Ricorre  la regione Piemonte in persona del presidente della giunta
 regionale on.le Gian Paolo Brizio,  autorizzato  con  delibera  della
 giunta  regionale  n.  8/39155  del  17 ottobre 1994, rappresentato e
 difeso (in virtu' di procura autenticata dal notaio Gennaro  Viscusi,
 coadiutore del notaio Andrea Pantalani di Torino del 21 ottobre 1994,
 rep.  262752)  dall'avv.  Enrico  Romanelli,  e  presso lo studio del
 medesimo elettivamente domiciliato  in  Roma,  via  Cosseria,  n.  5,
 contro  la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dell'on.
 Presidente del Consiglio pro-tempore, domiciliato per  la  carica  in
 Roma,  Palazzo  Chigi,  nonche'  presso  l'Avvocatura  generale dello
 Stato,  via  dei  Portoghesi  n.   12,   per   la   declaratoria   di
 illegittimita'  costituzionale  del  d.l. 23 settembre 1994, n. 551,
 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie  generale,  parte  I,  n.
 226,  del 27 settembre 1994), recante "Misure urgenti per il rilancio
 economico  ed  occupazionale  dei  lavori  pubblici  e  dell'edilizia
 privata".
                           PREMESSO IN FATTO
    Sulle   competenze   normative   regionali   ex   art.  117  della
 Costituzione in materia  di  urbanistica  e  di  lavori  pubblici  di
 interesse   regionale,  e  sulle  correlate  funzioni  amministrative
 regionali di  cui  all'art.  118  della  Costituzione  e'  venuto  ad
 illegittimamente incidere, senza prendere in alcuna considerazione la
 posizione  delle regioni, il d.l. 23 settembre 1994, n. 551 (emanato
 di assenza  dei  necessari  presupposti  di  cui  all'art.  77  della
 Costituzione).
    Peraltro, il decreto legge in questione integra una violazione dei
 principi  dettati  dagli  artt.  3,  9  e 97 della Costituzione della
 Repubblica.
                              IN DIRITTO
    1. - Il decreto legge oggi all'esame di codesta ecc.ma Corte reca,
 a pochi anni di distanza dall'analogo intervento operato con la legge
 n.  47/1985,  un  nuovo provvedimento di sanatoria per opere edilizie
 realizzate abusivamente.
    Con l'art. 1 viene infatti prevista la  possibilita'  di  ottenere
 una  concessione  od  un'autorizzazione  in  sanatoria  per  le opere
 edilizie realizzate abusivamente entro il 31 dicembre 1983.
    Deve  denunziarsi  al  riguardo  la  violazione  della  competenza
 legislativa   regionale   in   materia  di  urbanistica,  cosi'  come
 attribuita dall'art. 117 della Costituzione.
    Sembra evidente che, rispetto alla norma in questione,  stante  il
 suo  contenuto  specifico,  dichiaratamente  posta  ad introdurre una
 "deroga" ai principi  dello  Stato  di  diritto  (risiedendo  la  sua
 essenza  nella  realizzazione  del c.d. "condono edilizio"), non puo'
 essere utilmente invocato alcuno dei  limiti  che  l'art.  117  della
 Costituzione pone alle attribuzioni normative regionali.
    D'altra  parte,  elemento  sintomatico  dell'assenza  nella  norma
 impugnata di contenuti  idonei  a  vincolare  la  potesta'  normativa
 regionale, e' anche la circostanza nel decreto in esame, diversamente
 da     altri     recenti    interventi    normativi,    e'    mancata
 l'autoqualificazione (comunque, secondo la giurisprudenza di  codesta
 ecc.ma Corte costituzionale, irrilevante) come "legge quadro", ovvero
 come disciplina statale che rechi norme di principio.
    Deve  rilevarsi  che  una reiterazione del condono a pochi anni di
 distanza ottiene come effetto principale quello di  delegittimare  la
 tutela  urbanistica del territorio, che avrebbe dovuto essere seguita
 dallo  Stato  centrale,  a   cio'   impegnato   dall'art.   9   della
 Costituzione,   con   conseguente   perdita   di   incisivita'  anche
 dell'azione amministrativa a tali scopi finalizzata, in contrasto con
 il disposto dell'art.  97  della  Costituzione  della  Repubblica.  E
 dunque,  la  disciplina in questione si muove in una linea antitetica
 rispetto a quella delle norme di principio.
     Va ancora osservato che, anche a prescindere dalle finalita'  che
 la  disciplina  impugnata  segue  in concreto, comunque, dal punto di
 vista del contenuto,  essa  non  si  limita  a  vincolare  con  norme
 fondamentali  il  legislatore  regionale,  ma finisce con l'eliminare
 qualsiasi  spazio  alla  normativa  regionale.  Lo   svuotamento   di
 competenze  si spinge infatti fino a privare la regione persino della
 competenza in ordine alla fissazione del contributo  di  concessione,
 che per le domande di sanatoria e' infatti direttamente fissato dalla
 tabella "B" allegata al decreto legge impugnato. Giova evidenziare al
 riguardo  come  invece,  nella precedente legislazione statale, fosse
 ormai dato  acquisito  quello  della  competenza  regionale  su  tale
 specifico  ordine  di  questioni (cfr. artt. 5, 6 e 10 della legge 28
 gennaio 1977, n. 10, nonche' art. 7 della legge 24 gennaio  1993,  n.
 537 ed art. 37 della legge 28 febbraio 1985, n. 47).
    2. - Sotto altro profilo, va aggiunto che il condono si traduce in
 un  indiscriminato  favore per coloro che hanno violato la disciplina
 urbanistica vigente, in quanto sostanzialmente non  ha  tenuto  conto
 della diversita' delle varie posizioni coinvolte, e non ha graduato i
 suoi  effetti  in considerazione di tale diversita', se non del tutto
 marginalmente, con il quinto e sesto comma dell'art. 3, ai soli  fini
 della eventuale riduzione dell'oblazione prevista dall'art. 1.
    Non  puo' in particolare assumersi come sufficiente considerazione
 della diversita' delle posizioni coinvolte la limitazione del condono
 alle  sole  opere  che  non  abbiano  comportato  un  incremento   di
 volumetria  della  costruzione  originaria  superiore alla misura del
 trenta per cento ovvero a settecentocinquanta metri cubi, ovvero alle
 sole nuove costruzioni di volumetria inferiore ai settecentocinquanta
 metri cubi (art. 1, comma 1).
    Manca in particolare una specifica considerazione della situazione
 dell'autore  dell'illecito  da  sanare   e   persino   dell'eventuale
 reiterazione di abusi edilizi da parte del medesimo autore rispetto a
 piu'   costruzioni:   ad  un  trattamento  omogeneo  o  comunque  non
 sofficientemente differenziato, di situazioni che omogenee  non  sono
 consegue,  evidentemente, la violazione del principio di uguaglianza,
 di cui all'art. 3 della Costituzione.
    3. - Deve peraltro proporsi  censura  specifica  della  previsione
 contenuta  nell'undicesimo  comma  dell'art. 1, che introduce, per le
 ipotesi di opere eseguite su aree sottoposte a vincolo, un'ipotesi di
 silenzio-assenso per il parere delle autorita' preposte  alla  tutela
 del vincolo medesimo.
    La  previsione  in  parola  costituisce  violazione  dei  principi
 dettati  dall'art.  9  della  Costituzione,  e  viola   comunque   le
 competenze  in  materia  di  tutela  dei beni ambientali e protezione
 della natura direttamente attribuite alle regioni dagli artt.  82  ed
 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
    Infatti,  di  regola,  al  silenzio  della p.a. non possono essere
 attribuite valenze particolari: soltanto una legge puo'  attribuirgli
 -   per   ipotesi  specifiche  -  un  significato  concludente,  come
 l'approvazione od il rifiuto. E, dunque, in un ambito  di  competenza
 normativa  della  regione,  ad  attribuire al silenzio della p.a. una
 siffatta valenza, non puo' che essere una legge regionale.
    Sembra  peraltro  significativo  ricordare  come   rispetto   alla
 disciplina  posta  dall'art.  32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47,
 codesta ecc.ma Corte abbia a suo  tempo  dichiarato  l'illegittimita'
 (per  violazione  degli  artt.  117  e  118 della Costituzione) della
 previsione dell'art. 12, terzo comma, del d.l. 12 gennaio  1988,  n.
 2,  che  spostava  la  decorrenza del termine stabilito per il parere
 delle  autorita'  preposte  alla  tutela  del  paesaggio,  in  quanto
 incideva sulle competenze normative ed amministrative delle regioni a
 statuto  ordinario,  fino  a  svuotarle  in pratica di ogni contenuto
 (Corte costituzionale, 10 marzo 1988, n. 302, in giur.  cost.,  1988,
 I, 1.222).
    4. - Appare inoltre illegittima l'attribuzione, di cui all'art. 3,
 primo comma, al Ministro dei lavori pubblici della determinazione dei
 criteri di formazione e dei contenuti dei programmi di intervento per
 il   rientro   dall'abusivismo   di  necessita':  infatti,  con  tale
 previsione il  legislatore  statale  introduce,  in  una  materia  di
 stretta competenza regionale, un nuovo tipo di strumento urbanistico,
 senza peraltro determinarne carattere o contenuti, che rimette invece
 ad una determinazione ministeriale.
    Si  tratta  di  un'illegittima  invasione  della relativa sfera di
 competenza normativa ed amministrativa delle regioni.   Nello  stesso
 ambito  di  lesione  della  competenza normativa regionale si colloca
 peraltro anche il successivo secondo comma dello stesso art.  3,  che
 fissa   un   termine  trimestrale  per  l'individuazione  delle  zone
 maggiormente  colpite  dall'abusivismo, facendo cosi' venir meno ogni
 residua competenza della regione ricorrente.
    5. - Si pone altresi' in violazione delle competenze normative  ed
 amministrative  della  regione  in  materia urbanistica la previsione
 (contenuta nel primo comma dell'art. 4) della sostituzione al sindaco
 di un commissario ad acta per omissioni di cui non  vengono  peraltro
 chiariti  i  confini in maniera chiara ed univoca. L'indeterminatezza
 dei  presupposti  di  applicazione  della  previsione  si  accompagna
 peraltro  all'attribuzione  in  via  esclusiva al Ministro competente
 ("anche d'ufficio") del relativo  potere  sostitutivo,  senza  alcuna
 previsione  di  una partecipazione della regione all'esercizio di una
 cosi' incisiva forma di controllo. Si tratta di una deroga (priva  di
 giustificazione) al principio generale e costituzionalmente garantito
 dell'autonomia degli enti locali.
    Peraltro,  l'attribuzione  del  potere di controllo sostitutivo al
 Ministro  dei  lavori  pubblici  si  manifesta  come  una  violazione
 dell'art.  130 della Costituzione, che postula l'attribuzione di tali
 poteri ad un organo regionale. Ne' l'attribuzione di tale  potere  ad
 un  organo  dello  Stato  centrale  trova  una  giustificazione nella
 decisione 12 maggio  1977,  n.  75,  di  codesta  ecc.ma  Corte,  che
 rigetto'  il  conflitto  di  attribuzione proposto da altra regione a
 statuto ordinario avverso la nomina prefettizia di un commissario  ad
 acta  presso  un  comune  per eseguire una decisione del consiglio di
 Stato (Corte costituzionale, 12 maggio 1977, n. 75), sul  presupposto
 che  il  pregiudizio  subito  dalla  regione era da ricollegarsi alla
 pronunzia dell'organo  giurisdizionale,  e  non  alla  decisione  del
 prefetto.  Da  tale  decisione si ricava semmai la conferma implicita
 che (al di la' delle ipotesi in  cui  esso  sia  mera  attuazione  di
 pronunzie  giurisdizionali)  il controllo sostitutivo, come in genere
 tutti i controlli amministrativi sui comuni, rientra nelle competenze
 regionali, ai sensi dell'art. 130 della Costituzione.
    6. - Il decreto-legge impugnato, all'art.  7,  viene  ad  incidere
 illegittimamente  anche  sulle competenze normative ed amministrative
 regionali in materia di lavori pubblici di interesse regionale.
    Infatti, all'art. 7 detta  disposizioni  per  la  definizione  del
 contenzioso  in  materia  di  opere pubbliche. In particolare, con il
 nono comma di tale articolo prevede che "le pubbliche amministrazioni
 di cui all'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo 3  febbraio
 1993,  n.  29  ..  possono  chiedere  al Ministro dei lavori pubblici
 l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo" (rela-
 tive alla ripresa dell'esecuzione di opere "che per qualunque  motivo
 risultino sospese").
    I   relativi  provvedimenti  ministeriali  sono  condizionati  dal
 secondo comma, dello  stesso  art.  7  alla  verifica  del  perdurare
 dell'interesse   pubblico   alla  realizzazione  dell'opera  e  della
 congruita' degli aspetti  economici  dell'affidamento;  peraltro,  in
 base  allo  stesso  secondo comma, dell'art. 7, e' lo stesso Ministro
 dei lavori  pubblici  ad  essere  chiamato  a  dettare,  con  proprio
 decreto,  i  criteri  di  valutazione  della  ricorrenza dei suddetti
 presupposti.
    Si  rileva  che,  in  base  alla  menzionata  previsione,  ove  la
 valutazione  abbia  ad  oggetto  opere pubbliche la cui realizzazione
 rientra nelle competenze regionali, la regione viene assoggettata  ad
 un  controllo  del  Ministro,  li'  dove dovrebbe essere affermata la
 competenza  esclusiva  della  regione  in  proposito; la disposizione
 appare illegittima, quanto meno nei limiti in cui  sulla  valutazione
 in  questione  non  sia  riconosciuta  la  competenza regionale, e la
 commissione chiamata ad esprimersi su  di  essa  non  sia  di  nomina
 regionale,  sia  pure  con  una  composizione che rispetti nelle loro
 linee direttive i criteri seguiti dalla norma in questione.
    Va ancora aggiunto che la stessa rimessione al Ministro dei lavori
 pubblici della  determinazione  dei  criteri  sulla  base  dei  quali
 valutare  il  perdurare dell'interesse pubblico e la congruita' degli
 aspetti economici trascende indubbiamente dall'ambito del  potere  di
 indirizzo  e di coordinamento di cui all'art. 118 della Costituzione,
 potere che, peraltro, non compete al singolo Ministro, dovendo essere
 esercitato, ai sensi della legge n. 400/1988, mediante  deliberazioni
 del  Consiglio  dei  Ministri.  Da  un punto di vista contenutistico,
 infatti, gli  atti  di  indirizzo  e  di  coordinamento  non  possono
 estrinsecarsi in forme espressive tanto "analitiche e dettagliate" da
 non  lasciare alle regioni un necessario spazio di autonomia entro il
 quale esercitare le proprie competenze.
    7. - Le competenze normative regionali in materia urbanistica sono
 state violate dal decreto legge impugnato anche con  l'art.  8,  che,
 sotto  la  rubrica  "Modifica  alle  norme  in  materia  di controllo
 dell'attivita' urbanistico-edilizia", al secondo comma,  modifica  ed
 integra  l'art.  4,  terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47
 (recante "norme in materia di controllo  dell'attivita'  urbanistico-
 edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere edilizia"),
 disponendo che l'ordine del sindaco di sospensione dei lavori di  cui
 sia  "stata constatata dai competenti uffici comunali, l'inosservanza
 delle norme, prescrizioni e modalita' di cui al primo  comma"  (cioe'
 norme  di  legge  e  di  regolamento,  prescrizioni  degli  strumenti
 urbanistici e modalita' di esecuzione  fissate  dalla  concessione  o
 dall' autorizzazione, che non integrino alcuna delle violazioni indi-
 cate  dal secondo comma, dello stesso art. 4), sia assoggettato ad un
 termine di  decadenza  di  sessanta  giorni,  senza  disporre  alcuna
 ulteriore conseguenza al pur constatato illecito del privato e dunque
 attribuendo  prevalenza  all'interesse  di  quest'ultimo  rispetto  a
 quello della tutela dei valori urbanistici.
    8.  -   D'altra   parte,   il   provvedimento   impugnato   incide
 profondamente  sulla stessa struttura del procedimento amministrativo
 di concessione edilizia, venendo a modificare  (in  senso  ampiamente
 estensivo)  la  posizione  soggettiva dell'interessato che (in base a
 quanto previsto dall'art. 9 del provvedimento impugnato) si trova non
 piu' vincolata ad un atto con margini di discrezionalita' per la p.a.
 infatti il quarto comma,  di  tale  articolo  introduce  una  novella
 dell'art.  4  del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, come convertito dalla
 legge 4 dicembre 1993, n. 493, che da' ingresso  al  silenzio-assenso
 in materia di concessione edilizia (primo comma dell'art. 4 del d.l.
 398/1993  come modificato dal provvedimento impugnato), sulla base di
 una semplice relazione  a  firma  del  progettista  che  asseveri  la
 conformita'   degli   interventi   da  realizzare  alle  prescrizioni
 urbanistiche ed edilizie" (secondo comma dell'art.  4  del  d.l.  n.
 398/1993 come modificato dal provvedimento impugnato).
    Peraltro,  in  base  alla  previsione  in  questione, il silenzio-
 assenso si formerebbe in tempi  brevissimi  (90  giorni)  cosi'  come
 brevissimi  sono  i  termini  nei  quali  (ai  sensi  del terzo comma
 dell'art. 4 del d.l. n. 398/1993 come modificato  dal  provvedimento
 impugnato)  l'ufficio  abilitato a ricevere la domanda di concessione
 puo' chiedere le eventuali integrazioni  documentali:  la  norma  che
 pone  tale  ultimo  termine  esclude  peraltro  che,  decorso questo,
 l'ufficio possa ulteriormente richiedere integrazioni documentali. Si
 tratta di termini che con tutta evidenza non garantiscono il corretto
 operare dei comuni, anche in considerazione del mancato coordinamento
 della previsione  con  altre  norme  che  regolano  procedimenti  che
 possano  essere collegati a quello concessorio (come vincoli a tutela
 delle cose di interesse artistico e storico, vincoli idrogeologici  e
 sismici).  Ne'  puo' dirsi congruo, al fine di garantire una corretta
 azione amministrativa, l'aumento dei termini suddetti  come  previsto
 dall'ultimo  comma dell'art. 9, nella misura della meta' per i comuni
 con popolazione superiore a ventimila abitanti, ovvero nel  raddoppio
 per i comuni con popolazione superiore a centomila abitanti.
    Quand'anche   possa   eventualmente   considerasi  accettabile  la
 finalita' del rafforzamento della posizione  del  privato  di  fronte
 all'autorita'  amministrativa, deve rilevarsi che la previsione di un
 automatismo, quale quello disegnato dalla norma in esame, non ricerca
 una soluzione di equilibrio tra  rafforzamento  della  posizione  del
 privato ed una persistente, necessaria tutela dei valori urbanistici,
 ma  accetta  la  soluzione estrema del silenzio-assenso, che espone a
 rilevanti  pericoli  ed  accetta  il  principio  di   un   gravissimo
 sacrificio  dei  valori  urbanistici  ed  anche paesaggistici, questi
 ultimi  anch'essi   oggetto   di   esplicita   tutela   nella   Carta
 costituzionale,   collocata   anzi,  con  l'art.  9,  secondo  comma,
 nell'ambito dei "Principi fondamentali".
    La disciplina dettata dall'art. 9 del d.l. n.  551/1994  si  pone
 dunque  in antitesi con le esigenze di tutela delle zone vincolate di
 cui alle leggi nn. 1089 e 1497 del 1939, nonche' con le potesta' leg-
 islative regionali in materia, segnando cosi' una linea  di  frattura
 rispetto a pur recenti interventi normativi, come il testo originario
 dell'art.  4  del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398 (come convertito dalla
 legge 4 dicembre 1993, n. 493), che faceva salve le une e le altre.