Ricorso per la regione Toscana,  in  persona  del  presidente  pro-
 tempore  della  giunta  regionale,  autorizzato  con deliberazione n.
 9211 del 26 settembre 1994, rappresentata e difesa, come  da  mandato
 in  calce  al  presente  atto,  dagli  avvocati  Vito  Vacchi e Fabio
 Lorenzoni  ed  elettivamente  domiciliato   presso   lo   studio   di
 quest'ultimo  in  Roma,  via Alessandria n. 130, contro il Presidente
 del Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore  per  la  dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 8 del d.l. 7 settembre 1994,
 n.  528  "Disciplina  operativa concernente partecipazioni e proventi
 del Tesoro, nonche' norme sugli organismi e sulle procedure attinenti
 ai mercati, alla tesoreria e all'Eagat".
    La norma impugnata dispone che a partire dal primo mese successivo
 a quello di entrata in vigore  del  decreto  legge,  il  comitato  di
 liquidazione   Eagat   consegna   le  attivita'  esistenti,  i  libri
 contabili, gli inventari ed il rendiconto con gli allegati  analitici
 relativi  all'intera  gestione  al Ministero del tesoro - Ispettorato
 generale  per  gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti
 disciolti. Tale ispettorato, ai fini  della  migliore  valorizzazione
 del  patrimonio  dell' ex Eagat, puo' avvalersi delle disposizioni in
 materia  di  accelerazione  delle  procedure  di  dismissione   delle
 partecipazioni possedute direttamente dallo Stato, previste dal d.l.
 31  maggio  1994, n. 332, convertito con modificazioni nella legge 30
 luglio 1994, n. 474, anche con le modalita' di cui all'art.  4  della
 legge 4 dicembre 1956, n. 1404.
    Il  terzo  comma  della  norma  prevede  infine l'assegnazione del
 personale in servizio presso il comitato di  liquidazione  dell'Eagat
 all'ispettorato  generale per gli affari e la gestione del patrimonio
 enti disciolti.
    L'articolo in questione appare costituzionalmente illegittimo  per
 lesione  delle competenze regionali costituzionalmente previste dagli
 artt. 117 e 118 della Costituzione in materia di assistenza sanitaria
 e di acque minerali e termali, nonche' per violazione degli artt. 3 e
 97  della  Costituzione  sotto  il  profilo   dell'irrazionalita'   e
 dell'illogicita'  del  contenuto  e per contrasto con il principio di
 buon andamento dell'amministrazione.
    1. - Appare necessario, in  via  preliminare,  un  breve  richiamo
 delle  norme  di  disciplina  delle  partecipazioni  azionarie  delle
 aziende termali.
    Con d.P.R. 7 maggio 1958, n. 576 e' stato costituito l'Eagat (Ente
 autonomo per la gestione delle aziende termali)  con  il  compito  di
 gestire le partecipazioni statali nel settore termale; a tale ente la
 legge  21  giugno  1960,  n.  649,  ha attribuito la proprieta' delle
 partecipazioni azionarie  delle  societa'  costituite  dal  Ministero
 delle partecipazioni statali per lo sfruttamento delle acque minerali
 o termali.
    Il  d.P.R.  n.  616/1977  -  nell'attuare  il  trasferimento delle
 funzioni dallo Stato alle regioni - ha disposto la soppressione degli
 enti nazionali ed interregionali operanti in  materie  di  competenza
 regionale:  nella  tabella  B  (che  contiene  l'elenco  di tali enti
 soppressi) al n. 58, e' espressamente  indicato  l'ente  autonomo  di
 gestione per le aziende termali.
    Tale   scelta   di   soppressione  dell'Eagat  e'  da  individuare
 nell'assetto che il legislatore statale ha disposto in  relazione  al
 settore  dell'assistenza  sanitaria,  in  cui  rientrano  le funzioni
 attinenti al termalismo che e' stato  integralmente  trasferito  alle
 regioni ai sensi degli artt. 17 e 27 del citato d.P.R. n. 616/1977.
   Successivamente  il  d.l.  18  agosto 1978, n. 481, convertito con
 modificazioni  nella  legge  21  ottobre  1978,  n.   641,   all'art.
 1-quinquies  ha  riconfermato  la soppressione dell'Eagat, prevedendo
 l'assegnazione  delle  partecipazioni  azionarie  all'Efim  il  quale
 avrebbe   dovuto   inserirle  in  una  speciale  gestione,  priva  di
 personalita' giuridica, contabilmente e finanziariamente  separata  e
 provvedere, nei modi e tempi stabiliti da una apposita legge, a:
      risanare le gestioni delle societa' gia' facenti capo all'Eagat;
      inquadrare  nello  stesso  Efim  le  societa'  o stabilimenti di
 imbottigliamento di acque minerali, gia' inquadrati nell'Eagat;
      trasferire alle regioni le attivita', i patrimoni, le pertinenze
 ed il personale delle aziende termali, ivi comprese le attivita' ed i
 patrimoni alberghieri, per l'ulteriore destinazione agli enti  locali
 nei tempi e modi stabiliti dalla legge di riforma sanitaria.
    Due  mesi  dopo  la  suddetta  legge  e' stata emanata la legge di
 riforma  sanitaria  23  dicembre  1978,  n.  833,  che,  all'art.  36
 "termalismo  terapeutico"  ha  stabilito  che le aziende termali gia'
 facenti capo all'Eagat e da assegnare alle  regioni  per  l'ulteriore
 destinazione  agli  enti  locali  sono  dichiarate  presidi e servizi
 multizonali delle uu.ss.ll. nel cui territorio sono ubicate.
    La legge 17 febbraio 1993,  n.  33,  concernente  la  soppressione
 dell'Efim,  all'art.  1,  comma  3- bis, ha disposto che: "Il settore
 termale  ex  Eagat  e'  sottoposto  alle  competenze   del   Ministro
 dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sino all'entrata in
 vigore della legge di riordino del settore termale".
    Infine  il  d.l.  23  aprile 1993, n. 118, convertito in legge 22
 giugno 1993, n. 118, convertito in legge  22  giugno  1993,  n.  202,
 recante "Disposizioni urgenti per la soppressione del Ministero delle
 pp.ss. e per il riordino di IRI, ENI, ENEL, IMI, BNL, INA all'art. 5-
 ter  ha  disposto  che  "il  Ministro dell'industria, del commercio e
 dell'artigianato, entro novanta giorni dall'entrata in  vigore  della
 legge  di conversione del presente decreto predispone il programma di
 riordino del settore termale".
    2. - Dal sintetico quadro normativo  richiamato  risulta  in  modo
 inequivoco  che  in  due  leggi fondamentali e di riforma dello Stato
 (d.P.R. n. 616/1977 e legge n. 833/1978) il legislatore  ha  indicato
 compiutamente  l'assetto  delle aziende termali dell'Eagat soppresso,
 con  la  previsione  del  loro  trasferimento  alle  regioni  per  la
 successiva  destinazione  agli enti locali nei termini indicati dalla
 legge di riforma sanitaria.
    Tale trasferimento era del resto conseguente all'attribuzione alle
 regioni di potesta'  legislative  ed  amministrative  in  materia  di
 assistenza  sanitaria  e  di acque minerali e termali, trattandosi di
 beni strumentali all'esercizio delle suddette funzioni.
    Ignorando completamente tale situazione la norma impugnata dispone
 invece il passaggio delle aziende ex Eagat al  Ministero  del  tesoro
 preposto  poi  a procedere alla privatizzazione delle stesse aziende,
 secondo la normativa dettata per la dismissione delle  partecipazioni
 statali.
    Cio'  determina  una  menomazione  dell'esercizio delle competenze
 regionali, perche' si privano le regioni dei beni  che  rappresentano
 uno  strumento  per il concreto ed effettivo esercizio delle funzioni
 costituzionalmente attribuite.
    Infatti la disponibilita' dei beni costituisce "un presupposto del
 legittimo esercizio delle potesta' pubbliche"  (Corte  costituzionale
 n.  31/1959),  potesta' pubbliche che vengono vanificate e gravemente
 limitate  dalla   norma   impugnata   che   dispone   seccamente   il
 trasferimento dei beni al Ministero del tesoro per la loro successiva
 privatizzazione.
    A tale proposito deve essere rilevato che codesta ecc.ma Corte con
 sentenza  n. 211/1994 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto
 da   questa   amministrazione   avverso   le   note   del   Ministero
 dell'industria  affermando che in tali note "non e' negato il diritto
 delle regioni al successivo trasferimento in  proprio  favore  (e  la
 devoluzione   agli   enti   locali)   delle  aziende  stesse",  cosi'
 evidentemente non negando la fondatezza della  pretesa  regionale  ad
 ottenere la disponibilita' dei beni in questione al fine del compiuto
 esercizio delle competenze legislative ed amministrative regionali in
 materia di assistenza sanitaria e di acque minerali e termali.
    Per   quanto   esposto  la  norma  impugnata  e'  illegittima  per
 violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    3. - Come emerge dal quadro  normativo  sopra  esposto,  la  norma
 impugnata   non   tiene   conto  delle  scelte  gia'  effettuate  dal
 legislatore sia con le leggi piu' remote (d.P.R. n.  616/1977;  legge
 n.  833/1978;  legge  21  ottobre 1978, n. 641) sia con le leggi piu'
 recenti (leggi n. 33 e 202 del 1993) le  quali  hanno  sottoposto  il
 settore  termale  alle  competenze  del Ministero dell'industria, del
 commercio e  dell'artigianato  sino  all'emanazione  della  legge  di
 riordino del settore termale.
    Ora invece, con una norma emanata nel presupposto della necessita'
 ed  urgenza  del  tutto priva dei caratteri di riforma organica della
 materia,  il  Governo  affida  le  aziende  termali  ad  un   diverso
 Ministero,  quello  del  tesoro,  per  la loro privatizzazione, senza
 alcun  coordinamento  con  le  scelte  operate  dal  legislatore   in
 precedenti leggi organiche.
    E'  indubbio  che  la lesione della autonomia regionale deriva non
 solo dall'attribuzione in testa allo Stato di competenze ricadenti in
 materie regionali, ma anche  dalla  violazione  di  disposizioni  non
 attinenti al riparto di competenze Stato-regioni, laddove in tal modo
 si  verifichi  un  vulnus  dell'autonomia regionale: cio' soprattutto
 attraverso  il  parametro  della   ragionevolezza   (art.   3   della
 Costituzione)  e  del buon andamento (art. 97 della Costituzione), la
 cui inosservanza si traduce in una  alterazione  (quantomeno  per  le
 connesse disfunzioni) della sfera di autonomia garantita alle regioni
 (sentenze Corte costituzionale nn. 343/1991, 407/1989 e 961/1988).
    Nel   caso   in   esame  la  norma  impugnata  viola  le  suddette
 disposizioni contenute negli artt. 3 e 97 della Costituzione sotto il
 profilo della irragionevolezza, della incongruenza e della violazione
 del buon andamento dell'amministrazione, in quanto la stessa si  pone
 in contrasto con i principi fondamentali della materia sanciti in una
 legislazione  organica  pluriennale,  crea una frattura nel sistema e
 stravolge l'assetto delle competenze, con evidente menomazione  delle
 attribuzioni  regionali (sentenza Corte costituzionale n. 393/1992 e,
 in  dottrina,  Tosi  "Spunti  per  una  riflessione  sui  criteri  di
 ragionevolezza  nella  giurisprudenza  costituzionale" in Giur. Cost.
 1993 pag. 545  ss.  e  segg.;  De  Pretis  "Piani  integrati  e  buon
 andamento dell'amministrazione" in Le regioni n. 3/1993, pag. 918).
    4.  -  L'art.  8  del  d.l. in questione, nel devolvere i beni al
 Ministero del tesoro, non stabilisce alcun  criterio  cui  debba  poi
 attenersi  il Ministero stesso per procedere alla privatizzazione; si
 fa infatti rinvio alle norme recenti di cui alla  legge  n.  474/1994
 per  la  dismissione delle partecipazioni statali. Cio' significa che
 e' rimessa all'assoluta discrezionalita' del  Ministero  del  tesoro,
 attraverso  l'ispettorato  generale  per gli affari e la gestione del
 patrimonio enti disciolti, stabilire il futuro assetto privato  delle
 aziende termali.
    E'  pertanto  evidente  che le competenze regionali in materia non
 vengono salvaguardate  neppure  prevedendo  che  la  definizione  del
 futuro  assetto  societario  da  parte  del  Ministero debba comunque
 assicurare un effettivo coinvolgimento della regione  nella  gestione
 societaria, cio' tanto piu' in realta' come quella toscana, in cui il
 sistema  economico  termale  si  salda  in  un  tutt'uno  col sistema
 economico e sociale delle citta'. Qui gli  stabilimenti  termali  (si
 pensi  a  Montecatini  o  a  Chianciano)  non  costituiscono solo una
 rilevante attivita' economica, ma sono la citta'  stessa,  nel  senso
 che  e'  impossibile  scindere le attivita' termali dalle istituzioni
 sociali esistenti.
    Pertanto la vendita a privati delle partecipazioni azionarie delle
 societa'   termali,   senza   neppure   prevedere    meccanismi    di
 coinvolgimento della regione nella futura gestione societaria viene a
 costituire  un  fatto  dirompente ed insanabile nell'economia e nello
 stesso assetto  sociale  delle  citta'  interessate  e  della  stessa
 amministrazione regionale.
    Pertanto   la   norma   impugnata,   non  prevedendo  criteri  che
 indirizzino  la  privatizzazione  da  parte  del  Ministero,  si'  da
 assicurare   il   rispetto   delle   competenze   regionali,   appare
 costituzionalmente illegittima sotto due ulteriori profili:
      1)   in   primo   luogo   perche',    rimettendo    all'assoluta
 discrezionalita'  di  un  Ministro la scelta di soluzioni di gestione
 societaria che interferiscono con attribuzioni  costituzionali  delle
 regioni,  viola  il principio di legalita' dell'azione amministrativa
 sancito dall'art. 97 della Costituzione;
      2) in secondo luogo perche', non prevedendo come obbligatorio un
 coinvolgimento  delle  amministrazioni   regionali   nella   gestione
 societaria  in  un  settore  in cui queste hanno competenze, viola il
 principio costituzionale di concorrenza e di cooperazione tra Stato e
 regioni.