IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. - Risulta dagli atti che in data 15 settembre 1992 veniva presentata querela contro l'imputato predetto dalla parte lesa. Il procuratore circondariale, al quale la querela era stata trasmessa, elevava la imputazione seguente (artt. 81 e 594 del c.p., 610 del c.p. e 590 del c.p.) e quindi ordinava il rinvio a giudizio dell'imputato. 2. - All'odierno dibattimento, dalla relazione del p.m. di udienza, si appurava che il rinvio a giudizio era stato disposto non solo senza avere prima sentito l'imputato, ma anche senza avere compiuto alcuna indagine tesa ad accertare la fondatezza della denuncia o a individuare l'esistenza di prove. In relazione a tale situazione questo pretore ritiene di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 554, primo comma, del c.p.p. che concede al p.m. il potere di rinviare a giudizio l'imputato. Tale norma della parte che qui interessa cosi' dice concluse le indagini, il p.m. trasmette gli atti al g.i.p. con richiesta di archiviazione o di decreto penale di condanna ovvero emette decreto di citazione a giudizio. La questione non palesemente infondata che questo pretore ravvisa e che ritiene di sottoporre al giudizio della Corte investe la norma predetta laddove autorizza il p.m. a rinviare a giudizio l'imputato senza compiere alcuna indagine, senza prima sentire l'imputato o comunque laddove la suddetta norma viene interpretata in tal senso. 3. - Su questo punto e' opportuno richiamare l'attenzione della Corte perche' il fenomeno sta assumendo proporzioni inusitate, prassi costante. La giustificazione che si da' normalmente e' l'eccessivo carico di lavoro del pubblico ministero pretorile il quale, non avendo tempo per fare le indagini, ricorrerebbe al sistema dell'immediato rinvio a giudizio. Si tratta ovviamente di una giustificazione che tale non e' in quanto costituisce soltanto un circolo vizioso. Comunque e' una prassi che viola la legge ordinaria ed anche quella costituzionale. 4. - Da tale modo di fare derivano conseguenze gravi e negative quali: a) l'inusitato aumento dei processi come conseguenza del fatto che viene a mancare qualsiasi riscontro sulla fondatezza delle accuse; b) allungamento del tempo occorrente per celebrarli perche' quanto piu' le accuse sono infondate e basate su sospetti tanto piu' l'imputato e' portato a difendersi con una valanga di prove che essendo richieste per la prima volta in udienza spesso presentano difficolta' di assunzione; c) possibilita' che l'inizio dell'azione sia basata sull'arbitrio e persegua scopi anomali. Di fatto le funzioni del p.m. vengono delegate al privato; d) il proliferare dei processi allontana sempre di piu' il tempo della loro celebrazione favorendo la prescrizione dei reati; e) di fatto il pretore non e' chiamato a celebrare processi ma a svolgere indagini preliminari di competenza degli organi di polizia giudiziaria e del pubblico ministero. Per le conseguenze cui puo' dare luogo la norma in questione costituisce una grave smagliatura nel sistema processuale penale vigente. Puo' essere considerata una specie di buco nero ove puo' passare di tutto: dall'accusa piu' infondata e pretestuosa, al tentativo di ricatto, alla strumentalizzazione della giustizia penale. 5. - Che la norma in questione per il suo contenuto e comunque per il modo in cui viene interpretata sia in contrasto con la legge ordinaria e con quella costituzionale sembra evidente. Il principio di consentire ad una persona indagata di difendersi entro un lasso di tempo ragionevole e' uno dei cardini del nostro ordinamento penale. E' recepito addirittura per le violazioni amministrative che se non contestate entro cinque mesi dal fatto non sono piu' punibili. Lo scopo e' evidentemente quello di consentire una difesa efficace che rischia di essere vanificata col passare del tempo. E' evidente che tale esigenza debba valere anche per le norme penali le cui conseguenze sono ben piu' gravi. Infatti questo e' certamente uno degli scopi se non quello fondamentale della norma che limita a sei mesi i poteri di indagine del p.m. art. 406 del c.p.p. Il contenuto dell'art. 554 del c.p.p. o comunque la interpretazione che gli viene data vanifica completamente le garanzie contenute nell'art. 406 del c.p.p. per quanto riguarda la possibilita' di una difesa in tempi ragionevoli. L'art. 406 nel fissare il limite di sei mesi alle indagini non garantisce sui tempi in cui l'imputato puo' difendersi perche' la richiesta di rinvio a giudizio non e' diretta a lui ed il decreto di citazione puo' essere notificato a distanza di anni essendo solo stabilito che la notifica intervenga almeno quarantacinque giorni prima dell'udienza. Quindi con tale prassi l'imputato puo' essere messo a conoscenza della imputazione a distanza di anni dal fatto e fuori di tutti i termini che il codice prevede per l'espletamento delle indagini. 6. - Per quanto riguarda le norme costituzionali che si possono ritenere violate questo pretore si limita a richiamare l'art. 3 e l'art. 112. Il principio di eguaglianza e' violato sotto un duplice aspetto: a) in quanto l'attribuzione della qualifica di imputato, che e' certamente una posizione scomoda e di inferiorita' rispetto a quella di parte lesa, viene attribuita dando credito ad una sola delle parti che hanno interesse alla vicenda. Questo e' certamente grave per quelle situazioni di reciprocita' che molto di frequente sono alla base delle situazioni dalle quali scaturiscono le querele o le denuncie specie quando provengono non da organi dello Stato preposti all'accertamento dei reati ma da privati; b) il principio e' anche violato con riferimento alla posizione di chi viene rinviato a giudizio di fronte al tribunale che gode di garanzie molto maggiori. Ne' la giustificazione puo' essere individuata nella minore gravita' dei reati di competenza del pretore situazione che non sempre si verifica. Basti pensare ai maltrattamenti in famiglia, alla ricettazione, al furto pluriaggravato. L'art. 112 e' violato perche' di fatto l'esercizio dell'azione penale viene delegata al privato e perche' possono essere portati in dibattimento e di fatto vengono portati processi sforniti di prove. Dire che in realta' tutte le garanzie dell'imputato vengono assicurate nel dibattimento non convince sia per la diversita' di posizione in cui viene a trovarsi la persona imputata sia perche' intervenendo il dibattimento e la conoscenza dell'accusa a distanza di anni le possibilita' di difesa vengono o possono essere verificate dal decorso del tempo. Basti pensare al fatto che l'imputato potrebbe non piu' ricordare o che testimoni importanti potrebbero essere scomparsi o che riscontri possibili a breve distanza dal fatto non sarebbero piu' tali. In proposito lo scrivente non puo' non richiamare la sentenza n. 445 del 26 settembre-12 ottobre 1990 dove questa problematica viene lucidamente affrontata con riferimento alla ritenuta incostituzionalita' dell'art. 554, secondo comma, del c.p.p. che pur aveva un ambito molto piu' modesto con conseguenze meno gravi.