LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nei  giudizi iscritti ai
 rispettivi numeri del registro di segreteria  sui  seguenti  ricorsi,
 promossi  con  il patrocinio dei seguenti avvocati: 415/PC Maffezzoni
 Raffaele, dott. proc. Giuseppe Marzullo; 430/PC Ferrau' Elena,  dott.
 proc.  Giuseppe Marzullo; 405/PC Venosta Margherita e Bertoletti Anna
 Maria, avv. Carlo Rienzi;
    Visti gli atti della causa;
    Uditi nella pubblica udienza del giorno 14 maggio 1994 il relatore
 consigliere dott. Angelo Gallicchio;
                           RITENUTO IN FATTO
    Nei  ricorsi  sopra  elencati  si  chiede  l'annullamento   previa
 sospensione    concessi   con   provvedimento   della   sezione   dei
 provvedimenti con i quali i ricorrenti sono stati collocati a  riposo
 per  dimissioni,  e  a  decorrere  dal  1  settembre  1993 e, a norma
 dell'art. 1, commi 1 e 2-quinquies, del d.l. n. 384 del 19 settembre
 1992 nel testo risultante dalla legge di conversione n.  438  del  14
 novembre  1992,  citata  nella  premessa  dei  decreti  medesimi, con
 differimento della corresponsione  della  pensione  al  successivo  1
 gennaio  1994  nonche'  della  circolare del Ministero della pubblica
 istruzione n. 47 del 24 febbraio 1993 nella parte in cui dispone  che
 i  dipendenti dimissionari dall'inizio dell'anno scolastico 1993-1994
 non hanno diritto al trattamento pensionistico di  anzianita'  ne'  a
 quello  di  attivita' di servizio e la circolare n. 227 del 28 luglio
 1993 nella parte in cui consente ai docenti soprannumerari, collocati
 a  riposo  a far data dal 1 settembre 1993, di percepire lo spettante
 trattamento di quiescenza.
    Contestano, in primo luogo i ricorrenti l'interpretazione data dal
 Ministero della pubblica istruzione e seguita dal Provveditorato agli
 studi competente della normativa citata la quale  nei  confronti  del
 personale della scuola, che non puo' cessare dal servizio in corso di
 anno  scolastico  avrebbe  dovuto essere interpretata in modo tale da
 consentire la corresponsione immediata, alla data del collocamento  a
 riposo,  del  trattamento  di  quiescenza  ai  dipendenti cessati dal
 servizio dal 1 settembre 1993.
    Affermano inoltre i ricorrenti che:
      l'interpretazione data dal  Provveditorato  agli  studi  (e  dal
 Ministero  della  pubblica  istruzione  con  circolare 47/1992) della
 normativa su ricordata e'  viziata  ed  errata  perche'  trascura  di
 considerare  le  disposizioni  che,  in modo speciale disciplinano il
 collocamento a riposo del personale della scuola  escludendolo  dalla
 normativa generale suindicata (art. 110 del d.P.R. n. 417/1974 e art.
 10 del d.l. n. 357/1989 convertito nella legge n. 417/1989);
      il  provvedimento  di  collocamento  a  riposo, con differimento
 della  corresponsione  della  pensione  deriva  da  errata  e   falsa
 applicazione  della  norma  del  d.l.  n.  384/1992  e  nata  con le
 disposizioni dell'art. 8 del d.lgs. n. 503/1992 e con le  norme  che,
 in  via  di  specialita',  disciplinano  il collocamento a riposo del
 personale della scuola.
    L'art. 1 del d.l. n. 384/1992 fissa, infatti,  esplicitamente  il
 termine  di  validita'  delle prescrizioni alla data di emanazione di
 una organica riforma del sistema pensionistico; riforma  attuata  con
 il  d.lgs.  citato  il cui art. 8 mantiene in vigore nei confronti di
 chi aveva maturato  alla  data  del  21  dicembre  1992  i  requisiti
 contributivi  o  di  servizio  previsti per la pensione anticipata di
 anzianita' "le norme previste dai rispettivi ordinamenti"  (art.  110
 del d.P.R. n. 417/1974, quarto e quinto comma; art. 110 del d.P.R. n.
 417/1989).   Tali   norme  fissano  la  decorrenza  delle  dimissioni
 all'inizio  dell'anno  scolastico  e   pertanto   il   rinvio   della
 corresponsione  del  trattamento  di pensione al 1 gennaio effettuato
 dal d.l. n. 384/1992 non poteva legittimamente essere  disposto  per
 il  personale della scuola in quanto comportante un mutamento del re-
 gime giuridico del collocamento a riposo del personale della pubblica
 istruzione ed una violazione  del  principio  in  base  al  quale  la
 decorrenza  della  pensione  non  puo'  che  decorrere  dalla data di
 cessazione dal servizio.
    Contestano ancora i ricorrenti la grave disparita' di  trattamento
 che  determina l'applicazione dell'art. 5, comma 1-bis della legge n.
 243/1993 (conversione con modificazioni del d.l. n. 155/1993) che ha
 disposto, in deroga alle vigenti disposizioni,  l'accoglimento  delle
 domande di pensionamento, con decorrenza 1 settembre 1993, qualora, a
 causa del soprannumero di docenti della stessa materia e dello stesso
 ruolo  provinciale  il  collocamento a riposo non avrebbe determinato
 nuove  vacanze  di  organico  con  conseguente  necessita'  di  nuove
 assunzioni.
    In  via  subordinata si eccepisce la illegittimita' costituzionale
 dell'art. 1 del d.l. n. 384/1992 convertito nella legge n.  438/1992
 e  dell'art.  5  comma  1- bis del d.l. n. 155/1993 convertito nella
 legge n. 243/1993, della legge delega n. 421/1992  e  del  successivo
 art. 8 del d.lgs. n. 503/1992 con riferimento all'art. 110 del d.P.R.
 n.  417/1974, all'art. 10, del d.l. n. 357/1989, convertito in legge
 n. 417/1989 ed agli artt.  1, 42 e 191 del d.P.R. n.  1092/1973,  per
 violazione degli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo
 comma, della Costituzione.
    Gli  avvocati  di  parte hanno confermato le censure proposte e le
 questioni di legittimita' costituzionali sollevate.
                             D I R I T T O
    I ricorsi sono stati riuniti all'udienza. Si osseva nel merito che
 i ricorrenti, gia' appartenenti al personale  della  scuola,  cessata
 dal  servizio  per  volontarie  dimissioni con decorrenza 1 settembre
 1993, tende a conseguire,  con  il  ricorso  all'odierno  esame,  una
 pronuncia  giudiziale  di  condanna  dell'amministrazione  statale al
 pagamento dei ratei di pensione nel periodo settembre-dicembre  1993,
 ritenendo  illegittimi  gli  atti  con  i  quali il Provveditore agli
 studi, nel disporre il  suo  collocamento  a  riposo,  ha  differito,
 conformandosi   ad   istruzioni   ministeriali,   il  trattamento  di
 quiescenza al 1 gennaio 1994 in  applicazione  dell'art.  1,  e  piu'
 propriamente  dei commi 1 e 2-quinquies, del d.l. 19 settembre 1992,
 n. 384 (nel testo risultante dalla legge di conversione  n.  438  del
 1992.
    Sostanzialmente   nelle   impugnative   si  sostiene,  in  termini
 uniformi,  che  la  norma  in  questione  non  dovesse   considerarsi
 applicabile  al  personale  della  scuola  per  due ordini di motivi:
 perche' gia' abrogata a partire dal 1  gennaio  1993  in  conseguenza
 della emanazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (il
 cui  art.  8  avrebbe  mantenuto  ferme  - a salvaguardia dei diritti
 quesiti - per i dipendenti in possesso alla data del 31 dicembre 1992
 dei requisiti per il pensionamento anticipato, le norme previste  dai
 rispettivi  ordinamenti);  perche'  contrastante, alla stregua di una
 interpretazione, coerente  con  i  principi  costituzionali,  con  il
 quadro   normativo   risultante   dalla   speciale   disciplina   del
 collocamento a riposo del personale della scuola (art. 110 del d.P.R.
 n. 417/1974; art. 10, quinto comma, del d.l.  n. 357/1989 convertito
 in legge n. 417/1989; art. 1, sesto ed ottavo comma, della  legge  n.
 467/1986),   dalle   norme   sulla  cessazione  dal  servizio  e  sul
 trattamento di quiescenza degli impiegati civili dello Stato e  degli
 stessi  principi  generali  in materia pensionistica (art.  125 e 131
 del d.P.R. n. 3/1957; artt. 1, 42 e seguenti, 154, 156, 157 e 162 del
 d.P.R.  n. 1092/1973 della norma dell'art. 5, comma 1- bis del  d.l.
 n.    155/1993,  convertito in legge n. 243/1993 che ha consentito il
 pensionamento dei docenti al 1 settembre 1993 con  corresponsione  di
 trattamento  pensionistico  se il collocamento a riposo non determina
 vacanza organica.
    L'assunto  non  puo'  essere  condiviso  per  nessuna  delle   due
 prospettazioni come sopra sinteticamente riassunte.
    Va osservato, anzitutto, che con l'emanazione del d.lgs. n. 503 in
 attuazione  dell'art.  3  della  legge-delega  n. 421 del 1992 per il
 riordino del sistema previdenziale dei lavori dipendenti  pubblici  e
 privati,  non  si  e'  affatto  conclusa  -  come intenderebbe invece
 dimostrare la  ricorrente  -  quella  completa  riforma  del  sistema
 pensionistico  indicata  dall'art.  1,  primo  comma,  del  d.l.  n.
 384/1992  come  termine  finale   di   efficacia   della   temporanea
 sospensione delle pensioni dallo stesso decreto-legge introdotta.
    Ed  invero  argomenti  decisivi  per un tale convincimento possono
 rinvenirsi nella formulazione dell'art. 3, terzo comma,  della  legge
 n.  421  del  1992,  che  attribuisce  espressa  delega al Governo ad
 emettere ulteriori "provvedimenti" in materia previdenziale  sino  al
 31  dicembre  1993, nella legge finanziaria n. 537/1993 che contiene,
 all'art. 11, numerose norme chiaramente riferibili ad una riforma del
 settore non ancora esaurita, nonche' nell'art. 5,  comma  1-bis,  del
 d.l. 20 maggio 1993, n. 155 (risultante dalla legge di conversione 9
 luglio 1993, n. 243).  Quest'ultima disposizione, in particolare, nel
 prevedere    una    deroga   in   favore   dei   docenti   cosiddetti
 "soprannumerari" con il riconoscimento - limitatamente ad essi -  del
 diritto  a  pensione  dal  1 settembre 1993, postula evidentemente la
 perdurante vigenza della  disciplina  sul  blocco  pensionistico  per
 tutti gli altri docenti non versanti in tale peculiare posizione.
    Quanto  alla seconda prospettazione non vi e' dubbio che l'art. 1,
 commi  1  e  2-quinquies  del  d.l.  n.   384/1992   assume   valore
 derogatorio,  per  il tempo in cui e' operante, rispetto alla vigente
 disciplina sul collocamento a riposo e trattamento di quiescenza  dei
 dipendenti pubblici, ivi compresi quelli della scuola, che le deroghe
 di  cui  al  citato  art.  5,  comma  1-  bis  del d.l. n. 155/1993,
 convertito in legge n. 243/1993, sono dettate dalla specialita' delle
 situazioni e in conclusione detta norme del 1992 non e'  suscettibile
 di alcuna interpretazione che la renda inapplicabile a tale categoria
 di  personale,  pure  alla luce degli argomenti dedotti a sostegno di
 una lettura secudum Constitutionem.
    Accertato,  dunque,  che  le  norme  in   questione   hanno   come
 destinatario,  senza  alcun dubbio, anche il personale della scuola e
 che infondate si appalesano  le  dedotte  censure  di  illegittimita'
 degli   impugnati   provvedimenti,   i   quali  sono  stati  adottati
 dall'amministrazione scolastica  in  base  ad  un  preciso  e  chiaro
 dettato  legislativo,  la  sezione  puo'  procedere  all'esame  della
 questione di costituzionalita' sollevata, in via  subordinata,  dalle
 difese  dei  ricorrenti  con  riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della
 Costituzione.
    In punto di rilevanza, si osserva - anche alla stregua  di  quanto
 si  e' appena esposto - che se le norme contenute nel menzionato art.
 1, commi 1 e  2-quinquies,  del  d.l.  n.  384  dovessero  risultare
 travolte  da  una  declaratoria  di illegittimita' costituzionale per
 quanto qui interessa, non si potrebbe piu' porre in dubbio il diritto
 della ricorrente al conseguimento della pensione fin dalla  data  del
 collocamento   a   riposo   e,   quindi,  giuridicamente  fondata  ed
 accoglibile sarebbe la di lei pretesa alla corresponsione  dei  ratei
 maturati nel quadrimestre settembre-dicembre 1993.
    Quanto alla non manifesta infondatezza della proposta questione di
 costituzionalita',  ritiene  il  collegio  di  procedere,  secondo un
 ordine  logico,  all'esame  delle  norme  contestate,  iniziando  dal
 riferimento   all'art.   36,  primo  comma,  della  Costituzione  che
 garantisce,  come  e'  noto  al  lavoratore,  il   diritto   ad   una
 retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e
 in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia una
 esistenza libera e dignitosa.
    E'  ormai  jus  receptum che tale norma estende l'ambito della sua
 tutela tanto alla retribuzione corrisposta in costanza  del  rapporto
 di  lavoro,  quanto  a  quella  differita (a fini previdenziali) alla
 cessazione  del  rapporto  stesso  e  attribuita   sotto   forma   di
 trattamento  pensionistico:  in  entrambi  i  casi,  la  retribuzione
 rappresenta  nel  vigente  ordinamento  costituzionale,  fondato   su
 lavoro,  "una  entita'  fatta  oggetto,  sul piano morale e su quello
 patrimoniale, di particolare protezione".
    Siffatto principio  enunciato  dalla  Corte  costituzionale  nella
 sentenza  n. 3 del 10 gennaio 1966 e' stato sempre piu' rigorosamente
 ribadito in successive pronunce della stessa Corte con l'affermazione
 che, avuto riguardo  al  carattere  retributivo  del  trattamento  di
 quiescenza,  il  lavoratore  non  puo'  essere  privato  dei relativi
 assegni, qualunque sia la causa  della  cessazione  del  rapporto  di
 lavoro (sentenza 7 maggio 1987, n. 169 e n. 31 del 1987).
    Ed  in  coerente  sviluppo  di detto orientamento il giudice delle
 leggi ha anche affermato che, nel  caso  di  cumulo  del  trattamento
 pensionistico  con  quello  di attivita', la riduzione del primo puo'
 essere giustificata e considerata compatibile  con  l'art.  36  della
 Costituzione  solo  ove  correlata  ad  una  retribuzione della nuova
 attivita' lavorativa che ne giustifichi la misura  (sentenza  n.  566
 del 1989 e n. 204 del 1992).
    D'altronde,  a  far  superare  il  dubbio di costituzionalita' non
 sembra alla sezione di ausilio la sentenza di rigetto n. 329  del  26
 giugno  1990  pronunciata  dalla  Corte  costituzionale  a  proposito
 dell'art. 10, quinto comma, del  d.l.  29  gennaio  1983,  n.    17,
 convertito  in  legge 25 marzo 1983, n. 79, statuente il differimento
 della  erogazione  del  trattamento  pensionistico   per   le   donne
 dimissionarie  coniugate  o  con prole a carico, attesa la differente
 situazione oggetto di quella disciplina mirante  a  disincentivare  i
 pensionamenti  in  eta'  ancora  giovane  e la posizione di vantaggio
 (abbuono di una anzianita' fino a 5 anni) che  comunque  offriva  una
 razionale giustificazione al sacrificio imposto ai destinatari.
    Alla  luce  degli  affermati  principi  ritiene  la sezione che la
 prospettata questione di costituzionalita' in relazione  all'art.  36
 della Costituzione sia da reputarsi non manifestamente infondata.
    Ad   analoga   conclusione  ritiene  di  dover  pervenire  per  la
 prospettazione avente ad elemento  di  riferimento  l'art.  38  della
 Costituzione.
    Ed  invero  il  personale  della  scuola,  pur  avendo  versato  i
 prescritti contributi assicurativi, si vede  privato  per  i  quattro
 mesi  compresi  fra  la  data  del collocamento a riposo (1 settembre
 1993) e quella di decorrenza del trattamento di quiescenza (1 gennaio
 1994)  tanto  della  retribuzione  (non  essendogli   consentito   di
 proseguire  nella  prestazione  lavorativa  fino  al 31 dicembre 1993
 ancorche' ne avesse fatta  formale  richiesta  come  nel  caso  della
 ricorrente),  quanto  della  pensione;  il che vuol dire rimanere del
 tutto privi dei necessari mezzi di sussistenza,  senza  neppure  quel
 minimo indispensabile per provvedere ai bisogni primari ed essenziali
 della vita.
    Parimenti  ad  un  giudizio  di non manifesta infondatezza conduce
 l'esame delle disposizioni in  questione  sotto  il  diverso  profilo
 della  violazione del principio costituzionale di eguaglianza sancito
 dall'art. 3 della Costituzione.
    Ed,  infatti, non v'e' dubbio che il personale scolastico, a causa
 della  rigidita'  della  decorrenza  del  collocamento  a  riposo  (1
 settembre  di ciascun anno) inderogabilmente imposta dall'ordinamento
 di appartenenza (art. 10, quarto e quinto comma, del d.l. 6 novembre
 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417), si viene
 a trovare nella inevitabile condizione di dover subire le conseguenze
 economiche  del  blocco  pensionistico  diversamente   dal   restante
 personale  statale  che  ad  essa  puo'  normalmente sottrarsi con la
 presentazione (e l'accoglimento da parte dell'Amministrazione)  delle
 proprie   dimissioni  con  decorrenza  immediatamente  successiva  al
 periodo di sospensione.
    Non si puo'  non  osservare  che  proprio  la  peculiarita'  della
 posizione  giuridica  dei  dipendenti  della  scuola  avrebbe  dovuto
 dissuadere il legislatore dal porre in essere una identica disciplina
 per  situazioni  cosi'  diverse  con  l'effetto  -   di   fatto   poi
 verificatosi    -    di   produrre   un   trattamento   ingiustamente
 discriminatorio per tale categoria di  personale,  mentre  e'  lecito
 pensare  che  diverse  ed  appropriate  scelte  legislative avrebbero
 potuto conciliare le esigenze alla base delle norme contestate con la
 parita' di trattamento dei destinatari.
    Conclusivamente, le  prospettate  questioni  di  costituzionalita'
 risultano non manifestamente infondate ed i giudizi vanno sospesi con
 la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la conseguente
 pronuncia.