IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
 proposto  dall'Istituto nazionale della previdenza sociale in persona
 del suo presidente pro-tempore, rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
 Valerio  Mercanti,  Vito  Licosi  ed Antonio Salafia ed elettivamente
 domiciliato  presso  gli  stessi  in  Roma,  via  della   Frezza   17
 (avvocatura   centrale   I.N.P.S.)   contro   Speca   dott.  Rolando,
 elettivamente domiciliato presso lo studio  del  difensore  di  primo
 grado  avv.    Cesidio  Gualtieri in L'Aquila, via Paganica n. 66 per
 l'annullamento della sentenza n. 286  del  5/6-22  luglio  1991  resa
 inter   partes  dal  T.A.R.  dell'Abruzzo,  con  la  quale  e'  stato
 dichiarato il diritto  del  dott.  Rolando  Speca  al  computo  della
 indennita'   integrativa   speciale   ai   fini   della  liquidazione
 dell'indennita' una tantum di fine rapporto, oltre agli  interessi  e
 rivalutazione monetaria;
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'appellato;
    Viste  le  memorie  prodotte dalle parti a sostegno delle relative
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Data per  letta  alla  pubblica  udienza  dell'8  aprile  1994  la
 relazione  del  presidente Paolo Salvatore ed udito, altresi', l'avv.
 Mercanti per l'I.N.P.S. e l'avv. Gualtieri per l'appellato;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con ricorso al T.A.R. dell'Abruzzo notificato il 24 ottobre  1986,
 il dott. Rolando Speca, gia' dipendente dell'Istituto nazionale della
 previdenza   sociale,  impugnava  il  provvedimento  di  liquidazione
 dell'indennita' una tantum  ex  art.  35  lett.  a)  del  regolamento
 dell'ente,   chiedendo  che  ai  fini  di  detta  indennita'  venisse
 computata anche l'indennita' integrativa speciale.
   Il T.A.R. dell'Abruzzo, con sentenza  n.  286/1991,  accoglieva  il
 ricorso  e,  per  l'effetto,  dichiarava  l'obbligo  dell'Istituto di
 liquidare in favore del ricorrente l'indennita' una tantum  anche  in
 base  all'indennita' integrativa speciale in godimento all'atto della
 cessazione dal servizio,  corrispondendogli  le  differenze  relative
 oltre interessi e rivalutazione monetaria. Spese di lite a carico del
 soccombente.
    Avverso  tale sentenza, non notificata, l'Istituto nazionale della
 previdenza sociale ha proposto appello deducendo:
    Violazione  e falsa applicazione degli artt. 1, terzo comma, lett.
 d), e 16, primo comma, della legge 27  maggio  1959,  n.  324;  degli
 artt.  26,  terzo comma e 13, primo comma, della legge 20 marzo 1975,
 n. 70, e dell'art. 25 del d.P.R. n. 411/1976.
    La  difesa  dell'Istituto  ricorda  che  l'indennita'  integrativa
 speciale,  istituita  per  il  personale  statale  con  la  legge  n.
 324/1959, venne  estesa  al  personale  dell'I.N.P.S.  a  seguito  di
 deliberazione  consiliare  n.  31/1966  in  applicazione dell'art. 16
 della citata legge e successivamente attribuita a tutti i  dipendenti
 degli  enti  pubblici  parastatali  dall'art.  26, terzo comma, della
 legge n. 70/1975, "nella  misura  e  con  le  forme  vigenti  per  il
 personale  civile  dello  Stato".  Sostiene,  quindi, trattarsi di un
 rinvio formale ed integrale alla disciplina dettata per i  dipendenti
 dello  Stato,  secondo  la quale (art. 1, terzo comma, lett. d) della
 legge  n.  324/1959)  5l'indennita'  integrativa  speciale  "non   e'
 computabile agli effetti del trattamento di quiescenza, di previdenza
 e    dell'indennita'    di    licenziamento".    Conclude   chiedendo
 l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenza di legge
 anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
    Nel   giudizio   si   e'   costituito    l'appellato    resistendo
 all'impugnazione della quale ha sostenuto l'infondatezza sulla scorta
 del  rilievo che il regolamento dell'Istituto a'ncora l'indennita' di
 buonuscita alla retribuzione e, quindi,  a  tutti  quegli  emolumenti
 che,  per  la loro continuita' e fissita', concorrono a costituire il
 trattamento economico.
    La causa e' stata chiamata alla pubblica udienza del 9 aprile 1994
 e trattenuta in decisione.
                             D I R I T T O
    1. - Nel corso del presente giudizio e' entrata in vigore (in data
 6 febbraio 1994) la legge 29 gennaio  1994,  n.  87,  recante  "Norme
 relative  al  computo  della  indennita'  integrativa  speciale nella
 determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti"  (pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  29 del 5 febbraio 1994), la quale, in
 attesa  della  omogeneizzazione   dei   trattamenti   retributivi   e
 pensionistici  per  i  lavoratori  dei  vari  comparti della pubblica
 amministrazione   e   per   i    lavoratori    privati    conseguente
 all'applicazione  del  decreto  legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e
 successive modificazioni e ferma la  disciplina  del  trattamento  di
 fine  servizio in essere per i dipendenti degli enti locali (art. 1),
 dispone  che,  a  decorrere  dal  1   dicembre   1994,   l'indennita'
 integrativa  speciale,  di  cui  alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e
 successive modificazioni,  viene  computata  nella  base  di  calcolo
 dell'indennita'  di  buonuscita  e  di  analoghi  trattamenti di fine
 servizio determinati in applicazione delle  norme  gia'  vigenti  con
 riferimento   allo  stipendio  ed  agli  altri  elementi  retributivi
 considerati utili " a) per i dipendenti degli enti di cui alla  legge
 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, nella misura di una
 quota pari al 30 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua
 in  godimento alla data della cessazione del servizio con riferimento
 agli anni utili ai fini del calcolo dell'indennita' di anzianita'".
    La stessa legge dispone all'art. 4 che "i  giudizi  pendenti  alla
 data  di  entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la
 riliquidazione del trattamento di fine servizio  comunque  denominato
 con l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale sono dichiarati
 estinti  d'ufficio  con compensazione delle spese fra le parti" e che
 "i  provvedimenti  giudiziali non ancora passati in giudicato restano
 privi di effetto".
    Entrambe le disposizioni assumono evidenza nel presente giudizio e
 pongono dubbi di loro incostituzionalita'.
    2.1. - L'art. 4 della legge considerata determina la dichiarazione
 di estinzione d'ufficio del giudizio, con compensazione fra le  parti
 delle spese relative.
    In tale suo disposto esso sembra porsi in contrasto, con gli artt.
 3,  24,  primo  e  secondo  comma,  25,  primo comma, 103 e 113 della
 Costituzione  e  la  questione  relativa  non  appare  manifestamente
 infondata.
    2.2.  -  La legge in esame, nel prescrivere che il trattamento con
 essa previsto si applica anche ai  dipendenti  cessati  dal  servizio
 dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti nonche' a quelli per i
 quali  non  siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti
 alla liquidazione dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento
 (art. 3, primo comma), dispone poi che l'applicazione del trattamento
 ai dipendenti gia' cessati dal servizio avviene a domanda,  che  deve
 essere  presentata all'ente erogatore su apposito modello nel termine
 perentorio del 30 settembre 1994 (art. 3, secondo comma).
    In tale contesto normativo, la disposizione contenuta nell'art.  4
 successivo  incide direttamente sul diritto di difesa quale garantito
 dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Se  e'  vero
 infatti  che  i precetti quivi sanciti non vietano che il legislatore
 ordinario possa variamente disciplinare il diritto di  difesa,  quale
 espressione  della  tutela  giurisdizionale, in funzione di superiori
 interessi di  giustizia,  eventualmente  condizionandone  l'esercizio
 all'esperimento  di  una  procedura  amministrativa,  cio' non toglie
 tuttavia che sussistono limiti ad una siffatta discrezionalita',  fra
 cui  il  principale e' rappresentato dalla condizione che l'esercizio
 del diritto di difesa sia garantito in  modo  effettivo  ed  adeguato
 alle circostanze. In relazione a tale principio, piu' volte affermato
 dalla  Corte  costituzionale,  il limite anzidetto risulta ampiamente
 superato allorche', come  nella  specie,  il  legislatore  intervenga
 successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni preclusive
 intese a vanificare la tutela giurisdizionale.
    E'   appena  il  caso  infatti  di  ricordare  che  la  disciplina
 legislativa sopravvenuta, che consente sia pure entro  certi  limiti,
 il  computo  dell'indennita'  integrativa speciale nel trattamento di
 fine rapporto, fra l'altro, dei dipendenti degli enti pubblici di cui
 alla  legge  n.  70/1975,  e'  solo  in  parte  frutto  della  scelta
 discrezionale  del  legislatore  ordinario,  dal momento che consegue
 alla  pronuncia  di   illegittimita'   costituzionale   delle   norme
 previgenti  e  nasce dalla esigenza, sottolineata dalla stessa Corte,
 di provvedere con  adeguata  tempestivita'  a  "reintegrare  l'ordine
 costituzionale violato" (cfr. sentenza 19 maggio 1993, n. 243).
    E'  dunque chiaro che, quanto meno sul piano della sussistenza del
 diritto, non puo' riconoscersi alla legge in  esame  alcun  carattere
 innovativo e che, con riguardo alla posizione sostanziale dedotta nei
 giudizi,  soltanto  la  determinazione  della  misura, dei modi e dei
 tempi di computo dell'indennita' di anzianita' trova  risposta  nella
 nuova   legge,   rinvenendosi  nella  previgente  normativa,  siccome
 emendata dalla  pronuncia  costituzionale,  il  riconoscimento  della
 titolarita'  del  diritto  ad  un  adeguato  computo  dell'indennita'
 medesima.
    Sul  piano  della  razionalita',  non  si  sottrae  al sospetto di
 violazione dall'art. 3 della Costituzione la disposizione  normativa,
 che  imponendo  la  dichiarazione  di  estinzione, si risolve appunto
 nella vanificazione  dei  giudizi  eventualmente  definiti  in  primo
 grado, come e' nella specie, favorevolmente agli interessati.
    Ne'  puo'  essere  sottratto al sospetto di incostituzionalita' la
 stessa norma sotto il profilo della  compromissione  del  diritto  di
 difesa  derivante dalla estinzione dei giudizi pendenti, in relazione
 ai tempi lunghi previsti per la realizzazione  della  pretesa  e,  in
 definitiva,  per  il riconoscimento del diritto, dal momento che tale
 estinzione potrebbe consentire all'amministrazione  di  rimettere  in
 discussione,  caso per caso, l'esistenza stessa del diritto, anche in
 relazione a quelle ipotesi  che  per  tale  aspetto  potrebbero  gia'
 pervenire a pronta soluzione.
    2.3.  - L'illegittimita' della norma e' ancor piu' aggravata dalla
 previsione di una domanda da proporsi entro un determinato termine di
 decadenza da parte di quei soggetti che avevano gia' proposto la loro
 pretesa in sede giurisdizionale, si' da attrarre nello stesso profilo
 di illegittimita'  costituzionale  anche  la  disposizione  contenuta
 nell'art.  3,  secondo  comma, della stessa legge, nella parte in cui
 non esonera dalla proposizione della domanda in  sede  amministrativa
 tali  soggetti,  abbiano  o  meno  essi  gia'  ottenuto  una sentenza
 favorevole.
    2.4. - La violazione delle  garanzie  costituzionali  poste  dagli
 artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, della Costituzione,
 investe l'art. 4 della legge n. 87/1994, non solo per la parte in cui
 dispone  l'estinzione  dei  giudizi  pendenti  e  priva  di effetto i
 provvedimenti giudiziali non ancora passati in  giudicato,  ma  anche
 la'   dove   dispone  la  compensazione  delle  spese  del  giudizio,
 sottraendo al giudice naturale della pretesa sostanziale  dedotta  in
 giudizio  tale parte accessoria della controversia, che per principio
 costituzionale non puo' esserne distolta.
    2.5. - Il sospetto di illegittimita' dell'art. 4  della  legge  n.
 87/1994   si   estende   poi  alla  violazione  dell'art.  113  della
 Costituzione, in un ambito  che  vede  come  giudice  naturale  delle
 relative controversie il giudice amministrativo.
    2.6.  -  Vi e' da rilevare altresi' che la lesione delle posizioni
 soggettive costituzionalmente garantite si  accompagna  nella  specie
 all'illegittima  interferenza  dell'esercizio  del potere legislativo
 nella sfera di attribuzioni del potere  giurisdizionale,  per  quanto
 spettante  al  giudice  amministrativo  a  norma  dell'art. 103 della
 Costituzione, ampliando il sospetto di illegittimita'  costituzionale
 della norma anche per tale profilo.
    3.  - L'incostituzionalita' dell'art. 4, se dichiarata dalla Corte
 costituzionale,   pone   in   evidenza,   poi,   il    sospetto    di
 incostituzionalita'  dell'art. 1, primo comma, lett. b), della stessa
 legge nella parte in cui stabilisce che per i dipendenti  degli  enti
 di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni il
 computo  dell'indennita'  integrativa  speciale nella base di calcolo
 dell'indennita' di anzianita' sia effettuato  "nella  misura  di  una
 quota pari al 30 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua
 in godimento alla data della cessazione dal servizio, con riferimento
 agli  anni  utili ai fini del calcolo dell'indennita' di anzianita'".
 La questione relativa e' anch'essa non manifestamente infondata.
    Pur  tenendo presente l'indicazione della Corte costituzionale, la
 quale  non  ha   escluso   la   possibilita'   che   la   complessiva
 omogeneizzazione  delle  prestazioni  di  fine  rapporto possa essere
 realizzata secondo moduli improntati  al  principio  di  gradualita',
 appare  irrazionale  il  criterio  che  ha  indotto  il legislatore a
 contenere nella misura  del  30  per  cento  anzidetto  la  quota  di
 computabilita'  dell'indennita'  integrativa  speciale  nella base di
 calcolo dell'indennita' di anzianita' di analoghi trattamenti di fine
 servizio spettanti ai dipendenti degli enti pubblici  non  economici,
 in   rapporto  al  trattamento  riservato  dalla  stessa  legge  alla
 generalita' dei dipendenti delle altre pubbliche  amministrazioni  ed
 agli  stessi  iscritti  all'Opera  di  previdenza ed assistenza per i
 ferrovieri dello Stato (O.P.A.F.S.), non solo, ma anche  in  rapporto
 alla  misura  di  ogni  altro  elemento  retributivo computabile, che
 l'art.  13  della  legge  n.  70  del  1975  considera   per   intero
 relativamente proprio ai dipendenti di tali enti.
    La discrezionalita' del legislatore ordinario nella determinazione
 della base di calcolo ai fini del trattamento di fine rapporto non si
 puo' ritenere estesa alla previsione di ingiustificate commisurazioni
 sperequative  e  inidonee  a  soddisfare l'esigenza di omogeneita' ed
 adeguatezza cui  la  riforma  avrebbe  dovuto  ispirarsi  secondo  le
 indicazioni   contenute   nella  sentenza  n.  243/1993  della  Corte
 costituzionale, con la conseguenza che l'art. 1, primo  comma,  lett.
 b),  della  legge  n. 87/1994 appare in violazione dei principi posti
 dagli artt. 3 e 36 della Costituzione.
    4. - La pretesa dedotta nel presente giudizio e' stata posta anche
 con riguardo alla rivalutazione monetaria  delle  somme  riconosciute
 dovute  in  integrazione  dell'indennita' de qua agli interessi su di
 essi. Tale parte della pretesa  diviene  preclusa  dal  quarto  comma
 dell'art.  1  della legge fin qui esaminata, in quanto dispone che le
 somme dovute in conseguenza del  computo  nella  indennita'  di  fine
 servizio  della  indennita'  integrativa  speciale "non danno luogo a
 corresponsione di interessi ne' a rivalutazione monetaria".
    Sembra evidente la violazione, per effetto di una norma  siffatta,
 sia  dell'art.  3 che dell'art. 36 della Costituzione, in quanto essa
 espone:  da  un  lato  i  crediti  considerati,  per  le  conseguenze
 dell'inadempimento   ai   debiti   correlativi,   ad  un  trattamento
 risarcitorio deteriore rispetto a  quello  previsto  per  ogni  altro
 credito  di qualsiasi genere ed anche da lavoro dipendente, senza che
 sussistano  peculiarita'  differenziatrici;  dall'altro  lato,   tale
 specifico  credito, nel suo carattere di retribuzione differita ormai
 legislativamente stabilita, alla sminuizione conseguente  al  decorso
 del  tempo,  che  ne  svilisca  la  proporzionalita'  alla qualita' e
 quantita' del lavoro prestato e la sufficienza alla esistenza  libera
 e dignitosa del lavoratore.
    Ne risulta la non manifesta infondatezza anche di tale questione.
    5.  -  Tutte  le  questioni di illegittimita' costituzionale cosi'
 delineate riguardo alla legge n. 87/1994 sono rilevanti a fini  della
 definizione  del giudizio. Quella concernente l'art. 4, perche' dalla
 sua risoluzione in un senso  e  nell'altro  dipende  se  il  giudizio
 stesso  possa  pervenire a conclusioni di merito od essere dichiarato
 estinto. Tutte le altre, perche',  nel  caso  di  incostituzionalita'
 dichiarata   dell'art.  4,  sulla  risoluzione  delle  stesse  dovra'
 conformarsi  in  un  senso  o nell'altro il giudizio nel merito delle
 pretese dedotte.