IL PRETORE
    Ha emesso la seguente  ordinanza  per  la  per  la  rimessione  di
 questione  di  legittimita'  costituzionale alla Corte Costituzionale
 nella causa r.g.l. n. 3773/1992 promossa da FIOM-CGIL  (avv.  Alberto
 Piccinini,  dott.  proc.  Valerio  Cerritelli e dott. proc. Francesca
 Ferretti), contro SMABO S.r.l. (avv. Claudio Di Biase).
    Oggetto: ricorso ex art. 300/1970.
                       Svolgimento del processo
    1. - Il  segretario  della  FIOM-CGIL  di  Bologna  ha  presentato
 ricorso  ai  sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970 nei confronti
 della S.r.l. Societa' macchine utensili Bologna (sigla usata d'ora in
 avanti SMABO), deducendo che le richieste  presentate  dal  sindacato
 ricorrente  alla direzione di tale societa' perche' fossero convocate
 e tenute nei locali dell'azienda assemblee dei dipendenti  in  orario
 di  lavoro  erano  state  respinte dall'amministratore delegato della
 impresa.
    Il sindacato ha  dedotto  che  si  trattava  di  un  comportamento
 antisindacale  ai  sensi  della norma richiamata, in quanto l'impresa
 applicava il contratto collettivo  di  lavoro  per  i  dipendenti  di
 imprese metalmeccaniche della Confindustria; contratto che prevede la
 possibilita'  per  le  organizzazioni  sindacali  della  categoria di
 chiedere e tenere  assemblee  retribuite  del  personale  nei  locali
 dell'azienda, nell'ambito del monte-ore previsto.
    Il sindacato ricorrente ha precisato le seguenti conclusioni:
      "ritenuta  l'antisindacalita'  del  comportamento  tenuto  dalla
 SMABO S.r.l., con sede in  Bologna,  via  del  Tipografo  n.  12,  in
 persona del suo legale rappresentante pro tempore, concretatosi nella
 negazione  del  diritto  delle  Organizzazioni  sindacali  FIOM-CGIL,
 FIM-CISL e UILM-UIL di tenere l'assemblea  retribuita  del  personale
 nelle  date  del 22 ottobre 1992 e 29 ottobre 1992, dalle ore 10 alle
 ore 12, ne' in altre date;
      ordinare  alla  SMABO   S.r.l.,   come   sopra   domiciliata   e
 rappresentata,  la  cessazione  del  comportamento  sopra  descritto,
 intimando di non frapporre ostacoli  alla  liberta'  di  convocazione
 delle assemblee nel posto di lavoro nel rispetto delle norme di legge
 e  di contratto vigenti, di consentire l'accesso nei locali aziendali
 dei funzionari sindacali designandi dalla  ricorrente  organizzazione
 sindacale  nei  giorni  che  la stessa comunichera' e vietando per il
 futuro di rinnovare tale comportamento;
      rimuovere gli effetti del comportamento illegittimo,  disponendo
 l'affissione  dell'emanando  decreto in luogo accessibile a tutti nel
 posto di lavoro.
    Con vittoria  di  spese,  competenze  ed  onorari  in  favore  dei
 sottoscritti procuratori antistatari".
    2.1.  -  E'  comparso  di  persona l'amministratore delegato della
 societa', Tristano Tinarelli, il quale ha dichiarato che la SMABO non
 aderiva ad alcuna delle  associazioni  di  imprenditori  che  avevano
 stipulato  contratti collettivi di lavoro nel settore metalmeccanico.
 L'impresa   pagava   retribuzioni   nella  misura  di  altre  aziende
 metalmeccaniche  con  le   quali   era   collegata   commercialmente;
 retribuzioni  tali  da  evitare  che  i  lavoratori  potessero essere
 indotti a lavorare per imprese concorrenti.
    L'amministratore ha tenuto a dichiarare che egli era stato operaio
 metalmeccanico e militante sindacale. Come tale aveva ricoperto anche
 incarichi di responsabile in Consigli di fabbrica, fino al 1975.
    In quell'anno egli si era  dimesso  da  tali  incarichi  ed  aveva
 iniziato  a  lavorare  in  proprio;  nel  tempo  aveva  costituito la
 impresa, divenuta poi la societa' SMABO.
    L'amministratore ha anche dichiarato  che  negli  anni  precedenti
 l'impresa aveva ricevuto richieste di altre organizzazioni sindacali,
 quali  la  UIL, per la convocazione di assemblee retribuite da tenere
 in azienda in orario di lavoro.
    Anche in tali casi aveva respinto le domande in  quanto  l'impresa
 non  era  socia  di  alcuna  associazione  di  industriali,  ne' dava
 applicazione ai contratti collettivi della categoria.
    Egli ha precisato di aver fatto cio' perche'  consapevole  che  la
 legge   n.  300/1970  (Statuto  dei  lavoratori)  non  consente  alle
 organizzazioni  sindacali  di  poter  chiedere  e  tenere   assemblee
 retribuite  di  lavoratori  all'interno  dell'azienda  in  orario  di
 lavoro, con il conseguente diritto dei dipendenti alla retribuzione.
    2.2. - La societa' si e' poi costituita in giudizio con difensore,
 il quale ha  contestato  la  domanda  proposta  sotto  vari  profili:
 innanzitutto  con  il richiamo all'art. 20 della legge 20 maggio 1970
 n. 300, che consente  la  convocazione  di  assemblee  retribuite  in
 aziende  in  orario di lavoro solamente alle rappresentanze sindacali
 aziendali.
    La  difesa  ha  anche  negato  fondamento  alla  affermazione  del
 sindacato  ricorrente  che  l'impresa desse applicazione al contratto
 collettivo di lavoro dei  lavoratori  delle  imprese  metalmeccaniche
 aderenti alla Confindustria.
    3. - Su richiesta delle parti, ma con impulso di ufficio, e' stata
 svolta   istruttoria,   anche   per   quanto   attiene  alla  dedotta
 applicazione del C.C.N.L. citato da parte della impresa.
    4. - A conclusione della istruttoria le parti hanno  precisato  le
 seguenti  conclusioni: "L'avv. Ferretti, a modifica delle conclusioni
 formulate con ricorso introduttivo, chiede che il pretore voglia:
      ritenuta l'antisindacalita' del comportamento tenuto dalla SMABO
 S.r.l., concretatosi oltre che  nella  negazione  del  diritto  delle
 organizzazioni  sindacali  FIOM-CGIL,  FIM-CISL  e UILM-UIL di tenere
 l'assemblea retribuita del personale nelle date del 22 ottobre 1992 e
 29 ottobre 1992,  anche  nei  comportamenti  successivi  -  tra  loro
 collegati  e  concretatisi  nella condotta persecutoria nei confronti
 del  dipendente  Bortolini,  aderente  all'organizzazione   sindacale
 FIOM-CGIL  -  finalisticamente  rivolto  all'obiettivo di impedire lo
 svolgimento di attivita' sindacale all'interno dell'azienda;
      ordinare alla SMABO S.r.l. la cessazione dei comportamenti sopra
 descritti, intimando di  non  frapporre  ostacoli  alla  liberta'  di
 convocazione  delle  assemblee nel posto di lavoro nel rispetto delle
 norme di legge e di contratto vigenti, ne' a qualsivoglia altra forma
 di esercizio della attivita' sindacale; di consentire  l'accesso  nei
 locali  aziendali di funzionari sindacali designandi dalla ricorrente
 Organizzazione  sindacale  nei  giorni  che  la stessa comunichera' e
 vietando per il futuro di rinnovare tali comportamenti;
      rimuovere gli effetti dei comportamenti illegittimi,  disponendo
 l'affissione  dell'emanando  decreto in luogo accessibile a tutti nel
 posto di lavoro o con qualsiasi altro provvedimento ritenuto idoneo".
                        Motivi della decisione
    1. - Il pretore sospende la pronuncia  nel  merito  delle  domande
 presentate;   ritiene   infatti   rilevante   nel   giudizio   e  non
 manifestamente infondata la legittimita' costituzionale dell'art. 20,
 secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, la  cui  questione
 solleva d'ufficio, nei termini che si indicano.
    2. - La rilevanza della questione.
    2.1.   -   La   risoluzione  della  controversia  si  fonda  sulla
 applicazione dell'art. 20 citato.
    La norma dispone che le riunioni  dei  lavoratori  nella  sede  di
 lavoro  "sono  indette  .... dalle rappresentanze sindacali aziendali
 nell'unita' produttiva ...". Se  le  riunioni  sono  tenute  "durante
 l'orario  di  lavoro" i lavoratori ricevono "la normale retribuzione"
 .... "nei limiti di dieci ore annue", salvo  le  migliori  condizioni
 stabilite dalla contrattazione collettiva.
    2.2.  -  Nel  caso che si esamina e' risultato che le richieste di
 assemblea da tenersi nella sede della impresa ed in orario di  lavoro
 sono state presentate da sindacalisti della FIOM-CGIL.
    2.3.  -  Nella  SMABO  non  e'  mai  esistita  una  rappresentanza
 sindacale aziendale.
    2.4. - E' risultato invece che nell'autunno del 1992 soltanto  due
 dei  diciannove  dipendenti  erano  iscritti ad un sindacato. Di essi
 soltanto uno, Daniele Bortolini - ancora dipendente della impresa  al
 tempo  della presentazione del ricorso - aveva espresso delega per la
 trattenuta dei contributi sindacali per la FIOM-CGIL.
    2.5. - E' risultato che l'operaio Bortolini  venne  indicato  come
 componente  del  Consiglio  di  fabbrica nella lettera del 18 gennaio
 1993 inviata dalla FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM-UIL alla SMABO.
    2.6. - Tale lettera  venne  affissa  dallo  stesso  amministratore
 delegato Tinareli'i nella bacheca delle comunicazioni aziendali.
    In  tal modo la designazione di Bortolini a rappresentante divenne
 oggetto di discussione tra i dipendenti dell'impresa.
    Alcuni di costoro presero la iniziativa di convocare una  riunione
 dei dipendenti per discuterne.
    La  prima  delle  due  riunioni  tenute  si svolse nell'intervallo
 dell'orario di lavoro per il pasto.
    La seconda, a  pochi  giorni  di  distanza,  nell'ultima  mezz'ora
 dell'orario pomeridiano di lavoro.
    Tale  riunione  si protrasse anche oltre il termine dell'orario di
 lavoro.
    Nella riunione i dipendenti addebitarono a Bortolini di  non  aver
 parlato  con loro della sua indicazione come componente del Consiglio
 di fabbrica e di non essere stato designato dai lavoratori.
    Le due riunioni si conclusero con la redazione  di  un  documento,
 indirizzato  alle  organizzazioni  sindacali  che  avevano inviato la
 lettera del 18 gennaio, sottoscritto da tutti i  dipendenti,  escluso
 il  Bertolini.  Eccone  il  testo:  "Non  riconosciamo nessuna nomina
 impostaci dalla suddetta lettera in quanto  non  risulta  espressione
 della volonta' dei dipendenti della SMABO S.r.l.
    Ci  riserviamo  di  nominare  dall'interno i nostri rappresentanti
 qualora se ne verifichi l'esigenza".
    E' pure risultato che nol corso della seconda riunione  -  la  cui
 durata  nell'orario  di  lavoro  si  ha ragione di ritenere sia stata
 retribuita dalla Soc. SMABO - venne fatta  la  proposta,  discussa  e
 votata  a  schede  segrete,  sul  punto se i dipendenti volessero una
 presenza e una rappresentanza sindacale nell'azienda.
    L'esito della votazione fu di nove favorevoli, nove contrari ed un
 astenuto.
    3. - E' stato discusso - ed e'  controvertibile  in  fatto  ed  in
 diritto  -  se  si  possa  ritenere  che la SMABO abbia dato adesione
 implicita alla applicazione del contratto collettivo  di  lavoro  dei
 dipendenti  delle  industrie metalmeccaniche della confindustria, con
 fatti e  con  comportamenti  concludenti,  quali  il  riferimento  ai
 livelli  di  qualifica dei dipendenti per le retribuzioni di cui alle
 buste paga ed in altri modi, agli effetti del presente giudizio.
    4. - In base a tutti questi elementi e' percio'  decisivo  per  la
 risoluzione della controversia l'art. 20 della legge n. 300/1970.
    Secondo  quanto  e'  stato  eccepito  dovrebbe pronunciarsi il non
 accoglimento della domanda.
    Cio' e' quanto e' suffidiente  per  la  concreta  rilevanza  della
 questione che si propone ai fini della decisione della controversia.
    La non manifesta infondatezza della questione.
    1. - Quanto si e' esposto sulle vicende avvenute nella SMABO e nel
 processo  fa  constatare come la controversia nella sostanza concerna
 la concreta possibilita' per i lavoratori  di  una  impresa  di  dare
 avvio  ad  una  effettiva  loro  sindacalizzazione, con l'inzio della
 discussione tra essi nelle riunioni da tenere in  azienda  e  con  la
 successiva  instaurazione  -  in  una  qualche forma - della concreta
 possibilita' di iniziativa, di  organizzazione  e  di  rappresentanza
 sindacale,  per  far  valere  in  tal  modo  esigenze  e  diritti nei
 confronti del datore di lavoro.
    Questo in  una  situazione  concretamente  caratterizzata  da  una
 decisa  e  precisa  ostilita'  -  quali  che  ne  siano  le ragioni -
 dell'imprenditore a che cio'  avvenga;  ostilita'  con  la  quale  si
 scontrano   sia  i  lavoratori  dell'azienda  sia  le  organizzazioni
 sindacali per la azione loro propria di proselitismo e di difesa  dei
 lavoratori.
    Il  problema  e  la  situazione  di questo caso si sono presentati
 ripetutamente nella realta' e nei giudizi sotto  vari  aspetti.  Casi
 del  genere tuttora si verificano con una certa frequenza, in vecchie
 e nuove forme di ostilita' delle imprese alle stesse ragioni d'essere
 del sindacato dei lavoratori e di resistenza alla sua presenza  nelle
 aziende.
    Soprattutto  in  questo  periodo  di crisi, anche dei valori della
 solidarieta' (art. 2 della Costituzione) e della uguaglianza (art.  3
 della  Costituzione):  in  questo  tempo  in cui stanno verificandosi
 notevoli modificazioni nelle strutture economiche del paese e nel suo
 sistema sociale.
    2. - Nella esperienza degli ultimi venti anni molti  dei  casi  di
 cui  si e' detto sono stati risolti in vari modi, assai spesso con il
 riconoscimento delle aspirazioni dei lavoratori ad avere la  presenza
 e   la  tutela  sindacale  all'interno  della  impresa,  mediante  la
 applicazione delle disposizioni dello Statuto dei lavoratori.
    La  legge  20  maggio  1970, n. 300, e' stata infatti emanata allo
 scopo di consentire l'effettivo esercizio e  l'altrettanto  effettiva
 difesa  dei  diritti  dei  lavoratori  all'interno delle aziende, nel
 confronto con l'impresa.
    Una chiave di volta e un fondamentale strumento usato dalla  legge
 per  la  realizzazione  di tale fine sono state le disposizioni dello
 Statuto che hanno dato concreta attuazione ai principi costituzionali
 di liberta' e di iniziativa sindacale, e  alla  possibilita'  per  il
 sindacato dei lavoratori di essere presenti con propri rappresentanti
 all'interno  delle  aziende,  oltre  i  materiali  sbarramenti  ed  i
 metaforici "cancelli" opposti dalle imprese, tramite le articolazioni
 delle organizzazioni sindacali, quali esistenti e quali concretamente
 realizzabili.
    3.  -  Si  tratta  delle  specifiche  norme   di   sostegno   alle
 organizzazioni  sindacali,  volte  a  consentire loro di "superare la
 situazione di crisi indotta dalla pressione di  iniziative  spontanee
 dei  lavoratori che accusavano di burocratizzazione il sindacato e di
 far riferimento ad esso".
    Si tratta in particolar modo dell'art. 19 della legge, che prevede
 la "costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali", ad  opera
 dei lavoratori in ogni unita' produttiva.
    La legge non conferisce a tutti i lavoratori tale diritto; ma solo
 a  quelli  che  operino nell'ambito "delle associazioni aderenti alle
 Confederazioni maggiormente rappresentative sul  piano  nazionale"  e
 "delle   associazioni   sindacali,   non   affiliate   alle  predette
 Confederazioni;  che  siano  firmatarie   di   contratti   collettivi
 nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unita' produttiva".
    4.  -  Nei  confronti  di tale norma, storicamente e politicamente
 qualificata  e  significativa,  sono  state  sollevate  questioni  di
 legittimita'  costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 39 della
 Costituzione, risolte dalla Corte costituzionale fin  dalla  sentenza
 n. 54 del 6 marzo 1974 nel senso della non fondatezza.
    E'  stata  riconosciuta  la  razionalita'  della  disposizione che
 limita la Costituzione delle "rappresentanze in un ambito  nel  quale
 ai  poteri  ad  esse  riconosciuti  faccia  riscontro una effettiviva
 capacita'  di  rappresentanza  degli  interessi   sindacali",   quale
 verificabile  oggettivamente  con riferimento anche all'"aver firmato
 contratti collettivi nazionali o  provinciali  di  lavoro,  applicati
 nell'unita' produttiva".
    5.  -  Non  si  intende  riproporre  alla  Corte costituzionale le
 questioni gia' decise.
    Si fa riferimento, anzi, agli orientamenti  espressi  dalla  Corte
 per sottoporle un diverso quesito.
    A  proposito  del  diritto  di  assemblea  e' stato autorevolmente
 scritto da  chi  ha  contribuito  grandemente  alla  redazione  dello
 Statuto  dei  diritti  dei lavoratori che "la legge (art. 20) dispone
 che i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell'unita' produttiva  in
 cui  prestano  la  loro opera. In verita' la riunione costituisce uno
 dei modi di manifestazione della  liberta'  di  pensiero  e,  quindi,
 rientrerebbe nella materia dell'art. 1 della legge, nel quale appunto
 si   afferma   che  "i  lavoratori,  senza  distinzione  di  opinioni
 politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto,  nei  luoghi
 dove  prestano  la  loro opera, di manifestare liberamente il proprio
 pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle  norme
 della   presente   legge".   Tuttavia,   la   riunione,  nella  forma
 dell'assemblea, ha ricevuto una disciplina  specifica  in  quanto,  a
 differenza di altri mezzi di espressione del pensiero, l'esercizio di
 tale  liberta'  implica  che il datore di lavoro metta a disposizione
 locali  di  propria  pertinenza  e,  comunque,   richiede   una   sua
 collaborazione.   Egli   infatti  deve  porre  in  essere  quanto  e'
 necessario affinche' l'assemblea possa svolgersi: non soltanto il lo-
 cale ma il libero accesso ad esso, l'illuminazione e cosi' via.
    Da cio e' derivata l'esigenza di circoscrivere il diritto, come si
 vedra'  innanzi,  alle  riunioni  qualificate  dalla   loro   diretta
 pertinenza  con  la  condizione  di lavoro. Ove una riunione di altro
 tipo avesse carattere di  assembramento  casuale,  essa  non  sarebbe
 comunque  fuori  dal  campo  di  applicazione  della legge e dovrebbe
 ritenersi legittimata dall'art. 1 (naturalmente fatti salvi i  limiti
 che lo stesso pone).
    Il diritto di riunirsi in assemblea incontra una serie di limiti.
    Le  assemblee si svolgono, di regola, fuori dell'orario di lavoro,
 tuttavia esse possono avore luogo anche durante  l'orario  di  lavoro
 nei  limiti di dieci ore annue per le quali va corrisposta la normale
 retribuzione. La  funzione  di  questa  disposizione,  che  era  gia'
 maturata  in  alcuni  accordi  sindacali,  e' evidentemente quella di
 favorire la partecipazione dei  lavoratori  alle  assemblee.  Ciascun
 lavoratore, quindi, ha dieci ore annue retribuite da poter utilizzare
 in  assemblee; la mancata partecipazione a queste ultime non comporta
 il suo esonero dall'obbligo di effettuare la prestazione  lavorativa,
 e  cosi' la mancata utilizzazione delle suddette ore non comporta che
 il lavoratore possa pretenderne il pagamento.
    Per impedire un uso poco responsabile del diritto di assemblea  la
 norma  prevede  che  le riunioni debbano essere convocate - e di tale
 convocazione va data  comunicazione  al  datore  di  lavoro  -  dalle
 r.s.a.,  singolarmente  o  congiuntamente.  Il  legislatore ha quindi
 escluso qualsiasi possibilita' di assemblee  convocate  da  organismi
 diversi  dalle  r.s.a. come individuate dall'art. 19. Si tratta di un
 limite che e' stato da taluni criticato, ma che risponde alla  logica
 della   legge,   diretta   a   favorire  la  presenza  del  sindacato
 rappresentativo nella azienda e nel contempo  la  partecipazione  dei
 lavoratori all'attivita' dei sindacati".
    6.  -  Nel  caso  che si esamina la richiesta delle organizzazioni
 sindacali presenti nella zona di tenere assemblee dei  lavoratori  in
 azienda  in  orario  di  lavoro sono state contrastate e respinte dal
 datore di lavoro con il preciso richiamo all'art. 20.
    Le assemblee convocate dal sindacato al di  fuori  dell'azienda  e
 dell'orario di lavoro sono andate deserte.
    I  lavoratori  della  SMABO  hanno  invece  tenuto due riunioni in
 azienda, una delle quali nel tempo della pausa per la mensa;  l'altra
 in  orario  di  lavoro,  anche se al suo termine (con il consenso del
 datore di lavoro che ha retribuito i dipendenti),  per  discutere  la
 possibilita'  della  sindacalizzazione  e  di  una possibile e futura
 designazione di un loro rappresentante.
    7. - Nel delibare sommariamente la questione si ripete  la  ovvia,
 basilare  considerazione  che il diritto di riunione nei locali della
 impresa per discutere tra dipendenti spetta  sicuramente  a  ciascuno
 dei lavoratori ed a tutti i dipendenti.
    Per  la  natura  ed  il contenuto del diritto esso non puo' essere
 esercitato se non  in  modo  cumulativo  (come  del  resto  la  norma
 prevede),  con il necessitato apporto della impresa, obbligata a pre-
 stare il consenso al suo esercizio e a fornire i mezzi materiali  per
 lo svolgimento della riunione.
    Il  diritto  dei lavoratori di riunirsi nell'ambiente di lavoro e'
 espressione e concreta traduzione  normativa  dei  principi  e  delle
 norme  costituzionali  fondamentali  di  liberta' e di domocrazia che
 connotano  la  Repubblica:   in   particolare   della   liberta'   di
 associazione  (art.  18)  e di manifestazione del pensiero (art. 21),
 anche nell'ambiente di lavoro, della liberta' sindacale (art.  39)  e
 della  pari  dignita' di tutti i lavoratori (artt. 3 e 41), nel luogo
 in cui essi operano come subordinati alla gerarchia della impresa.
    Su  tale  elementare  e  non  contestato  diritto  dei   lavratori
 dipendenti   a  riunirsi  nel  luogo  di  lavoro,  mai  al  di  fuori
 dell'orario di lavoro non si pongono problemi che si riferiscano,  in
 linea  generale,  a  principi  e  a norme della Costituzione: ma solo
 quelli   particolari   della   realizzazione   concreta,    per    la
 armonizzazione del diritto con le strutture dell'impresa.
    Il  dubbio  che  si  propone alla Corte costituzionale riguarda la
 piu' particolare fattispecie della  riunione  chiesta  al  datore  di
 lavoro,  da  tenere  nell'orario  di  lavoro, con il mantenimento del
 diritto alla normale retribuzione.
    La  norma,  infatti,  subordina  o  condiziona  il   diritto   dei
 lavoratori  a  promuovore  o  a partecipare a riunioni con i colleghi
 della  impresa  per  discutere   dei   problemi   del   loro   lavoro
 nell'ambiente ove esso viene prestato, nell'orario di lavoro e con il
 mantenimento  del  diritto alla normale retribuzione, nella misura di
 dieci ore all'anno, al fatto  che  nell'azienda  sia  costituita  una
 rappresentanza  sindacale  secondo le possibilita' indidate dall'art.
 19 ed al fatto che tale organismo abbia presentato la richiesta della
 riunione, con la scelta del tema da trattare.
    Il problema che si pone e' se  tale  limitazione  del  diritto  di
 riunione, che e' affermato spettare a tutti i dipendenti e a ciascuno
 di loro, come espressione dei diritti costituzionali ricordati, possa
 subire  il  limite  previsto  nell'art.  20  dello  statuto, che puo'
 apparire  non  sufficientemente  giustificato,  o  non  ulteriormente
 giustificabile.
    Si  sottopone  tale  quesito  alla  Corte costituzionale, anche in
 relazione all'ulteriore sviluppo delle dinamiche sociali  riguardanti
 anche  le organizzazioni sindacali, e la loro presenza nelle aziende,
 di  cui  e'  stata  espressione  l'accordo  del  luglio  1993  e  del
 conseguente  accordo  interconfederale  del  1  dicembre  1993, sulla
 elezione delle rappresentanze sindacali unitarie nelle imprese.
    Di fatto il caso in  esame  segnala  come  il  criterio  normativo
 adottato  dall'art.  20 citato costituisce un limite oggettivo per la
 liberta' e la iniziativa di natura sindacale di tutti i lavoratori di
 riunirsi in assemblea  nel  posto  e  in  orario  di  lavoro  per  la
 differenza  di  trattamento  che  incontestabilmente sussiste, e come
 esso sia ed e' sentito dai lavoratori, in tale modo.
    Naturalmente compete al legislatore  di  disciplinare  in  maniera
 concreta  la  possibilita'  per  tutti i lavoratori dipendenti di una
 azienda, e per ciascuno di essi, di chiedere e di  ottenere  riunioni
 nelle  unita'  produttive  per  trattare  di  temi  del  lavoro  e di
 interesse sindacale, nei limiti  della  misura  minima  che  dovrebbe
 valere per tutti, con il mantenimento della retribuzione.
    Spetta  alla  Corte,  cui  si rimette la questione, di decidere se
 l'attuale disciplina data alla materia dall'art. 20  della  legge  20
 maggio  1970,  n. 300, rispetti i criteri e i principi costituzionali
 ricordati.