IL PRETORE
    A  scioglimento  della  riserva  che precede, osserva, in punto di
 fatto, che la ditta Luel ha verbalmente proceduto al licenziamento di
 tutti i dipendenti, in data  31  dicembre  1992,  per  cessazione  di
 attivita',  senza  avere  preventivamente  attivato e perfezionato la
 procedura prevista dall'art. 4, commi da 2 a 9, della legge 23 luglio
 1991, n. 223.
    1. - Cio' posto, rileva che, ai sensi dell'art. 24, secondo comma,
 della stessa legge,  la  predetta  procedura  sarebbe  dovuta  essere
 osservata   dal   datore  di  lavoro,  oltre  che  per  l'ipotesi  di
 licenziamenti collettivi per riduzione di personale, anche in caso di
 licenziamenti collettivi per cessazione di attivita'.
    Dall'esame delle disposizioni di cui all'art. 4, commi da 2  a  9,
 della  legge  n. 223/1991 appare evidente il loro preciso riferimento
 all'ipotesi di licenziamenti collettivi per riduzione  di  personale:
 la  c.d. procedura di mobilita' trova, pertanto, applicazione, per il
 caso di cessazione di attivita'  aziendale,  soltanto  per  la  parte
 compatibile.
    Ed invero, in questa fattispecie non rilevano le norme che pongono
 limiti  formali  al  potere  di  recesso del datore di lavoro poiche'
 appare  irragionevole  ritenere  che   possa   essere   disposta   la
 reintegrazione  di  un  lavoratore  in un'azienda che esista soltanto
 giuridicamente, qualora sia dichiarata l'invalidita' o  l'inefficacia
 del  recesso: l'art. 18 della legge n. 300/1970, richiamato dall'art.
 5, terzo comma, della legge n. 223/1991, assicura una  tutela  reale,
 mentre,  non essendo possibile un'effettiva reintegrazione, la tutela
 del lavoratore illegittimamente licenziato ai sensi dell'art. 4, nono
 comma,  della  stessa  legge  potrebbe  essere soltanto risarcitoria,
 qualora l'azienda dovesse aver cessato la sua attivita' produttiva.
    Egualmente,   nell'ipotesi   di   licenziamenti   collettivi   per
 cessazione  di  attivita',  non  rivestono importanza alcuna i motivi
 della decisione imprenditoriale, risultando insindacabili dal giudice
 e dalle altre parti sociali,  come  pure  i  criteri  di  scelta  dei
 lavoratori  da  licenziare, investendo la decisione aziendale tutti i
 suoi dipendenti.
    La procedura di mobilita' e' stata, quindi, estesa  ai  lavoratori
 licenziati per cessazione di attivita' non gia' per la parte che vale
 a  salvaguardare  i  dipendenti da un potere di recesso del datore di
 lavoro arbitrario, indiscriminato e immotivato, quanto,  invece,  per
 la   parte   che   tende   ad  assicurare  ai  lavoratori  la  tutela
 previdenziale (art. 7) e sociale (art. 8) conseguente  all'iscrizione
 nelle liste di mobilita'.
    La  procedura di mobilita' si esaurisce, pertanto, in questo caso,
 in  adempimenti  soltanto  formali,  quali  la   comunicazione   alle
 rappresentanze  sindacali e all'ufficio provinciale del lavoro, della
 volonta' di  cessare  l'attivita'  aziendale  (artt.  2  e  4)  e  la
 successiva  comunicazione  dell'esaurita  procedura,  contestualmente
 all'elenco  dei  lavoratori  licenziati  con  i  rispettivi  profili,
 all'Ufficio   regionale  del  lavoro  e  della  massima  occupazione,
 competente  per  la  compilazione  della  lista  dei  lavoratori   in
 mobilita' (art. 9).
    2.  -  Orbene,  l'inesistenza  o  il mancato perfezionamento della
 procedura di mobilita' porta conseguentemente alla mancata iscrizione
 di un lavoratore licenziato per cessazione di attivita'  nelle  liste
 di collocamento; lo stesso lavoratore, pertanto, anche se in possesso
 del  requisito dell'anzianita' aziendale previsto dall'art. 16, primo
 comma,  della  legge  n.  223/1991,   non   potrebbe   aver   diritto
 all'indennita'  di mobilita', quale prevista dall'art. 7 della stessa
 legge.
    Detta norma dispone, infatti, che  i  lavoratori  abbiano  diritto
 all'indennita'  di  mobilita',  se  "collocati  in mobilita' ai sensi
 dell'art. 4"; prescrive cioe' che sia seguita una  procedura  che  si
 concluda  con  l'iscrizione di un lavoratore nelle liste di mobilita'
 perche' questi possa godere dell'indennita' di mobilita'.
    3.  -  A  questo  punto   e'   bene   soffermarsi   sulla   natura
 dell'indennita'  di mobilita'. Trattasi, ad avviso di questo pretore,
 di una prestazione previdenziale che viene erogata  dall'I.N.P.S.  ai
 lavoratori  che  siano collocati nelle liste di mobilita' e che siano
 in possesso di determinati requisiti di anzianita',  legislativamente
 previsti.  In  questa  materia l'I.N.P.S. non esercita, quindi, alcun
 potere  di  discrezionalita'  amministrativa,  ma  svolge   attivita'
 meramente   ricognitiva;   il  lavoratore  iscritto  nelle  liste  di
 mobilita', che sia in possesso dei prescritti  requisiti  soggettivi,
 sottratti  a qualsiasi valutazione discrezionale, vanta, pertanto, un
 diritto nei confronti dell'I.N.P.S. per il pagamento  dell'indennita'
 di mobilita'.
    4.  -  Queste considerazioni valgono a disattendere l'eccezione di
 difetto di giurisdizione sollevata dalla  difesa  del  Ministero  del
 lavoro  che  e'  stato chiamato in causa per il fatto che agli uffici
 regionali del lavoro e della massima occupazione  compete  la  tenuta
 delle liste dei lavoratori in mobilita'.
    Si  discute,  infatti, se il giudice, nel caso di omessa procedura
 da parte dell'azienda che  abbia  cessata  la  sua  attivita',  possa
 dichiarare  il  diritto  dei lavoratori licenziati ad essere iscritti
 nelle liste di mobilita', verificatene le condizioni  di  legge,  nel
 contraddittorio con il Ministero del lavoro.
    Si  e'  prospettata  tale  soluzione  in  quanto il diritto ad una
 prestazione previdenziale (indennita'  di  mobilita')  sarebbe  stato
 collegato  all'iscrizione  nelle  liste di mobilita', obbligatoria in
 presenza di determinate condizioni (esaurimento  della  procedura  di
 mobilita' da parte del datore di lavoro); si e' cosi' richiamata, per
 gli  aspetti in comune con la presente fattispecie, la giurisprudenza
 formatasi in materia di collocamento dei lavoratori agricoli, in  cui
 si  e'  ritenuto  che  il  giudice  possa dichiarare il diritto di un
 lavoratore ad essere iscritto negli appositi elenchi, a seguito di un
 giudizio  meramente  ricognitivo,  dal  quale  discendono  diritti  a
 prestazioni  presidenziali  da  far  valere nei confronti di soggetto
 (I.N.P.S.) diverso da quello legittimato a contraddire (S.C.A.U.).
    La soluzione al suesposto quesito non puo', tuttavia,  che  essere
 negativa  avendo  il legislatore subordinato l'iscrizione nelle liste
 di mobilita' al comportamento  di  un  soggetto  (datore  di  lavoro)
 estraneo   agli   uffici   regionali   del  lavoro;  questi,  quindi,
 legittimamente possono rifiutare l'iscrizione negli appositi elenchi,
 su  istanza  dei  lavoratori  interessati  che   lamentino   l'omessa
 procedura  da  parte del loro datore di lavoro. La compilazione della
 lista dei lavoratori in mobilita'  e'  obbligatoria  per  gli  uffici
 regionali del lavoro, ma se esaurita la procedura di mobilita'.
    5.   -  Resta,  pertanto,  da  verificare  se,  sotto  un  profilo
 costituzionale, possa essere legittima una  norma  che  subordini  il
 diritto ad una prestazione previdenziale (indennita' di mobilita') al
 comportamento  di un soggetto (datore di lavoro) estraneo al rapporto
 di natura previdenziale ed indifferente alle  conseguenze  economiche
 del  suo  inadempimento  soprattutto  se la cessazione dell'attivita'
 dovesse risultare prodromica ad una procedura di  liquidazione  della
 societa'.
    Ad   avviso   di  questo  pretore,  l'iscrizione  nelle  liste  di
 mobilita', da cui discendono diritti di natura previdenziale ed anche
 sociale, non puo' essere condizionata dal comportamento arbitrario di
 un soggetto che sia estraneo ai rapporti di natura  obbligatoria  che
 conseguirebbero  all'iscrizione medesima, tanto piu' quando lo stesso
 soggetto puo' risultare indifferente ai riflessi  economici  negativi
 della sua condotta.
    Come  si  puo'  argomentare  dalle  stesse disposizioni dettate in
 materia  di  condizioni  apposte  ad   un   negozio   giuridico,   e'
 giuridicamente  irragionevole  far  dipendere  un diritto da un fatto
 volontario,  il  cui  adempimento  o  la  cui   omissione   non   sia
 giusitificato   da   seri   e  apprezzabili  motivi,  ma  da  ragioni
 arbitrarie.
    6. - Per quanto sopra esposto, l'art. 7, primo comma, della  legge
 n.   223/1991   sembra  confliggere  con  gli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  nella  parte   in   cui   prevede   che   il   diritto
 all'indennita'  di  mobilita'  possa  spettare soltanto ai lavoratori
 collocati in mobilita' ai sensi dell'art. 4 e non anche a quelli  che
 sarebbero dovuti essere collocati in mobilita', ma che non sono stati
 iscritti  nelle liste di mobilita', per non avere il datore di lavoro
 attivato ed esaurito la procedura prevista dall'art. 4, commi da 2  a
 12,  della  legge  medesima, nell'ipotesi di licenziamenti collettivi
 per cessazione di attivita'.
    Appare, invero,  contrastante  con  il  principio  di  eguaglianza
 fissato  dall'art. 3 della Costituzione una disposizione di legge che
 dovesse creare situazioni  sperequate  nei  confronti  di  lavoratori
 licenziati  per  lo  stesso  motivo (cessazione di attivita'), per il
 solo fatto che un soggetto, indifferente  rispetto  ai  rapporti  che
 conseguono  alla  sua condotta, provveda o meno al compimento di atti
 formali, quale e' appunto la procedura di mobilita'  nell'ipotesi  di
 licenziamenti collettivi per cessazione di attivita'.
    Risulta,  inoltre,  contrastante  con  gli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione una norma che dovesse far discendere il diritto  ad  una
 prestazione  previdenziale  da  comportamenti  arbitrari  di soggetti
 estranei al rapporto previdenziale.
    La dedotta questione e', inoltre, rilevante nel presente  giudizio
 poiche'  tutti  i ricorrenti, licenziati per cessazione di attivita',
 possiedono i requisiti per usufruire  dell'indennita'  di  mobilita',
 loro  negata  perche'  non iscritti nelle liste di mobilita', per non
 avere il datore di lavoro neppure attivato la procedura di  mobilita'
 prevista dall'art. 4, commi da 2 a 12, della legge n. 223/1991.