IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Vista la richiesta di decreto penale avanzata dal pubblico ministero in data 20 aprile 1994 a carico di Cunotto Luigina Natalina, nata il 10 febbraio 1939 a Baldichieri (Asti) ivi residente in via XX Settembre, 7, imputata del reato di cui all'art. 27 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, in relazione all'art. 1 della legge regionale 26 marzo 1990, n. 13, perche' non osservava tutte le prescrizioni impartite nell'autorizzazione della provincia di Asti dell'11 agosto 1992 in tema di spandimento dei liquami su terreno ad uso agricolo. Accertato nel mese di settembre 1993. Rilevato che il pubblico ministero in tale atto ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art 1, punto 5, della legge regionale Piemonte 13 marzo 1990, n. 13, in riferimento agli artt. 25 e 117 della Costituzione. O S S E R V A 1. - Con deliberazione della giunta provinciale Asti 11 settembre 1992 la ditta Miroglio Valerio e Virginio e C. S.n.c. (esercente attivita' di macellazione pollami e confezionamento tagli di carne) e' stata autorizzata - ai sensi degli artt. 6, lett. d) del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, 7, 1 comma della legge regionale Piemonte 2 maggio 1986, n. 18, e 1, punto 5 della legge regionale Piemonte 26 marzo 1990, n. 13 - allo smaltimento sul suolo agricolo dei "liquami" di macellazione nel rispetto di una serie di prescrizioni. E' appunto la violazione di alcune di queste prescrizioni che il pubblico ministero contesta alla Cunotto nel capo di imputazione sulla base delle risultanze dei verbali di accertamento del servizio ecologia della provincia Asti del 29 settembre 1993 e 22 ottobre 1993. 2. - La contestazione del reato di cui all'art. 27 del d.P.R. n. 915/1982 presuppone la qualificazione della fattispecie di spandimento liquami su suolo agricolo (oggetto della citata autorizzazione provinciale) come forma di smaltimento di rifiuti disciplinata dal menzionato d.P.R. Tale qualificazione e' infatti sancita inequivocamente dall'art. 1, punto 5, della legge regionale Piemonte n. 13/1990 secondo cui l'operazione di spandimento su terreno adibito ad usi agricoli dei reflui provenienti da insediamenti civili o produttivi, "inteso come fase di trattamento dei reflui, rientra nell'ambito di applicazione del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915". Senonche', come giustamente rileva il pubblico ministero, tale qualificazione del legislatore regionale (la cui portata e' puntualizzata degli assessori competenti nella circolare n. 5229/1993 in atti) si pone in palese contrasto con il sistema delineato a livello di legislazione statale (legge 10 maggio 1976, n. 319, e d.P.R. n. 915/1982). Si deve osservare infatti: a) in primo luogo che lo spandimento di liquami prodotti dall'attivita' di allevamento o di macellazione animale su suolo adibito a uso agricolo non integra alcuna delle forme di trattamento- smaltimento rifiuti contemplate dall'art. 1 del d.P.R. n. 915/1982; b) in secondo luogo che, trattandosi comunque di rifiuti smaltiti dallo stesso produttore non sussiste obbligo di autorizzazione ex art. 6, lett. a), e 25, 1 comma, del d.P.R. citato (detto obbligo riguarda infatti tutte le forme di smaltimento dei rifiuti prodotti da terzi, mentre per i rifiuti propri l'autorizzazione e' necessaria solo per l'installazione di un impianto di innocuizzazione e per la realizzazione di una discarica). Non si giustifica pertanto la aprioristica equiparazione dello spandimento dei liquami sul suolo agricolo ad una forma di smaltimento di rifiuti disciplinata dal d.P.R. n. 915/1982 e assoggettata al relativo regime autorizzatorio e al conseguente trattamento sanzionatorio. 3. - Invero per la giurisprudenza assolutamente dominante (Cass. 8 gennaio 1991, Valfredi; 24 maggio 1991, Ambrogio; 30 gennaio 1991, Sonaglia) non e' revocabile indubbio che lo spandimento su suolo agricolo di liquami (non tossici o nocivi) provenienti da insediamento produttivo o civile (e segnatamente quelli prodotti da allevamenti di bestiame o da laboratori di macellazione) integra un'ipotesi di scarico disciplinato dalla legge n. 319/1976 (c.d. fertirrigazione). Deve infatti osservarsi che nel contesto della legge Merli e' indifferenziato l'uso dei termini scarico e smaltimento di liquami. Ed invero nell'art. 4, 1 comma, lett. e) e 2 comma, si stabilisce che compete alle regioni di emanare la normativa integrativa e di attuazione (attraverso il richiamo dell'art. 2, lett. e) n. 2) "dello smaltimento dei liquami nel suolo anche adibito ad usi agricoli, e si ribadisce che per quanto concerne in particolare gli scarichi sul suolo adibito ad usi agricoli essi potranno in ogni caso essere previsti ( ..) soltanto quando le immissioni siano direttamente utili alla produzione agricola". Eguale indifferenziato uso delle due espressioni ritrova nella delibera (emanata in attuazione dell'art. 2 della legge n. 319/1976) 4 febbraio 1977, all. 5, del Comitato interministeriale (di cui all'art. 3 della legge): al punto 1 (Generalita') si dice "la presente normativa relativa allo smaltimento dei liquami sul suolo ( ..) riguarda gli scarichi degli insediamenti", mentre il punto 2, titolato "scarichi sul suolo", esordisce testualmente "Lo smaltimento dei liquami sul suolo ..", e cosi' pure il punto 2.3.2 titolato "Scarichi da allevamenti zootecnici" inizia con le parole "Nel caso di smaltimento di liquami zootecnici sui suoli adibiti ad uso agricolo". Non v'e' dubbio dunque che lo spandimento di liquami zootecnici su suolo agricolo e' scarico ai sensi dell'art. 1 legge Merli e come tale e' soggetto ad autorizzazione. Come si desume chiaramente dagli artt. 2, lett. e), n. 2, 4, lett. e), 6, ultimo comma, 9, ultimo comma, il legislatore del 76 ha ben presente il ruolo ecologico preminente svolto dal suolo che non e' substrato minerale inerte ma strato-base frutto di una lunga evoluzione ambientale, con un suo popolamento biologico essenziale al corretto funzionamento degli ecosistemi terrestri. La regolamentazione tecnica dello smaltimento dei liquami sul suolo, anche agricolo, contenuta nell'all. 5 della citata delibera del 1977, si compone di tutta una serie di prescrizioni che hanno un senso solo ove, attraverso il procedimento autorizzatorio, si pongano le premesse per assoggettare gli scarichi al controllo dell'autorita' amministrativa competente in riferimento al loro carattere inquinante, alla loro portata quantitativa, alla loro utilizzabilita' in agricoltura. La citata delibera prevede infatti tra l'altro: a) che lo smaltimento su suolo agricolo e' ammissibile solo se direttamente utile alla produzione; b) che le modalita' di spandimento (punto 2) devono esser tali da assicurare "una idonea dispersione e innocuizzazione degli scarichi liquidi .. in modo che le acque sotterranee, le acque superficiali, il suolo, la vegetazione non subiscano degradazione o danno"; c) che lo smaltimento non deve produrre inconvenienti ambientali come rischi per la salute pubblica, sviluppo di odori, diffusione di aerosoli (punto 2); d) che i siti di smaltimento devono esser individuati in relazione alle loro caratteristiche topografiche, morfologiche, geologiche, climatiche ect. (punto 2-1); e) che i liquami devono presentare caratteristiche qualitative e quantitative tali da non "causare modificazioni irreversibili della struttura del suolo particolarmente per quanto concerne le caratteristiche di conducibilita' idrica e di areazione" (punto 2-2); f) che nel caso di scarichi da allevamenti zootecnici su suolo agricolo (punto 2-3-2) si deve rispettare la quantita' massima di 40 q.li/Ha di peso vivo di bestiame ed accertare che "lo smaltimento sia compatibile con le capacita' di mineralizzazione del terreno". Si tratta all'evidenza di condizioni tutte l'accertamento delle cui sussistenza in concreto non puo' che essere demandato alla p.a. nell'esercizio della funzione autorizzatoria. Per completezza bisogna sottolineare come tale conclusione non trova alcun ostacolo nel disposto (citato dal pubblico ministero nella sua richiesta) dell'art. 2, 3 comma, della legge regionale Piemonte n. 13/1990 secondo cui "lo spandimento su terreno a fini agricoli delle deiezioni animali" non rientra nel campo di applicazione della legge n. 319/1976, ne' in quella del d.P.R. n. 915/1982. Infatti nell'art. 21 in esame e' netto ed inequivocabile (v. 1 comma) il riferimento alle sole deiezioni animali - che coincidono con le materie fecali (solide o semisolide) - mentre ontologicamente e giuridicamente diversa e' la nozione di liquami (anche se di origine animale: es. urine) il cui spandimento su suolo agricolo puo' benissimo integrare un'ipotesi di scarico ai sensi degli artt. 1 e 4, lett. e) legge Merli. Il citato art. 21, 3 comma, della legge regionale si limita a confermare l'irrilevanza - gia' sancita dall'art. 2 del d.P.R. n. 915/1982 - dello spargimento delle deiezioni fecali su suolo agricolo tanto con riguardo al d.P.R. citato quanto con riferimento alla legge n. 319/1976 e pertanto non interferisce minimamente nella valutazione della fattispecie oggetto di causa (la distinzione tra deiezioni fecali e deiezioni liquide non sembra invece essere stata presa in considerazione nell'ord. Corte costituzionale n. 197/1991 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' relativa al citato art. 21, 3 comma). 4. - A questo punto e' chiaro che l'art. 1, punto 5, della legge regionale viene a porsi in contrasto macroscopico con il quadro normativo delineato della legge n. 319/1976 e dal d.P.R. n. 915/1982 laddove include nel campo di applicazione di quest'ultimo provvedimento legislativo le operazioni di spandimento su terreni agricoli dei liquami provenienti da insediamenti civili e produttivi. Tutto cio' non puo' non determinare una violazione del principio costituzionale (art. 25 della Costituzione) della riserva di legge statale in materia penale perche' l'art. 1, punto 5 citato assoggetta al regime autorizzatorio di cui al d.P.R. n. 915/1982 (e al relativo trattamento sanzionatorio) un'operazione di spandimento che trova invece la sua compiuta regolamentazione (anche sul piano repressivo) nella legge n. 319/1976 (di recente peraltro investita da un intervento legislativo - decreto-legge 15 luglio 1994, n. 449 - di ampia portata depenalizzante). E' appena il caso di sottolineare che (per giurisprudenza costante della Corte costituzionale: v. sentenze nn. 79/1977, 370/1989, 43 e 309 del 1990) "la fonte del potere punitivo statale risiede solo nella legislazione statale e le regioni non hanno il potere di comminare, rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste in una data materia; non possono cioe' interferire negativamente con il sistema penale statale considerando penalmente lecita un'attivita' che, invece, e' penalmente sanzionata nell'ordinamento statale". Per completezza bisogna evidenziare che principio basilare del nostro ordinamento costituzionale e' quello per cui i giudici sono tenuti ad applicare le leggi (statali e regionali) e ove queste risultino in contrasto con la Costituzione non possono essi disapplicarle ma devono adire la Corte costituzionale che sola puo' esercitare il sindacato di costituzionalita' pronunciandosi con sentenze aventi efficacia erga omnes (v. Corte costituzionale n. 285/1990 che ha annullato la sent. Cass. 12 novembre 1989, Predieri che aveva disapplicato alcune leggi della regione Emilia-Romagna ritenendole invasive della materia penale riservata allo Stato). 5. - Sotto il profilo delle rilevanza della questione bastera' osservare che la sollecitata declaratoria di incostituzionalita' renderebbe impossibile le contestazione del reato di cui all'art. 27 del d.P.R. n. 915/1982, e il pubblico ministero dovrebbe valutare se la Cunotto puo' o meno essere chiamata e rispondere del reato di cui all'art. 21, 1 comma, della legge n. 319/1976.