IL TRIBUNALE Visti gli atti del proc. civ. n. 2/94 sez. lavoro promosso dall'I.N.P.S.: con avv. Angelo Guadagnino, nei confronti di Bordignon Maria: con avv. P. Buzzola Anesini. In punto: appello sentenza del pretore di Vicenza, giudice del lavoro, n. 540/93 del 15 ottobre-7 dicembre 1993 ha pronunciato la seguente ordinanza. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 31 luglio 1991 Bordignon Maria, premesso di essere titolare dal dicembre 1973 della pensione IO integrata al minimo e di pensione S.O. con decorrenza 1 gennaio 1976, precisava di aver presentato domanda all'I.N.P.S. chiedendo l'integrazione al minimo della pensione S.O fino all'entrata in vigore della legge n. 638/1983, e puntualizzava che tale domanda era stata accolta dall'istituto; aggiungeva che secondo il disposto dell'art. 6 della legge n. 683/1983 l'unica pensione da integrare sarebbe stata quella S.O. mentre quella IO avrebbe dovuto essere corrisposta nell'importo cristallizzato alla data 1 ottobre 1983 e non ridotta nella misura a calcolo contributivo; puntualizzava che in forza dell'art. 3 della legge n. 140/1985 la pensione S.O era stata aumentata in modo da superare "tetto" economico previsto per l'integrazione al minimo, per cui la pensione da integrare al minimo avrebbe dovuto essere quella IO nell'importo cristallizzato alla data del 1 ottobre 1983. Chiedeva pertanto di accertare il proprio diritto a percepire l'integrazione al minimo della pensione IO sull'importo al 1 ottobre 1983 per il periodo 1 ottobre 1983-1 gennaio 1985 e di ripristinare dal 1 ottobre 1985 l'integrazione al minimo della pensione IO. L'I.N.P.S. si costituiva riconoscendo il diritto della ricorrente alla integrazione al minimo sulla pensione IO con decorrenza 1 gennaio 1985 mentre affermava la correttezza della riduzione a calcolo dell'importo della pensione IO per il periodo 1 ottobre 1983-31 dicembre 1984. L'adito pretore decideva la controversia con sentenza del 15 ottobre-7 dicembre 1993 con la quale intanto dichiarava la cessazione della materia del contendere relativamente al diritto della ricorrente a percepire la integrazione al minimo della pensione IO dal 1 gennaio 1983, accertava il diritto della ricorrente a percepire detta pensione nell'importo cristallizzato dal 1 ottobre 1983 al 31 dicembre 1984 condannando l'I.N.P.S. al pagamento di rivalutazione ed interessi sui ratei pregressi. Avverso la predetta pronuncia proponeva appello l'I.N.P.S. la quale, in ordine al punto relativo al riconoscimento del diritto alla cristallizzazione sulla pensione IO, sosteneva l'erroneita' della decisione pretorile deducendo che l'istituto della cristallizzazione trovava applicazione solo per i casi in cui la cessazione del diritto all'integrazione avvenga per superamento dei limiti di reddito e non anche per i plurititolari di pensione; richiamava al riguardo il disposto dell'art. 11, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1993 e concludeva chiedendo di dichiarare infondata la domanda di controparte relativa alla cristallizzazione dell'importo della pensione di invalidita' IO maturata alla data del 30 settembre 1983 per il periodo 1 ottobre 1983-31 dicembre 1984. La Bordignon si costituiva e richiamandosi al contenuto dell'ordinanza della sezione lavoro della Corte di cassazione del 18 gennaio 1994, concludeva chiedendo al tribunale di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1992 ordinando la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. All'udienza del 18 marzo 1994 il tribunale si riservava di depositare ordinanza con cui sollevare la questione di legittimita' costituzionale della menzionata disposizione di legge. MOTIVI DELLA DECISIONE Dopo la pronuncia della sentenza pretorile e' entrato in vigore l'art. 11, ventiduesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, collegata alla legge finanziaria per il 1994 che recita: "L'art. 6, quinto, sesto e settimo comma, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, si interpreta nel senso che nel caso di concorso di due o piu' pensioni integrate al minimo, liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge, il trattamento minino spetta su una sola delle pensioni, come individuata secondo i criteri previsti al terzo comma dello stesso articolo, mentre l'altra o le altre pensioni spettano nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione". Il tenore letterale della disposizione e la sua funzione, che consiste nella chiarificazione del significato della disposizione interpretata, che resta immutata nel suo tenore letterale, non lasciano dubbi che trattasi di norma di interpretazione autentica con connaturale efficacia retroattiva. Ad avviso del collegio l'art. 11, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1993, che ha imposto rationae imperii una interpretazione dell'art. 6 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazione nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sostenuta dall'I.N.P.S. e costantemente disattesa dalla giurisprudenza della Corte di cassazione si presta ai sospetti di costituzionalita'. Intanto la questione e' rilevante nel giudizio in corso giacche' alla concreta fattispecie si applica il disposto dell'art. 6, quinto, sesto e settimo comma, del d.l. n. 463/1983 convertito in legge n. 638/1983 nel significato imposto dalla disposizione di interpretazione autentica, e cioe' nel senso di conservare il trattamento minimo su una sola pensione e di corrispondere le altre pensioni nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione e quindi senza conservazione del trattamento non piu' integrabile (cd cristallizzazione), fino al suo riassorbimento negli aumenti di pensione per effetto della perequazione automatica. La conseguenza sarebbe evidentemente quella di ritenere che per il periodo 1 ottobre 1983 (data di entrata in vigore del d.l. n. 463/1983-31 dicembre 1984) la Bordignon non avrebbe diritto ad ottenere la conservazione del trattamento fino ad allora maturato, e non piu' integrabile, della pensione IO. La questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dagli art. 6, quinto, sesto e settimo comma, del d.l. n. 463/1983 convertito in legge n. 638/1983 e dell'art. 11, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1983 si appalesa anche non manifestamente infondata per le ragioni esposte dalla Corte di cassazione nella ordinanza del 18 gennaio 1994 alla quale il tribunale riterrebbe di operare un richiamo per relationem se cio' non comportasse il rischio di veder dichiarata inammissibile la questione che ritiene di sollevare. Giova allora evidenziare, mutuando le argomentazioni della cennata ordinanza del s.c., che l'art. 38 della Costituzione mira a garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per cui il trattamento pensionistico minimo non ha natura prevalentemente assistenziale bensi' essenzialmente previdenziale. Nel regime vigente fino alla data del 1 ottobre 1983, quale risulta dalle disposizioni di legge e da varie pronunce della Corte costituzionale in materia di cumulo delle pensioni al minimo, il diritto del lavoratore a che siano garantiti mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita, (previsto dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione) veniva assicurato soltanto dal cumulo di piu' integrazioni, nel caso di concorso di due o piu' pensioni. Pertanto, l'importo del trattamento non piu' integrabile, ossia relativo alla pensione non soggetta ad integrazione al minimo dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 463/1983, rappresentava il minimo indispensabile per garantire ai lavoratori mezzi adeguati alla propria tutela alla luce del regime allora vigente; con la conseguenza ulteriore che la negazione della cristallizzazione, comportando una sostanziale decurtazione del trattamento pensionistico complessivo, al di sotto del limite costituito da quel minimo indispensabile, viene a porsi in sostanziale contrasto con il secondo comma dell'art. 38 della Costituzione. Le considerazioni che precedono fanno ritenere violato anche il principio di ragionevolezza insito nell'art. 3 della Costituzione non essendo ravvisabile alcuna plausibile giustificazione per la riduzione del trattamento pensionistico al di sotto del livello minimo sufficiente ad assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alla ragione di vita; ed e' appena il caso di evidenziare che una siffatta giustificazione non puo' essere rintracciata in esigenze economiche o finanziarie di enti pubblici, la cui rilevanza sia spinta fino alla lesione del diritto previdenziale perche' cio' comporterebbe una sostanziale vanificazione dello stesso principio di ragionevolezza, che verrebbe fatto ripesare non gia' sull'impero della ragione bensi' sulla ragione dell'impero. A sostegno di quanto sopra prospettato e' appena il caso di rilevare che la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 418/1991 ha ritenuto la costituzionalita' dell'art. 6, settimo comma, del d.l. n. 463/1983 convertito in legge n. 683/1983 solo se interpretato nel senso, accolto dalla giurisprudenza consolidata dalla Corte di cassazione ed esattamente antitetico a quello recepito nella disposizione di interpretazione autentica. Le considerazioni che precedono appaiono sufficienti a fondare una denuncia di incostituzionalita' mentre piu' problematico appare l'ulteriore parametro di ortodossia evidenziato dalla Corte di cassazione nell'ordinanza 18 gennaio 1994 (artt. 101, 102 e 104 della Costituzione) non potendosi sostenere che la interpretazione della consolidata giurisprudenza sia atta ad escludere radicalmente la compatibilita' della scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa con una possibile interpretazione, sia pure gravata di sospetti di incostituzionalita', della disposizione interpretativa.