Ricorso per la regione Liguria, in persona del presidente pro- tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con delibera n. 7231 in data 19 ottobre 1994, rappresentato e difeso per mandato a margine con facolta' disgiunte dall'avv. Giuseppe Petrocelli del servizio legale della regione con domicilio eletto presso l'avv. Gianpaolo Zanchini, in Roma, piazza Foro Traiano, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica al fine di ottenere la dichiarazione di illegittimita' costituzionale in via principale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 9 del d.l. 27 settembre 1994, n. 551, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 226 del 27 settembre 1994 avente ad oggetto: "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata", nonche' dello stesso d.l. nel suo complesso. F A T T O Sulla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 27 settembre 1994 e' stato pubblicato il testo del decreto-legge avente ad oggetto "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata". Si tratta, com'e' noto, di un intervento normativo che ha avuto vasta risonanza nella opinione pubblica e che concerne, in primo luogo, la possibilita' di accedere nuovamente alla sanatoria-condono in materia edilizia di cui al capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sia per coloro che all'epoca non ve avevano fruito, sia - soprattutto - per coloro i quali hanno commesso successivamente abusi edilizi, purche' ultimati entro il 31 dicembre 1993. Contestualmente, vengono dettate altre norme in materia edilizia, nonche' disposizioni in materia di lavori pubblici. La regione reputa le previsioni di cui al d.l. in parola costituzionalmente illegittime ed invasive delle competenze, legisla- tive ed amministrative, ad essa rimesse e garantite dalla Costituzione, come confida di dimostrare nelle seguenti considerazioni di D I R I T T O 1. - In ordine all'art. 1, primo, secondo, quinto, ottavo, nono, decimo e undicesimo comma, del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione. Incompetenza. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Irragionevolezza. a) Le norme indicate in rubrica disciplinano approfonditamente e minuziosamente profili sostanziali e procedimentali attinenti alla materia urbanistica, la quale - com'e' noto - e' costituzionalmente rimessa alla competenza legislativa (concorrente) ed amministrativa delle regioni a statuto ordinario ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Segnatamente, le norme censurate sono ben lungi dal mantenersi, come d'obbligo, sul piano della mera legislazione (statale) di principi, ponendo invece illegittimamente norme legisla- tive di dettagli invasive delle attribuzioni regionali, irragionevoli ed in contrasto con altri valori costituzionalmente tutelati. Il tutto in assenza di disposizioni che possano dirsi di riforma fondamentale economico-sociale. Di qui la loro illegittimita' costituzionale. b) In particolare, l'art. 1, primo comma, del d.l. indicato in rubrica, individua gli abusi che possono accedere al nuovo procedimento di sanatoria-condono, prevedendo che "le disposizioni di cui al capo quarto e quinto della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente decreto, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria ovvero superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresi' applicazione alle opere abu- sive che non abbiano comportato nuove costruzioni superiori ai 750 metri cubi in relazione alla singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria". Tale disposizione, com'e' evidente, costituisce in primo luogo norma di estremo dettaglio, puntuale ed assolutamente esaustiva in ordine ai presupposti di fatto per accedere alla procedura di condono edilizio, in una materia - l'urbanistica - nella quale lo Stato, notoriamente, non puo' porre che norme di principio. Per contro, nel caso in esame, nulla residua alle regioni in ordine ai profili ivi considerati, discendendone i dedotti profili di illegittimita' costituzionale. b1) D'altra parte, la disposizione di che trattasi pone in evidenza ulteriori profili di illegittimita' costituzionale anche con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione e ai connessi principi di ragionevolezza e buon andamento (censure invocabili anche dalle regioni in via di azione se, come nel caso, connesse ad un'invasione delle loro competenze costituzionalmente garantite; v. Corte costituzionale 7 ottobre 1992, n. 393; Corte costituzionale 13 luglio 1991, n. 343; Corte costituzionale 13 ottobre 1988 n. 961; Corte costituzionale 18 luglio 1989, n. 407). Infatti, porre dei limiti quantitativi indifferenziati di condonabilita' dei manufatti abusivi, da un lato, come detto, e' compito di dettaglio attinente alla materia urbanistica che, quindi, compete al legislatore regionale; dall'altro costituisce previsione del tutto illogica, irragionevole e foriera di macroscopiche diseguaglianze, conducendo - nella sua rozzezza - a disciplinare in maniera eguale situazioni tra loro macroscopicamente diverse. Al riguardo, e' sufficiente notare come l'incidenza insediativa, di impatto urbanistico e paesistico-ambientale di un manufatto edilizio e' evidentemente diversa a seconda della sua destinazione d'uso e della sua localizzazione sul territorio, configurandosi in proposito sensibili differenze sia tra le varie zone del territorio dello Stato, sia all'interno delle regioni o dei singoli comuni (si consideri, in proposito, la differente rilevanza in abuso edilizio attinente ed un nuovo edificio di 750 mc. se situato in una zona industriale, ovvero, in un centro storico; o, ancora, la diversita' di impatto insediativo di un magazzino per ricovero attrezzi di 750 mc rispetto ad una casa di abitazione di analoga cubatura). E' chiaro come l'identico trattamento normativo riservato a situazioni cosi' diverse - tra loro omologate, soltanto dal limite quantitativo dei 750 metri cubi - configura un'evidente violazione del principio di eguaglianza e del criterio di ragionevolezza. b2) Ebbene, tali aspetti - trattati cosi' irragionevolmente e grossolanamente dal Governo in sede di decretazione d'urgenza - erano e sono di competenza delle regioni, anche in quanto queste ultime risultano - intuitivamente - i soggetti piu' idonei a distinguere, nelle diverse situazioni, la tollerabilita' o meno di ammettere la sanatoria dei manufatti abusivi, tenuto conto delle diverse esigenze territoriali, urbanistiche e paesistico-ambientali nei vari casi implicate. c) Anche i commi 2, 5, 8, 9 e 10 dell'art. 1 del d.l. n. 551 citato configurano una disciplina procedimentale e sostanziale di dettaglio che deve reputarsi preclusa, ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, alla legislazione statale, non costituendo ne' norma di principio, ne' riforma fondamentale economico-sociale. Ci si riferisce, in particolare, alla disciplina del procedimento di presentazione della domanda di sanatoria-condono e alla individuazione della relativa documentazione, agli esiti della domanda in caso di silenzio, nonche' alle conseguenze del mancato versamento delle somme ivi richieste. d) Analoghe censure debbono muoversi all'undicesimo comma del citato art. 1, il quale prevede un meccanismo di silenzio-assenso in merito ai pareri delle amministrazioni competenti, laddove le opere abusive insistano su aree vincolate. Inoltre, tale meccanismo - dati i ristretti termini di formazione dell'assenso tacito - e' del tutto irragionevole e contrario al buon andamento, privando le relative amministrazioni, tra le quali le regioni della effettiva possibilita' di esercitare con sufficiente utilita' le loro attribuzioni, anche costituzionalmente garantite. 2. - Sempre in ordine all'art. 1 del d.l. 27 settembre 1994 n. 551.Violazione degli artt. 3, 5, 9, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione. Incompetenza. Violazione del principio di leale collaborazione. Irragionevolezza. Violazione del principio di buon andamento. L'art. 1 del d.l. citato, complessivamente inteso, rappresenta innegabilmente un fattore deflagrante nella gestione del territorio e, piu' in generale, dell'ambiente, vale a dire nella materia "urbanistica" costituzionalmente rimessa alle regioni, nonche' nella materia paesistico-ambientale, oggetto anch'essa - secondo l'ormai costante giurisprudenza di codesto ecc.mo collegio - di una competenza legislativa e amministrativa concorrente delle regioni, dopo l'emanazione del d.P.R. n. 616 del 1977. Ebbene, l'assetto dato dall'art. 1 citato alla materia trattata non pare rispettoso ne' delle competenze conferite in argomento alle regioni dalla Costituzione, ne' del principio di "leale collaborazione" al quale deve essere informato l'esercizio, da parte dello Stato, delle attribuzioni nelle materie di competenza regionale, e contrasta inoltre con l'art. 9 della Costituzione e con i principi di ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione. In primo luogo, la stessa scelta di fondo di consentire, una volta ancora, una sanatoria generalizzata degli abusi edilizi, anche recenti, anche in zone vincolate, ed anche in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici, proprio per i suoi gia' sottolineati effetti di "scardinamento" della disciplina preposta alla conservazione del territorio e dell'ambiente, viola le richiamate norme costituzionali ed i principi da esse costantemente ricavati e non puo' venire imposta con legge dello Stato senza lasciare alle regioni, evidentemente interessate secondo competenze costituzionalmente garantite alla tutela del territorio e del paesaggio, nessun profilo di scelta o di possibile limitazione degli effetti delle misure adottate; una siffatta disciplina di legge puntuale ed esaustiva, anche per la gravita' delle conseguenze prodotte in rapporto alla effettiva possibilita' di continuare a gestire "l'urbanistica", non e' compatibile con l'assetto delle competenze stabilito in materia dalla Costituzione e dal citato d.P.R. n. 616 del 1977, soprattutto alla luce del principio della "leale collaborazione" (posto che, nel caso, collaborazione non vi e' stata, ne e' prevista dal decreto, dove in sostanza tutto e' rimesso alla legislazione statale, sia per gli aspetti sostanziali, sia per quelli procedimentali della nuova sanatoria-condono). La riapertura dei termini della sanatoria, di cui al capo quarto della legge n. 47 del 1985, vanifica in sostanza un decennio di regolazione e di protezione del territorio e dell'ambiente, da parte degli enti competenti, in violazione degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione; e cio', senza che, in relazione a tale gravissima evenienza, le regioni possano in qualche modo interagire, in sede sia normativa, sia amministrativa, per attenuarne gli effetti deteriori, travandosi gravate in materia da una disciplina legislativa statale puntuale, completa ed assolutamente esautorante. Ne discende la violazione delle norme e dei principi costituzionali indicati in rubrica. 3. - Con riguardo all'art. 2 del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione, in relazione agli artt. 5, 6 e 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e dell'art. 37 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Incompetenza. L'art. 2 del decreto-legge n. 551 regola, con riguardo al procedimento di definizione della sanatoria-condono di cui al precedente art. 1, la materia della corresponsione dei contributi di concessione di cui alla legge n. 10 del 1977, sia temporalmente, sia quantitativamente. Senonche', tale materia, attinente all'"urbanistica", e' sempre stata rimessa alle regioni (ed ai comuni) ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in correlazione con gli articoli - citati in rubrica - delle leggi n. 10 del 1977 e n. 47 del 1985. Nel caso di specie, al contrario, si e' in presenza di una norma puntuale ed esaustiva, che esclude del tutto le Regioni dalla materia in oggetto, dal punto di vista sia legislativo, sia amministrativo. Di qui la presenza dei dedotti profili di incostituzionalita'. 4. - In merito all'art. 3 del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 Costituzione. Incompetenza. L'art. 3 del decreto-legge censurato tratta di non meglio precisati programmi di intervento contro l'abusivismo edilizio disponendo: a) che "entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dei lavori pubblici determina, con proprio decreto, sentita la conferenza Stato-regioni, i criteri di formazione e i contenuti dei programmi di intervento, nonche' le modalita' di concessione dei finanziamenti"; b) che i comuni debbono individuare le zone maggiormente interessate dall'abusivismo, entro tre mesi dall'emanazione del d.m. di cui sopra. Ebbene, la previsione di cui sub a), per quanto poco comprensibile, e' evidentemente lesiva di competenze legislative e amministrative regionali costituzionalmente garantite. Infatti, e' fuor di dubbio che la suddetta disciplina, pur attenendo alla materia urbanistica (di competenza legislativa e amministrativa regionale), rimetta ad un organo dell'amministrazione statale (non la fissazione di norme di principio, che comunque spetterebbero al legislatore, ma) la determinazione dei criteri di formazione e dei contenuti dei programmi di intervento, privando in tal modo del tutto la regione di competenza ad essa spettanti. D'altra parte, nel caso, non si puo' neppure ipotizzare la previsione dell'esercizio di un potere di indirizzo e coordinamento, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione (che comunque non potrebbe essere cosi' puntuale ed omnicomprensivo), posto che - com'e' noto - tale potere si estrinseca in sede governativa collegialmente e mediante d.P.C.M., mentre nella fattispecie e' prevista solo l'emanazione di un decreto ministeriale. b) Il citato art. 3 del decreto legge censurato, complessivamente inteso, e' lesivo delle competenze regionali anche sotto un diverso profilo (seppure connesso): infatti, pur nella sua estrema genericita' (cosi' da renderne obiettivamente difficile la comprensione), tale norma stabilisce un nuovo modello pianificatorio in materia urbanistica che si snoda solo sull'"asse" Ministero- comuni, escludendo la regione, che pure e' l'ente principalmente competente in materia, sia ex artt. 117 e 118 della Costituzione ed ex d.P.R. n. 616 del 1977. Ne' la previsione che venga sentita la conferenza Stato-regioni elimina i dedotti profili di incostituzionalita'. 5. - In ordine all'art. 4, primo comma, del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 130 della Costituzione. Incompetenza. L'art. 4 del d.l. n. 551, intitolato "Commissari ad acta", prevede che "in caso di inadempienze il Ministro dei lavori pubblici, ai fini dell'attuazione di quanto previsto dal presente decreto, su richiesta del sindaco, del Comitato regionale di controllo, ai sensi dell'art. 48 della legge 8 giugno 1990, n. 142, su segnalazione del prefetto competente per territorio, ovvero d'ufficio, nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori di competenza del sindaco". Tale previsione ha, invero, del sorprendente ed e' fonte di gravi quanto palesi profili di illegittimita' costituzionale. Per limitarsi, com'e' obbligo in questa sede, agli aspetti invasivi delle competenze delle regioni, e' sufficiente osservare come, seppure nella sua manifesta indeterminatezza e nella sua infelice formulazione, la disposizione in esame, innegabilmente, disciplini un potere di controllo sostitutivo nella materia urbanistica, per ovviare a non meglio precisate inerzie da parte delle amministrazioni comunali nell'attuazione del decreto in oggetto. Senonche', e' pacifico che in una materia, quale l'urbanistica, di competenza legislativa ed amministrativa regionale, eventuali poteri di controllo sostitutivo debbono essere disciplinati dalle regioni o, comunque, almeno venire concretamente esercitati da queste ultime o da soggetti da esse nominati, posto che - altrimenti - le regioni medesime verrebbero (come nel caso vengono) private surrettiziamente delle loro competenze costituzionalmente garantite. In tal senso, del resto, si e' pronunciata la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (Corte costituzionale, 19 dicembre 1978, n. 178; Corte costituzionale 7 aprile 1988, n. 422). Nel caso di specie, al contrario, il ptere sostitutivo disciplinato del citato art. 4 risulta normato totalmente dal legislatore statale ed e' inspiegabilmente rimesso alle determinazioni dell'amministrazione statale, esautorando del tutto la regione al riguardo. Ne discendono i dedotti profili di incostituzionalita'. 6. - Con riguardo all'art. 5, primo, secondo e terzo comma, del d.l. n. 551. Violazione degli artt. 115, 117, 118 in relazione all'art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10. a) Con riferimento al primo e secondo comma - laddove ad integrazione dell'art. 39 della legge n. 142/1990 si prevede nei confronti dei comuni privi di strumento urbanistico generale la sanzione dello scioglimento del relativo organo consiliare e si stabiliscono le relative modalita' procedurali - si rileva la palese violazione dell'art. 117 della Costituzione per essere state del tutto compresse e disattese le competenze legislative regionali in materia, ove si consideri che la regione Liguria, prima con legge n. 28/1976 e da ultimo con legge n. 30/1992 aveva gia' introdotto rilevanti limitazioni all'attivita' edilizia nei suddetti comuni in virtu' del potere espressamente riservatole dall'art. 4 ultimo comma della legge n. 10/1977. b) Con riferimento al terzo comma, del medesimo art. 5 - laddove viene fissato il perentorio termine di centottanta giorni per l'approvazione da parte della regione degli strumenti urbanistici comunali pena la formazione del silenzio- assenso - e' di assoluta evidenza la violazione dell'art. 117 della Costituzione, rientrando l'urbanistica nelle materie affidate alla competenza legislativa delle regioni, con riferimento alle quali, lo Stato e' legittimato ad emanare soltanto norme di principio. E tale non e' senz'altro la disposizione de qua, inerendo essa ad un aspetto gestionale del sistema la cui definizione di dettaglio non puo' che spettare alle regioni: invero lo Stato, anche di fronte alla eventuale inerzia regionale, non avrebbe in ogni caso potuto arrogarsi la potesta' di che trattasi al di fuori di una legge organica di ridefinizione dell'ordinamento urbanistico nel cui contesto fosse ridisciplinato il ruolo delle diverse amministrazioni in materia. In tal senso si e' del resto gia' esplicitamente pronunciata la Corte costituzionale la quale con sentenza 19 ottobre 1993, n. 393, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi da 3 a 7, della legge n. 179/1992 recante la disciplina del "programma integrato di intervento", ha affermato che quando una disposizione di legge statale configura meccanismi incidenti sulla potesta' legislativa e sulle attribuzioni amministrative delle regioni viola inevitabilmente la loro autonomia garantita dall'art. 115 della Costituzione: il che vale soprattutto quando tali meccanismi sono resi "particolarmente incisivi dalla operativita' della regola del silenzio-assenso da parte della Regione". 7. - In ordine all'art. 7, nono e decimo comma, del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione in relazione agli artt. 79 e 87 e segg. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Incompetenza. a) L'art. 7 del plesso normativo censurato nella presente sede si occupa dei procedimenti di esecuzione dei lavori pubblici di competenza del Ministero dei lavori pubblici, coniando un particolare procedimento per la loro riattivazione laddove siano attualmente sospesi, per qualisiasi ragione. Detta previsione (generale ed applicabile a tutte le opere pubbliche) costituisce un'indebita ingerenza normativa nella materia "lavori pubblici di interesse regionale" rimessa alla potesta' legislativa e amministrativa regionale, ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Infatti, in tale materia, spetta eventualmente alle regioni disporre e disciplinare meccanismi di riattivazione di opere pubbliche sospese e, soprattutto, non puo' essere riconosciuto allo Stato il potere di dettare, in argomento, una normativa di dettaglio quale quella in esame. Inoltre, un'ulteriore indebita compressione delle competenze regionali, conseguente alla norma in questione, discende dal fatto che - anche per i "lavori pubblici di interesse regionale" - vi si prevede che il procedimento di riattivazione delle opere sospese venga condotto da organi appartenenti all'amministrazione statale. b) Parimenti invasivo delle competenze regionali appare l'art. 7, laddove si prevede che "le pubbliche amministrazioni provvedono, per quanto di loro competenza, a esaminare entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto i casi relativi alle procedure di affidamento e di esecuzione delle opere pubbliche che, pur rientrando nelle ipotesi di cui al presente articolo, possono essere riavviati con provvedimento amministrativo sulla base dei principi indicati nel presente articolo". Tale norma, se riferita (come in effetti e' riferita) anche ai "lavori pubblici di interesse regionale" costituisce un'indebita invasione delle competenze legislative ed amministrative riconosciute in argomento alle regioni. Sul piano legislativo, la norma esula infatti dalla mera legislazione di principio, fornendo una disciplina puntuale, esaustiva ed inderogabile. Sul piano amministrativo, essa impone alle regioni, entro termini brevissimi e senza eccezione alcuna, l'esperimento obbligatorio di un'attivita' specifica la cui opportunita' e' invece da ritenere rimessa alle valutazioni delle regioni stesse, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione. 8. - In ordine all'art. 9, primo comma, del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Irragionevolezza. Violazione del principio del buon andamento. Con l'art. 9, primo comma, del d.l. n. 551, il Governo ha espunto dall'ordinamento l'istituto del programma pluriennale di attuazione, disciplinato dall'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e dalla successiva, cospicua, legislazione regionale in materia (tra cui la legge regionale ligure 9 marzo 1978, n. 16). Tale repentina ed inopinata eliminazione dell'istituto predetto dal novero degli strumenti di regolazione delle modalita' di utilizzazione del territorio avrebbe la pretesa di far si' che la pianificazione urbanistica venga privata degli strumenti di regolamentazione temporale degli interventi, la cui imprenscindibile rilevanza, ai fini di una corretta e utile regolazione dell'uso del territorio e del necesario coordinamento tra nuovi insediamenti e livello pregresso di urbanizzazione, pare invero fuor di dubbio ed e' unanimemente riconosciuta dagli studiosi di urbanistica. Ebbene, la manifesta irragionevolezza e contrarieta' al principio del buon andamento che affligge la norma illustrata si connette con il tentativo di operare una indebita privazione, per le regioni, delle competenze pianificatorie in materia urbanistica rimesse loro dalla Costituzione; infatti, la materia "urbanistica", come comunemente intesa nell'attuale momento storico ed alla luce della sua evoluzione ordinamentale, comprende - quale attribuzione rimessa alla competenza regionale - anche la pianificazione di tipo temporale degli interventi edificatori, aventi impatto insediativo ed urbanistico. In altri termini, la competenza regionale in materia "urbanistica", include in se' - in quanto compresa nei contenuti della pianificazione territoriale - anche la programmazione temporale degli interventi, quale e' stata svolta, dal 1977, mediante l'utilizzazione dei programmi pluriennali di attuazione. Pertanto, l'eliminazione dell'istituto della legislazione nazionale o e' indifferente per regioni che - come la Liguria - hanno regolato i programmi pluriennali di attuazione con proprie leggi (si veda la legge regionale ligure n. 16 del 1978), non producendo alcun effetto abrogativo in relazione a tali fonti, ovvero comporta la sottrazione alle regioni stesse della facolta', connaturata alla pianificazione territoriale, di definire modelli di programmazione temporale delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ammesse. Nel primo caso, la norma contestata sarebbe solo irragionevole e contraria al principio del buon andamento; nel secondo caso, la stessa comporterebbe un'inammissibile ed illegittima sottrazione alle regioni di attribuzioni ad esse riservate dalla Costituzione. 9. - In ordine all'art. 9, quarto comma, del d.l. 27 settembre 1994, n. 551. Violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione. Incompetenza. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Irragionevolezza. Violazione del principio del buon andamento. Violazione dell'art. 9 della Costituzione. a) L'art. 9, quarto comma, del d.l. n. 551, che sostituisce integralmente l'art. 4 della recente legge n. 493 del 1993, disciplina il procedimento per il rilascio delle concessioni edilizie, stabilendo un meccanismo generalizzato di silenzio-assenso e regolandone l'iter istruttorio e formativo. b) Al riguardo, non puo' non notarsi, preliminarmente, come anche tale norma ponga in essere una disciplina - sostanziale e procedimentale - di assoluto dettaglio, tale da non poter essere considerata rispettosa delle competenze legislative e amministrative spettanti in materia (urbanistica) alle regioni, non potendosi certo qualificare la disciplina in oggetto in termini di mera norma di principio. c) Tanto premesso in linea generale, le disposizioni censurate manifestano comunque ulteriori profili di illegittimita' alla luce dei loro (irragionevoli) contenuti sostanziali; profili che, in quanto connessi con un'indebita invasione delle competenze - legisla- tive ed amministrative - regionali e vanificanti il concreto esercizio di queste ultime, e' pertinente sottolineare in questa sede. c1) In primo luogo, la previsione di un generalizzato silenzio- assenso in materia edilizia che puo' formarsi anche laddove il progetto non sia conforme alla disciplina urbanistica vigente costituisce norma irragionevole e tale da rappresentare un fattore deflagrante in senso negativo, nella regolazione d'uso del territorio e, piu' in generale, nella difesa dell'ambiente e del paesaggio, vale a dire nella materia "urbanistica" costituzionalmente rimessa alle regioni, secondo l'interpretazione di codesta ecc.ma Corte. Ebbene, proprio alla luce dei suoi effetti oltremodo incidenti, tale disciplina, secondo la regione ricorrente, non poteva e non puo' venire legittimamente imposta con legge dello Stato, tanto piu' - come nel caso - senza lasciare alle regioni, evidentemente interessate secondo competenze costituzionalmente garantite alla tutela del territorio e del paesaggio, nessun profilo di scelta o di possibile limitazione degli effetti delle misure adottate; una siffatta disciplina di legge, dunque, non pare compatibile con l'assetto delle competenze stabilito in materia dalla Costituzione e dal d.P.R. 616 del 1977, anche alla luce del gia' invocato principio della "leale collaborazione" che deve permeare in materia il rapporto Stato-regioni. In altri termini, cosi' come avviene per il nuovo "condono" di cui all'art. 1, la previsione di un silenzio-assenso generalizzato, con termini brevi e non impedito nel suo formarsi dalla difformita' del progetto rispetto alla pianificazione vigente, vanifica in sostanza la pianificazione e la protezione del territorio; e cio', senza che, in relazione a tale grave evenienza, le regioni - seppure principalmente competenti in materia ed enti esponenziali dei relativi interessi -, possano in qualche modo interagire, trovandosi in sostanza gravate sul punto da una disciplina legislativa statale puntuale, completa ed assolutamente esautorante (diversamente da quanto avveniva nell'originario art. 4 della legge n. 493 del 1933). Ne discendono i rubricati profili di incostituzionalita'. c2) Inoltre, analoghe censure vanno riferite anche alla previsione di cui del punto 3 del comma in oggetto, laddove - nuovamente con norma di dettaglio si prevede che, dopo la presentazione della domanda, possano venire richieste all'istante, nei successivi 15 giorni, integrazioni documentali; richiesta che, in ogni caso, non puo' essere reiterata. Tale termine, indifferenziato per qualsiasi tipo di pratica edilizia, per la sua eccessiva brevita' e' irragionevole e tale da frustrare il corretto esercizio delle funzioni di tutela del territorio, alle quali la Regione e' principalmente interessata, ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione. c3) Infine, del tutto irragionevolmente ed in violazione dell'art. 9 della Costituzione, la norma in oggetto non si da' carico di disciplinare le interferenze notoriamente sussistenti tra il procedimento di rilascio delle concessioni edilizie e gli altri atti di assenso necessari all'edificazione (per lo piu' conseguenti all'esistenza di previsioni vincolistiche sull'area oggetto di intervento). Posto che, in molti casi, si tratta di competenze legislativamente rimesse alle regioni in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, sembra pertinente dedurre in questa sede anche tale profilo di manifesta irragionevolezza e di violazione degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione. 10. - In ordine al d.l. 27 settembre 1994, n. 551, nel suo complesso. Violazione degli artt. 77, 115, 117 e 118 della Costituzione. Il plesso normativo censurato e' stato emanato nella forma del decreto-legge, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Tale scelta e' stata compiuta in funzione della finalita' di rilanciare le attivita' economiche e di favorire la ripresa delle attivita' imprenditoriali. In argomento, viene subito da chiedersi quale pertinenza possa avere la "riapertura" del condono edilizio di cui all'art. 1 del decreto rispetto al rilancio delle attivita' economiche, non vedendosi obiettivamente quale vantaggio in tal senso possa scaturire dalla regolarizzazione di abusi pregressi (se non, in effetti, un'incentivazione dell'abusivismo per il futuro, posto che si potra' confidare - al riguardo - nell'emanazione dell'ennesimo condono di qui a pochi anni, vista l'ormai ciclica scadenza con la quale tali provvedimenti legislativi si susseguono, con le piu' varie giustificazioni). Ne discende l'illegittimita' costituzionale per violazione delle norme rubricate, posta la mancata corrispondenza tra i presupposti di necessita' ed urgenza del decreto legge ed i suoi contenuti. Operata tale breve premessa - che incide - anche sulla ragionevolezza dell'atto normativo in esame -, e' comunque da rilevare, nella fattispecie la piu' assoluta assenza dei presupposti per la decretazione d'urgenza ex art. 77 della Costituzione, nonche' la manifesta incongruita' e l'irragionevolezza di intervenire mediante decreto-legge con rilevanti modificazioni normative in una materia organicamente disciplinata da leggi ordinarie (28 febbraio 1985, n. 47, 28 giugno 1977, n. 10; 4 dicembre 1993, n. 493). Ebbene, posto tale indebito, irragionevole e pretestuoso esercizio della decretazione d'urgenza in materia (urbanistica) rimessa alla competenza legislativa e amministrativa delle regioni, sembra pertinente porre in evidenza in questa sede i relativi profili di illegittimita' costituzionale del decreto-legge indicato in epigrafe nel suo complesso, per violazione delle norme indicate in rubrica.