IL PRETORE Letti gli atti del procedimento penale nei confronti di Bressan Pietro e Cappellari Teresa Maria, imputati del reato di cui agli artt. 1 e 1-sexies legge n. 431/1985, 20 legge n. 47/1985. O S S E R V A Gli imputati Bressan Pietro e Cappellari Teresa Maria venivano tratti a giudizio per rispondere dell'epigrafato reato, per aver eseguito le opere dettagliatamente individuate nel capo di imputazione, senza essere in possesso della autorizzazione ambientale di cui agli artt. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 ed 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, in zona coperta da bosco ceduo ed alto fusto di castagno, e quindi sottoposta a vincolo paesaggistico. Nel corso del dibattimento la difesa degli imputati dimetteva, tra l'altro, copia di autorizzazione e di concessione edilizia in sanatoria ottenute dagli imputati per le opere in oggetto, nonche' copia del provvedimento n. 749/1993 prot. emesso in data 15 novembre 1993, dal presidente della provincia di Vicenza. Venivano altresi' prodotte le copie dei provvedimenti di nulla- osta forestale a sanatoria, ottenuti dagli imputati, presso i competenti organi regionali, in ordine al pur sussistente vincolo idrogeologico. In particolare, con il proprio provvedimento, l'amministrazione provinciale di Vicenza - competente (per "delega" regionale) agli effetti dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 431/1985 - si determinava di irrogare agli odierni imputati mera indennita' pecuniaria, ai sensi dell'art. 15 della legge n. 1497 del 29 giugno 1939, senza ordinare la rimessione in pristino a mezzo demolizione delle opere eseguite in carenza di previa autorizzazione (anzi evidenziando come non fosse pregiudicata la tutela del paesaggio, ed addirittura che la eseguita recinzione era indispensabile per motivi di sicurezza). All'esito della discussione, poi, le parti concludevano come da verbale. Orbene, reputa questo pretore che sussista piu' di una ragione per dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 1-sexies, secondo comma, della legge n. 431/1985, che fa obbligo al giudice, in caso di sentenza di condanna per riscontrata violazione alla cosiddetta legge Galasso, di ordinare la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato. Invero, l'automatismo normativo, articolato indubbiamente in termini di assoluta inderogabilita' dell'ordine di ripristino, esclude qualsiasi valutazione delle determinazioni che, in ordine alla medesima vicenda, hanno legittimamente adottato le autorita' amministrative territoriali - nel caso di specie, comunali, provinciali e regionali - che, a vario titolo competenti, sono anche quelle alle quali la legge commette un complesso articolato di poteri - sia di programmazione/pianificazione, sia di concreta gestione - del territorio e del contesto ambientale. Nel caso a giudizio, gli uffici regionali hanno concesso nulla- osta - sia pur in sanatoria - per gli interventi sul terreno sottoposto a vincolo idrogeologico; il comune ha rilasciato i necessari atti autorizzatori e concessori; l'amministrazione provinciale - valutato positivamente l'impatto ambientale delle opere eseguite - ha ritenuto che l'aspetto paesaggistico non fosse stato in modo sostanziale leso (che' altrimenti - partendo da una presunzione di legittimita' e ragionevolezza dell'operato amministrativo - avrebbe ben diversamente dovuto ordinare la demolizione delle opere realizzate). Anzi, l'amministrazione provinciale ha valutato l'eseguita recinzione indispensabile per motivi di sicurezza. Che non vi sia lesione sostanziale dell'ambiente, e quindi reale alterazione di zona sottoposta dalla legge a speciali vincoli e protezione, si evince chiaramente dal complesso di provvedimenti adottati dalla p.a. Laddove questo giudice, peraltro, pronunziasse sentenza di condanna ai sensi dell'art. 1-sexies della legge n. 431/1985, come detto, sarebbe tenuto inderogabilmente ad ordinare ai contravventori la rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Ma cio' farebbe non a seguito di un ponderato esercizio di quella (limitata) discrezionalita' normalmente sottesa all'esercizio della giurisdizione penale, ma solo per ossequio ad un automatismo di legge che, cosi' come congegnato, si sospetta sia contrario ai principi costituzionali. Invero, rimettere al giudice l'obbligo della pronuncia del ripristino - indipendentemente da qualsiasi possibilita' di vagliare l'assetto conferito, ai pubblici interessi coinvolti, dalle pubbliche amministrazioni detentrici di potesta' di cura e tutela degli interessi all'ambiente ed all'ordinato sviluppo urbanistico - significa, ad avviso di chi scrive, introdurre nel concreto esercizio della giurisdizione penale elementi che sviliscono e mortificano una ragionata ed equa possibilita' di esercitare la stessa, nonche' sottoporre ad un ingiustificato regime punitivo l'imputato che, prima assoggettato (ovviamente per colpa propria) a contributi e sanzioni pecuniarie nella prospettiva della sanatoria, vede poi tutto frustrato a seguito dell'intervento ordinatorio del giudice penale. Pertanto, si reputa necessario sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1-sexies, secondo comma, della legge n. 431/1985, nella parte in cui prevede l'obbligo, anziche' la facolta', di ordinare il ripristino dello stato originario dei luoghi. A sostegno del proprio dubbio di incostituzionalita' della norma questo giudice invoca, come referente costituzionale, il generale principio di necessaria ragionevolezza delle norme ed il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), sotto il profilo del divieto di assegnare medesimo trattamento (nella specie, demolizione delle opere) a situazione disomogenee e tra loro profondamente differenti. Principi che attengono a "provvedimenti da adottarsi dal giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale" (Corte costituzionale, sentenza n. 376 del 6-14 ottobre 1993) e che appaiono lesi, laddove si ponga mente al fatto che la condanna accessoria e necessaria di rimessione in pristino dello stato dei luoghi dovrebbe, a mente del rigido dettato legislativo, intervenire anche laddove nessuna lesione sostanziale degli interessi ambientali e' dato in concreto individuare, ed anzi le pubbliche autorita' amministrative- rappresentative ed esponenziali degli interessi pubblici, collettivi e diffusi - hanno espresso un giudizio (nella loro veste di enti di pianificazione, vigilanza e concreta gestione del tessuto urbanistico ed ambientale) di sostanziale positivita' delle opere e di inidoneita' delle stesse a ledere esigenze di carattere primario, come la cura ed il mantenimento dell'equilibrio ambientale. Inoltre, non pare a questo pretore che a sottrarre la norma denunziata al sospetto di incostituzionalita' sia sufficiente un riferimento alla congruita' e ragionevolezza della disciplina complessiva della cosiddetta legge Galasso (in relazione alla norma sanzionatoria di cui all'art. 1-sexies) per il suo palese carattere interinale - come dalla Corte costituzionale sottolineato in precedenti pronunzie -, atteso che invece la stessa normativa, sia pur introdotta nel sistema con decretazione d'urgenza, e' ormai consolidata, nella originaria e immodificata formulazione sanzionatoria, nel sistema normativo e, comunque, nel caso di specie, l'ordine demolitorio verrebbe subito a colpire gli odierni imputati, che nessun giovamento potrebbero trarre da un tardivo intervento del legislatore, teso ad armonizzare la normativa, ed in particolare i suoi aspetti - principali e derivati - punitivi, con il complessivo sistema normativo e le differenziate possibilita' provvedimentali rimesse invece alla pubblica amministrazione.