IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa r.g.l. n. 20041/1992 promossa da Zapparata Vittorio (avv. Gianantonio Massari e avv. Guido Grandi), contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti (avv. Flavio Chiussi e avv. Alessandro Terenzio). Svolgimento del processo 1. - Vittorio Zapparata ha chiamato in giudizio la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti (d'ora in avanti Cassa) con ricorso del 9 novembre 1992 ed ha precisato le conclusioni che si trascrivono: "accertare e dichiarare il diritto del ricorrente ad ottenere il trattamento pensionistico della Cassa di previdenza convenuta, a partire dal luglio 1992 o dalla data che risultera' di diritto; condannare la Cassa di previdenza al pagamento dei ratei di pensione arretrati conseguenti all'accertamento predetto, con la relativa decorrenza, e con rivalutazione ed interessi dalle scadenze al saldo. Previa, occorrendo, ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, non essendo manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' in ricorso evidenziata nei riguardi dell'art. 26 della legge n. 21/1986". A sostegno di tali domande ha dedotto che egli aveva iniziato l'attivita' professionale di commercialista nel 1972, quando aveva 49-50 anni. La legge 23 dicembre 1970, n. 1140 (che regolava allora la materia) disponeva che il commercialista avesse diritto alla pensione di vecchiaia al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' dopo 25 anni di contribuzione, o al compimento del settantesimo anno con 20 anni di contribuzione. La legge 29 gennaio 1986, n. 21 ("Riforma della Cassa .."), entrata in vigore il 1 gennaio 1987, ha disposto che l'iscritto avesse diritto alla pensione di vecchiaia al sessantacinquesimo anno di eta' dopo 30 anni di contribuzione, o al settimo anno dopo 25 anni di contributi. L'art. 26 della legge ha previsto alcune deroghe di natura transitoria a tali condizioni di tempo e di contributi per la pensione di vecchiaia. L'art. 9 della legge 5 marzo 1990, n. 45, ha disposto - ad integrazione e modifica della legge 29 gennaio 1986, n. 21 - che i minimi di durata della iscrizione alla Cassa "non si applicano a coloro che hanno compiuto rispettivamente 65 o 70 anni di eta' prima della entrata in vigore della legge 29 gennaio 1986, n. 21". Vittorio Zapparata ha dedotto che egli, nato il 6 giugno 1922, aveva presentato il 31 maggio 1991 domande per la pensione di vecchiaia alla Cassa; la domanda era stata respinta cosi' come lo era stato il ricorso al consiglio di amministrazione. Il ricorrente ha esposto che la citata normativa di riforma, comprese le disposizioni di disciplina transitoria, lo avevano "privato di legittime aspettative acquisite in base ad una regolamentazione piu' favorevole in forza della quale aveva effettuato una iscrizione alla Cassa e pagato contribuzione la cui efficacia viene modificata in peius da norme successive". Tali norme erano irrazionali in quanto stabilivano differenziazioni di trattamento tra gli iscritti alla Cassa di vecchia data, come ha analiticamente esposto ed argomentato. Le norme violavano il principio adottato in materia analoga dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 822 del 14 luglio 1988, per cui la modifica di regime in materia pensionistica "deve garantire ai lavoratori prossimi al pensionamento il mantenimento dei piu' favorevole criteri di liquidazione della pensione del previgente re- gime". Il ricorrente, deducendo che l'interpretazione letterale delle norme non gli consentiva di ottenere la pensione di vecchiaia, se non al raggiungimento del settantacinquesimo anno di eta'; deducendo che dalle norme contenenti disposizioni transitorie poteva ricavarsi il principio per cui gli iscritti alla Cassa nel regime della legge del 1970 potevano comunque ottenere la pensione di vecchiaia all'eta' di 70 anni con 20 anni di contributi, ha chiesto al pretore di dare "una interpretazione estensiva ed analogica" all'applicazione delle norme ed accogliere le domande. Altrimenti il giudice avrebbe dovuto rimettere alla Corte costituzionale la questione della legittimita' costituzionale delle disposizioni stesse. 2. - La Cassa si e' costituita; ha dedotto che il ricorrente, dopo essere stato collocato a riposo il 1 agosto 1971 come dipendente dell'Inadel, era stato iscritto a sua domanda alla Cassa dal 1 gennaio 1972. Poiche' alla data della presentazione della richiesta di ottenere la pensione di vecchiaia il ricorrente non si trovava nelle condizioni previste dalla legge, la domanda giudiziale doveva essere respinta: la eccezione di legittimita' costituzionale era irrilevante ed infondata. Motivi della decisione 1. - Il difensore del ricorrente nella memoria integrativa ha cercato di argomentare una interpretazione dell'art. 26, secondo comma, della legge 29 gennaio 1986, n. 21, in virtu' della quale il ricorrente avrebbe comunque avuto diritto alla pensione di vecchiaia, grazie ai contributi versati fino al compimento del sessantacinquesimo o del settantesimo anno di eta', e commisurata agli stessi. 2. - Tale tesi non sembra accoglibile. Sicuramente le disposizioni dell'art. 26 della legge 29 gennaio 1986, n. 21, hanno posto problemi di interpretazione e di applicazione, che sono state risolti in parte dal legislatore con l'art. 9 della legge n. 45/1990, che integrava quanto disposto dall'art. 26 cit. Resta il fatto che sulla base del testo delle norme vigenti dovrebbe affermarsi che il ricorrente non ha diritto ad ottenere la pensione di vecchiaia domandata alla Cassa il 31 maggio 1991 con decorrenza dal 1 luglio 1992; a tale data il ricorrente non presenta i requisiti minimi di eta' e di contribuzione, cosi' come non aveva quelli piu' ridotti alla data del 1 gennaio 1987. La rilevanza della questione. Quanto si e' detto nel merito della domanda principale e' la dimostrazione della rilevanza della eccezione di legittimita' costituzionale proposta. Infatti l'accoglimento della questione di legittimita' consentirebbe di attribuire la pensione chiesta, esclusa oggi con le norme esistenti e vigenti. La non manifesta infondatezza della questione. 1. - Le modificazioni normative dei requisiti per la pensione di vecchiaia. L'art. 5 della legge 23 dicembre 1970, n. 1140, prevedeva che il commercialista iscrittosi alla Cassa potesse chiedere ed ottenere la pensione di vecchiaia al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' dopo almeno 25 anni di contribuzione, o al settantesimo anno dopo 20 anni di contribuzione. Tale regime e' stato modificato dalla legge 29 gennaio 1986, n. 21, che ha dato una nuova disciplina alla Cassa, con l'aumento per entrambe le ipotesi di altri cinque anni di "effettiva iscrizione a contribuzione". L'art. 26 della stessa legge, che ha per titolo "riduzione dell'anzianita' di iscrizione" cosi' dispone: "1. - Per gli iscritti che compiano i sessantacinque anni fra la data di entrata in vigore della presente legge ed il 31 dicembre 1992, l'anzianita' trentennale di cui all'art. 2, primo comma, e' ridotta in misura pari agli anni intercorrenti fra quello di compimento del sessantacinquesimo anno ed il 1992. Per gli iscritti che compiano i settanta anni fra la data di entrata in vigore della presente legge ed il 31 dicembre 1987, l'anzianita' venticinquennale di cui all'art. 2, primo comma, e' ridotta in misura pari agli anni intercorrenti fra quello di compimento del settantesimo anno di eta' ed il 1987. 2. - Per gli iscritti ai quali e' applicabile l'art. 5, lett. b), della legge 23 dicembre 1970, n. 1140, l'anzianita' trentennale di cui all'art. 2, primo comma, e' ridotta a quella ivi prevista. 3. - La riduzione e' applicata ai soli fini della maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, su richiesta degli iscritti, a condizione che questi possano vantare, dopo il compimento dell'eta' pensionabile, una anzianita' effettiva o convenzionale di iscrizione e contribuzione di almeno venticinque anni, nel caso previsto dal primo comma, e di almeno venti anni, nel caso previsto dal secondo comma. L'art. 9 della legge 5 marzo 1990, n. 45, che riguarda la ricongiunzione dei periodi assicurativi dei liberi professionisti, ha disposto una integrazione della legge di riforma della Cassa che ammette la pensione di vecchiaia per coloro che avevano maturato l'eta' di 65 e di 70 anni prima dell'entrata in vigore della legge 29 gennaio 1986, n. 21, indipendentemente dal numero degli anni di contribuzione effettiva prescritti da tale legge. Eccone il testo: "1. - I limiti di anzianita' di cui all'art. 2, primo comma, della legge 29 gennaio 1986, n. 21, non si applicano a coloro che hanno compiuto rispettivamente 65 o 70 anni di eta' prima dell'entrata in vigore della legge 29 gennaio 1986, n. 21". 2. - La questione sollevata con la eccezione proposta non appare al giudice manifestamente infondata. 2.1. - Sotto un primo profilo si tratta di valutare se l'aspettativa di diritto sorta in capo a chi si iscrisse alla Cassa sulla base della legge n. 1140/1970 - che prevedeva ben precisi criteri di eta' e di contribuzione per ottenere la pensione di vecchiaia -, frustrata dal legislatore con la riforma che ha prolungato di cinque anni il periodo minimo della contribuzione richiesta, sia stata legittimamente disattesa, rispetto ai principi e alle norme costituzionali, posto che il diritto alla pensione di vecchiaia si fonda sulla norma dell'art. 38 della Costituzione. La riforma della Cassa, introdotta con la legge n. 21/1986, pur prevedendo alcune disposizioni per la tutela di coloro tra gli iscritti che fossero in procinto di ottenere la pensione secondo i vecchi criteri, quali quelle dell'art. 26 dapprima, e poi, piu' organicamente, con l'art. 9 della legge n. 45/1990, ha sostanzialmente inciso negativamente su altre posizioni sostanziali di aspettativa del diritto alla pensione di vecchiaia, quale e' sicuramente quella del ricorrente Zapparata. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale rientra tra i poteri del legislatore "di emanare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina di rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti". Tuttavia, sempre secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, tali modifiche legislative "al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto. Anche se deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non puo' ammettersi che detto intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare non puo' dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando gia' sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo, alla cessazione della propria attivita' lavorativa". 2.2. - L'ulteriore profilo della questione, strettamente collegato a quello gia' esposto, concerne le disposizioni di adattamento di cui all'art. 26 della legge n. 21/1986 e all'art. 9 della legge n. 45/1990. E' stato esattamente affermato dal Consiglio di Stato che le disposizioni dell'art. 26 ("Riduzione dell'anzianita' di iscrizione") erano dirette ad evitare "mutamenti in senso peggiorativo della situazione in corso di maturazione". E' stato anche ripetutamente deciso che tali disposizioni vennero formulate in maniera incongrua rispetto agli stessi scopi, come e' stato ed e' possibile constatare ove si esegua lo sviluppo analitico della casistica che ne consegue, come segnalato anche dal difensore. L'incongruenza di tali disposizioni e' stata avvertita dallo stesso legislatore che ha provveduto con l'art. 9 della legge n. 45/1990 a dare una migliore sistemazione alle posizioni previdenziali degli iscritti fondate sul vecchio regime, per una tutela piu' equa dei diritti in corso di maturazione. Nonostante tale ulteriore intervento restano situazioni di compressione delle aspettative, come nel caso. Il ricorrente compi' il sessantacinquesimo anno di eta' dopo l'entrata in vigore della legge n. 21/1986, il 6 giugno 1988; a quella data non aveva il requisito dei 25 anni di iscrizione e di contribuzione. I venti anni di iscrizione e di contribuzione si maturarono alla fine del 1991, nell'imminenza del compimento del settantesimo anno di eta'. In relazione a tale situazione il ricorrente Zapparata non ha avuto la pensione in virtu' delle disposizioni di riduzione, a lui applicabili, ne' la puo' avere secondo i criteri ordinari vigenti. Allo stato egli puo' richiedere la restituzione dei contributi o attendere il maturarsi dei requisiti minimi. 2.3. - Tutto cio' mette in risalto come la questione non appaia manifestamente infondata, anche sotto il profilo della comparazione ai sensi dell'art. 3 della Costituzione con le ipotesi di riduzione dei requisiti di cui alle norme citate e di riferimento. Spetta pertanto alla Corte costituzionale di valutare la legittimita' dell'insieme delle norme citate, dalle quali deriva un trattamento differenziato deteriore rispetto alle ipotesi prese in considerazione dal legislatore nelle disposizioni dell'art. 26 della legge n. 21/1986 e dell'art. 9 della legge n. 45/1990, che sono assimilabili sotto molti punti a quella del ricorrente, come deroghe rispetto alla esigenza economica della Cassa (e degli altri iscritti) di aumentare di cinque anni la contribuzione minima da versare per ottenere la pensione di vecchiaia, con riferimento ai principi degli artt. 38 e 3 della Costituzione.