IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza per la per la rimessione di questione di legittimita' costituzionale alla Corte Costituzionale nella causa r.g.l. n. 3773/1992 promossa da FIOM-CGIL (avv. Alberto Piccinini, dott. proc. Valerio Cerritelli e dott. proc. Francesca Ferretti), contro SMABO S.r.l. (avv. Claudio Di Biase). Oggetto: ricorso ex art. 300/1970. Svolgimento del processo 1. - Il segretario della FIOM-CGIL di Bologna ha presentato ricorso ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970 nei confronti della S.r.l. Societa' macchine utensili Bologna (sigla usata d'ora in avanti SMABO), deducendo che le richieste presentate dal sindacato ricorrente alla direzione di tale societa' perche' fossero convocate e tenute nei locali dell'azienda assemblee dei dipendenti in orario di lavoro erano state respinte dall'amministratore delegato della impresa. Il sindacato ha dedotto che si trattava di un comportamento antisindacale ai sensi della norma richiamata, in quanto l'impresa applicava il contratto collettivo di lavoro per i dipendenti di imprese metalmeccaniche della Confindustria; contratto che prevede la possibilita' per le organizzazioni sindacali della categoria di chiedere e tenere assemblee retribuite del personale nei locali dell'azienda, nell'ambito del monte-ore previsto. Il sindacato ricorrente ha precisato le seguenti conclusioni: "ritenuta l'antisindacalita' del comportamento tenuto dalla SMABO S.r.l., con sede in Bologna, via del Tipografo n. 12, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, concretatosi nella negazione del diritto delle Organizzazioni sindacali FIOM-CGIL, FIM-CISL e UILM-UIL di tenere l'assemblea retribuita del personale nelle date del 22 ottobre 1992 e 29 ottobre 1992, dalle ore 10 alle ore 12, ne' in altre date; ordinare alla SMABO S.r.l., come sopra domiciliata e rappresentata, la cessazione del comportamento sopra descritto, intimando di non frapporre ostacoli alla liberta' di convocazione delle assemblee nel posto di lavoro nel rispetto delle norme di legge e di contratto vigenti, di consentire l'accesso nei locali aziendali dei funzionari sindacali designandi dalla ricorrente organizzazione sindacale nei giorni che la stessa comunichera' e vietando per il futuro di rinnovare tale comportamento; rimuovere gli effetti del comportamento illegittimo, disponendo l'affissione dell'emanando decreto in luogo accessibile a tutti nel posto di lavoro. Con vittoria di spese, competenze ed onorari in favore dei sottoscritti procuratori antistatari". 2.1. - E' comparso di persona l'amministratore delegato della societa', Tristano Tinarelli, il quale ha dichiarato che la SMABO non aderiva ad alcuna delle associazioni di imprenditori che avevano stipulato contratti collettivi di lavoro nel settore metalmeccanico. L'impresa pagava retribuzioni nella misura di altre aziende metalmeccaniche con le quali era collegata commercialmente; retribuzioni tali da evitare che i lavoratori potessero essere indotti a lavorare per imprese concorrenti. L'amministratore ha tenuto a dichiarare che egli era stato operaio metalmeccanico e militante sindacale. Come tale aveva ricoperto anche incarichi di responsabile in Consigli di fabbrica, fino al 1975. In quell'anno egli si era dimesso da tali incarichi ed aveva iniziato a lavorare in proprio; nel tempo aveva costituito la impresa, divenuta poi la societa' SMABO. L'amministratore ha anche dichiarato che negli anni precedenti l'impresa aveva ricevuto richieste di altre organizzazioni sindacali, quali la UIL, per la convocazione di assemblee retribuite da tenere in azienda in orario di lavoro. Anche in tali casi aveva respinto le domande in quanto l'impresa non era socia di alcuna associazione di industriali, ne' dava applicazione ai contratti collettivi della categoria. Egli ha precisato di aver fatto cio' perche' consapevole che la legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) non consente alle organizzazioni sindacali di poter chiedere e tenere assemblee retribuite di lavoratori all'interno dell'azienda in orario di lavoro, con il conseguente diritto dei dipendenti alla retribuzione. 2.2. - La societa' si e' poi costituita in giudizio con difensore, il quale ha contestato la domanda proposta sotto vari profili: innanzitutto con il richiamo all'art. 20 della legge 20 maggio 1970 n. 300, che consente la convocazione di assemblee retribuite in aziende in orario di lavoro solamente alle rappresentanze sindacali aziendali. La difesa ha anche negato fondamento alla affermazione del sindacato ricorrente che l'impresa desse applicazione al contratto collettivo di lavoro dei lavoratori delle imprese metalmeccaniche aderenti alla Confindustria. 3. - Su richiesta delle parti, ma con impulso di ufficio, e' stata svolta istruttoria, anche per quanto attiene alla dedotta applicazione del C.C.N.L. citato da parte della impresa. 4. - A conclusione della istruttoria le parti hanno precisato le seguenti conclusioni: "L'avv. Ferretti, a modifica delle conclusioni formulate con ricorso introduttivo, chiede che il pretore voglia: ritenuta l'antisindacalita' del comportamento tenuto dalla SMABO S.r.l., concretatosi oltre che nella negazione del diritto delle organizzazioni sindacali FIOM-CGIL, FIM-CISL e UILM-UIL di tenere l'assemblea retribuita del personale nelle date del 22 ottobre 1992 e 29 ottobre 1992, anche nei comportamenti successivi - tra loro collegati e concretatisi nella condotta persecutoria nei confronti del dipendente Bortolini, aderente all'organizzazione sindacale FIOM-CGIL - finalisticamente rivolto all'obiettivo di impedire lo svolgimento di attivita' sindacale all'interno dell'azienda; ordinare alla SMABO S.r.l. la cessazione dei comportamenti sopra descritti, intimando di non frapporre ostacoli alla liberta' di convocazione delle assemblee nel posto di lavoro nel rispetto delle norme di legge e di contratto vigenti, ne' a qualsivoglia altra forma di esercizio della attivita' sindacale; di consentire l'accesso nei locali aziendali di funzionari sindacali designandi dalla ricorrente Organizzazione sindacale nei giorni che la stessa comunichera' e vietando per il futuro di rinnovare tali comportamenti; rimuovere gli effetti dei comportamenti illegittimi, disponendo l'affissione dell'emanando decreto in luogo accessibile a tutti nel posto di lavoro o con qualsiasi altro provvedimento ritenuto idoneo". Motivi della decisione 1. - Il pretore sospende la pronuncia nel merito delle domande presentate; ritiene infatti rilevante nel giudizio e non manifestamente infondata la legittimita' costituzionale dell'art. 20, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, la cui questione solleva d'ufficio, nei termini che si indicano. 2. - La rilevanza della questione. 2.1. - La risoluzione della controversia si fonda sulla applicazione dell'art. 20 citato. La norma dispone che le riunioni dei lavoratori nella sede di lavoro "sono indette .... dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unita' produttiva ...". Se le riunioni sono tenute "durante l'orario di lavoro" i lavoratori ricevono "la normale retribuzione" .... "nei limiti di dieci ore annue", salvo le migliori condizioni stabilite dalla contrattazione collettiva. 2.2. - Nel caso che si esamina e' risultato che le richieste di assemblea da tenersi nella sede della impresa ed in orario di lavoro sono state presentate da sindacalisti della FIOM-CGIL. 2.3. - Nella SMABO non e' mai esistita una rappresentanza sindacale aziendale. 2.4. - E' risultato invece che nell'autunno del 1992 soltanto due dei diciannove dipendenti erano iscritti ad un sindacato. Di essi soltanto uno, Daniele Bortolini - ancora dipendente della impresa al tempo della presentazione del ricorso - aveva espresso delega per la trattenuta dei contributi sindacali per la FIOM-CGIL. 2.5. - E' risultato che l'operaio Bortolini venne indicato come componente del Consiglio di fabbrica nella lettera del 18 gennaio 1993 inviata dalla FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM-UIL alla SMABO. 2.6. - Tale lettera venne affissa dallo stesso amministratore delegato Tinareli'i nella bacheca delle comunicazioni aziendali. In tal modo la designazione di Bortolini a rappresentante divenne oggetto di discussione tra i dipendenti dell'impresa. Alcuni di costoro presero la iniziativa di convocare una riunione dei dipendenti per discuterne. La prima delle due riunioni tenute si svolse nell'intervallo dell'orario di lavoro per il pasto. La seconda, a pochi giorni di distanza, nell'ultima mezz'ora dell'orario pomeridiano di lavoro. Tale riunione si protrasse anche oltre il termine dell'orario di lavoro. Nella riunione i dipendenti addebitarono a Bortolini di non aver parlato con loro della sua indicazione come componente del Consiglio di fabbrica e di non essere stato designato dai lavoratori. Le due riunioni si conclusero con la redazione di un documento, indirizzato alle organizzazioni sindacali che avevano inviato la lettera del 18 gennaio, sottoscritto da tutti i dipendenti, escluso il Bertolini. Eccone il testo: "Non riconosciamo nessuna nomina impostaci dalla suddetta lettera in quanto non risulta espressione della volonta' dei dipendenti della SMABO S.r.l. Ci riserviamo di nominare dall'interno i nostri rappresentanti qualora se ne verifichi l'esigenza". E' pure risultato che nol corso della seconda riunione - la cui durata nell'orario di lavoro si ha ragione di ritenere sia stata retribuita dalla Soc. SMABO - venne fatta la proposta, discussa e votata a schede segrete, sul punto se i dipendenti volessero una presenza e una rappresentanza sindacale nell'azienda. L'esito della votazione fu di nove favorevoli, nove contrari ed un astenuto. 3. - E' stato discusso - ed e' controvertibile in fatto ed in diritto - se si possa ritenere che la SMABO abbia dato adesione implicita alla applicazione del contratto collettivo di lavoro dei dipendenti delle industrie metalmeccaniche della confindustria, con fatti e con comportamenti concludenti, quali il riferimento ai livelli di qualifica dei dipendenti per le retribuzioni di cui alle buste paga ed in altri modi, agli effetti del presente giudizio. 4. - In base a tutti questi elementi e' percio' decisivo per la risoluzione della controversia l'art. 20 della legge n. 300/1970. Secondo quanto e' stato eccepito dovrebbe pronunciarsi il non accoglimento della domanda. Cio' e' quanto e' suffidiente per la concreta rilevanza della questione che si propone ai fini della decisione della controversia. La non manifesta infondatezza della questione. 1. - Quanto si e' esposto sulle vicende avvenute nella SMABO e nel processo fa constatare come la controversia nella sostanza concerna la concreta possibilita' per i lavoratori di una impresa di dare avvio ad una effettiva loro sindacalizzazione, con l'inzio della discussione tra essi nelle riunioni da tenere in azienda e con la successiva instaurazione - in una qualche forma - della concreta possibilita' di iniziativa, di organizzazione e di rappresentanza sindacale, per far valere in tal modo esigenze e diritti nei confronti del datore di lavoro. Questo in una situazione concretamente caratterizzata da una decisa e precisa ostilita' - quali che ne siano le ragioni - dell'imprenditore a che cio' avvenga; ostilita' con la quale si scontrano sia i lavoratori dell'azienda sia le organizzazioni sindacali per la azione loro propria di proselitismo e di difesa dei lavoratori. Il problema e la situazione di questo caso si sono presentati ripetutamente nella realta' e nei giudizi sotto vari aspetti. Casi del genere tuttora si verificano con una certa frequenza, in vecchie e nuove forme di ostilita' delle imprese alle stesse ragioni d'essere del sindacato dei lavoratori e di resistenza alla sua presenza nelle aziende. Soprattutto in questo periodo di crisi, anche dei valori della solidarieta' (art. 2 della Costituzione) e della uguaglianza (art. 3 della Costituzione): in questo tempo in cui stanno verificandosi notevoli modificazioni nelle strutture economiche del paese e nel suo sistema sociale. 2. - Nella esperienza degli ultimi venti anni molti dei casi di cui si e' detto sono stati risolti in vari modi, assai spesso con il riconoscimento delle aspirazioni dei lavoratori ad avere la presenza e la tutela sindacale all'interno della impresa, mediante la applicazione delle disposizioni dello Statuto dei lavoratori. La legge 20 maggio 1970, n. 300, e' stata infatti emanata allo scopo di consentire l'effettivo esercizio e l'altrettanto effettiva difesa dei diritti dei lavoratori all'interno delle aziende, nel confronto con l'impresa. Una chiave di volta e un fondamentale strumento usato dalla legge per la realizzazione di tale fine sono state le disposizioni dello Statuto che hanno dato concreta attuazione ai principi costituzionali di liberta' e di iniziativa sindacale, e alla possibilita' per il sindacato dei lavoratori di essere presenti con propri rappresentanti all'interno delle aziende, oltre i materiali sbarramenti ed i metaforici "cancelli" opposti dalle imprese, tramite le articolazioni delle organizzazioni sindacali, quali esistenti e quali concretamente realizzabili. 3. - Si tratta delle specifiche norme di sostegno alle organizzazioni sindacali, volte a consentire loro di "superare la situazione di crisi indotta dalla pressione di iniziative spontanee dei lavoratori che accusavano di burocratizzazione il sindacato e di far riferimento ad esso". Si tratta in particolar modo dell'art. 19 della legge, che prevede la "costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali", ad opera dei lavoratori in ogni unita' produttiva. La legge non conferisce a tutti i lavoratori tale diritto; ma solo a quelli che operino nell'ambito "delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale" e "delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette Confederazioni; che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unita' produttiva". 4. - Nei confronti di tale norma, storicamente e politicamente qualificata e significativa, sono state sollevate questioni di legittimita' costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, risolte dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 54 del 6 marzo 1974 nel senso della non fondatezza. E' stata riconosciuta la razionalita' della disposizione che limita la Costituzione delle "rappresentanze in un ambito nel quale ai poteri ad esse riconosciuti faccia riscontro una effettiviva capacita' di rappresentanza degli interessi sindacali", quale verificabile oggettivamente con riferimento anche all'"aver firmato contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro, applicati nell'unita' produttiva". 5. - Non si intende riproporre alla Corte costituzionale le questioni gia' decise. Si fa riferimento, anzi, agli orientamenti espressi dalla Corte per sottoporle un diverso quesito. A proposito del diritto di assemblea e' stato autorevolmente scritto da chi ha contribuito grandemente alla redazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori che "la legge (art. 20) dispone che i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell'unita' produttiva in cui prestano la loro opera. In verita' la riunione costituisce uno dei modi di manifestazione della liberta' di pensiero e, quindi, rientrerebbe nella materia dell'art. 1 della legge, nel quale appunto si afferma che "i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge". Tuttavia, la riunione, nella forma dell'assemblea, ha ricevuto una disciplina specifica in quanto, a differenza di altri mezzi di espressione del pensiero, l'esercizio di tale liberta' implica che il datore di lavoro metta a disposizione locali di propria pertinenza e, comunque, richiede una sua collaborazione. Egli infatti deve porre in essere quanto e' necessario affinche' l'assemblea possa svolgersi: non soltanto il lo- cale ma il libero accesso ad esso, l'illuminazione e cosi' via. Da cio e' derivata l'esigenza di circoscrivere il diritto, come si vedra' innanzi, alle riunioni qualificate dalla loro diretta pertinenza con la condizione di lavoro. Ove una riunione di altro tipo avesse carattere di assembramento casuale, essa non sarebbe comunque fuori dal campo di applicazione della legge e dovrebbe ritenersi legittimata dall'art. 1 (naturalmente fatti salvi i limiti che lo stesso pone). Il diritto di riunirsi in assemblea incontra una serie di limiti. Le assemblee si svolgono, di regola, fuori dell'orario di lavoro, tuttavia esse possono avore luogo anche durante l'orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue per le quali va corrisposta la normale retribuzione. La funzione di questa disposizione, che era gia' maturata in alcuni accordi sindacali, e' evidentemente quella di favorire la partecipazione dei lavoratori alle assemblee. Ciascun lavoratore, quindi, ha dieci ore annue retribuite da poter utilizzare in assemblee; la mancata partecipazione a queste ultime non comporta il suo esonero dall'obbligo di effettuare la prestazione lavorativa, e cosi' la mancata utilizzazione delle suddette ore non comporta che il lavoratore possa pretenderne il pagamento. Per impedire un uso poco responsabile del diritto di assemblea la norma prevede che le riunioni debbano essere convocate - e di tale convocazione va data comunicazione al datore di lavoro - dalle r.s.a., singolarmente o congiuntamente. Il legislatore ha quindi escluso qualsiasi possibilita' di assemblee convocate da organismi diversi dalle r.s.a. come individuate dall'art. 19. Si tratta di un limite che e' stato da taluni criticato, ma che risponde alla logica della legge, diretta a favorire la presenza del sindacato rappresentativo nella azienda e nel contempo la partecipazione dei lavoratori all'attivita' dei sindacati". 6. - Nel caso che si esamina la richiesta delle organizzazioni sindacali presenti nella zona di tenere assemblee dei lavoratori in azienda in orario di lavoro sono state contrastate e respinte dal datore di lavoro con il preciso richiamo all'art. 20. Le assemblee convocate dal sindacato al di fuori dell'azienda e dell'orario di lavoro sono andate deserte. I lavoratori della SMABO hanno invece tenuto due riunioni in azienda, una delle quali nel tempo della pausa per la mensa; l'altra in orario di lavoro, anche se al suo termine (con il consenso del datore di lavoro che ha retribuito i dipendenti), per discutere la possibilita' della sindacalizzazione e di una possibile e futura designazione di un loro rappresentante. 7. - Nel delibare sommariamente la questione si ripete la ovvia, basilare considerazione che il diritto di riunione nei locali della impresa per discutere tra dipendenti spetta sicuramente a ciascuno dei lavoratori ed a tutti i dipendenti. Per la natura ed il contenuto del diritto esso non puo' essere esercitato se non in modo cumulativo (come del resto la norma prevede), con il necessitato apporto della impresa, obbligata a pre- stare il consenso al suo esercizio e a fornire i mezzi materiali per lo svolgimento della riunione. Il diritto dei lavoratori di riunirsi nell'ambiente di lavoro e' espressione e concreta traduzione normativa dei principi e delle norme costituzionali fondamentali di liberta' e di domocrazia che connotano la Repubblica: in particolare della liberta' di associazione (art. 18) e di manifestazione del pensiero (art. 21), anche nell'ambiente di lavoro, della liberta' sindacale (art. 39) e della pari dignita' di tutti i lavoratori (artt. 3 e 41), nel luogo in cui essi operano come subordinati alla gerarchia della impresa. Su tale elementare e non contestato diritto dei lavratori dipendenti a riunirsi nel luogo di lavoro, mai al di fuori dell'orario di lavoro non si pongono problemi che si riferiscano, in linea generale, a principi e a norme della Costituzione: ma solo quelli particolari della realizzazione concreta, per la armonizzazione del diritto con le strutture dell'impresa. Il dubbio che si propone alla Corte costituzionale riguarda la piu' particolare fattispecie della riunione chiesta al datore di lavoro, da tenere nell'orario di lavoro, con il mantenimento del diritto alla normale retribuzione. La norma, infatti, subordina o condiziona il diritto dei lavoratori a promuovore o a partecipare a riunioni con i colleghi della impresa per discutere dei problemi del loro lavoro nell'ambiente ove esso viene prestato, nell'orario di lavoro e con il mantenimento del diritto alla normale retribuzione, nella misura di dieci ore all'anno, al fatto che nell'azienda sia costituita una rappresentanza sindacale secondo le possibilita' indidate dall'art. 19 ed al fatto che tale organismo abbia presentato la richiesta della riunione, con la scelta del tema da trattare. Il problema che si pone e' se tale limitazione del diritto di riunione, che e' affermato spettare a tutti i dipendenti e a ciascuno di loro, come espressione dei diritti costituzionali ricordati, possa subire il limite previsto nell'art. 20 dello statuto, che puo' apparire non sufficientemente giustificato, o non ulteriormente giustificabile. Si sottopone tale quesito alla Corte costituzionale, anche in relazione all'ulteriore sviluppo delle dinamiche sociali riguardanti anche le organizzazioni sindacali, e la loro presenza nelle aziende, di cui e' stata espressione l'accordo del luglio 1993 e del conseguente accordo interconfederale del 1 dicembre 1993, sulla elezione delle rappresentanze sindacali unitarie nelle imprese. Di fatto il caso in esame segnala come il criterio normativo adottato dall'art. 20 citato costituisce un limite oggettivo per la liberta' e la iniziativa di natura sindacale di tutti i lavoratori di riunirsi in assemblea nel posto e in orario di lavoro per la differenza di trattamento che incontestabilmente sussiste, e come esso sia ed e' sentito dai lavoratori, in tale modo. Naturalmente compete al legislatore di disciplinare in maniera concreta la possibilita' per tutti i lavoratori dipendenti di una azienda, e per ciascuno di essi, di chiedere e di ottenere riunioni nelle unita' produttive per trattare di temi del lavoro e di interesse sindacale, nei limiti della misura minima che dovrebbe valere per tutti, con il mantenimento della retribuzione. Spetta alla Corte, cui si rimette la questione, di decidere se l'attuale disciplina data alla materia dall'art. 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, rispetti i criteri e i principi costituzionali ricordati.