ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2043  e  2059
 del  codice  civile, promosso con ordinanza emessa il 27 ottobre 1993
 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Sgrilli
 Piero ed altri e Colzi  Marco  ed  altra,  iscritta  al  n.  777  del
 registro  ordinanze  1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Udito nella camera di consiglio del  25  maggio  1994  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio civile, promosso da Piero Sgrilli ed
 altri  contro  Marco  Colzi  e  la  s.p.a.  MEIE Assicuratrice per il
 risarcimento dei danni conseguenti alla morte di un proprio congiunto
 cagionata da un incidente stradale,  il  Tribunale  di  Firenze,  con
 ordinanza  del  27  ottobre  1993,  ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 2, 3 e  32  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2043  cod. civ. e, in subordine, dell'art. 2059 cod. civ.,
 "nella  parte  in  cui  non  consentono il risarcimento del danno per
 violazione del diritto alla vita".
    L'ordinanza non precisa se nella specie la morte  dell'infortunata
 e'  stata  immediata  oppure  e'  sopravvenuta  dopo  un  periodo  di
 infermita'. Ma i  referenti  di  fatto  dell'argomentazione  lasciano
 arguire che si versa nel primo caso.
    2.1.  -  Premesso che la domanda di risarcimento deve considerarsi
 proposta  alternativamente  iure  successionis  o  iure  proprio,  il
 giudice  remittente  osserva, con riguardo al primo profilo, "che non
 si tratta di accertare se in conseguenza della morte del soggetto  si
 sia determinato un vero e proprio danno biologico in senso stretto (o
 fisiologico) risarcibile, ma se dalla lesione del diritto alla salute
 tutelato  dall'art.  32  Cost. o, comunque, dalla lesione del diritto
 alla vita, nasca un conseguente diritto al risarcimento del danno  in
 capo  agli  eredi".  Invero, la costruzione teorica della lesione del
 diritto alla salute elaborata dalla  sentenza  n.  184  del  1986  di
 questa  Corte  -  secondo  cui il danno alla salute si identifica con
 l'illecito  costituito  dal  fatto  menomativo  della  salute  fisio-
 psichica  del soggetto offeso, e "in quanto tale costituisce un danno
 presunto" - deve essere estesa "alla ancor piu' pregnante ipotesi  di
 violazione del diritto alla vita", in ordine al quale "poco conta che
 la  norma  di riferimento sia l'art. 32 Cost. ovvero l'art. 2 Cost. o
 il combinato disposto di entrambe le norme".
    Cio' posto, l'ordinanza ritiene che "se la lesione della salute e'
 l'intrinseca  antigiuridicita'  obiettiva  dell'evento  dannoso,  del
 tutto  distinto  dalle  conseguenze",  la violazione del diritto alla
 vita appare "idonea a determinare effetti risarcitori in quanto tale,
 cioe' a prescindere dalle conseguenze possibili,  ma  solo  eventuali
 (non  solo  per quanto attiene al danno patrimoniale, ma altresi' per
 quanto attiene al danno morale, stante la norma di cui all'art.  2059
 cod.  civ.)".  L'argomento contrario alla trasmissibilita' agli eredi
 del diritto al risarcimento desunto dalla natura  personalissima  del
 diritto  alla vita e alla salute confonde questo diritto, sicuramente
 non patrimoniale, col diritto patrimoniale (credito) al  risarcimento
 dei danni prodotti dalla lesione del diritto.
    Il  vero  ostacolo,  conclude il giudice remittente, e' costituito
 dalla natura non patrimoniale del  danno  insito  nella  lesione  del
 diritto  alla  salute  (o alla vita) per se' considerata, mentre "non
 sfugge che una lettura  dell'art.  2043  cod.  civ.  all'interno  del
 titolo  IX  del  libro  IV  del codice civile puo' indurre a ritenere
 risarcibile il solo danno produttivo di conseguenze patrimoniali".
    Se cosi' e', l'art. 2043, in quanto non consente  il  risarcimento
 della lesione, per se' considerata, dei diritti primari alla salute e
 alla vita, non solo contrasta con gli artt. 2 e 32 Cost., ma pure con
 l'art.  3  Cost.  Invero,  dopo le sentenze nn. 356 e 485 del 1991 di
 questa Corte, la rendita corrisposta  dall'INAIL  ai  superstiti  del
 lavoratore deceduto in seguito all'infortunio include una funzione di
 ristoro  anche  del  danno  biologico,  "almeno  per quella parte che
 appare riconducibile alla mera attitudine  a  produrre  reddito".  Si
 verificherebbe percio' "una inammissibile violazione del principio di
 eguaglianza:  l'illecito  previdenziale  riceverebbe  un  trattamento
 giuridico privilegiato rispetto all'illecito civile, tutte  le  volte
 in  cui  la  conseguenza  dell'illecito  fosse  la morte del soggetto
 leso".
    2.2.  -  Qualora si ritenesse che l'art. 2043 cod. civ., in quanto
 destinato a regolare il risarcimento del danno patrimoniale, non puo'
 essere censurato perche' non prevede la risarcibilita' dei danni  non
 patrimoniali  connessi  a  violazioni  del  diritto alla salute o del
 diritto alla vita, la censura dovrebbe rivolgersi contro l'art.  2059
 cod.  civ.,  sia perche' generalmente interpretato in senso ristretto
 al solo danno morale soggettivo, sia perche' limita  il  risarcimento
 alle ipotesi di illecito penale.
    3.  -  Passando  ad  esaminare  la  domanda  di  risarcimento come
 proposta iure proprio, l'ordinanza afferma che  "non  si  vede  quale
 ostacolo  possa  porsi, almeno in astratto (cioe' in riferimento alla
 costruzione dommatica dell'istituto), a ritenere che in presenza e  a
 causa   della   morte   del   soggetto  leso  si  determini  l'evento
 (naturalistico) di una rilevante lesione dell'integrita' psico-fisica
 (con evidente accentuazione dell'aspetto psichico  della  stessa)  in
 danno  degli  stretti  congiunti",  ed esclude che "un danno siffatto
 possa in qualche modo confondersi col danno morale  subiettivo,  pena
 la  confusione  tra  nozioni  completamente  diverse,  quali il danno
 evento e il danno conseguenza".
    La configurazione del danno biologico a causa di morte come dovuto
 iure proprio e' stimata "piu' agevole e  forse  anche  piu'  corretta
 nelle  sue  conseguenze concrete", sia perche' limita il risarcimento
 agli stretti congiunti, sia perche' apre la via della prova contraria
 all'esistenza del danno, che  invece,  secondo  l'altra  costruzione,
 sarebbe  presunta. Ma anche questa configurazione urterebbe contro le
 difficolta' di  ordine  positivo  esposte  nella  prima  parte:  "gli
 stretti  congiunti,  che  a  causa  della  morte  del parente abbiano
 effettivamente subi'to una  apprezzabile  menomazione  della  propria
 integrita'   psico-somatica,   non   potrebbero  invocare  la  tutela
 dell'art.  2043  cod.  civ.,  posto  che  l'ingiustizia   del   danno
 risarcibile,   secondo   l'interpretazione   prima   delineata,   non
 prescinderebbe  dall'alterazione  in  peggio  di  pregresse  utilita'
 economiche".
    Inoltre,  ammessa  la  risarcibilita'  del danno alla salute nelle
 ipotesi in cui esso si  identifica  con  la  lesione  dell'integrita'
 fisio-psichica  dello  stesso  soggetto,  e  quindi  e' presunto, "si
 determinerebbe  una  inammissibile  disparita'  di  trattamento   (in
 peggio)  in  riferimento a tutti quei soggetti che vedessero menomata
 la  propria  integrita'  psico-fisica  a  causa  della  morte  di  un
 familiare,   piuttosto   che  a  causa  di  un  comportamento  lesivo
 direttamente e oggettivamente posto in essere nei propri  confronti".
 In  spregio all'art. 3 Cost., "riceverebbero discipline profondamente
 diverse situazioni sostanzialmente identiche,  essendo  identiche  le
 posizioni soggettive lese".
    Anche sotto il secondo profilo viene sollevata in via subordinata,
 per  le  medesime  ragioni,  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2059 cod. civ.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Firenze ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  2,  3  e  32  Cost.,  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2043 cod. civ. e, in subordine, dell'art. 2059  cod.  civ.,
 "nella  parte  in  cui  non  consentono il risarcimento del danno per
 violazione del diritto alla vita".
    La   questione   e'   proposta   sotto   entrambi   i  profili  di
 risarcibilita'  del  danno  prospettati  in  questa   ipotesi   dalla
 giurisprudenza:  ai  congiunti  della vittima una parte (minoritaria)
 dei giudici accorda, iure hereditario, un risarcimento riferito  alla
 lesione  patita  da  colui  che  in conseguenza del fatto illecito ha
 perduto la vita, mentre  la  maggioranza  non  riconosce  se  non  la
 risarcibilita'  iure  proprio  del  danno  alla  salute eventualmente
 derivato ai familiari a  causa  della  morte  dell'offeso.    Sebbene
 connesse,  la seconda essendo una qualita' della prima, vita e salute
 sono beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti, sicche'  la
 lesione dell'integrita' fisica con esito letale non puo' considerarsi
 una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la
 quale  implica  la  permanenza  in  vita  del  leso  con  menomazioni
 invalidanti.
    L'ordinanza non intende investire impropriamente il giudice  delle
 leggi  della  soluzione  del  contrasto  interpretativo insorto nella
 giurisprudenza, ma  piuttosto  promuovere,  in  relazione  all'una  e
 all'altra  delle  soluzioni ipotizzate, il riesame della questione di
 conformita' del diritto  positivo  all'imperativo  costituzionale  di
 tutela risarcitoria dei diritti fondamentali alla vita e alla salute,
 con  riguardo  a  un  caso  differente  da  quello  contemplato dalla
 sentenza di questa Corte n. 184 del 1986.
    La tutela non puo' attuarsi se non con la mediazione  del  sistema
 della    responsabilita'    civile    organizzato    dall'ordinamento
 legislativo: sistema che solo il legislatore puo' modificare. Occorre
 percio' esaminare se nell'ipotesi denominata (con  formula  equivoca)
 "danno  biologico  da morte" ricorrano, nell'uno o nell'altro dei due
 sensi sopra distinti, tutte le condizioni alle quali il  risarcimento
 e'  subordinato  dall'art.  2043 c.c. Altrimenti, la questione dovra'
 essere spostata sull'art. 2059.
    2.1. - Sotto il primo profilo la questione non e' fondata.
    Incoerentemente   con   la   distinzione,    riconosciuta    anche
 dall'ordinanza,  del  diritto  alla  vita  dal  diritto  alla salute,
 l'ipotesi di risarcibilita' iure hereditario del  danno  biologico  a
 causa  di morte e' valutata dal giudice rimettente alla stregua della
 costruzione teorica del danno alla salute  elaborata  dalla  sentenza
 citata,  peraltro  non  rettamente  compresa. La' dove qualifica come
 "presunto" tale danno, identificandolo col  fatto  (illecito)  lesivo
 della  salute, essa intende dire che la prova della lesione e', in re
 ipsa, prova dell'esistenza del danno (atteso che da una seria lesione
 dell'integrita' fisio-psichica difficilmente si puo' guarire in  modo
 perfetto),  non  gia'  che  questa  prova sia sufficiente ai fini del
 risarcimento. E' sempre necessaria la  prova  ulteriore  dell'entita'
 del  danno,  ossia  la  dimostrazione  che la lesione ha prodotto una
 perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223  cod.  civ.,
 costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non
 patrimoniale),    alla    quale    il    risarcimento   deve   essere
 (equitativamente)  commisurato.  Il  fraintendimento  ha  indotto  il
 giudice  rimettente  a ritenersi dispensato dall'esaminare - prima di
 interrogarsi sulla risarcibilita' del danno iure successionis - se un
 diritto di risarcimento sia effettivamente entrato nel patrimonio del
 defunto.
    Inoltre, il trasferimento dell'impianto teorico della sentenza  n.
 184  -  costruito sull'ipotesi di "menomazione dell'integrita' psico-
 fisica dell'offeso, che trasforma in patologia la stessa  fisiologica
 integrita'"  - alla diversa ipotesi di lesione dell'integrita' fisica
 immediatamente  letale  (senza  il  tramite di una fase intermedia di
 malattia), sul riflesso che la morte e' la massima lesione  possibile
 della salute, ha portato a una conclusione paradossale. Nella seconda
 ipotesi  l'evento  morte viene escluso dagli elementi costitutivi del
 fatto illecito e annoverato  tra  i  danni  conseguenza,  irrilevanti
 secondo la detta costruzione dogmatica: "se la lesione alla salute e'
 l'intrinseca antigiuridicita' dell'evento dannoso, del tutto distinto
 dalle  conseguenze,  appare  evidente  che l'evento morte, per quanto
 ravvicinato   sia   all'evento   lesione,   non   puo'   che    porsi
 ontologicamente,  prima  che  temporalmente,  tra  le conseguenze del
 fatto: e', cioe', una conseguenza della violazione; ma la lesione del
 bene salute, e con essa il danno evento, si e' gia'  verificata".  Ma
 con  cio'  -  una  volta  corretto  l'errore  che  rapporta  il danno
 risarcibile alla  lesione  per  se  stessa,  indipendentemente  dalle
 conseguenze  pregiudizievoli  -  si  finisce  col  dar  ragione  alla
 giurisprudenza  contraria  ad  ammettere  pretese  risarcitorie  iure
 hereditario:  giurisprudenza  fondata sull'argomento, risalente a una
 non recente sentenza delle Sezioni unite della  Corte  di  cassazione
 (n.  3475  del  1925),  secondo  cui  un diritto di risarcimento puo'
 sorgere  in  capo  alla  persona  deceduta  limitatamente  ai   danni
 verificatisi dal momento della lesione a quello della morte, e quindi
 non  sorge  in  caso  di  morte  immediata, la quale impedisce che la
 lesione si rifletta in una perdita a  carico  della  persona  offesa,
 ormai non piu' in vita.
    2.2.  -  L'ostacolo  a  riconoscere  ai  congiunti  un  diritto di
 risarcimento in qualita' di eredi non proviene dunque, come pensa  il
 giudice  a  quo,  dal carattere patrimoniale dei danni risarcibili ai
 sensi dell'art. 2043 cod. civ., bensi' da un limite strutturale della
 responsabilita'  civile:  limite  afferente   sia   all'oggetto   del
 risarcimento, che non puo' consistere se non in una perdita cagionata
 dalla  lesione  di  una  situazione  giuridica  soggettiva,  sia alla
 liquidazione del danno, che non puo' riferirsi se non  a  perdite.  A
 questo  limite soggiace anche la tutela risarcitoria del diritto alla
 salute, con  la  peculiarita'  che  essa  deve  essere  ammessa,  per
 precetto  costituzionale,  indipendentemente  dalla  dimostrazione di
 perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento essendo la diminuzione
 o la privazione di valori della persona inerenti al bene protetto.
   Pertanto, sotto il primo  profilo,  la  prospettata  illegittimita'
 costituzionale delle norme denunziate per contrarieta' agli artt. 2 e
 32  Cost.  non  sussiste.  Di  non  facile  comprensione  e'  poi  il
 confronto, instaurato ai fini dell'art. 3 Cost.,  con  la  disciplina
 delle prestazioni previdenziali per infortunio sul lavoro, modificata
 dalle  sentenze nn. 356 e 485 del 1991 di questa Corte, ulteriormente
 sviluppate dalla sent. n. 37 del 1994, in  relazione  all'ipotesi  di
 infortunio inabilitante. Da tali pronunce non si puo' argomentare che
 in  caso  di  infortunio mortale la rendita corrisposta dall'INAIL ai
 superstiti include il risarcimento del danno  biologico  derivato  al
 lavoratore  per  la  parte  "riconducibile  alla  mera  attitudine  a
 produrre reddito": questo tipo di danno non e' configurabile  proprio
 perche'  l'assicurato  e'  morto.  La  rendita spetta iure proprio ai
 superstiti indicati dall'art. 85 del d.P.R. 30 giugno 1965,  n.  1124
 (modificato  dalla  legge  10 maggio 1982, n. 251), giusta una regola
 analoga a quella dell'art. 1920, terzo  comma,  cod.  civ.  (estranea
 all'istituto   della  responsabilita'  civile),  ed  e'  destinata  a
 indennizzare forfettariamente il pregiudizio patrimoniale sofferto  a
 ragione del loro rapporto di dipendenza economica col defunto, mentre
 il  danno  biologico  ad  essi eventualmente derivato dalla morte del
 familiare e' disciplinato dal diritto comune.
    3.1. - Sotto il profilo del "danno alla salute  iure  proprio"  la
 questione  e'  infondata  in relazione all'art. 2043 cod. civ., ed e'
 infondata, nei sensi appresso precisati, anche in relazione  all'art.
 2059 cod. civ.
    Il  secondo profilo e' prospettato quasi si trattasse di un titolo
 concorrente, in  via  alternativa,  di  risarcibilita'  del  medesimo
 danno.  Tuttavia non sfugge al giudice a quo la diversita' di oggetto
 della  pretesa  risarcitoria  avanzata  iure   proprio,   in   quanto
 riferibile  non  alla  lesione  dell'integrita'  fisica  patita dalla
 vittima, ma al danno alla salute che l'evento mortale ha  causato  al
 familiare in forma di patologia fisio-psichica permanente.
    Contro   la  pretesa  di  risarcimento  l'ordinanza  ripropone  le
 medesime difficolta' esposte  nella  prima  parte,  procedenti  dalla
 limitazione  della  previsione dell'art. 2043 ai danni patrimoniali e
 dell'art. 2059 al danno morale soggettivo. Ma il conseguente sospetto
 di illegittimita' costituzionale per  contrasto  con  la  tutela  del
 diritto  alla  salute e' avanzato tralasciando l'esame della dottrina
 accolta dalla Corte di cassazione (sentenze nn. 357 e 2009 del 1993),
 che ritiene applicabile l'art. 2043 cod. civ. (e insieme l'art. 1223,
 richiamato dall'art. 2056) per analogia iuris. Dalla ratio  dell'art.
 2043,  coordinata  con  l'esigenza  di  effettivita' della tutela dei
 diritti  fondamentali,  questa  soluzione  ermeneutica  argomenta  un
 principio  di  risarcibilita'  dei  danni  piu'  generale  di  quello
 originariamente tradotto nella regola del codice civile, comprendente
 non solo i danni patrimoniali,  ma  pure  i  danni  non  patrimoniali
 causati  dalla  lesione  di  un  diritto personale costituzionalmente
 protetto, quale il diritto alla salute.
    3.2. - In realta', come si arguisce dal passaggio  successivo  con
 cui  e'  introdotta  anche  sotto  il  secondo  profilo la censura di
 violazione dell'art. 3 Cost., il Tribunale  di  Firenze  non  intende
 riaccendere  la  questione in generale - "indiscusso essendo in tutti
 gli altri casi il risarcimento generale del danno alla salute" -,  ma
 proporla ex novo in relazione al caso, non considerato dalla sentenza
 n. 184, di danno alla salute derivato dall'uccisione di una persona a
 un  suo  familiare.  In questo caso, connotato dalla disgiunzione del
 soggetto  che  pretende  il  risarcimento  dal  titolare   del   bene
 primamente  leso  dal  fatto  illecito, il danno biologico patito dal
 familiare non e' identificabile come danno evento, apparendo soltanto
 come conseguenza della lesione di un diritto altrui.
    Apprezzato in tale  prospettiva,  il  pregiudizio  del  terzo  non
 sarebbe  risarcibile,  mancando nei suoi confronti il presupposto del
 danno ingiusto. Ne' si puo' dire che dovrebbe  allora  essere  negata
 anche   la   risarcibilita'  del  danno  patrimoniale  risentito  dai
 congiunti legati alla vittima da un rapporto di dipendenza  economica
 giuridicamente tutelato. In quest'altro caso la perdita lamentata dai
 superstiti  si identifica, essendone una implicazione necessaria, con
 l'estinzione del rapporto giuridico che obbligava la persona deceduta
 a provvedere ai  loro  bisogni:  in  quanto  incide  su  un  rapporto
 obbligatorio  strettamente  personale  facente  capo  al  defunto, il
 medesimo  fatto  illecito lede in pari tempo una situazione giuridica
 vantaggiosa per i congiunti, qualificandosi anche nei loro  confronti
 come cagione di danno ingiusto imputabile all'autore.
    All'estinzione  dei  rapporti  di  coniugio  o  di parentela della
 persona deceduta, invece, non inerisce  necessariamente  una  lesione
 della  salute  del  coniuge o dei parenti superstiti. Percio', ove si
 dimostri che l'infortunio mortale  ha  causato  a  un  familiare  una
 lesione  fisio-psichica (infarto da shock o uno stato di prostrazione
 tale da spegnere il gusto di vivere), l'ipotesi di risarcibilita' del
 danno  nei  termini  dell'art.  2043  deve  essere  valutata  in  una
 prospettiva  diversa,  la  quale  assuma  la  lesione del terzo quale
 evento dannoso integrante una autonoma fattispecie di danno ingiusto,
 cosi' trasferendo il problema dal  presupposto  dell'ingiustizia  del
 danno a quello della colpa. Questa diversa impostazione mette in luce
 il vero ostacolo al risarimento secondo il modello dell'art. 2043: il
 criterio   soggettivo  di  imputazione  del  danno  ivi  indicato  si
 ridurrebbe a mera finzione, non essendo  possibile,  per  difetto  di
 concreta  prevedibilita'  dell'evento, una valutazione autonoma della
 colpa.  L'evento  di  danno  ai  familiari  sarebbe  messo  in  conto
 all'autore in base a una valutazione "allargata" della colpa commessa
 nei confronti di un altro soggetto, titolare del bene (vita) protetto
 dalla regola di condotta violata (nella specie, una regola del codice
 della  strada):  valutazione compiuta ex post dal giudice assumendo a
 referente l'elemento soggettivo di un'altra fattispecie e  con  ampio
 margine   di   arbitrio,   come  dimostra,  a  modo  di  esempio,  la
 distinzione,  praticata  dalle  corti  inglesi  (col  solo  argomento
 economico  dell'opportunita' di non aggravare troppo il rischio delle
 compagnie di assicurazione) a seconda che il terzo sia stato  colpito
 da  shock  nervoso come spettatore occasionale dell'incidente o, piu'
 tardi, lontano dal luogo del sinistro.
    Sarebbe   fuori   tema   obiettare   che   nella   responsabilita'
 extracontrattuale, secondo l'interpretazione dell'art. 2056 cod. civ.
 suggerita  dalla  relazione  al  codice,  si risponde anche dei danni
 imprevedibili.  La  distinzione  tra  danni   prevedibili   e   danni
 imprevedibili  (come  quella  tra  i danni diretti e danni indiretti)
 attiene ai  danni  conseguenze  nel  senso  dell'art.  1223,  la  cui
 risarcibilita',  limitatamente  o no ai danni prevedibili, presuppone
 gia' compiuto (previo  accertamento  del  nesso  di  causalita'  alla
 stregua  degli  artt. 40 e 41 cod. pen.) il giudizio di imputabilita'
 del danno evento, giudizio regolato in generale  dal  criterio  della
 colpa.
    In definitiva, non di responsabilita' inquadrata nell'art. 2043 si
 tratterebbe,  ma di responsabilita' oggettiva per pura causalita'. Si
 aggiunga che l'assolutezza del diritto alla salute non  consentirebbe
 limiti   alla   sfera   dei  soggetti  legittimati  alla  pretesa  di
 risarcimento. Il riferimento ai limiti soggettivi  di  risarcibilita'
 del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. sarebbe arbitrario,
 la loro giustificazione essendo legata alla ratio peculiare di questa
 norma.  Poiche'  il  danno  patito  dal  terzo e' qui eccezionalmente
 risarcibile sul solo presupposto di essere stato  "cagionato"  da  un
 fatto  illecito  penalmente  qualificato, la tutela risarcitoria deve
 fondarsi su una relazione di interesse del terzo  col  bene  protetto
 dalla  norma  incriminatrice,  argomentabile,  in  via  di  inferenza
 empirica, in base a uno stretto rapporto familiare (o  parafamiliare,
 come la convivenza more uxorio).
    3.3.  -  L'esclusione  dell'ipotesi  in  esame  di danno biologico
 dall'ambito di tutela dell'art. 2043 cod. civ.,  essendo  determinata
 da  difetto  di uno dei requisiti della fattispecie normativa, non e'
 adducibile come motivo di contrasto con  la  garanzia  costituzionale
 della  salute.  Priva di consistenza e' poi la pretesa violazione del
 principio  di  eguaglianza  rispetto  agli  "altri  casi",   per   la
 contraddizione  che  non  consente  di  denunciare  per contrasto con
 l'art.  3  Cost.  una  disparita'  di  trattamento  connessa  a   una
 diversita' essenziale delle rispettive fattispecie.
    4.   -   La  stessa  giurisprudenza  prevalente,  che  ammette  il
 risarcimento iure proprio, ne riconosce in sostanza l'estraneita'  al
 modello dell'art. 2043. Il risarcimento e' accordato in base al nesso
 di   causalita'   col   fatto   illecito   -   sempre  oggettivamente
 qualificabile  come  reato,  trattandosi  di   omicidio,   salve   le
 discriminanti  dello  stato  di necessita' e della legittima difesa -
 indipendentemente da un giudizio di colpevolezza dell'autore, secondo
 le regole civili, nei rapporti col familiare. Il modello risarcitorio
 applicato e' dunque, piu' o meno  consapevolmente,  quello  dell'art.
 2059 cod. civ.
    Nell'ordinanza   di   rimessione  si  obietta  che  i  "danni  non
 patrimoniali" previsti dall'art. 2059 si restringono al danno  morale
 soggettivo,  che  deve  essere  tenuto distinto dal danno alla salute
 "pena la confusione fra nozioni completamente diverse, quali sono  il
 danno  evento  e il danno conseguenza". Ma va replicato anzitutto che
 un simile criterio di differenziazione e'  legato  alla  premessa  di
 fondo,  gia'  confutata,  da  cui  muove  il  giudice a quo. Il danno
 biologico, al pari di  ogni  altro  danno  ingiusto,  e'  risarcibile
 soltanto  come  pregiudizio effettivamente conseguente a una lesione.
 In  secondo  luogo,  nell'ipotesi  particolare  di  cui  si   discute
 l'interpretazione  restrittiva  dell'art. 2059, in relazione all'art.
 185  cod.  pen.,  non  regge  alla   prova   dell'argomento   pratico
 dell'irrazionalita'  di  una  decisione  che  nelle conseguenze dello
 shock psichico patito dal familiare discerna  cio'  che  e'  soltanto
 danno  morale  soggettivo  da  cio'  che  incide  sulla  salute,  per
 ammettere al risarcimento solo il primo. Il danno alla salute e'  qui
 il  momento  terminale di un processo patogeno originato dal medesimo
 turbamento dell'equilibrio psichico che  sostanzia  il  danno  morale
 soggettivo,  e  che  in persone predisposte da particolari condizioni
 (debolezza cardiaca, fragilita' nervosa, ecc.), anziche' esaurirsi in
 un patema d'animo  o  in  uno  stato  di  angoscia  transeunte,  puo'
 degenerare  in  un  trauma  fisico  o  psichico  permanente, alle cui
 conseguenze in termini  di  perdita  di  qualita'  personali,  e  non
 semplicemente   al  pretium  doloris  in  senso  stretto,  va  allora
 commisurato il risarcimento.