IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa contro Pollini
 Fabio, nato il 20 gennaio 1960 a Nettuno (Roma), atto di  nascita  n.
 16/I/A,  maresciallo  ordinario  nel 5 reggimento artiglieria pesante
 camp. "Superga" in Udine; coniugato, censurato, libero, imputato di:
       a) lesione personale (art. 223, primo comma, c.p.m.p.) perche',
 il 27 dicembre 1993,  alle  ore  10  nell'ospedale  civile  di  Udine
 colpiva con una testata il parigrado Fontana Osvaldo cagionandogli la
 frattura  delle  ossa  proprie  del  naso  e  ferite  lacero contuse;
 malattie di durata superiore ai giorni dieci;
       b) minaccia (art. 229 del c.p.m.p.) perche' il 3  gennaio  1994
 in  Udine mediante telefono minacciava il maresciallo Fontana Osvaldo
 dicendogli: "sei morto uomo di merda".
    Con l'aggravante del grado ricoperto (art. 47, n. 2, del c.p.m.p.)
 per entrambi i reati.
    In esito al pubblico ed orale dibattimento.
                            FATTO E DIRITTO
    A  conclusione  del dibattimento, il pubblico ministero ha chiesto
 che venga sollevata questione di  legittimita'  costituzionale  degli
 artt.  37,  223 e 229 del c.p.m.p., in relazione all'art. 103, ultimo
 comma, della Costituzione.
    La difesa il minimo della pena, con i benefici di legge.
    L'eccezione di legittimita' trae origine dalla particolarita'  dei
 fatti  proposti  alla  cognizione di questo tribunale militare: il 27
 dicembre 1993, il maresciallo Pollini Fabio,  recatosi  nell'ospedale
 civile  di Udine per far visita alla moglie ivi degente, si imbatteva
 nel parigrado Fontana Osvaldo, che con la donna da tempo intratteneva
 relazione  amorosa,  e  lo  colpiva  con  una   testata   al   volto,
 provocandogli  la  frattura delle ossa nasali; il succesivo 3 gennaio
 lo stesso Pollini, per motivi inerenti alla vicenda del 27  dicembre,
 tramite  telefono minacciava il Fontana con l'espressione "sei morto,
 uomo di merda".
    I fatti di lesione personale e di minaccia  attributi  al  Pollini
 non  appaiono  lesivi  di  interessi  militari;  tuttavia, secondo il
 combinato  disposto  dagli  artt.  37,  223  e  229   del   c.p.m.p.,
 costituiscono  senza  dubbio  reati militari, come tali devoluti alla
 cognizione del giudice militare, a norma dell'art. 263 del c.p.m.p.
    Il tribunale, condividendo l'orientamento  espresso  dal  pubblico
 ministero, dubbia innanzitutto della legittimita' dell'art. 37, primo
 comma, del c.p.m.p., quasi unanimamente inteso come definitorio della
 militarita'  del  reato,  in relazione all'art. 3 della Costituzione:
 secondo  un  criterio   prettamente   formale   (l'inclusione   della
 disposizione  incriminatrice  nell'ambito del codice penale militare)
 esso accomuna nel regime giuridico dei reati militari  (speciale  per
 elemento  soggettivo,  aggravanti,  attenuanti,  pene  principali  ed
 accessorie, sanzioni sostitutive, procedibilita', ecc.) da  un  lato,
 prendendo  ad  esempio  la materia dei reati contro la persona (artt.
 222 e 229 del c.p.m.p.), le ingiurie, minacce  e  violenze  poste  in
 essere  nelle circostanze di cui all'art. 5, terzo comma, della legge
 11 luglio 1978, n. 382 e quindi  realmente  offensive  dell'ordinaria
 convivenza  nell'ambiente  militare,  e  dall'altro  fatti  che,  pur
 realizzati da militare a  danno  di  altro  militare,  sono  tuttavia
 privi, com'e' evidente nella specie, di lesivita' militare.
    Lo  stesso  art. 37, per le corrispondenti conseguenze che ex art.
 263 del c.p.m.p. determina in ordine alla sfera di giurisdizione  dei
 tribunali  militari,  appare in contraddizione con l'art. 103, ultimo
 comma, della Costituzione, secondo cui nel tempo di pace e'  preclusa
 al  giudice  militare  la  cognizione  di  reati  privi  di lesivita'
 militare.
    Le  stesse  censure  possono  essere  riferite  alle  disposizioni
 incriminatrici  degli  artt.  223  e  229  del  c.p.m.p.,  in  quanto
 genericamente comprendono ogni fatto di lesione personale e  minaccia
 senza  attenersi  ai  criteri  di  cui al citato art. 5, terzo comma,
 cosi' contribuendo (nel combinarsi con l'art.  37  del  c.p.m.p.)  ad
 assoggettare  alla  speciale  disciplina  tanto  reati obiettivamente
 militari quanto reati che appaiono invece comuni, e ad attribuire  al
 giudice  militare  la  cognizione  di  reati  privi  della  specifica
 lesivita' militare.
    Va, dunque, sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  37, 223 e 229 del c.p.m.p., in relazione agli artt. 3 e
 103, ultimo comma, della Costituzione.