IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 924/1993,
 proposto dall'avvocato Bozza Renato, che si  difende  in  proprio  ed
 elegge  domicilio  presso  lo  studio dell'avvocato Alfredo Antonini,
 sito in Trieste, via del Lazzaretto Vecchio n. 2; contro la  questura
 di  Udine,  in persona del questore in carica, rappresentata e difesa
 dall'avvocatura distrettuale dello Stato di  Trieste,  domiciliataria
 ex  lege,  per  l'annullamento  del  provvedimento, datato 13 ottobre
 1993, del questore di Udine che disponeva il rimpatrio del ricorrente
 con foglio di via obbligatoria nel comune di Concordia  Sagittaria  e
 lo  diffidava altresi' dal fare ritorno nel comune di Latisana per un
 periodo di anni uno;
    Visto il ricorso,  notificato  l'11  novembre  1993  e  depositato
 presso  la  segreteria  generale  il  24 novembre 1993 con i relativi
 allegati;
    Visto   l'atto   di  costituzione  in  giudizio  della  resistente
 amministrazione,depositato il 4 dicembre 1993;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Data per  letta  alla  pubblica  udienza  dell'8  giugno  1994  la
 relazione  del  consigliere  Umberto  Zuballi  ed  uditi  altresi' il
 ricorrente   Bozza   e   l'avvocato    dello    Stato    Viola    per
 l'amministrazione.
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Nel  provvedimento  gravato  si  assume  che il ricorrente avrebbe
 provocato situazioni di turbativa in comune di Latisana, per  cui  e'
 stata  applicata nei suoi confronti la legge n. 1423/1956, art. 2, in
 relazione all'art. 1, punto 3, comminandogli l'allontanamento  coatto
 da  detta  localita', con una contestuale diffida a non farvi ritorno
 per anni uno.
    Tale atto sarebbe, ad avviso dell'interessato, illegittimo  per  i
 seguenti motivi:
    1.   -  Errata  e  falsa  applicazione  di  legge  ed  errore  nei
 presupposti.
    Presupposto indefettibile per l'applicazione  della  normativa  e'
 che  l'interessato  sia  dedito  a  reati  che mettono in pericolo la
 sicurezza o la tranquillita' pubblica. Nulla del genere sussisterebbe
 nel caso, risultando  nei  suoi  confronti  solo  un  procedimento  a
 querela  di parte; inoltre il soggetto non sarebbe affatto pericoloso
 per la sicurezza pubblica.
    2. - Travisamento dei  fatti,  illogicita',  contraddittorieta'  e
 carenza di motivazione.
    Il  ricorrente  ricostruisce  i  tre  episodi  che  avrebbero dato
 origine al provvedimento, contestandone la gravita' e la consistenza.
 Spiega poi come la sua presenza a Latisana sarebbe giustificata dalla
 sua attivita' professionale di avvocato.
    Conclusivamente l'istante rileva come nel caso, oltre a mancare  i
 presupposti  di  legge,  i  fatti  stessi  sarebbero  stati travisati
 dall'amministrazione.
    Resiste in giudizio l'avvocatura dello Stato, la quale, dopo  aver
 evidenziato come unico presupposto per l'applicazione della normativa
 in questione sarebbe la mera pericolosita' sociale del soggetto e non
 gia'  la  commissione  di  reati,  contesta  le  doglianze  di cui al
 ricorso, concludendo per il suo rigetto.
                             D I R I T T O
    Nei confronti del ricorrente  e'  stata  applicata  la  misura  di
 prevenzione  prevista  dall'art.  2,  comma  primo,  della  legge  27
 dicembre 1956, n. 1423, nel testo modificato dall'art. 3 della  legge
 3  agosto 1988, n. 327, che prevede, per i soggetti indicati all'art.
 1 (cioe', nel caso, quelli  dediti  alla  commissione  di  reati  che
 mettono in pericolo la sicurezza pubblica), l'invio con foglio di via
 obbligatorio  al comune di residenza, con la contestuale inibizione a
 tornare, senza speciale autorizzazione, nel  comune  ove  si  sarebbe
 verificata la pubblica turbativa.
    Questo  collegio  intende  sollevare  d'ufficio  la  questione  di
 costituzionalita' del citato art. 2, primo comma,  stante  l'evidente
 rilevanza  della questione nella presente causa, essendo la misura di
 prevenzione de qua stata indiscutibilmente  applicata  nei  confronti
 del ricorrente proprio con l'atto qui impugnato.
    Tale  misure  di  prevenzione  peraltro  incide  sulla liberta' di
 movimento, garantita dall'art.  16  della  Costituzione,  e  consiste
 altresi' in una restrizione della liberta' personale, senza che, come
 prescritto  dal  precedente  art.  13  della  Costituzione,  ne venga
 informata l'autorita' giudiziaria.
    La  misura  restrittiva   viene   inoltre   adottata   senza   che
 l'interessato possa intervenire nel relativo procedimento formativo e
 senza  quindi  che  egli  possa  in  alcun  modo difendersi, se non a
 posteriori, tramite ricorso all'autorita' giudiziaria amministrativa,
 la quale, come noto, in sede di giudizio di legittimita', incontra il
 limite dell'insindacabilita' del merito amministrativo.
    La  norma  appare  infine  contrastante   con   l'art.   3   della
 Costituzione,  in  quanto  pone il cittadino, nei cui confronti viene
 applicata detta misura di  prevenzione,  ingiustificatamente  in  una
 situazione deteriore rispetto alla generalita' dei soggetti, i quali,
 sulla base dei principi e della legge 7 agosto 1990, n. 241 (art. 7 e
 seguenti),   possono   intervenire   in   un   normale   procedimento
 amministrativo, pur in presenza di conseguenze molto meno  gravi  per
 la loro sfera di liberta' personale.
    Essendo  stata  quindi  considerata rilevante e non manifestamente
 infondata la  citata  questione  di  costituzionalita',  il  collegio
 ritiene  di  disporre  la sospensione del giudizio e di rimettere gli
 atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci in merito.