IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letto il d.l. 14 luglio 1994, n. 440;
    Ritenuto  che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2 del d.l. 14
 luglio 1994, n. 440, dovrebbe essere revocata, ovvero sostituita  con
 gli  arresti  domiciliari,  la  misura  cautelare  della  custodia in
 carcere nei confronti di:
      1) Carbone Lorenzo, nato a Sinopoli il 18 marzo 1960, difeso  di
 fiducia  dagli avv.ti Raffaele Petrillo del Foro di Santa Maria Capua
 Vetere e Vincenzo Saja del Foro di Torino;
      2) Ciccone Antonio, nato a  Gioia  Tauro  il  24  ottobre  1955,
 difeso  di fiducia dagli avv.ti Luigi Chiappero ed Emiliana Olivieri,
 entrambi del Foro di Torino;
      3) Ciccone Carmelo, nato a Ivrea il 17 gennaio 1963,  difeso  di
 fiducia  dagli  avv.ti Luigi Chiappero ed Emiliana Olivieri, entrambi
 del Foro di Torino;
      4) Cutri' Domenico,  nato  a  Sant'Eufemia  d'Aspromonte  il  27
 ottobre  1971, difeso di fiducia dagli avv.ti Luigi Severino del Foro
 di Napoli e Vincenzo Saja del Foro di Torino;
      5) Menietti Benvenuto, nato a Valperga il 21 agosto 1938, difeso
 di fiducia dall'avv. Bruno Delfino del Foro di Ivrea;
      6) Pignocco Vittorio, nato a San Giorgio  C.se  il  7  settembre
 1938,  difeso di fiducia dal dott. proc. Massimo Cavaier Formento del
 Foro di Ivrea e Oliviero Dal Fiume del Foro di Torino;
      7) Ruggeri Giovanni, nato a Piandimeleto  il  22  gennaio  1953,
 difeso  di fiducia dagli avv.ti Gianpaolo Zancan del Foro di Torino e
 Ferdinando Ferrero del Foro di Ivrea, indagati per il  reato  di  cui
 agli  artt. 110, 453, 458, e 459 del c.p., commesso in Ivrea in epoca
 imprecisata anteriore e prossima al 17 febbraio  1994,  accertato  in
 Somma Vesuviana il 7 giugno 1994;
    Sentito  il  p.m.  che  ha prospettato la possibile illegittimita'
 costituzionale della norma citata per violazione degli  artt.  2,  3,
 112 e 77 della Costituzione;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
                             O S S E R V A
    Le    argomentazioni    del   pubblico   ministero   quanto   alla
 illegittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.l. 14  luglio  1994,
 n.  440,  debbono essere condivise; in effetti, la norma in questione
 presenta  numerosi  profili  di  illegittimita'  che  qui  sotto   si
 riassumono:
    1.   -   In   primo  luogo,  e'  stato  violato  l'art.  77  della
 Costituzione, nella parte in cui prevede che, in casi straordinari di
 necessita'  e  d'urgenza,   il   Governo   adotta,   sotto   la   sua
 responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge.
    Appare  invero difficile ravvisare la sussistenza dei requisiti di
 necessita' e di urgenza richiesti dalla Costituzione in  una  materia
 che  e'  stata  oggetto  di  approfondita  indagine  ed  elaborazione
 dottrinale, sfociate nella redazione del codice di  procedura  penale
 del  1988  e  che,  da  allora,  e' stata costantemente analizzata ed
 approfondita.
    La  carenza di tali requisiti appare evidente ove si consideri che
 " .. la necessita' rappresenta un elemento  di  qualificazione  delle
 fattispecie  regolate,  da non confondere, dunque, con l'opportunita'
 politica dell'atto anche se al Governo compete  la  scelta  del  come
 fronteggiare  ciascun  caso.    ..  l'urgenza  non equivale alla mera
 speditezza e non  si  risolve  nel  fatto  che  per  il  Governo  sia
 difficile  vedere  altrimenti  approvate  le  proprie  proposte"  (L.
 Paladin - La formazione delle leggi - Commentario della  Costituzione
 a cura di G. Branca - Tomo II - Zanichelli 1979, pag. 56).
    E'  innegabile  che  il  decreto-legge  in questione si fa carico,
 all'art. 6, da correlare con l'art. 14, di affrontare un problema che
 riveste oggettivo carattere  di  necessita'  ed  urgenza,  quello  di
 evitare  che  reati  anche  gravi  si prescrivano poiche' le relative
 udienze non possono essere tenute per effetto delle manifestazioni di
 protesta degli avvocati difensori, situazione recentemente emersa  in
 maniera  inequivoca e prepotente; e' anche vero pero' che l'occasione
 e' stata poi utilizzata dal Governo per emanare un atto avente  forza
 di  legge,  destinato  in  realta' ad apportare profonde modifiche al
 codice di procedura penale, funzionali in buona sostanza ad  impedire
 la  sottoposizione  alla custodia cautelare in carcere degli indagati
 per i reati previsti dal libro II, titolo  II,  capo  I,  del  codice
 penale, nonche' degli indagati per reati di criminalita' economica.
    A prescindere dalla gravita' delle conseguenze processuali di tale
 scelta,  su  cui  si  tornera'  in  seguito,  e'  necessario di nuovo
 ricordare l'autorevole dottrina piu' sopra citata nella parte in cui,
 trattando  dei  c.d.  decreti  di  riforma,  espone:  "E'  quantomeno
 opinabile  che  simili  atti  corrispondano, nel complesso delle loro
 disposizioni, a 'casi straordinari di  necessita'  e  d'urgenza'.  In
 concreto,  attorno ad un nucleo costituito da una decisione realmente
 urgente .. il Governo progetta  ed  erige  interi  edifici  normativi
 destinati   a   durare   nel   tempo,  sottraendoli  al  procedimento
 legislativo ordinario senza che lo imponga nessuna ragione oggettiva"
 (op. cit., pag. 61).
    2. - L'art. 2 del d.l. n. 440/1994 comporta  "una  ingiustificata
 limitazione della funzione giurisdizionale e della tutela dei diritti
 costituzionalmente garantiti (non esclusi i diritti delle vittime del
 reato)" (sentenza Corte costituzionale n. 255/1992).
    In  realta',  la  Costituzione  prevede  "strumenti  giuridici che
 integrino un processo 'giusto' ma  al  contempo  non  impediscano  al
 giudice  la  piena  cognizione  del  fatto  reato  per  la  effettiva
 attuazione della legge che ha il dovere di applicare" (sentenza Corte
 costituzionale  n.  255/1992);  ne'  possono  essere  introdotte  dal
 legislatore  " .. limitazioni di tale entita' da privare di efficacia
 la legge penale sostanziale, cosi' violando il diritto costituzionale
 di azione, svuotando la peculiare funzione del giudice penale  e,  in
 sostanza,   privando   di  effettiva  tutela  i  diritti  inviolabili
 riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla  legge  penale"
 (sentenza Corte costituzionale n. 255/1992).
    Le  osservazioni  della  Corte  d'assise  di Bari, riassunte nella
 sentenza  della  Corte  costituzionale  citata,  sono   assolutamente
 pertinenti  alla  fattispecie  oggetto  della  presente  eccezione di
 illegittimita': invero gli artt. 273 e 274 del  c.p.p.  costituiscono
 un'organica  disciplina  rivolta  alla  mediazione  tra la tutela dei
 diritti  del  singolo  indagato,  la   tutela   dei   diritti   della
 collettivita'  e  le  necessita'  processuali  volte all'accertamento
 della verita'.
    Nel quadro  di  tale  organica  disciplina  il  legislatore  aveva
 ritenuto  di  sottrarre  alla  teorica  possibilita' che la misura di
 custodia cautelare in carcere venisse applicata  all'indagato  quelle
 fattispecie  caratterizzate  da un ridotto contenuto di offensivita',
 quale desumibile  dalla  pena  edittale  legalmente  prevista,  unico
 oggettivo  criterio  di valutazione della gravita' del reato; e cosi'
 l'art. 280 del c.p.p. prevedeva la teorica possibilita' di  applicare
 la  custodia  cuatelare  in  carcere  solo  per i reati puniti con la
 reclusione superiore nel massimo a tre anni.
    Si vede bene come il criterio differenziatore tra  le  fattispecie
 che consentivano la custodia cautelare in carcere e quelle che non la
 consentivano  era dato unicamente dalla scelta preventiva di gravita'
 operata  dal  legislatore  con  criteri  generali  di   immediata   e
 percepibile oggettivita'.
    La  situazione  conseguente  all'entrata in vigore dell'art. 2 del
 d.l. n. 440/1994 e' invece  caratterizzata  dalla  sottrazione  alla
 teorica  possibilita'  di  applicazione  della misura cautelare della
 custodia in carcere  di  numerosi  reati  puniti  con  pena  edittale
 superiore  nel  massimo a tre anni, senza che sia dato comprendere le
 ragioni che hanno consigliato  tale  disparita'  di  trattamento.  In
 effetti  certamente  non  puo'  parlarsi di minore gravita' dei reati
 "privilegiati" dalla norma in questione, non tanto perche' taluni  di
 essi  sono  all'evidenza piu' "gravi" di altri per cui la custodia in
 carcere e' ancora consentita (si pensi al reato di cui  all'art.  317
 del  c.p. rispetto a quello di cui all'art. 624 del c.p.), ma perche'
 la pena edittale tuttora  prevista  per  i  reati  "privilegiati"  e'
 superiore  a quella prevista per altri reati che ancora consentono la
 custodia in carcere (cfr. 336, 343, 385, 410, 411 e 530 del c.p.).
    Resta il fatto che le esigenze previste e tutelate  dall'art.  274
 del c.p.p. sono certamente in teoria ravvisabili, ed anzi sono spesso
 sussistenti  nella  pratica,  anche  per  i  reati "privilegiati"; ne
 risultano  quindi  certamente  violati  gli  artt.  2  e  112   della
 Costituzione,  nella  misura in cui la impossibilita' di garantire la
 "acquisizione o genuinita' della prova"  (art.  274,  lett.  a),  del
 c.p.p.)  nonche'  evitare  che  gli  indagati  commettano "delitti di
 criminalita' organizzata o della stessa specie di quello per  cui  si
 procede"   (art.   274,  lett.  c),  del  c.p.p.)  si  risolve  nella
 impossibilita' di garantire i diritti inviolabili dei  cittadini  (ad
 esempio  le parti offese presenti e future) e nella impossibilita' di
 esercitare l'azione penale,  che  potrebbe  essere  vanificata  dalla
 evanescenza  del  materiale  probatorio, conseguente all'inquinamento
 realizzato dagli indagati.
    3. - L'art. 2 del d.l. n. 440/1994  e'  in  contrasto  anche  con
 l'art.  3  della  Costituzione,  poiche' esso sottopone a trattamento
 ingiustificatamente piu'  favorevole  indagati  per  reati  che,  ope
 legis,  sono considerati piu' gravi di altri, per i quali e' tuttavia
 previsto un trattamento meno favorevole.
    In altri termini non appare  ragionevole  che  non  sia  possibile
 applicare la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti
 di un indagato per il reato di cui all'art. 317 del c.p., punito fino
 a  12 anni di reclusione, mentre tale teorica possibilita' esiste per
 l'indagato del reato di cui all'art. 530 del c.p.,  punito  con  pena
 massima  di  tre  anni  di  reclusione, pena tra l'altro inferiore al
 limite edittale previsto dall'art. 280 del c.p.p.
    Vanno qui ricordate le argomentazioni piu' sopra esposte  circa  i
 criteri   oggettivi  di  valutazione  della  gravita'  delle  singole
 fattispecie penali, il che vale a superare la possibile obiezione che
 il legislatore puo' e anzi deve  trattare  in  maniera  differenziata
 situazioni disuguali, nel senso naturalmente in cui a situazione piu'
 grave  deve  corrispondere  trattamento  meno  favorevole: infatti la
 valutazione della gravita' della fattispecie non puo' derivare da una
 valutazione politica contingente del legislatore (tantomeno  espressa
 con  un  decreto-legge  dell'esecutivo) ma deve trovare fondamento in
 un'organica e coerente previsione sanzionatoria  propria  dell'intero
 ordinamento penale.
    La  disparita'  di  trattamento  emerge dunque dalla violazione di
 criteri oggettivi preposti  alla  valutazione  della  gravita'  delle
 fattispecie.
    Ma  vi  e'  di  piu': poiche', se si entra nel merito delle scelte
 operate dal legislatore, non e' chi non veda come esse sono contrarie
 ad ogni principio di ragionevolezza.
    E' invero difficile sostenere  che  reati  come  il  peculato,  la
 concussione,    la   corruzione,   l'omissione   dolosa   di   misure
 antinfortunistiche,il  falso   in   bilancio,   la   frode   fiscale,
 l'emissione  di  fatture  per  operazioni inesistenti, la bancarotta,
 siano fattispecie meno gravi del furto, della resistenza  a  pubblico
 ufficiale, della corruzione di monorenne, del vilipendio di cadavere;
 e  pero'  per  i primi non e' piu' possibile assicurarsi che le prove
 non siano inquinate, che l'indagato non  fugga  e  che  non  commetta
 ulteriori reati; la' dove cio' e' tuttora consentito per i secondi.
    4. - Ne' tutte queste considerazioni sono scalfite dalla possibile
 obiezione  che, anche per i reati "privilegiati", rimane possibile il
 ricorso alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
    Invero va in primo luogo affermato senza ipocrisie che  la  misura
 cautelare  degli  arresti  domiciliari  e'  in  genere  inadeguata ad
 assicurare le cautele di cui all'art. 274 del c.p.p.
    E' fin troppo noto come vi sia l'assoluta concreta  impossibilita'
 di  controllare  che  essi vengano osservati dall'indagato; e d'altra
 parte e' certo che l'eventuale divieto di comunicazione con l'esterno
 e' sistematicamente aggirato con l'uso di non controllabili  telefoni
 cellulari.
    Inoltre  l'inadeguatezza  degli  arresti  domiciliari  e'  massima
 proprio in relazione ai reati "privilegiati", per i  quali  l'art.  2
 del   d.l.  n.  440/1994  ne  prevede  teoricamente  l'applicazione;
 infatti, se puo' avere un senso inibire la consumazione di  ulteriori
 reati a rapinatori, ladri, assassini et similia che, per commetterli,
 debbono  necessariamente  operare  sul territorio; non ha alcun senso
 ritenere che concussori, corruttori, ideatori di falsi  in  bilancio,
 di  frodi  fiscali  e di bancarotte, siano impediti dal progettare ed
 eseguire i loro disegni criminosi solo perche' sono costretti tra  le
 comodita'  della  loro abitazione; dove, com'e' ovvio, disporranno di
 adeguati mezzi di comunicazione idonei a  trasmettere  all'esterno  i
 loro propositi criminosi.
    In  ogni  modo,  prescindendo  dalla  valutazione  della  concreta
 efficacia di un istituto  che  ha  stabile  cittadinanza  nel  nostro
 ordinamento e che in taluni casi puo' anche essere adeguato, resta il
 fatto  assorbente  che la violazione delle norme costituzionali sopra
 citate  e'  pienamente  integrata  anche  con  riferimento  a  questa
 situazione; in effetti risulta impossibile, in base alla nuova norma,
 valutare  la  concreta  adeguatezza  degli  arresti  domiciliari   ad
 assicurare  le  cautele  di  cui all'art. 274 del c.p.p. nel caso dei
 reati "privilegiati".
    In altri termini, per questi reati, e'  irragionevolmente  vietato
 al giudice quel giudizio, pur imposto dall'art. 275, primo comma, del
 c.p.p.;  nonostante l'eventuale giudizio di inadeguatezza in concreto
 cui  si  pervenga,  e'  sottratta  al  giudice  la  possibilita'   di
 assicurare  il  corretto  svolgersi  del  procedimento e di garantire
 pertanto sia la tutela dei diritti fondamentali  delle  parti  offese
 (presenti e future) sia l'esercizio dell'azione penale.
    Tutto  cio',  si ripete, senza alcuna giustificazione attinente ad
 una supposta minor gravita' delle fattispecie  i  cui  indagati  sono
 cosi'   gratificati;   ed   anzi   in  violazione  del  principio  di
 ragionevolezza, poiche' si assicura una maggiore tutela, cui consegue
 sostanzialmente l'impunita', proprio agli  indagati  per  reati  piu'
 gravi.
    5.  -  Sebbene  possa  per  ceti  versi  esulare dall'eccezione di
 legittimita' costituzionale, vale forse la  pena  di  evidenziare  la
 serie  di  inconguenze e vistosi errori tecnici in cui il legislatore
 del d.l. n. 440/1994 e' caduto.
     A) L'art. 2 del decreto-legge citato, sostituendo il terzo  comma
 dell'art.  275  del  c.p.p.,  ne  mantiene  la  formula  iniziale "la
 custodia cautelare in carcere puo' essere  disposta  soltanto  quando
 ogni altra misura risulti inadeguata".
    Segue  la  divisione  dei  reati,  per  i  quali  e' teroricamente
 consentita la custodia cautelare in carcere, in due categorie, quella
 prevista alla lettera a) e quella  prevista  alla  lettera  b)  dello
 stesso terzo comma novellato.
    Il  problema  consiste  nel  fatto  che,  in calce alla lettera b)
 compare la previsione "a meno che le esigenze cautelari  non  possano
 essere  soddisfatte con altre misure" che e' evidentemente riferita a
 questa seconda categoria di reati e  che  ne  costituisce  l'elemento
 specializzante.
    Tuttavia la previsione in questione ha contenuto del tutto analogo
 a  quella  posta  all'inizio  del  comma  terzo novellato, piu' sopra
 riportata per esteso, che pero', posta com'e' all'inizio della norma,
 ha valore evidentemente per entrambe le categorie indicate nel  comma
 stesso,  sia  quella  di  cui  alla lettera a) che quella di cui alla
 lettera b). Ne consegue l'assoluta inutilita' della previsione  posta
 in calce alla lettera b).
    E'  possibile  che il legislatore intendesse adottare, per i reati
 previsti alla lettera a) del terzo comma novellato dell'art. 275  del
 c.p.p.,  l'istituto  una volta previsto nel terzo comma dell'art. 275
 vigente prima dell'attuale modifica; se cosi' e',  bisogna  dire  che
 l'intenzione  gli  e'  rimasta  nella  penna  e che il regime attuale
 prevede  la  vigenza  del  principio  di  adeguatezza  delle   misure
 cautelari  per  tutti  i reati previsti dal terzo comma dell'art. 275
 novellato, e non solo per quelli di cui alla lettera b).
     B) Ulteriori incongruenze emergono dal tenore  del  comma  3-bis,
 aggiunto all'art. 275 del c.p.p. dall'art. 2 del d.l. n. 440/1994.
    Il  comma  3-bis  autorizza  la misura cautelare della custodia in
 carcere solo per i delitti previsti  nel  comma  3  novellato  e  per
 quelli previsti dall'art. 380 del c.p.p.
    Il   problema  consiste  nel  fatto  che  l'art.  380  del  c.p.p.
 considera, tra i reati per cui e' obbligatorio l'arresto in flagranza
 (per i quali dunque e' possibile  disporre  la  custodia  in  carcere
 proprio  in  base al comma 3-bis), quelli di cui agli artt. 628 e 629
 del c.p. e 73 del d.P.R. n. 309/1990 anche nella forma non aggravata;
 fattispecie questa esclusa invece dalla lettera b)  del  terzo  comma
 novellato dell'art. 275 del c.p.p.
    E'  auspicabile  che  il  legislatore  chiarisca quantomeno questa
 incongruenza.
    6. - I reati per cui e' stata emessa ordinanza  applicativa  della
 custodia  cautelare  in  carcere  nel  presente procedimento non sono
 compresi fra quelli per i quali l'art. 2 del d.l. 14 luglio 1994, n.
 440, consente tale misura.
    Tuttavia ogni altra misura,  ivi  compresa  quella  degli  arresti
 domiciliari,  sarebbe inadeguata, avuto riguardo al concreto pericolo
 di inquinamento delle prove nonche' alla probabilita' di  commissione
 di altri fatti della stessa specie di quello per cui si procede.
    Il  reato  per cui si procede appare certamente piu' grave, sia in
 concreto sia con riferimento alla pena edittale,  rispetto  ad  altri
 per  i  quali  la nuova formulazione dell'art. 275 c.p.p. consente la
 custodia cautelare in carcere.
    Ne consegue che la questione di legittimita' costituzionale  sopra
 esaminata  e'  rilevante  nel  procedimento in questione perche', ove
 l'art. 2 del d.l. n. 440/1994 venisse espunto dall'ordinamento,  gli
 indagati  resterebbero  soggetti  alla  custodia cautelare in carcere
 mentre questa dovrebbe cessare nella vigenza della norma denunciata.
    La rilevanza sussiste tanto piu' in quanto, conformemente a quanto
 previsto dall'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87,  il  giudizio  sulla  revoca  della misura cautelare imposta agli
 indagati va sospeso, con la conseguenza che lo stato di  carcerazione
 dei  medesimi,  permane  fino alla fisiologica decorrenza dei termini
 previsti dall'art. 303 del  c.p.p.  oppure  fino  alla  decisione  di
 codesta Corte, ove giunga tempestivamente.
    Questa  decisione pare confortata dai principi esposti dalla Corte
 di cassazione con sentenze 02090 del 7 luglio 1992 sez.  VI  e  04211
 del 3 dicembre 1993 sez. I, principi che appaiono applicabili al caso
 di specie.