IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella controversia in materia di previdenza obbligatoria, promossa da Gavioli Giovanna, con l'avv. G. B. Gamerro, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale in persona del presidente pro-tempore, con sede in Roma via Ciro il Grande n. 21, con l'avv. Bini. RITENUTO IN FATTO Con ricorso depositato in data 30 marzo 1994 Gavioli Giovanna conveniva in giudizio l'I.N.P.S. deducendo che, dipendente della Manifatture Maglierie Bustese S.r.l. di Busto Arsizio, a far tempo dall'ottobre 80, in data 31 dicembre 1992 era stata licenziata ed iscritta nelle liste di mobilita' con decorrenza dal 4 gennaio 1993. Rilevava che, sollecitato al pagamento della indennita' di mobilita', l'INPS aveva negato la sua corresponsione, in considerazione del godimento, da parte della ricorrente, di pensione di invalidita' e del dettato di cui all'art. 5 del d.l. 11 dicembre 1992, n. 478, (convertito in legge 19 luglio 1993 n. 236), il quale dispone l'incompatibilita' tra i trattamenti di disoccupazione e qualsiasi tipo di pensione. Rilevato che la norma di cui si discute va interpretata nel senso che essa pone un divieto di cumulabilita' e non di compatibilita', come invece affermato dall'I.N.P.S., la ricorrente concludeva chiedendo al pretore, in via d'urgenza, di condannare l'Ente convenuto a corrisponderle una quota dell'indennita' di mobilita' "tale per cui la stessa, cumulata con la pensione di invalidita' della ricorrente, sia pari all'indennita' di mobilita' nella sua interezza"; nel merito, chiedeva al pretore previa eventuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale, di condannare l'INPS a corrispoderle l'indennita' di mobilita' detratto quanto da lei percepito a titolo di pensione di invalidita', con la rivalutazione monetaria e gli interessi di legge; e con vittoria di spese. Rigettato il ricorso ex art. 700 del c.p.c., si costituiva in giudizio l'I.N.P.S. All'udienza di discussione, ex art. 420 del c.p.c., il pretore si riservava di decidere. RITENUTO IN DIRITTO Questo pretore dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 6, settimo comma, del d.l. 20 maggio 1993 n. 148, convertito in legge n. 236/1993, il quale, ribadendo quasi in maniera tralaticia il disposto di altre norme contenute in precedenti decreti-legge non convertiti (v. art. 5 del d.l. 11 dicembre 1992, n. 478; art. 5, primo comma del d.l. 12 febbraio 1993, n. 31; art. 6, settimo comma del d.l. 10 marzo 1993, n. 57) recita: "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto i trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e l'indennita' di mobilita' sono incompatibili con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti ..". Sulla rilevanza Il giudicante ritiene innanzi tutto che la questione di legittimita' costituzionale sia rilevante ai fini della decisione del giudizio de quo, in considerazione del fatto che appare necessario fare applicazione della norma predetta. La ricorrente e' stata licenziata in data 31 dicembre 1992. Il suo diritto alla indennita' di mobilita' decorreva dall'8 gennaio 1993, giusta la previsione di cui all'art. 73 della legge n. 1827/1935 (come richiamato dall'art. 7, dodicesimo comma, della legge n. 223/1991) e confermato dallo stesso ente convenuto con lettera in data 15 gennaio 1994. In considerazione della sua eta' (oltre 50 anni) la ricorrente avrebbe avuto diritto al trattamento richiesto per un periodo di 36 mesi. La norma che sancisce l'incompatibilita' tra indennita' di mobilita' e altri trattamenti pensionistici diretti a carico dell'ass. gen. obbl. (l'art. 6, settimo comma, della legge n. 236/1993) e' entrata in vigore l'11 maggio 1993, non essendo stati convertiti i decreti precedenti e non essendo stati regolati altrimenti i rapporti sorti nel corso della loro vigenza. La dedotta incompatibilita' e' cessata a seguito dell'entrata in vigore (il 21 maggio 1994) del d.l. 16 maggio 1994 n. 299 convertito in legge 19 luglio 1994, n. 451, il quale all'art. 2, quinto comma, prevede: "All'atto dell'iscrizione nelle liste di mobilita' i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidita' devono optare tra tali trattamenti e quello di mobilita'. In caso di opzione a favore del trattamento di mobilita' l'erogazione dell'assegno o della pensione di invalidita' resta sospesa per il periodo di fruizione del predetto trattamento ovvero in caso di sua corresponsione anticipata, per il periodo corrispondente all'ammontare della relativa anticipazione del trattamento di mobilita'". Con quella norma il legislatore ha ripristinato il principio della non cumulabilita' a danno di quello dell'assoluta incompatibilita' tra indennita' di mobilita' e assegno o pensione di invalidita'. Tuttavia, la norma di cui all'art. 6, settimo comma, della legge n. 236/1991 continuando ad esplicare i suoi effetti, per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 451/1994, finisce per incidere sulla decisione della fattispecie in esame limitatamente al periodo 11 maggio 1993-21 maggio 1994 nel corso del quale la ricorrente avrebbe dovuto usufruire della indennita' di mobilita'. Sulla non manifesta infondatezza Questo giudice ritiene che la norma predetta confligga innanzi tutto con l'art. 3 della Costituzione. La normativa anteriore alla legge n. 236/1991 sanciva il principio della incumulabilita' della indennita' di mobilita' con i trattamenti pensionistici diretti. Cio' sulla base di rinvio che l'art. 7, dodicesimo comma, della legge n. 223/1991 fa alla disciplina dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; quella, all'art. 10, quattordicesimo comma, prevede che i trattamenti di disoccupazione non sono cumulabili con i trattamenti pensionistici diretti; e al sedicesimo comma dello stesso articolo fa salva la quota di trattamento di disoccupazione eccedente il trattamento pensionistico. Come si e' piu' su visto, la normativa successiva, quella introdotta cioe' dal d.l. n. 299/1994 poi convertito nella legge n. 451/1994, analogamente ha riconosciuto al lavoratore il diritto di optare per l'uno o per l'altro trattamento. Non si comprende pertanto - e sotto tale aspetto la normativa in esame stride con il principio di ragionevolezza - come possa giustificarsi il diverso trattamento che il legislatore riserva ai lavoratori licenziati, che debbano fruire della indennita' di mobilita' nella vigenza dell'art. 6, settimo comma, della legge n. 235/1991, rispetto a tutti gli altri. Ma la norma che qui si impugna contrasta anche con l'art. 38 della Costituzione. E' di tutta evidenza che il dettato del legislatore costituzionale non puo' dirsi rispettato tutte le volte che, di fronte ad un evento protetto (in questo caso la disoccupazione involontaria), venga riconosciuto un trattamento il quale, previsto per un altro evento (in questo caso l'invalidita'), e' inidoneo ad assicurare "mezzi adeguati alle esigenze di vita dell'assicurato". Tuttavia quanto si e' prospettato e' proprio cio' che accade nel caso venga ad affermarsi il principio di incompatibilita' di cui si e' detto, per il quale viene assicurato il soddisfacimento delle esigenze di vita dell'assicurato di fronte all'evento protetto concretizzatosi prima e non invece di fronte a quello successivo, ristando, il relativo, trattamento, assorbito dal primo; e cio', nonostante che il trattamento previsto per l'evento successivo sia, per ovvie ragioni, ben maggiore (esaminando la fattispecie in esame, in concreto, alla ricorrente viene assicurata la pensione nell'importo di L. 275.000 invece che di L. 1.175.137). Da quanto si e' detto deriva che l'art. 38 della Costituzione puo' dirsi attuato solo quando venga rispettata la necessaria corrispondenza prevista tra evento protetto e trattamento. Cio' avviene naturalmente quando, in caso di pluralita' di eventi protetti, siano garantiti tutti i corrispondenti trattamenti. Certamente, esigenze di politica economica e di bilancio possono giustificare l'attuazione del principio di incumulabilita' di certi trattamenti, sul presupposto che l'uno sia complessivamente sufficente a garantire le esigenze di vita in presenza di una pluralita' di eventi protetti. E tale principio e' stato attuato riconoscendo all'assicurato il diritto di opzione (come e' avvenuto con il d.l. n. 299/1994) o il diritto alla quota di trattamento di disoccupazione eventualmente eccedente l'importo del trattamento pensionistico (come avveniva con la legge 22 dicembre 1984, n. 887, alla quale l'art. 7, dodicesimo comma, della legge n. 223/1991 faceva rinvio). Il precetto costituzionale viene invece ad essere violato con l'affermazione del rigido principio di incompatibilita' espresso nei termini di cui si e' detto.