IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza a scioglimento della riserva
 espressa nell'udienza del 15 aprile 1994 nel corso  del  procedimento
 instaurato  a norma degli articoli 666, 677, 678 del c.p.p., 47 e 58-
 ter legge n. 354/1975 (affidamento  in  prova  e  accertamento  della
 condotta  collaborativa  nei  confronti  di Manzoni Mario nat a Melzo
 (MI) il 23 giugno 1955, residente in Ranica (BG), via G.  Marconi  n.
 34.  Istanza  avanzata in relazione alla sentenza 26 marzo 1990 Corte
 d'appello di Roma, in parziale  riforma  sentenza  15  dicembre  1988
 tribunale  Civitavecchia,  anni  4 di reclusione di cui anni 1 mesi 4
 condonati ex d.P.R. n. 394/1990, presofferto anni 1 mesi 4 giorni 19.
 Residuo anni 1 mesi 3 giorni 11.
    Sospesa  l'emissione  dell'ordine  di  esecuzione  dalla   procura
 generale della Repubblica di Roma il 16 dicembre 1992.
    Riunito  in  camera  di  consiglio  per  deliberare in merito alle
 istanze di accertamento della condotta collaborativa  ed  affidamento
 in prova al servizio sociale avanzate da Manzoni Mario;
    Verificata la rituale instaurazione del contraddittorio;
    Ritenuta la propria competenza territoriale ex art. 47 terzo comma
 legge  n. 354/1975; in esito all'udienza ritualmente svoltasi in data
 15 aprile 1994 come da verbale in atti, a scioglimento della  riserva
 formulata,  ha  pronunciato  la seguente ordinanza di sospensione dei
 procedimenti e di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per
 gli aspetti e le argomentazioni che seguono:
    In  data  29  febbraio  1992  Manzoni  Mario  avanzava  istanza di
 affidamento in prova al centro servizio sociale con riferimento  alla
 condanna  di cui alla sentenza irrevocabile della Corte di appello di
 Roma, prima sezione penale, del 26 marzo 1990. In grado  di  appello,
 in  accoglimento  delle richieste concordate dalle parti, in parziale
 riforma della sentenza 15 dicembre 1988 tribunale  di  Civitavecchia,
 il  Manzoni  veniva condanato alla pena di anni 4 di reclusione per i
 reati di cui agli artt. 75 legge n. 685/1175, 110, 81 cpv. c.p., 71 e
 74 del primo comma nn. 2 e 5 secondo e terzo comma legge citata e 110
 c.p. 282, 284, 295 d.P.R.  n. 43/1973 (p.b. anni 4 di reclusione  per
 il  reato associativo, diminuita di un terzo per la concessione delle
 circostanze  attenuanti  generiche,  aumentata  fino  alla   predetta
 entita' per la continuazione).
    Con  ordinanza  del  14 gennaio 1993 della Corte di appello veniva
 dichiarata estinta per intervenuto condono la  pena  inflitta  per  i
 reati  satelliti,  attesa  la  ritenuta  prevalenza delle circostanze
 attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
    Di conseguenza, avendo il Manzoni espiato  in  custodia  cautelare
 anni  1  mesi  4  e giorni 19, la residua pena detentiva in relazione
 alla quale risulta avanzata l'istanza  di  affidamento  fa  esclusivo
 riferimento  alla  condanna  per  il delitto di cui all'art. 75 della
 legge n. 685/1975.
    Stante  le  modifiche  normative  intervenute  con  il  d.l.   n.
 306/1992,  conv.  con  modif.  nella legge n. 356/1992, modifiche che
 hanno determinato per la prima  volta  la  preclusione  assoluta  nei
 confronti  dei  condannati per il reato di cui all'art. 74 del d.P.R.
 n. 309/1990 di tutte  le  misure  extramurarie  qualora  non  ricorra
 l'ipotesi  della  condotta  collaborativa,  sia pure nella forma c.d.
 "attenuata"  -  introdotta  in  sede  di  conversione,  rilevante  in
 presenza  di  determinate  circostanze  attenuanti  -,  interessato a
 difesa  all'udienza  del  7  gennaio  1994  avanzavano   istanza   di
 accertamento  della  condotta collaborativa ai sensi dell'art. 58-ter
 legge n. 354/1975.
    Instaurato  il  relativo  procedimento,  acquisita  la  necessaria
 documentazione   ed  il  parere  del  p.m.  presso  il  tribunale  di
 Civitavecchia,  all'udienza  del  15  aprile  1994,  p.g.  e   difesa
 concludevano come da verbale in atti.
    Sulla scorta delle risultanze processuali, ritiene il collegio che
 la condotta tenuta dal Manzoni nel corso delle indagini e dei giudizi
 di  merito  integri  appieno  la  fattisepcie  della  "collaborazione
 oggettivamente irrilevante".
    Con la locuzione "collaborazione  oggettivamente  irrilevante"  il
 legislatore  ha  evidentemente  inteso  indicare  coloro che si siano
 adoperati   per   evitare   conseguenze   ulteriori    dell'attivita'
 delittuosa,   ovvero   abbiano  cercato  di  fornire  un  aiuto  agli
 investigatori ai fini della esatta  ricostruzione  del  fatto  o  per
 l'individuazione e la cattura dei colpevoli, senza in realta' fornire
 elementi  ulteriori rispetto a quelli gia' altrimenti acquisiti dagli
 inquirenti. La collaborazione oggettivamente irrilevante si  ravvisa,
 cioe',  nell'ipotesi  di  contributi  successivi forniti in un quadro
 probatorio di gia' avvenuta ricostruzione del fatto ed individuazione
 dei colpevoli.
    Ritiene in proposito il collegio che, per valutare la  sussistenza
 della collaborazione, sia pure nella forma c.d. "attenuata", non puo'
 prescindersi  dalle  risultanze  processuali  e dalla valutazione che
 delle  stesse  e'  stata  fatta  dai  giudici  di  merito,  venendosi
 altrimenti  a  stravolgere  un giudicato ormai intoccabile sul punto.
 Unica  ipotesi  potrebbe  sussistere,  eventualmente,  nel  caso   di
 collaborazione   "dopo  la  condanna",  sia  pure  -  trattandosi  di
 collaborazione oggettivamente  irrilevante  -  al  di  fuori  di  una
 procedura di revisione o senza necessariamente l'apertura di un nuovo
 procedimento  penale  contro  soggetti  non coinvolti in quello ormai
 definito, fattispecie comunque non ravvisabile nel caso di specie.
    Il  p.m.  della  procura  della   Repubblica   di   Civitavecchia,
 interpellato  ex art. 58-ter O.P., ha evidenziato che il Manzoni, pur
 avendo reso in istruttoria  ampia  confessione  in  ordine  alla  sua
 partecipazione  ai fatti contestatigli, non ha tuttavia offerto alcun
 contributo  concreto  allo  sviluppo   delle   indagini,   ne'   alla
 individuazione  e/o  cattura  dei  compartecipi.  La  confessione del
 Manzoni ha riguardato fatti e circostanze gia'  ampiamente  acquisiti
 dagli   inquirenti,   che  hanno  trovato  ulteriore  conferma  nella
 confessione medesima.
    Argomentazioni che trovano integrale riscontro nella richiesta  di
 rinvio  a  giudizio  del  30 ottobre 1987, nell'ordinanza di rinvio a
 giudizio del 29 dicembre 1987 e nella sentenza di primo grado in atti
 (la sentenza d'appello risulta pronunciata  ai  sensi  dell'art.  590
 c.p.p., di talche' poco rileva in proposito).
    Gia' infatti nelle richieste inoltrate in data 30 ottobre 1987 dal
 p.m.  al  g.i.  (pag.  2)  si  evidenzia  come  "fulcro della prova e
 conseguentemente  elemento  portante  della   responsabilita'   degli
 imputati,   sia   rappresentato   dalle  intercettazioni  telefoniche
 ritualmente disposte sulle utenze in uso ad alcuni di  essi,  nonche'
 dai  sequestri  dell'ingente  quantitativo  di  sostanza stupefacente
 operate dai c.c.". Con  riferimento  alla  posizione  processuale  di
 alcuni  imputati  (tra  cui  il  Manzoni),  si  da'  atto  che  hanno
 consentito una ricostruzione dei fatti  risultata  sorretta  da  quei
 rilievi e riscontri obiettivi cui prima si faceva riferimento.
    Cio' premesso, deve evidenziarsi che in relazione al titolo per il
 quale e' stata pronunciata condanna:
      1)  pur  emergendo espressamente ed in piu' punti della sentenza
 il ruolo marginale del Manzoni nella vicenda, non potevano i  giudici
 di  merito  concedere  la circostanza attenuante di cui all'art. 114,
 primo comma, c.p. -- rilevante nel caso di specie, atteso  l'espresso
 richiamo  operato  dall'art. 4-bis legge n. 354/1975, come modificato
 in sede di conversione in legge  del  citato  d.l.  n.  306/1992  -,
 ritenendo  la  minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione
 del  reato,  stante  l'espresso  dettato  normativo,  inequivoco   al
 riguardo (art. 114 secondo comma del c.p.).
    Invero,  il  numero dei concorrenti nel reato risulta notevolmente
 superiore  alle  previsioni  dell'art.  112,  primo   comma   n.   1,
 espressamente  richiamato  dal  citato secondo comma dell'art. 114 al
 fine di escludere in tali casi la concedibilita' dell'attenuante;
      2) non poteva comunque essere concessa la circostanza attenuante
 di cui all'art. 114, primo comma, del c.p. (partecipazione di  minima
 importanza  al  reato)  per  due ragioni: perche' tale circostanza si
 riferisce, per espresse previsioni, ai  soli  artt.  110  e  113  che
 prevedono,  rispettivamente,  il  concorso  eventuale  nel reato e la
 cooperazione nel delitto colposo (mentre il reato di cui all'art.  75
 legge   n.  685/1975  e'  di  natura  plurisoggettiva  o  a  concorso
 necessario);  perche'  nella  valutazione legislativa dell'illiceita'
 penale nella valutazione del singolo imputato del reato associativo a
 venire  in  considerazione,  bensi'  l'attivita'  dell'organizzazione
 criminosa  nel suo complesso, qualunque sia stato il ruolo svolto dal
 singolo associato, necessariamente partecipe, insieme con gli  altri;
 di  quella attivita' (Cass., sez. VI, sent. 5349 dell'11 aprile 1990;
 Cass. sez. VI, sentenza 8727 del 20 giugno 1989);
      3) non era concedibile e non  risulta  neppure  ipotizzabile  la
 circostanza  attenuante  di  cui all'art. 62 n. 6 del c.p., rilevante
 nel caso de quo, per espressa  previsione  normativa,  anche  ove  il
 risarcimento   sia   intervenuto   successivamente  al  passaggio  in
 giudicato della sentenza, non essendo  ravvisabile  in  relazione  al
 titolo  del  reato  per  il quale e' stata pronunciata condanna alcun
 onere risarcitorio.
    All'obiettiva impossibilita' di risarcimento  consegue  l'assoluta
 irrilevanza  nel  caso  di  specie del criterio normativo che collega
 all'intervenuta reintegrazione del patrimonio  della  vittima  o  dei
 suoi  aventi  diritto  una  manifestazione  concreta del sopravvenuto
 ravvedimento del reo o, quanto meno, della sua minore pericolosita'.
    Ugualmente, in relazione al titolo del reato, non  e'  ravvisabile
 neppure  astrattamente l'attenuante di cui all'art. 116 del c.p., che
 disciplina l'ipotesi del reato diverso da quello voluto da taluno dei
 concorrenti.
    La stessa Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  306/1993  ha
 condiviso  le  doglianze  sollevate  dai  Tribunali  remittenti circa
 l'eccezionalita'  delle   fattispecie   normative   considerate   dal
 legislatore.  '  ..  Ora  e'  ben vero" - si legge in sentenza - "che
 queste ultime sono fattispecie normativamente assai ristrette  e  che
 possono  darsi  ipotesi ad esse cosi' prossime sul piano fattuale, da
 poterne sostenere ragionevolmente l'assimilazione. Ma  nessuna  delle
 ordinanze  in esame ha mosso specifiche censure in questa prospettiva
 ne' ha soprattutto, dato conto, ai  fini  della  rilevanza,  di  aver
 accertato   l'ulteriore   requisito   posto  dalla  norma  in  esame,
 costituito  dalla  prova  certa,  nel  caso  oggetto   del   giudizio
 principale,  dell'inesistenza  di  collegamenti  con  la criminalita'
 organizzata".
    Di conseguenza, non possono  ritenersi  venuti  meno  in  sede  di
 conversione   del  d.l.  n.  306/1992  quei  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale sollevati da piu' parti,  in  relazione  ai  quali  la
 consulta  aveva  disposto  la  restituzione  degli  atti ai giudici a
 quibus per un riesame  ed  una  nuova  valutazione  alla  luce  della
 normativa introdotta in sede di conversione in legge.
    Nel  caso  di  specie  puo'  ritenersi accertata nei confronti del
 Manzoni l'assenza di collegamenti attuali con il crimine organizzato.
    Atteso il dettato normativo, assolutamente inequivoco al riguardo,
 essendo inutilmente decorso in termine di legge, deve provvedersi  in
 assenza delle informazioni del C.P.O.S.P., ritualmente richieste.
    L'ottima   evoluzione   comportamentale  evidenziata  dal  Manzoni
 successivamente al reato, unica esperienza delittuosa nella vita  del
 condannato,  il  serio  processo di revisione critica delle pregresse
 scelte delinquenziali poste all'origine della devianza criminale,  la
 valida  progettualita' manifestata, l'effettivo reinserimento sociale
 - elementi oggettivamente desumibili dall'approfondita  indagine  del
 C.S.S.A.  di Brescia -, costituiscono tutti dati univocamente volti a
 dimostrare   l'assenza   di   collegamenti  attuali  con  il  crimine
 organizzato.
    Piu' volte la Corte costituzionale (sentenze  nn.  204/74343/1987,
 282/1989,  125/1992  e 306 del 1993), facendo riferimento al precetto
 dell'art. 27 della Carta costituzionale, ha ribadito  che  nel  corso
 dell'espiazione  della condanna "sorge il diritto per il condannato e
 che  verificandosi  le  condizioni  poste  dalla  norma  di   diritto
 sostanziale,  il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva
 venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantita'  di
 pena   espiata  abbia  o  meno  assolto  positivamente  al  suo  fine
 rieducativo .." Diritto, questo, che deve trovare  nella  legge  "una
 valida   ragionevole   garanzia   giurisdizionale."   L'ancorare   la
 concedibilita' dei benefici penitenziari, ivi  compreso  il  permesso
 premio,  alla  collaborazione  con  la giustizia, rende evidentemente
 irrilevante il percorso  rieducativo  compiuto  dall'interessato  nel
 corso dell'espiazione della condanna, con la evidente conseguenza che
 ne  risulta quanto meno frustrato il menzionto diritto del condannato
 al  riesame  degli  effetti  di  recupero  e   di   risocializzazione
 verificatisi nel corso dell'esecuzione della pretesa punitiva.
    Non   si   vede  infatti  come  possa  ritenersi  sussistente  una
 correlazione  necessaria  tra  scelta  collaborativa  ed   evoluzione
 comportamentale   del   soggetto   nel  corso  dell'espiazione  della
 condanna, tale cioe' da ravvisare la  seconda  proposizione  solo  ed
 esclusivamente  in presenza della prima. Non solo, infatti, la scelta
 di collaborare puo' prescindere da un  valido  processo  di  distacco
 dalle   pregresse   scelte  delinquenziali,  potendo  essere  dettata
 esclusivamente da motivazioni utilitaristiche, ma anche  ammesso  che
 alla  scelta  collaborativa  corrisponda  una volonta' di emenda, non
 altrettanto valida puo' ritenersi la proposizione contraria.
    "E' ben vero che la collaborazione consente di presumere  che  chi
 la  presta  si sia dissociato dalla criminalita' e che ne sia percio'
 piu'   agevole   il   reinserimento   sociale.   Ma   dalla   mancata
 collaborazione  non  puo'  trarsi  una  valida  presunzione  di segno
 contrario, e cioe' che esso sia indice univoco  di  mantenimento  dei
 legami  di  solidarieta'  con l'organizzazione criminale: tanto piu',
 quando l'esistenza di collegamenti con  quest'ultima  sia  altrimenti
 esclusa" (sentenza n. 306/1993 della Consulta).
    L'eguaglianza dinanzi alla pena significa innanzitutto proporzione
 della  pena  rispetto alle personali responsabilita' ed alle esigenze
 che ne conseguono (sent. n. 299/1992 della Corte costituzionale),  ed
 il  trattamento  penitenziario  deve, per espresso dettato normativo,
 essere    improntato    ai    criteri    di    proporzionalita'    ed
 individualizzazione  nel  corso di tutta l'esecuzione della condanna,
 criteri che discendono direttamente dagli artt.27 primo e terzo comma
 (sentenze nn. 50/1980 e 203 del 1991 e 3 della Costituzione.
    La tipizzazione per titoli di reato determina evidente  violazione
 di  detti  criteri  e suscita legittime perplessita' la tendenza alla
 configurazione  normativa  di  "tipi  di  autore",  per  i  quali  la
 rieducazione  non  sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita
 in difetto del presupposto della collaborazione.
    La mancata collaborazione con la  giustizia  puo',  ad  avviso  di
 questo  Tribunale,  essere  valutata come mero elemento indiziante ai
 fini dell'accertamento della perdurante esistenza di contatti con  il
 crimine  organizzato.  Ma  quando ulteriori accertamenti, ancorati in
 particolare   alla   partecipazione   del   condannato   al  percorso
 rieducativo - riabilitativo proprio della condanna a pena  detentiva,
 elementi       -       che      trovano      riscontro      all'esito
 dell'osservazionescientifica della personalita' e/o sulla  scorta  di
 dati obiettivi, diano esito univocamente negativo, non puo' ritenersi
 rilevante  in  senso  ostativo  tale  dato.  Pena,  la violazione del
 dettato  dell'art.  27  e  la  trasmodazione   della   normativa   in
 regolamentazione assolutamente irragionevole della materia.
    Ma  la  normativa citata appare incostituzionale anche sotto altro
 profilo.
    Costituisce ormai  principio  consolidato  che  l'irretroattivita'
 della   legge   penale  sancita  dall'art.  25  secondo  comma  della
 Costituzione si estende a tutte le norme che si riferiscono al quadro
 sanzionatorio, ivi comprese le norme che disciplinano il  trattamento
 penitenziario.  Le  disposizioni  di natura sostanziale relative alla
 modalita' di esecuzione della  pena,  infatti,  in  quanto  incidenti
 sulla  "qualita'  e  quantita'  in  concreto"  della  pena  inflitta,
 rivestono indubbiamente  natura  penale.  Il  divieto  di  introdurre
 innovazioni  in  pejus  deve  farsi  risalire,  ad  avviso  di questo
 Tribunale, se  non  al  momento  del  passaggio  in  giudicato  della
 sentenza  o  al  momento dell'inizio dell'esecuzione, teorie entrambe
 sostenute  da  autorevole  dottrina,  senz'altro  al  momento   della
 maturazione dei presupposti di legge.
    Nel  caso  di  specie,  al  momento  dell'entrata  in vigore della
 normativa di  cui  si  sospetta  l'illegittimita'  costituzionale  il
 Manzoni  vantava  tutti  i  requisiti  di legge per addivenire ad una
 pronuncia di merito sull'odierna istanza.
    Solo in seguito al decreto-legge  n.  306  citato  il  Manzoni  ha
 sentito  richiedere quale presupposto indefettibile di ammissibilita'
 del beneficio l'ulteriore requisito della condotta collaborativa, nei
 termini in precedenza evidenziati.
    Le  modifiche  apportate   dalla   normativa   del   1992,   hanno
 sostanzialmente  determinato  una  nuova ed ulteriore valutazione del
 comportamento tenuto dal Manzoni sulla scorta di  parametri  estranei
 al  processo  rieducativo  o  comunque  non  necessariamente a questo
 correlato, cosi' di fatto modificato nei  suoi  aspetti  fondamentali
 l'entita'  della  pena  inflitta  nella  forma  delle  sue  modalita'
 esecutive.
    Ritenuta pertanto di dubbia  costituzionaita'  in  relazione  agli
 artt.  3,  secondo  comma, 25, secondo comma, e 27 terzo comma, della
 Costituzione la normativa di cui all'art. 4-bis  primo  comma,  cosi'
 come  modificato  dal d.l. n. 306/1992, convertito con modificazioni
 nella legge n. 356/1992; ritenuta rilevante la questione nel caso  di
 specie,   poiche'   la   norma   che   si   sottopone  al  vaglio  di
 costituzionalita' impedisce di esaminare nel merito  l'istanza;  deve
 sospendersi  il  giudizio  in  corso,  con rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale per la valutazione delle censure sollevate.