IL PRETORE Alla pubblica udienza del 28 gennaio 1994 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza nei confronti di Antonazzo Maurizio, nato in Tricase (Lecce) il 21 agosto 1969 e residente a Tiggiano (Lecce), via Solferino, 13 imputato del reato di cui all'art. 590 del c.p. per aver cagionato a Tagliaferro Sonia lesioni gravi consistite nella rottura del femore destro, in un trauma cranico e in un trauma mascellare, con la propria condotta negligente consistita nel condurre la propria autovettura, a velocita' elevata, pur essendo nel centro abitato, non accorgendosi della presenza della Tagliaferro sulla sede stradale, intenta ad attraversare la strada, investendola e cagionando le lesioni di cui al referto. In Corsano il 26 giugno 1992. Con decreto in data 6 settembre 1993, il sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce disponeva la citazione a giudizio, davanti a questa sezione distaccata di pretura, di Antonazzo Maurizio da Tricase per rispondere del reato di cui in epigrafe. All'odierno dibattimento, le parti lese Tagliaferro Luigi e Maria Colaci, entrambi da Corsano, rimettevano la querela nei confronti dell'Antonazzo, il quale accettava la remissione, e le parti stabilivano che le spese processuali fossero ripartite come per legge; e, quindi, tutte a carico del remittente, non risultando convenuto, nell'atto di remissione, che dette spese siano in tutto o in parte a carico del querelato, cosi' come espressamente previsto dall'ultimo comma dell'art. 340 del c.p.p. Quindi, questo pretore, con ordinanza il cui dispositivo veniva letto in udienza, sollevava di ufficio questione di costituzionalita' degli artt. 340, quarto comma, del c.p.p. correlato agli artt. 427, ultimo comma, e 542, secondo comma, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, per i seguenti motivi: Osserva, anzitutto, il giudicante che la verifica di conformita' ai principi costituzionali della disciplina riguardante la condanna del querelante al pagamento delle spese del processo penale ebbe inizio da questa on. Corte durante la vigenza del c.p.p. abrogato. Invero, ai sensi dell'art. 382 primo comma c.p.p. del 1930 (previsto per il proscioglimento adottato al termine della fase istruttoria) e del collegato art. 482 primo comma s.c. (previsto, invece, per la fase dibattimentale) il querelante doveva essere condannato alla rifusione verso lo Stato delle spese processuali laddove l'imputato fosse prosciolto e purche' la stessa pronuncia non fosse dovuta ad insufficienza di prove, a concessione del perdono giudiziale ovvero ad una causa estintiva del reato sopravvenuta dopo la presentazione della querela. Tali presupposti erano egualmente richiesti per la condanna del querelante alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato o dal responsabile civile, a condizione che vi fosse la richiesta dell'interessato. L'ambito di possibilita' di una condanna del querelante fu, poi, notevolmente limitato da due sentenze di codesta Corte. Con quella n. 165 del 19 giugno 1974, il giudice delle leggi escluse che potesse esser adottata una siffatta pronunzia di condanna se la querela fosse stata presentata contro ignoti per un fatto realmente verificatosi; con quella n. 52 del 6 marzo 1975 fu, poi, stabilito che il querelante non potesse esser condannato nel caso di imputato prosciolto perche' ritenuto non imputabile in quanto incapace di intendere e di volere. In entrambe le sentenze, comunque, la stessa Corte formulo' un principio generale di esclusione di responsabilita' del querelante per tutte le ipotesi nelle quali nessuna colpa fosse addebitabile allo stesso. Va, poi, rilevato che nella stessa relazione ministeriale al nuovo codice di procedura penale, con riferimento all'art. 542 (condanna del querelante nella fase dibattimentale; articolo che richiama il complementare art. 427 che regola la medesima ipotesi in relazione alla sentenza di non luogo a procedere emessa nell'udienza preliminare), si legge che il legislatore ha proprio tenuto conto, al fine della formulazione delle norme de quo, delle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale con le due sentenze appena considerate, eliminando la formula di proscioglimento dubitativa dal novero delle ipotesi che comportano la condanna del querelante alle spese del procedimento. Con sentenza n. 29/1992, seguendo il Suo orientamento di cui si e' gia' detto, la Corte dichiarava, poi, costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione gli art. 382 primo comma e 482 primo comma del c.p.p. del 1930, nella parte in cui prevedono la condanna del querelante alle spese del procedimento an- ticipate dallo Stato anche nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato perche' il fatto non costituisce reato. All'uopo, precisava nella motivazione che "tale formula dev'essere adottata quando, pur affermandosi l'esistenza del fatto nella sua materialita' manchi l'elemento soggettivo del dolo e della colpa ovvero quando sussista una causa di giustificazione: circostanze tutte il cui accertamento non e' riconducibile al querelante; ne' la sussistenza delle medesime cause puo' essere ritenuta sintomo di una avventatezza o temerarieta' della querela, tant'e' che detta formula, in linea generale, non e' preclusiva dell'azione civile, ben potendo il fatto lamentato non costituire illecito penale, ma, illecito civile". La stessa Corte, con sentenza n. 2 del 1993, dichiarava, poi la illegittimita' costituzionale dell'art. 427 prima comma del c.p.p. nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato, anche quando risulti che l'attribuzione del reato all'imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante. Nella stessa sentenza precisava la Corte che, con le sue precedenti pronunce in tema, "aveva chiaramente inteso escludere ogni ipotesi di responsabilita' oggettiva del querelante: di ogni responsabilita', cioe', che fosse fondata sul mero dato della causalita' (per cui le spese ricadono sulla parte che ad esse ha dato causa) anche in assenza di qualsiasi colpa, leggerezza o temerarieta' rimproverabili a colui che ha esercitato il diritto di querela. Il legislatore del nuovo codice di procedura penale ha mostrato di voler seguire le indicazioni della Corte, ma, pur circoscrivendo il regime della responsabilita' del querelante alle sole ipotesi di proscioglimento perche' il fatto non sussiste o perche' l'imputato non lo ha commesso, ha, tuttavia, mantenuto un criterio di automaticita'; evidentemente presupponendo, secondo l'id quod plerumque accidit, che, nelle ipotesi considerate, sia sempre ravvisabile, a fronte del proscioglimento dell'imputato, una temerarieta' ed un'avventatezza riconducibili al querelante stesso. In realta', esaminando la questione entro i limiti proposti dal giudice remittente, occorre osservare che anche nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato per non aver commesso il fatto puo' emergere una situazione nella quale l'infondatezza della notitia criminis nei suoi confronti derivi, come nel caso, da circostanze non addebitabile al querelante, il quale si trova, quindi, nella medesima posizione di coloro per i quali non e' prevista una responsabilita' in ordine alle spese; ma, ciononostante, subisce un trattamento ingiustamente differenziato, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Anche in tale ipotesi, pertanto, debbono trovare applicazione i principi gia' espressi da questa Corte nelle ricordate pronunce, con conseguente esclusione della condanna del querelante al pagamento delle spese processuali allorche' risulti che l'attribuzione del reato all'imputato, non sia in alcun modo ascrivibile a colpa del querelante stesso". Con successiva sentenza del 18 novembre-3 dicembre 1993, la medesima Corte dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 427 primo comma del c.p.p., nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato perche' il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto - conseguente ad una situazione di dubbio probatorio esprimibile solo nella motivazione, ma non nel dispositivo, nel rispetto dell'art. 530 secondo comma del c.p.p. - che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese antic- ipate dallo Stato, anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela. Con detta sentenza la Corte formulava un principio di carattere generale, basato sulla considerazione di un "novero pressoche' illimitato di cause, le quali siano suscettibili di dimostrare l'assenza di colpa a carico del querelante, pur in caso di pieno proscioglimento dell'imputato". Come puo' desumersi dal necessario e puntuale richiamo dei precedenti di codesta on. Corte in tema, non risulta al giudicante che la Stessa sia stata investita della questione di cui in premessa e, piu' precisamente, della disciplina delle spese del processo nell'ipotesi di remissione della querela, con eventuale accettazione dell'imputato. All'uopo e' necessario tener presente quanto disposto dall'art. 340 u.p. del nuovo c.p.p. correlato con l'art. 427 u.p. e cioe' che: "le spese del procedimento sono a carico del remittente, salvo che nell'atto di remissione sia stato convenuto che siano in tutto o in parte a carico del querelato". In sostanza, trattasi di disciplina analoga al previgente art. 14 c.p.p., anche se non si e' ritenuto necessario prevedere la solidarieta' nell'ipotesi di piu' obbligati, stante il principio generale posto dall'art. 1294 cod. civ. Occorre, a questo punto, ai fini dell'indagine sulla non manifesta infondatezza della questione cui si e' gia' fatto cenno, stabilire se la disciplina di cui all'art. 340 u.p. e 427 u.p. del c.p.p. presenti o meno analogia o differenze sostanziali con quella prevista dagli artt. 542 primo comma e 427 primo comma c.p.p. relativa all'ipotesi di assoluzione dell'imputato perche' il fatto non sussiste o perche' l'imputato non lo ha commesso, quando si tratta di reato perseguibile a querela; disciplina, quest'ultima, che la Corte ha valutato con gli effetti desumibili dalle sentenze sopra indicate. Orbene, a parere del giudicante, le peculiari caratteristiche della normativa di cui agli artt. 340 u.p. e 427 u.p. c.p.p. e cioe' la presenza di una causa di estinzione del reato, come la remissione della querela con l'accettazione del querelato (si rammenti, inserita nel libro primo titolo VI, capo primo del c.p. insieme alla "morte del reo prima della condanna", l'amnistia, l'oblazione nelle contravvenzioni), non inducono a ritenere che vi sia una sostanziale diversita', tra gli effetti di detta normativa e quelli conseguenti a quanto disposto dagli art. 427 p.p. e 542 c.p.p. per le finalita' dell'indagine che puo' chiaramente desumersi da quanto sopra evidenziato. Invero, non sembra potersi dubitare, a parere del giudicante, che l'ipotesi di sentenza di assoluzione dell'imputato perche' il fatto non sussiste o non fu da lui commesso nei reati perseguibili a querela, e' di maggiore spessore ed incidenza di quella in cui la querela non puo' svolgersi e svilupparsi per la presenza, accertata dal giudice di una causa estintiva del reato, come la remissione della querela; anche se normalmente, in tal caso, il giudice non si addentra nel merito della causa, ma valuta egualmente i fatti per l'eventuale declaratoria immediata della insussistenza del fatto, o della non commissione dello stesso da parte dell'imputato o nell'ipotesi del fatto non costituente reato ex art. 129 del c.p.p. Nonostante cio', gia' nella previgente normativa in merito, si palesava chiaramente, l'intento del legislatore di tener distinta e differenziata la causa di estinzione del reato determinata dalla remissione della querela con l'eventuale accettazione del querelato, dalle altre cause dello stesso tipo, gia' sopra richiamate. E tanto veniva evidenziato dal combinato disposto dell'art. 14 del c.p.p. (che disciplinava gli effetti della remissione della querela, ponendo le spese del procedimento a carico del remittente, salvo che non fosse convenuto, nell'atto di remissione, che gravassero in tutto o in parte a carico del querelato o dei querelati) e 382 dello stesso codice del 1930, in virtu' del quale " .. il querelante e' condannato alle spese del procedimento anticipate dallo Stato salvo che il proscioglimento sia pronunciato per insufficienza di prove, per concessione del perdono giudiziale o per un'altra causa estintiva del reato sopravvenuta dopo la presentazione della querela". Con l'entrata in vigore del nuovo codice, sotto questo aspetto, la disciplina non sembra affatto modificata sulla base degli artt. 340 u.p. (gia' richiamato), 427 u.p. e 542 del nuovo c.p.p.; mentre, come si evince dalla relazione al nuovo codice, con quest'ultima norma, "pur seguendosi la linea degli artt. 382 e 482 del c.p.p. previgente la condanna del querelante alle spese processuali ed ai danni e' stata circoscritta alle sole ipotesi di proscioglimento perche' il fatto non sussiste o perche' l'imputato non l'ha commesso, avendo la Commissione seguito talune indicazioni contenute nelle sentenze n. 165 del 1974 e 52 del 1975 della Corte costituzionale", le quali non possono non essere riportate, per i notevoli effetti dirompenti sulla disciplina de qua, pure sopra evidenziata. Orbene, c'e' da chiedersi, a questo punto, anzitutto il motivo della differente disciplina di cui innanzi nell'ambito delle cause estintive del reato ex art. 150-162 del c.p., potendosi rilavare soltanto che, mentre alcune di esse (morte del reo prima della condanna; amnistia; prescrizione del reato ed oblazione nelle contravvenzioni) non dipendono dalla determinazione del querelante, ma dal sopravvenire di eventi cui il legislatore ha attribuito, automaticamente, valenza estintiva del reato, nel caso della remissione della querela, e' piu' che palese, quale presupposto per qualsivoglia effetto, la volonta' espressa o tacita del querelante (art. 152 c.p.) con l'eventuale accettazione del querelato, tanto che, ex art. 155 c.p.: "La remissione non produce effetto, se il querelato l'ha espressamente o tacitamente ricusata". Se a cio' si aggiunge che, sia per la nuova che per la previgente disciplina, le spese del procedimento sono a carico del querelante, salvo che, come si e' gia' detto, nell'atto di remissione sia stato convenuto che siano in tutto o in parte a carico del querelato, sembrerebbe che il legislatore, (pur con il sotteso proposito di agevolare una delle piu' frequenti ed auspicabili cause di estinzione del reato con il conseguenziale salutare effetto di eliminare procedimento per reati - almeno teoricamente - di piu' lieve entita'; peraltro, nella piu' ampia ottica che puo' desumersi da alcuni istituti del nuovo codice di procedura penale: ad es. pena su richiesta delle parti ecc.), abbia devoluto alle parti stesse (querelante e querelato) una notevole autoregolamentazione con riferimento alle spese del procedimento, che, a parere del giudicante, non potrebbero essere oggetto, per la loro natura e finalita', di un "presumibile" negozio giuridico di diritto privato. Deve, poi, necessariamente, farsi cenno anche si notevoli inconvenienti teorico-pratici che si registrano costantemente nella prassi giudiziaria, in virtu' della suddetta disciplina. Invero, tenuto conto che per giurisprudenza ormai consolidata - perfettamente aderente alla lettera ed alla ratio legis - per l'efficacia giuridica della remissione della querela non e' necessaria l'accettazione, in quanto la prima parte dell'art. 155 c.p. richiede solo che da parte del querelato non vi sia un rifiuto della remissione in forma espressa o tacita, (tra le ultime: Cass. 21 luglio 1986, n. 7568), puo' accadere che a) il querelante, per qualsivoglia motivo consentitogli espressamente dal legislatore per le ragioni sopra precisate e con i presupposti di cui all'art. 152 c.p., rimetta la querela ed il querelato, o rimanga contumace o, comunque, venuto a conoscenza della remissione effettuata dal querelante si astenga dall'esprimere la sua volonta' contraria esplicitamente o tacitamente; in tale ipotesi la remissione e' efficace, ma il querelante deve pagare le spese processuali; b) il querelato compaia, accetti la remissione e, per quanto riguarda le spese processuali, inizi un "trattativa" - con i reciproci condizionamenti che ben si possono intuire - con il querelante per stabilire se dette spese debbano essere pagate o tutte dal querelante o in tutto o in parte dal querelato; peraltro in deroga al principio secondo cui la condanna alle spese processuali relative ai reati cui la condanna si riferisce, e' considerata un effetto naturale della sentenza di condanna penale ed a questa consegue di diritto (art. 535 c.p.). Cio' si e' evidenziato, non solo per compiutezza d'indagine, ma anche per significare che, comunque, la remissione, quale causa estintiva del reato - sia pure considerando le peculiari caratteristiche teste' poste in risalto, - a parere del giudicante, non puo' non comportare un'ingiustificata disparita' di trattamento, nel senso che, a differenza di tutte le altre cause di giustificazione sopra elencate (150 - 162 del c.p.) non esonera il remittente dal pagamento delle spese processuali, sempre che - cosi' come stabilito dalla Corte costituzionale per i casi sopra elencati, (compresa l'estrema ipotesi di assoluzione del querelato-imputato perche' il fatto non costituisce reato per la presenza di cause di giustificazione o perche' il fatto non sussiste o l'imputato non l'ebbe commesso: sentenze 22 gennaio-3 febbraio 1992: 2-21 aprile 1993 e 18 novembre-3 dicembre 1993), non vi sia colpa, leggerezza o temerarieta' rimproverabile a chi abbia esercitato il diritto di querela, dovendosi, invece, "escludere ogni ipotesi di responsabilita' obbiettiva del querelante, fondata sul mero dato della causalita' materiale ed essendo stata dichiarata espressamente l'illegittimita' intrinseca del criterio di automaticita'" (ivi). E' appena utile rilevare ancora, sul punto, che la disciplina prevista relativamente alle spese del procedimento penale nel caso di remissione della querela e' piu' congeniale per quanto concerne gli effetti civili, tanto che, dall'art. 427 secondo, terzo e quarto comma e' previsto che, nell'ipotesi del fatto insussistente o della non commissione del fatto, su domanda dell'avente diritto, puo' esservi condanna "alle spese sostenute dell'imputato e, se il querelante si e' costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato ed intervenuto, e, quando ricorrono gravi motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte". Conclusivamente, puo' dichiararsi d'ufficio non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 340 quarto comma, correlato con gli artt. 427 ultimo comma e 542 c.p.p., per violazione del principio di eguaglianza, come sopra precisato; ed, inoltre, per un profilo di irragionevolezza, nella parte in cui, escludendo nell'ipotesi in esame ogni valutazione del comportamento di chi ha esercitato il diritto di querela, si impone di addossare egualmente l'onere delle spese del procedimento penale tanto al querelante avventato o temerario, quanto in quello a cui nessun addebito del genere possa muovere. A cio' deve aggiungersi, ad avviso del giudicante, un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, emergente dal fatto che la persona offesa di un reato perseguibile a querela viene a trovarsi al rischio della responsabilita' patrimoniale senza colpa alcuna; il che potrebbe comportare un'indebita ed ingiustificata compressione del diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti ed anche un notevole condizionamento per l'auspicabile remissione della querela, per le ragioni sopra indicate. E' necessario far presente, infine, la rilevanza della questione per il procedimento a carico di Antonazzo Maurizio, imputato di lesioni colpose gravi in pregiudizio della minore Tagliaferro Sonia, in quanto, in caso di accoglimento della questione cosi' come sopra prospettata, egli non dovrebbe esser condannato - in mancanza di colpa, come sopra precisato - al pagamento delle spese processuali, non essendosi, peraltro, nulla convenuto in contrario nell'atto di remissione della querela.