio  regionale  con  voto
 limitato;
       c)  da  un  funzionario  dell'ufficio  regionale  competente in
 materia;
       d) da due docenti,  uno  di  coltivazioni  arboree  ed  uno  di
 industrie  agrarie,  scelti  in  due terne di docenti designati dalle
 facolta' di agraria delle Universita' di Firenze e di Pisa;
       e)  da  quattro   produttori   vitivinicoli   designati   dalle
 organizzazioni     professionali     di     categorie    maggiormente
 rappresentative nella regione;
       f) da un rappresentante dell'Associazione enotecnici italiana;
       g) da un rappresentante dell'ordine dei dottori agronomi;
       h) da un tecnico operante nella regione del servizio  controlli
 e  certificazione  materiali di moltiplicazione vegetativa della vite
 designato dal Ministero agricoltura e foreste di  cui  al  d.P.R.  24
 dicembre 1964, n. 1164;
       i)  da  un funzionario del servizio repressioni frodi, operante
 nella regione, designato dal Ministero agricoltura e foreste;
       l) da due amministratori  di  cantine  sociali  proposti  dalle
 organizzazioni regionali delle cantine sociali aderenti alle centrali
 cooperative maggiormente rappresentative.
    La  commissione  sara'  integrata,  di  volta  in  volta,  con  la
 partecipazione di un altro funzionario della  regione  designato  dal
 presidente     della     commissione,     di     un    rappresentante
 dell'amministrazione provinciale, di un rappresentante  della  camera
 di  commercio,  industria, artigianato e agricoltura territorialmente
 interessate alle domande  di  riconoscimento.  Nel  caso  la  domanda
 interessi  piu' provincie, i rappresentanti di cui sopra saranno pari
 al numero delle provincie interessate".
    Quindi   la  regione  ha  esercitato  sin  dal  1973  le  funzioni
 istruttorie in materia.
    Ne' cio' e' mutato a seguito dell'emanazione della  legge  statale
 10  febbraio  1992,  n.  164  "Nuova  disciplina  delle denominazioni
 d'origine".  Tale  normativa  dispone  che  il  riconoscimento  delle
 denominazioni  di  origine  dei vini viene effettuato con decreto del
 Ministro dell'agricoltura e delle foreste  e  cio'  "previo  conforme
 parere  del comitato nazionale di cui all'art. 17, sentite le regioni
 interessate (art. 8, terzo comma)".
    Detto   comitato   nazionale   e'   un   organo   del    Ministero
 dell'agricoltura e foreste, con competenze consultive, propositive ed
 esecutive;  di  esso  fanno  parte,  tra  gli  altri,  tre membri, in
 rappresentanza delle regioni e  province  autonome,  scelti  fra  sei
 designati  dalla  conferenza  permanente  per  i rapporti tra Stato e
 regioni. Quindi  oltre  al  parere  di  tale  organismo  ministeriale
 consultivo, come gia' detto, l'art. 8 della legge richiamata richiede
 che   prima  dell'emanazione  del  decreto  di  riconoscimento  siano
 comunque autonomamente sentite le regioni interessate.
    L'art. 12 della citata legge 10 febbraio  1992,  n.  164,  ha  poi
 disposto  che  "il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, sentita
 la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
 province autonome di Trento e di Bolzano di  cui  all'art.  12  della
 legge  23 agosto 1988, n. 400, stabilisce, con regolamento da emanare
 ai sensi dell'art. 17, terzo comma, della stessa legge  n.  400/1988,
 il contenuto delle domande e le procedure per il riconoscimento delle
 denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche e di
 approvazione  o  modifica  dei  relativi  disciplinari di produzione,
 nonche' le modalita' ed i termini di presentazione".
    Sino  all'emanazione  e  all'entrata  in   vigore   del   suddetto
 regolamento  hanno continuato ad applicarsi le pregresse disposizioni
 di cui al d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930 (in virtu' della disposizione
 transitoria contenuta nell'art. 32 della legge n. 164/1992) e  quindi
 la  regione  ha continuato a ricevere le domande degli interessati, a
 pubblicare le stesse sul bollettino ufficiale regionale, ad esprimere
 il parere tecnico mediante l'apposita commissione  regionale  di  cui
 alla  legge regionale n. 28/1973, inviando poi tutto al Ministero per
 quanto di competenza.
    Per dare attuazione al richiamato art. 12, e' stato predisposto un
 primo schema di regolamento (doc. n. 1) dal Ministero  delle  risorse
 agricole,  il  quale, schematicamente, prevedeva il ricevimento della
 domanda da parte delle  regioni  e  riconfermava  la  necessita'  del
 parere  tecnico della regione competente (artt. 1 e 3); tale bozza di
 regolamento e' stata sottoposta al vaglio  delle  regioni  che  hanno
 espresso parere favorevole sulla stessa, sia a livello tecnico che di
 conferenza di presidenti, proponendo solo alcuni emendamenti (doc. n.
 2).
    E'  stata  poi  presentata  una  seconda  ipotesi  di  regolamento
 (profondamente   diversa   dalla   precedente),    predisposta    dal
 dipartimento  della  funzione  pubblica  nell'ambito  delle misure di
 semplificazione delle procedure amministrative  di  cui  all'art.  2,
 settimo  comma,  della  legge  24  dicembre  1993, n. 537; tale nuova
 formulazione sopprime del tutto ogni  autonoma  competenza  regionale
 nella  fase  istruttoria  preliminare  all'atto  di riconoscimento di
 denominazione d'origine dei vini.
    Tale  seconda  bozza  di regolamento e' stata sottoposta all'esame
 della conferenza Stato-regioni del 14 aprile 1994  (o.d.g.  relativo:
 doc.  n.  4;  come  risulta  dal verbale della seduta (doc. n. 5), il
 presidente della regione Toscana,  dott.  Vannino  Chiti,  nel  corso
 della  conferenza  ha  chiesto  espressamente  su  quale  testo fosse
 richiesto il parere della  conferenza  stessa,  specificando  che  il
 parere  sarebbe  stato  positivo  solo sul testo gia' esaminato sia a
 livello tecnico regionale sia nella conferenza  dei  presidenti,  con
 gli emendamenti proposti dalle regioni.
    Nel  verbale  della  seduta  si  legge  che  a  tale  richiesta di
 chiarimento e' stato risposto che il regolamento sottoposto al parere
 della  conferenza  era  quello  visto,  esaminato  ed  approvato  dal
 comitato  tecnico e pertanto "con questa premessa" e' stato acquisito
 il parere.
    In realta' il testo sottoposto alla conferenza  Stato-regioni  non
 era  quello  gia'  esaminato  dalle  regioni,  ma  il  diverso  testo
 predisposto successivamente dal dipartimento della funzione pubblica.
    Tanto premesso, il regolamento adottato con il  d.P.R.  20  aprile
 1994, n. 348, e' lesivo delle competenze regionali costituzionalmente
 garantite, per le ragioni di seguito esposte.
    1)  Come  sopra  rilevato,  l'art.  12  della legge n. 164/1992 ha
 disposto che il regolamento per determinare le modalita' e le  proce-
 dure  di  riconoscimento  delle  denominazioni  di  origine  dei vini
 dovesse essere adottato  "sentita  la  conferenza  permanente  per  i
 rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
 Bolzano di cui all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400".
    Vero e' che il successivo art. 2, settimo comma,  della  legge  n.
 537/1993  non  richiede  l'acquisizione  del  parere della conferenza
 Stato-regioni sul regolamento; nel caso  in  oggetto,  pero',  si  e'
 voluto  comunque  acquisire  detto  parere,  considerato  che  - come
 specificato in premessa e come risulta dal verbale  depositato  -  il
 regolamento  e'  stato portato all'esame della conferenza. Fatta tale
 scelta,  doveva  quindi  darsi  atto,  nelle  premesse  del  decreto,
 dell'esito dell'esame della conferenza Stato-regioni. Cio' invece non
 e' avvenuto.
    Infatti,  dal verbale della conferenza sopra riportata, emerge che
 il parere favorevole non e' mai stato espresso sul testo che  poi  e'
 stato   pubblicato,   poiche'   la   conferenza  Stato-regioni  aveva
 chiaramente specificato di esprimere una valutazione favorevole  solo
 sul  testo esaminato dalle regioni ed emendato dalle stesse, e quindi
 sul primo testo predisposto dal Ministero delle  risorse  agricole  e
 non gia' su quello successivo.
    Tenendo  conto  di  tale  situazione,  il d.P.R. approvato avrebbe
 dovuto  dare  atto  della  mancanza  del  parere   favorevole   della
 conferenza,  specificare  sia  le  ragioni del dissenso tra Governo e
 regioni, sia i motivi che inducevano  il  Governo  a  disattendere  i
 rilievi e le indicazioni delle regioni medesime. Infatti anche quando
 la  legge  consente  al  Governo, in caso di mancata acquisizione del
 parere favorevole, di provvedere unilateralmente, l'atto  governativo
 e'  vincolato  evidentemente ad un rigoroso obbligo di motivazione in
 ordine alle ragioni del provvedere in difformita'  dalle  indicazioni
 della  conferenza.  L'obbligo  di  perseguire  il parere risulterebbe
 totalmente  vanificato  se  il  Governo  potesse,  senza  motivazione
 alcuna,  semplicemente restare sulle proprie posizioni ed ottenere il
 provvedimento in  difformita'  dalle  indicazioni  della  conferenza.
 L'obbligo dell'acquisizione del parere, se pure non giunge a impedire
 un  provvedimento  unilaterale  in caso di mancato parere favorevole,
 richiede almeno che si attui una fase di dialogo fra le due parti, in
 cui l'organo che ha alla fine il potere di provvedere  (nella  specie
 il   Governo)   deve   farsi  carico  espressamente  della  posizione
 dell'altra parte e specificare i  motivi  per  i  quali  non  intende
 attenervisi.
    Sotto  questo  profilo  preliminare  il decreto in questione viola
 evidentemente l'autonomia regionale.
    2) Il decreto impugnato, nelle sue premesse, da' atto  dei  pareri
 delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato.
    Entrambi  tali pareri (doc. nn. 6 e 7) esprimono parere favorevole
 sul  regolamento  a  condizione  che  nella  stesura  definitiva   si
 recepiscano  in  modo  puntuale  i principi normativi contenuti nello
 schema di regolamento elaborato dal Ministero delle risorse agricole,
 alimentari e forestali ai sensi  dell'art.  12,  primo  comma,  della
 legge  n.  164/1992,  vale  a  dire  nella prima bozza di regolamento
 adottata  che  riconosceva  un  rilevante  ruolo   istruttorio   alle
 amministrazioni regionali.
    E'  evidente  che  i  citati pareri delle commissioni parlamentari
 sono stati del tutto disattesi, posto che nulla del primo regolamento
 e' stato recepito nell'atto poi pubblicato.
    Anche per tale profilo  il  decreto  viola  dunque  le  competenze
 regionali.
    3)  Come accennato in premessa, l'art. 8, terzo comma, della legge
 n. 164/1992, ha stabilito che il riconoscimento  delle  denominazioni
 di  origine  dei  vini  e'  effettuato  con  il decreto del Ministero
 competente, previo conforme parere del comitato nazionale  e  sentite
 le regioni interessate.
    Del   comitato   nazionale   fanno   parte  anche  tre  membri  in
 rappresentanza delle regioni e delle provincie autonome;  inoltre  e'
 previsto  che  "qualora il comitato tratti questioni attinenti ad una
 denominazione di origine ovvero ed una indicazione geografica tipica,
 partecipa alla riunione, senza diritto  di  voto,  un  rappresentante
 della regione interessata" (sesto comma del medesimo art. 17).
    E'  evidente  quindi  che  il  legislatore,  a  salvaguardia delle
 competenze regionali in  materia,  non  ha  ritenuto  sufficiente  la
 partecipazione    regionale    in   seno   all'organismo   consultivo
 ministeriale, ma ha previsto un maggiore coinvolgimento,  richiedendo
 uno  specifico  parere della regione, in conformita', del resto, alla
 previgente legislazione statale.
    Cio'  si  comprende  agevolmente,  posto  che  le  valutazioni  da
 effettuare  per  il riconoscimento delle denominazioni di origine dei
 vini interferiscono con le competenze che le regioni hanno in materia
 di agricoltura. Cio'  e'  dimostrato  dagli  elementi  che,  in  base
 all'art.  10  della  legge  n.  164/1992,  devono essere valutati per
 approvare  il  disciplinare   di   produzione   e,   con   esso,   il
 riconoscimento   delle  denominazioni  di  origine:  precisamente  si
 richiede di esaminare la delimitazione della zona di produzione delle
 uve, la resa massima di uva e di vino ad  ettaro,  le  condizioni  di
 produzione e in particolare le caratteristiche naturali dell'ambiente
 quali   il   clima,   il   terreno,   la   giacitura,   l'altitudine,
 l'esposizione.
    Si tratta con tutta evidenza di valutazioni attinenti a settori di
 competenza  regionale  e  per  questo  il  legislatore  del  1992  ha
 riconfermato la necessita' dell'istruttoria regionale in materia.
    Il  decreto  n.  348/1994  ha  invece  del  tutto   disatteso   la
 disposizione della legge n. 164/1992 prevedendo:
      la presentazione delle domande di riconoscimento direttamente al
 comitato nazionale anziche' alle regioni (art. 2, quinto comma);
      l'abolizione  di  ogni  forma  di parere regionale preventiva al
 decreto finale di riconoscimento di denominazione dei vini,  elevando
 solo,  all'interno  della sezione interprofessionale del comitato, il
 numero di rappresentanti regionali da  tre  a  sei  e  prevedendo  la
 partecipazione  della  regione  interessata  con  diritto  di voto al
 comitato solo  qualora  questo  tratti  questioni  attinenti  ad  una
 denominazione  d'origine  ovvero ad una indicazione geografica tipica
 (artt. 4 e 5).
    Ma tali misure non sono  sufficienti  ad  assicurare  il  rispetto
 delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di
 agricoltura.
    E'   infatti  insegnamento  ormai  costante  della  giurisprudenza
 costituzionale che i poteri  statali  interferenti  con  attribuzioni
 regionali  devono  essere  esercitati  nel  rispetto del principio di
 leale cooperazione e di collaborazione (tra le  tante,  sentenze  nn.
 344/1987, 302, 1028 e 1031 del 1988).
    Il  contenuto delle forme di leale cooperazione e' il piu' vario e
 si diversifica a seconda delle diverse fattispecie:  cosi'  in  certi
 casi  si  richiede  una  vera  propria  intesa tra Stato e regione, e
 quindi una forma di coodeterminazione paritaria del contenuto  di  un
 atto,  necessaria perche' altrimenti i poteri statali comprimerebbero
 eccessivamente le competenze regionali (sentenze nn. 232  e  383  del
 1991;  36,  38  e  366  del 1992); in altri casi si prevede che debba
 esservi un'intesa dello Stato con la regione, ma  non  preclusiva  in
 caso negativo (sentenze nn. 21 e 482 del 1991).
    Al di sotto dell'istituto dell'intesa (piu' o meno "forte"), vi e'
 poi  tutto  il vasto campo dei pareri necessari che sono stati spesso
 imposti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di assicurare  il
 coordinamento  Stato-regioni  (sentenze  nn.  37  e 464 del 1991); e'
 comunque certo che lo strumento del parere rappresenta "la piu' tenue
 misura di coordinamento paritario, diretto a prospettare interessi di
 soggetti od organi diversi da quello che ha la titolarita' dell'atto"
 (Corte costituzionale n. 517/1987).
    Se  pure  e'  certo  che  rientra   nella   discrezionalita'   del
 legislatore  nazionale stabilire le particolari forme di cooperazione
 tra Stato e regioni, e' pur vero  che  devono  in  ogni  caso  essere
 rispettati   i   criteri  di  ragionevolezza;  a  tale  proposito  la
 previsione di  un  parere  regionale  nell'ambito  dell'esercizio  di
 poteri   statali   e'   stata   ritenuta,   sotto  il  profilo  della
 ragionevolezza, non sproporzionata sempreche'  "com'e'  nella  logica
 della  previsione  di  qualsiasi  forma di collaborazione consultiva,
 questa possa svolgersi con l'assistenza di una duplice  garanzia:  a)
 che  la  regione  possa  emettere  il proprio parere sulla base della
 conoscenza di tutti gli  elementi  che  hanno  indotto  lo  Stato  ad
 esercitare  il  potere  in  questione nel particolare modo sottoposto
 all'avviso regionale; b) che la decisione ministeriale  eventualmente
 divergente   dal   parere   regionale  sia  sorretta  da  un'adeguata
 motivazione" (Corte costituzionale n. 1031/1988).
    Alla   luce   della   schematicamente   richiamata  giurisprudenza
 costituzionale,  e'  possibile  affermare  che  -  pur  a  fronte  di
 procedimenti  di  competenza  statale  - e' ammesso un giudizio sulle
 scelte del legislatore;  il  canone  di  valutazione  e'  quello  del
 massimo  rispetto  delle  competenze  regionali  compatibilmente  con
 l'attribuzione allo Stato di uno  specifico  potere  decisionale,  ed
 infatti   la  Corte  costituzionale  ha  indicato,  come  misura  per
 l'esercizio  del  potere  statale,   la   "reale   soddisfazione   di
 quell'interesse   inerente   le   materie   di  competenza  regionale
 coinvolte, che ha indotto a prevedere la partecipazione delle regioni
 al procedimento statale" (sentenza cit. n. 1031/1988).
    Il legislatore, con la legge n. 164/1992, ha rispettato i suddetti
 criteri di ragionevolezza nel prevedere, quale forma di  cooperazione
 fra   lo  Stato  e  le  regioni,  il  parere  di  queste  ultime  nel
 procedimento di riconoscimento delle  denominazioni  di  origine  dei
 vini,  assicurando  in  tal  modo  la necessaria "reale soddisfazione
 dell'interesse  inerente  alle  materie   di   competenza   regionale
 coinvolte nel procedimento statale".
    Invece   il   d.P.R.   n.   348/1994  ha  sostituito  al  raccordo
 procedimentale consistente nel previo parere regionale,  un  raccordo
 organizzativo  in  base  al  quale  la presenza delle regioni avviene
 mediante rappresentanze di tipo collettivo all'interno  del  comitato
 nazionale.
    Tale   raccordo   organizzativo   e'   inadeguato   ad  assicurare
 un'effettiva leale cooperazione tra lo  Stato  e  le  regioni  e  non
 rispetta  i  criteri di ragionevolezza enucleati dalla giurisprudenza
 costituzionale, in quanto l'esigenza della  partecipazione  regionale
 e' soddisfatta in modo puramente simbolico per i seguenti motivi:
      la  presenza regionale nel comitato e' affidata a rappresentanze
 collettive (sei membri per tutte le regioni e le  province  autonome)
 che  sono  evidentemente  inadeguate  a dar voce alle singole regioni
 (per casi analoghi tale rilievo e' evidenziato  dalla  dottrina  cfr.
 Sorace  "Rapporti  tra  Governo  e regioni" in "Le regioni tra potere
 centrale e potere locale", Firenze 1982, I, 47 e segg.);
      il raccordo organizzativo in oggetto e' improntato ad una logica
 di tipo maggioritario; considerando che in base al d.P.R. n. 348/1994
 i rappresentanti regionali sono sei, e' evidente che le regioni  sono
 in  posizione nettamente minoritaria rispetto al plenum della sezione
 interprofessionale del comitato che  e'  di  trentanove  membri,  con
 conseguente  impossibilita' di assicurare che il comitato rappresenti
 una sede di reale e concreta collaborazione tra Stato e regioni;
      all'interno del comitato le regioni -  anche  nella  eccezionale
 ipotesi  in  cui  hanno  diritto di voto - non partecipano nella loro
 specifica individualita' istituzionale, ma in modo del tutto privo di
 collegamento con l'organizzazione costituzionale regionale.
    Tale aspetto e' reso  ancora  piu'  evidente  dall'intero  sistema
 delineato  dal  decreto  in  oggetto, in base al quale la sezione del
 comitato deve provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento  della
 domanda;  e'  conseguentemente  impossibile assicurare che vi sia una
 previa comunicazione degli ordini del giorno del comitato agli organi
 regionali competenti, affinche' questi  possano  impartire  direttive
 specifiche ai propri rappresentanti.
    In  sintesi tutta la fase istruttoria del procedimento in esame e'
 svolta  dalla  suddetta  sezione  del  comitato  in  cui  le  regioni
 partecipano  in  posizione minoritaria e marginale, senza garanzia di
 poter  preventivamente  conoscere  gli  elementi  rilevanti  per   la
 valutazione   delle  singole  questioni,  posto  che  le  domande  di
 riconoscimento non vengono piu'  presentate  dagli  interessati  alle
 regioni  -  come  avveniva  in base alla precedente legislazione - ma
 direttamente al comitato nazionale.
    Tutto cio'  relega  in  una  posizione  secondaria  le  competenze
 regionali  in  materia  di  agricoltura,  violando cosi' il principio
 costituzionale di concorrenza  e  di  cooperazione  delle  competenze
 statali  e  regionali  e  contrastando  palesemente  con i criteri di
 ragionevolezza sopra richiamati.
    Ad ulteriore  conferma  di  quanto  affermato  -  e  quindi  della
 interferenza   negativa   dell'atto  in  questione  sulle  competenze
 regionali - deve rilevarsi che la specifica commissione regionale  di
 cui  alla  l.r.  n.  28/1973,  richiamata  in premessa, istituita per
 l'espletamento  delle  competenze  istruttorie  nel  procedimento  in
 questione,  verrebbe  di  fatto  privata dei suoi compiti dalla nuova
 normativa introdotta con il d.P.R. n. 348/1994.
    Ne' alle argomentazioni esposte puo'  opporsi  che  l'esigenza  di
 semplificare   il  procedimento  amministrativo  rende  legittimo  il
 decreto in oggetto.
    In  primo  luogo  infatti  l'esigenza   di   accelerare   l'azione
 amministrativa  non  puo'  ledere le competenze regionali; in secondo
 luogo poi tale esigenza puo' essere ben conciliata  con  il  rispetto
 delle  funzioni  delle  regioni,  come  dimostra  la  prima  bozza di
 regolamento predisposta dal Ministero delle risorse agricole.
    Per i motivi esposti  il  decreto  impugnato  viola  il  principio
 costituzionale   di  leale  cooperazione  tra  Stato  e  regione  non
 rispettando i criteri di ragionevolezza necessari e  quindi  lede  le
 competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    4)  Il  decreto  n.  348/1994  si  pone  in  attuazione  del  gia'
 richiamato art. 2, settimo comma, della legge n. 537/1993 che prevede
 regolamenti  delegati  per   la   semplificazione   di   procedimenti
 amministrativi.  Si e' gia' evidenziato al precedente punto come tale
 decreto  interferisca  negativamente  sull'esercizio  delle  funzioni
 regionali.
    In   merito  deve  ulteriormente  essere  rilevato  che  gli  atti
 regolamentari, ivi  compresi  quelli  caratterizzati  dalla  speciale
 efficacia   propria   dei   regolamenti   delegati,   "non  risultano
 legittimati a  disciplinare,  per  la  naturale  distribuzione  delle
 competenze  normative  tra lo Stato e le regioni desumibile dall'art.
 117  della  Costituzione,  le  materie  di  spettanza   regionale   e
 conseguentemente  neppure  i  procedimenti amministrativi attinenti a
 tali materie" (Corte  costituzionale  n.  465/1991  e,  nello  stesso
 senso, sentenze nn. 204 e 391 del 1991 e 97/1992).
    La  violazione  delle  regole  costituzionali  relative all'ordine
 delle fonti normative, per cui un atto regolamentare non  puo'  porre
 norme  volte  a  limitare  la  sfera  delle competenze delle regioni,
 risulta evidente nell'atto in oggetto che ha sottratto  alle  regioni
 ogni  autonoma competenza istruttoria, con ulteriore violazione degli
 artt. 117 e 118 della Costituzione.