LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'Ente
 ferrovie   dello   Stato,   in   persona  del  legale  rappresentante
 pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via  dei  Portoghesi,
 12,  presso  l'Avvocatura  generale  dello Stato che lo rappresenta e
 difende, ope legis, ricorrente, contro Maretto Lucia ved.  Filiberto,
 Filiberto  Maurizio,  Filiberto  Sergio, elettivamente domiciliati in
 Roma, via dei Gracchi, 126, presso  l'avv.  Camillo  Romano,  che  li
 rappresenta  e  difende,  giusta  proc.  spec.  per  atto notar Luisa
 Calogero di Messina del 13 maggio 1994, rep. 4050,  controricorrenti,
 per  l'annullamento  della  sentenza del tribunale di Messina dell'11
 ottobre 1991-15 novembre 1991 r.g. n. 613/1989;
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7
 giugno 1994 dal consigliere dott. Genghini;
    Udito l'avvocato Stipo;
    Udito l'avvocato Romano;
    Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale  dott.
 Carlo  Chirico che ha concluso per la rimissione della questione alla
 Corte costituzionale per la declaratoria di illegittimita'  dell'art.
 328 del c.p.c. o, comunque, il rigetto del ricorso.
                       Svolgimento del processo
    Con  ricorso  in  data 8 aprile 1987 Filiberto Gaetano, dipendente
 dell'Ente FF.SS.,  ricorreva  al  pretore  di  Messina  chiedendo  la
 riliquidazione  dei  compensi per lavoro straordinario prestato dal 1
 gennaio 1979 al 31 dicembre 1986; l'Ente si  costituiva  e  resisteva
 alla domanda.
    Il  pretore,  in  accoglimento della domanda, condannava l'Ente al
 pagamento  di  L.  11.662.413,  oltre  interessi  e  rivalutazione  a
 decorrere dall'8 aprile 1992.
    Proponeva   appello   l'Ente   (depositato   il  21  agosto  1989,
 notificato,  il  16  novembre  1989,  "a  mani  proprie",  presso  il
 difensore   domiciliatario,   che   non  rendeva  edotto  l'ufficiale
 giudiziario  dell'avvenuto  decesso  del  rappresentato),   eccependo
 l'erroneita'  dei  calcoli  compiuti  e  la  inclusione di indennita'
 percepite a titolo diverso, e chiedendo, pertanto, la riduzione della
 domanda accolta per quanto di ragione.
    Si costituiva, il 25 gennaio  1990  -  due  giorni  dopo  che  era
 decorso un anno dal deposito della sentenza, non notificata, avvenuto
 il  23  gennaio  1989  -  la  vedova  dell'appellato,  ed eccepiva la
 nullita' dell'appello perche'  proposto  nei  confronti  del  marito,
 deceduto  il  13 marzo 1989, dopo la pubblicazione della sentenza, ed
 al medesimo notificato - presso il difensore domiciliatario -.
    Il tribunale dichiarava inammissibile il gravame, perche' proposto
 nei confronti della  parte  in  cui  decesso  doveva  ritenersi  noto
 all'ente ferrovie, per aver liquidato alcune spettanze (indennita' di
 buonuscita,  trattamento  di  quiescenza)  alla  vedova, e condannava
 l'appellante al pagamento delle spese.
    Contro  questa  sentenza  ha  presentato  ricorso  l'Ente  FF.SS.:
 resiste con controricorso la Maretto vedova Filiberto unitamente agli
 eredi  Filiberto Maurizio e Filiberto Sergio: entrambe le parti hanno
 presentato memoria.
                        Motivi della decisione
    Con il solo  mezzo  di  annullamento,  l'Ente  FF.SS.  impugna  la
 sentenza per violazione degli artt. 84, 141, 156, 157, 162, 170, 291,
 299, 300 e 330 del cod. proc. civ. (art. 360 nn. 3 e 5 del cod. proc.
 civ.)  in  quanto  la  impugnazione  della sentenza non notificata va
 notificata presso il procuratore  costituito  nel  domicilio  eletto,
 laddove la morte della persona costituita a mezzo di procuratore, non
 rileva  se  non  dichiarata  o  notificata  dal  procuratore  stesso;
 irrilevante la conoscenza del decesso, se non per  dichiarazione  del
 procuratore,  ed  erronea  l'affermazione,  contenuta nella impugnata
 sentenza,  che  la  conoscenza  del  decesso  derivava  dall'avvenuta
 liquidazione  della  pensione,  trattandosi  di  Ente con migliaia di
 dipendenti ed una complessa organizzazione nella quale il contenzioso
 e' trattato in uffici diversi da quelli che provvedono alle pensioni:
 in ogni caso la costituzione dell'appellata, anche se al solo fine di
 far rilevare la nullita' della notifica, poiche' dimostra che  l'atto
 ha  raggiunto  il  suo  scopo,  ha  efficacia  sanante  ex tunc della
 nullita'.
    E' appena il caso di sottolineare, a questo riguardo la fondatezza
 del  rilievo  svolto  dal  ricorrente,  in   ordine   della   estrema
 difficolta', che si potrebbe risolvere in pratica impossibilita', per
 un  ente  avente  migliaia  di  dipendenti e con una articolazione di
 uffici con distinte competenze, di far  si'  che  il  decesso  di  un
 dipendente  - reso noto per fini pensionistici dal coniuge superstite
 - sia altresi' - tempestivamente - comunicato al  procuratore  legale
 che  rappresenta  l'ente  in  un giudizio contro la parte mancata; di
 guisa che i principi in questa  materia  non  dovrebbero  prescindere
 dalla esistenza di realta' organizzative complesse, diverse da quelle
 semplicemente  familiari,  nelle  quali  solo  con  cautela  potrebbe
 configurarsi una presunzione di  conoscenza,  senza  determinare  una
 compressione del diritto di difesa.
    Tanto   piu'  in  un  caso,  come  quello  in  esame,  in  cui  la
 rappresentanza e difesa in giudizio e' per legge (art. 9 della  legge
 3  aprile  1979, n. 103) dell'Avvocatura dello Stato, ed in cui (art.
 12) una eventuale divergenza circa la instaurazione o  la  resistenza
 in  giudizio  con  la  amministrazione  interessata  e'  risolta  con
 determinazione non delegabile del Ministro.
    Ed  e'  evidente,  in  ordine  alla  omessa  valutazione  di  tali
 elementi,  la  sussistenza  del  difetto di motivazione lamentato dal
 ricorrente, e cio' anche a prescindere dalla  giurisprudenza  per  la
 quale  e'  "indispensabile ed insostituibile la comunicazione formale
 dell'evento", talche' non ha "rilevanza la conoscenza che di esso  le
 altre  parti abbiano aliunde: l'effetto interruttivo e' prodotto solo
 da quella comunicazione, che si configura  come  negozio  processuale
 del  procuratore  legittimato  ad  assumere  una simile discrezionale
 iniziativa in forza del potere rappresentativo  conferitogli  con  la
 procura ad litem" (Cass. 5 giugno 1990, n. 5391, S.U. 29 agosto 1989,
 n.  3815,  Cass. 21 settembre 1988, n. 5181, 27 agosto 1986, n. 5242,
 20 febbraio 1986, n. 1039, 16 giugno 1984, n. 3597, 5 novembre  1971,
 n.  3126).  Il  difetto  di motivazione in ordine alla presunzione di
 conoscenza, rende rilevante l'esame  della  dubbia  costituzionalita'
 dell'art.  328  del  cod.  proc.  civ., cosi' come di seguito risulta
 delineata la disciplina della fattispecie in  esame:  che',  infatti,
 posta  la  insufficienza  della  motivazione  in ordine alla ritenuta
 conoscenza dell'avvenuto decesso del lavoratore  da  parte  dell'Ente
 ferrovie  dello  Stato, la irrilevanza di tale evento incolpevolmente
 ignorato dalla parte soccombente - e non comunicato  dal  procuratore
 della  parte vittoriosa in sede di notifica della impugnazione presso
 il domiciliatario -, puo' condurre alla nullita' - insanabile - della
 impugnazione,  soltanto  ove  l'art.  328  del  cod.  proc.  civ.  si
 interpreti  nel  senso,  come  si  vedra',  accolto  da  ultimo dalla
 giurisprudenza, della  necessita'  di  correttamente  individuare  la
 parte  nei  confronti  della  quale  proporre  l'appello,  risultando
 peraltro in tal caso gravemente compromessi i diritti di difesa della
 parte  soccombente,  per  effetto  della  decadenza  dal  diritto  di
 impugnare,   ove  rivolga  tempestivamente  la  impugnazione,  ignara
 dell'avvenuto decesso dopo il deposito della sentenza non notificata,
 e prima che  siano  decorsi  sei  mesi,  nei  confronti  della  parte
 deceduta, presso il difensore domiciliatario.
    E'  poi  appena  il caso di confermare (ex pluribus, cfr. S. U. 21
 luglio 1978, n. 3630, Cass. 13 luglio  1982,  n.  4119,  21  febbraio
 1989,  n.  989, 8 giugno 1992, n. 7045) che, versandosi in ipotesi di
 nullita'  della  impugnazione,  perche'  rivolta  nei  confronti   di
 soggetto  passivo  non piu' esistente, in nessun caso la costituzione
 degli eredi, avvenuta al fine di far valere la  inammissibilita'  del
 gravame,  potrebbe  avere  effetto  sanante, non trattandosi di vizio
 della notificazione della impugnazione, ma di mancata  evocazione  in
 giudizio  di  appello dei soggetti legittimati passivamente ne' tanto
 meno si versa  in  ipotesi  di  integrazione  del  contraddittorio  -
 poiche'  questo  puo' aversi solo in caso di "incompleta" chiamata in
 giudizio, non, come nel caso in esame, di impugnazione nei  confronti
 di soggetto che non esiste piu' -: ed e' proprio da cio' che discende
 la rilevanza della questione.
    Ai  fini  della decisione, pertanto, e' evidente che assume valore
 determinante la interpretazione dell'art. 328 del  cod.  proc.  civ.,
 soprattutto  in  relazione  alla  incidenza  di  detta disciplina sul
 diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione).
    La giurisprudenza di legittimita', nel corso di un  travaglio  che
 dura  ormai  da  oltre quaranta anni, ha dato diverse interpretazioni
 alla disciplina, in  verita'  lacunosa  nelle  previsioni,  tra  loro
 scarsamente   coordinate,  ed  imprecisa  nella  formulazione,  degli
 effetti della morte della parte nelle  diverse  ipotesi  che  possono
 verificarsi  nel corso del processo; una formulazione, d'altra parte,
 che per essere avvenuta prima della approvazione della  Costituzione,
 non  puo'  certo  dirsi a questa ispirata e, pertanto, puo' in alcune
 sue parti - come del resto e' avvenuto - avere bisogno  di  verifiche
 di legittimita'.
    Il  codice di procedura civile del 1865 prevedeva come termine per
 l'impugnazione  solo  quello  dalla  data  di   notificazione   della
 sentenza,  non  esisteva  il  termine  di  decadenza di un anno dalla
 pubblicazione di cui al vigente art. 327 cod. proc. civ.: l'art.  468
 del  codice  abrogato,  peraltro,  prevedeva  la morte soltanto della
 parte soccombente, e cioe' del destinatario della notificazione della
 sentenza, ma non considerava il  decesso  del  vincitore,  cioe'  del
 destinatario dell'impugnazione. Pertanto, secondo le regole generali,
 la  giurisprudenza  (Cass.  4 aprile 1930, n. 1137, 4 maggio 1931, n.
 1659, 4 maggio 1934, n. 1437, 22 gennaio  1935,  n.  273,  31  luglio
 1935,  n.  3157)  ritenne  che l'impugnazione dovesse notificarsi, in
 caso di morte della parte vittoriosa, agli eredi della stessa.
    Il nuovo cadice di rito introduceva non solo il termine annuale di
 decadenza dall'impugnazione - allorche'  la  sentenza  non  e'  stata
 notificata  -,  ma  anche,  e per tutte le parti, la interruzione del
 processo o la proroga del termine per notificare la impugnazione,  in
 caso di morte o di perdita della capacita'.
    Si  ritenne  (Cass.  19  luglio  1950, n. 1959) che avere la legge
 (art. 328, terzo comma: "per tutte le  parti")  attribuito  rilevanza
 non   solo  alla  morte  o  perdita  di  capacita'  del  soccombente,
 legittimato all'impugnazione, ma anche agli stessi eventi occorsi  al
 vincitore,  stava  a  significare la volonta' della legge "che ognuna
 delle parti sia posta in condizione di conoscere l'evento e cioe'  di
 sapere nei confronti di chi si dovra svolgere l'eventuale giudizio di
 impugnazione.  Al  riguardo e' particolarmente significativa la norma
 del 1  comma  dell'articolo  in  esame.  Una  volta  infatti  che  il
 vincitore  abbia notificato la sentenza al soccombente, la morte o il
 cambiamento di stato di questi, non dovrebbero avere incidenza  sulla
 decorrenza del termine, giacche' egli nessun atto deve piu' compiere,
 a    differenza    dell'altra   parte   cui   spetta   a   provvedere
 all'impugnazione. La necessita' parimenti  sentita  dell'interruzione
 del  termine  e  della  nuova  notificazione della sentenza, non puo'
 avere  altra  giustificazione  che  nella  riconosciuta  esigenza  di
 rendere  noto  al soccombente quale sia il soggetto nei cui confronti
 egli debba notificare l'impugnazione". Premesso che se l'evento (art.
 299 del cod. proc. civ.)  riguarda  il  soccombente,  la  proroga  e'
 sufficiente  a  garantire i diritti delle parti, osservava di seguito
 la cennata sentenza nella lucida  motivazione:  "ma  se  l'evento  si
 riferisce  invece  al vincitore, sarebbe necessario che l'altra parte
 fosse  posta  in  condizione  di  conoscerlo   per   poter   intimare
 l'impugnazione  a chi e' subentrato all'originario avversario o ne ha
 assunto  la  rappresentanza.  Normalmente  l'evento,  pur non essendo
 stato notificato, viene a conoscenza della parte, perche' certificato
 dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notifica  dell'atto  di
 impugnazione.".   Allorche'   cio'  si  verifica,  cosi'  come  nella
 fattispecie in esame corrispondente a quella di cui  alla  richiamata
 sentenza  n.  1959 del 1950, riteneva la detta sentenza, che la forma
 facoltativa usata dall'art. 286 del cod. proc. civ. "si  puo'  fare",
 consente  la  notifica  invece  che a coloro ai quali spetta stare in
 giudizio, al procuratore della  parte  costituita.  "Il  procuratore,
 cioe',  cosi'  come  nel corso del giudizio, continua ad esercitare i
 suoi poteri di rappresentanza, nonostante che parte sia stata colpita
 dall'evento, poiche' esso e' ignorato dall'avversario".  E  cio',  si
 ritiene,  vale, ai sensi del primo comma dell'art. 330 del cod. proc.
 civ., anche in caso di sentenza non notificata; "dal complesso  della
 disciplina  della  materia,  risulta pertanto che, sempre se l'evento
 non sia notificato, la  rappresentanza  processuale  del  procuratore
 spiega   effetto   fino   a  quando  l'altra  parte  non  compia  una
 notificazione conseguente alla pubblicazione della sentenza, sia essa
 quella sentenza medesima,  sia  quella  dell'atto  di  impugnazione".
 Concludeva  la  cennata importante sentenza, nel senso che a siffatta
 ricostruzione della volonta' legislativa, non  ripugna  il  principio
 dell'art.  1722  cod. civ. "sia perche' la rappresentanza processuale
 ha una disciplina diversa da quella negoziale, sia perche' lo  stesso
 codice  civile  dispone,  a  tutela della buona fede dei terzi che la
 morte, al  pari  delle  altre  cause  di  estinzione  del  potere  di
 rappresentanza conferito dall'interessato, non e' opponibile ai terzi
 che  l'abbiano  senza  colpa  ignorata  (art.  1396  del cod. civ.) e
 dispone  anche  che  gli  atti  compiuti  dal  mandatario,  prima  di
 conoscere  l'estinzione  del  mandato,  sono validi nei confronti del
 mandante o dei suoi eredi (art. 1729 del cod. civ.". In senso analogo
 si richiamava anche una precedente sentenza delle  Sezioni  Unite  in
 tema di notificazione di un ricorso al genitore rappresentante legale
 del figlio, nonostante questi avesse raggiunto la maggiore eta' (S.U.
 28 maggio 1948, n. 801).
    Ma   questo  indirizzo,  pur  con  molte  incertezze,  non  veniva
 successivamente confermato, ancorche' la dottrina, gia'  in  sede  di
 commento  della  cennata sentenza, rilevasse come "se poi la sentenza
 non  e'  stata  notificata,  il  termine  annuale  della   decadenza,
 comminata  dall'art. 327, ove uno degli eventi previsti nell'art. 299
 si verifichi dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza,  viene
 prorogato  per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell'evento"; ma
 gli inconvenienti posti in luce in relazione alla disciplina  di  cui
 al   codice  di  rito  del  1865,  non  sussisterebbero  nella  nuova
 disciplina, per la quale spetta al procuratore costituito  comunicare
 all'ufficiale    giudiziario,    che   procede   alla   notificazione
 dell'impugnazione, l'essersi verificato  uno  degli  eventi  previsti
 nell'art.  299  in  danno  del proprio rappresentato: soltanto la sua
 denuncia rende necessaria la notificazione della  sentenza,  o  della
 impugnazione, alle persone alle quali spetta di stare in giudizio.
    Da  notare  che  le  sezioni  unita' di questa suprema Corte hanno
 individuato l'inizio del decorso del termine di cui all'art. 327  del
 cod.  proc. civ., ma gia' dalla data di pubblicazione della sentenza,
 ma "dal giorno della detta presa di conoscenza" nel caso della  parte
 contumace  che venga a conoscenza, successivamente alla sentenza, del
 processo,  malgrado la nullita' della citazione o della notificazione
 della stessa (sentenza 15 maggio 1990, n. 4196).
    Come  evidente,  tutta  questa   ricostruzione   della   complessa
 normativa,  caratterizzata  da una rilevante eteronomia nelle diverse
 fasi processuali (Cass. 29 novembre 1971, n.  3474),  rispondente  ad
 esigenze  differenziate e con conseguente impossibilita' di enucleare
 principi unitari, e' imperniata su due  presupposti  che  negli  anni
 successivi erano sottoposti a serrata critica:
       a)  la  facolta'  alternativa  prevista  dall'art. 286 del cod.
 proc. civ.;
       b) la esistenza di un "dovere" di comunicazione  da  parte  del
 procuratore,  successivamente  alla morte o alla perdita di capacita'
 della parte.
    Basti qui ricordare, con riguardo  all'art.  286  del  cod.  proc.
 civ.,  che  (Cass.  7  gennaio  1974, n. 30), come del resto rilevato
 dalla dottrina, "l'argomento letterale da tale norma desumibile, cede
 il passo di fronte al piu'  generale  principio  contenuto  nell'art.
 328,  che  mira a garantire, dopo il decesso della parte, la presenza
 nelle successive fasi del giudizio di coloro che ne  hanno  effettivo
 diritto";    e,    con    riguardo   al   dovere   del   procuratore,
 "l'ultrattivita', in tal caso, riguarda chiaramente solo il luogo,  e
 non  anche  la  persona  del  destinatario  della  notifica": "rimane
 salvaguardato  in  tal  modo  il  diritto  di  difesa   delle   parti
 legittimate, diritto che potrebbe essere seriamente compromesso dalla
 prosecuzione  del  giudizio  mediante  atti  di  impulso notificati a
 soggetto che non le rappresenta".
    Lucidamente  osservava  la  motivazione  della   detta   sentenza,
 confermando e riprendendo critiche e riserve della dottrina, la quale
 ripetutamente invocava l'intervento della Corte delle leggi: "Da cio'
 consegue   che,   -   interpretate   nel  senso  che  la  parte,  pur
 incolpevolmente ignara dell'evento che ha colpito il suo antagonista,
 resti soggetta alle preclusioni derivanti  dall'aver  indirizzato  il
 proprio  atto  di impugnazione a questo, invece che al soggetto ormai
 legittimato in suo  luogo  -,  le  norme  che  disciplinano  il  caso
 appaiono   compromettere,   in   contrasto   con   l'art.   24  della
 Costituzione, il diritto di difesa di essa parte", questione peraltro
 non sollevata per difetto di rilevanza in quel giudizio e cosi' anche
 in Cass. 26 novembre 1984, n. 6116).
    Come gia' in passato ha rilevato questo supremo collegio (sentenza
 25  ottobre  1972,  n.  3218),  la  giurisprudenza  sulle   questioni
 esaminate ha seguito quattro indirizzi fondamentali:
       a)  gli  eventi interruttivi di cui all'art. 299 del cod. proc.
 civ.,  se  non  comunicati  dal  procuratore  con  atto  autonomo   o
 all'ufficiale giudiziario che procede alla notifica, non interrompono
 il  processo,  e,  quindi,  la notificazione al nome del titolare del
 diritto risultante in sentenza e' valida (Cass. 18  luglio  1950,  n.
 1959,  29  maggio  1954, n. 1753, 27 luglio 1954, n. 2753, 19 ottobre
 1957, n. 3971, 23 giugno 1959, n.   1977, 8 marzo 1961,  n.  500,  16
 gennaio 1962, n. 62, 28 settembre 1962, n. 2792, 23 febbraio 1963, n.
 436,  7  agosto  1963,  n.  2220, 24 febbraio 1966, n. 574, 28 maggio
 1966, n. 1390, 10 febbraio 1968, n. 452, 18 marzo 1968,  n.  879,  24
 ottobre  1968, n.   3482, 30 maggio 1969, n. 1943, 9 ottobre 1969, n.
 3240, 16 ottobre 1969, n. 3346 - "non puo' invocarsi  la  presunzione
 di  conoscenza da parte dei terzi dei fatti di cui la legge prescrive
 l'iscrizione  (art.  2193  del cod. civ.), perche' tale principio non
 opera nel campo del processo" -, 3 dicembre 1969, n. 3861,  21  marzo
 1970,  n.  767,  5  aprile 1971, n.   984, 6 luglio 1971, n. 2116, 25
 ottobre 1972, n. 3218, 7 gennaio 1974, n.  8,  6  dicembre  1974,  n.
 4040,  28  luglio 1975, n.   2905, 14 gennaio 1977, n. 172, 10 giugno
 1977, n. 2391, 15 giugno 1977, n. 2945, 25 novembre 1977, n. 5142, 26
 novembre 1977, n. 5175, 12 dicembre 1977, n. 5392, 15 febbraio  1979,
 n.  996,  22  febbraio  1979,  n. 1139, 12 aprile 1979, n. 2167 - che
 richiama proprio l'art.   24  della  Costituzione  per  affermare  la
 validita'  della  notificazione  -, 9 maggio 1979, n. 2641, 11 maggio
 1979, n. 2689, 11 febbraio 1980, n. 941, 10 gennaio 1981,  n.  217  -
 che  pone  l'accento  sul  fatto  che  gli eventi "non hanno prodotto
 effetti interruttivi per una scelta del soggetto  abilitato  a  farli
 valere"  -,  25  novembre  1982, n. 6400, 27 aprile 1983, n. 2890, 21
 giugno 1984, n. 3671, 5 luglio 1984, n.   3929, 27  luglio  1984,  n.
 4474,  9  marzo 1987, n. 2435, 17 luglio 1991, n. 7929 - per la quale
 la rilevanza dell'evento morte  e'  correlata  alla  scelta  eseguita
 dalla  parte  che  ha  proceduto  alla  notifica, secondo la facolta'
 concessagli dagli artt. 285 e 286 del cod. proc.   civ. -  16  luglio
 1992,  n.  8616  - con riferimento ad una fattispecie di sopravvenuto
 fallimento - seguita peraltro da 13 ottobre 1992, n.  11168);
       b)  gli  eventi  anzidetti,  esaurita   la   fase   processuale
 conclusasi con la sentenza, automaticamente interrompono il processo,
 nonostante la presenza di un procuratore gia' costituito per la parte
 che ha subito l'evento (Cass. 28 luglio 1951, n. 2190, 12 marzo 1966,
 n.  717,  6  giugno  1972, n. 1745, 27 marzo 1976, n. 1107, 23 luglio
 1976, n. 2956, 9 ottobre 1977, n. 4476, 6 dicembre 1977, n.  5277,  4
 maggio  1982,  n. 2765, 13 luglio 1982, n. 4119, 15 febbraio 1985, n.
 1317 - per la quale con la morte il  rapporto  di  rappresentanza  si
 estingue,  e  "la  residua  abilitazione  del procuratore del defunto
 costituito in primo grado e' rigorosamente delimitata: egli e' valido
 destinatario della  notificazione  effettuata  dalla  controparte  la
 quale  incolpevolmente  ignori  l'evento,  oppure puo' costituirsi in
 giudizio per dichiarare o notificare alla controparte  la  morte  del
 suo  rappresentato"  -  cfr.  altresi',  per la inamissibilita' della
 notificazione della sentenza e dell'appello proposto dal  procuratore
 della parte deceduta: Cass. 29 aprile 1959, n. 1284, 21 gennaio 1971,
 n.  131,  19 dicembre 1978, n. 6096, 18 giugno 1980, n. 3888 - per la
 quale la costituzione degli eredi, se con  determinati  contenuti  ed
 entro  i  termini, puo' valere come autonoma impugnazione -, 5 aprile
 1984,  n.  2213,  8  agosto  1985,   n.   4393);   la   notificazione
 dell'impugnazione  effettuata  alla  parte  deceduta,  anziche'  agli
 eredi,  dalla  parte  edotta  dell'evento,  e'  affetta  da  nullita'
 assoluta rilevabile di ufficio (S.U. 21 luglio 1978, n. 3630, Cass. 2
 aprile  1981,  n. 1865, 27 aprile 1983, n. 2881, 21 febbraio 1989, n.
 989 - "non si tratta di nullita' della notificazione,  ma  di  errata
 identificazione  del  soggetto  passivo  della  vocatio in ius" -, 11
 maggio 1991, n. 5292, 8 giugno 1992, n. 7045;  cfr.  altresi'  le  di
 seguito richiamate sentenze 19 ottobre 1977, n. 4476, 18 giugno 1980,
 n.  3888,  13  luglio  1982,  n.  4119,  18  gennaio 1984, n. 443, 29
 novembre 1986, n. 7055, 25 giugno 1990, n. 6404);
       c) la parte che avrebbe dovuto ricevere  la  notificazione,  e'
 ammessa a provare che l'errore era dovuto ad ignoranza (in) colpevole
 (Cass.  18  novembre  1964,  n.  2753,  10  febbraio  1968, n. 452, 5
 dicembre 1968, n. 3895, 9 ottobre 1969, n. 3240, 16 ottobre 1969,  n.
 3352, 2 marzo 1970, n. 502, 22 ottobre 1971, n. 2977, 23 maggio 1992,
 n. 1605, 9 aprile 1974, n. 989, 7 ottobre 1974, n. 2639 - la sentenza
 era  stata  notificata  al soccombente dall'"unico erede" della parte
 vittoriosa deceduta  -,  13  marzo  1975,  n.  951,  in  un  caso  di
 litisconsorzio  necessario; in genere per le esigenze di tutela della
 buona fede dell'impugnante che versi in non colpevole  ignoranza  del
 decesso  dell'altra  parte,  oltre alla piu' volte richiamata S.U. n.
 2360 del 1978, cfr. Cass. 15 giugno 1977, n. 2495, 5 settembre  1977,
 n.  3877, 15 aprile 1980, n. 2452, 22 aprile 1981, n. 2349, 13 luglio
 1982, n. 4119. Per un singolare caso di omonimia tra  parte  deceduta
 nel  corso  del  giudizio  di  primo  grado  ed erede costituitosi in
 appello, cfr. Cass. 14 febbraio 1975, n. 579);
       d) la prova in ordine  alla  giustificabilita'  dell'errore  e'
 posta a carico della parte che procede alla notifica (Cass. 28 aprile
 1956,  n. 1305, 19 luglio 1957, n. 3048, 10 ottobre 1958, n. 3194, 29
 aprile 1959, n. 1294, 7 agosto 1963, n. 2220, 8 luglio 1965, n. 1424,
 23 maggio 1972, n. 1605, 21 aprile 1975, n. 1531, 5 aprile  1976,  n.
 1176,  15  gennaio  1982,  n.  256; da ricordare, per una fattispecie
 nella quale la sentenza era  stata  notificata  "a  richiesta"  della
 parte  deceduta,  e la morte non era stata dichiarata neppure in sede
 di notificazione dell'impugnazione Cass. 26 giugno 1976, n. 2420).
   Esattamente negli stessi termini di cui al presente ricorso, in una
 fattispecie  nella  quale  parimenti  si  versava   in   ipotesi   di
 notificazione dell'impugnazione al procuratore della parte morta dopo
 la pubblicazione della sentenza, ma prima del decorso dei sei mesi di
 cui  all'ultimo  comma  dell'art.  238  del  cod.  proc. civ., questo
 supremo collegio ha recentemente ritenuto (Cass. 9  luglio  1992,  n.
 8347; cfr., peraltro, anche la su richiamata sent. n. 7929 del 1991),
 dopo  una  approfondita  analisi  delle tre diverse fasi: ( a) tra la
 costituzione in giudizio e la chiusura della discussione; b) dopo  la
 chiusura  della  discussione,  ma  prima  della  notificazione (o del
 deposito) della sentenza; c) durante la decorrenza  del  termine  per
 impugnare)  nelle  quali  puo'  cadere l'evento morte, che occorresse
 distinguere, nella terza ipotesi, a seconda che si tratti di  termine
 breve  (art.  325  del  cod.  prod.  civ.)  o  del termine annuale di
 decadenza (art. 327 del cod. prod. civ.), dovendo  applicarsi  l'art.
 328  del  cod. proc. civ. ad entrambe le ipotesi. Il termine breve e'
 interrotto ed il nuovo termine prendera' a decorrere solo  se,  e  da
 quando,  la  notificazione  della  sentenza  sia rinnovata agli eredi
 della parte defunta o da parte degli stessi: la  norma,  infatti,  ha
 valore   sia   nel   caso  che  gli  eredi  siano  destinatari  della
 impugnazione, sia che ne siano autori (Cass.  22  dicembre  1987,  n.
 9571).  Quanto  al termine annuale, occorre distinguere a seconda che
 l'evento si verifichi nel secondo semestre, nel qual caso il  termine
 stesso  e'  prorogato  per  tutte  le  parti  di  sei mesi dal giorno
 dell'evento  (Cass.  8  agosto  1985,  n.  4393),  oppure  nel  primo
 semestre,  "nel  qual  caso  non  si  produce alcuna conseguenza". Si
 confermava in tale occasione che "non e' possibile prescindere  dalla
 nuova  situazione  soggettiva determinatasi riguardo a qualcuna delle
 parti" (Cass. 29 novembre 1986, n. 7055, 25 giugno 1990, n. 6404,  11
 maggio  1991,  n.  5292;  cfr. anche Cass. 18 gennaio 1984, n. 443, e
 soprattutto 29 novembre 1971, n. 3474,  per  la  quale  "nell'ipotesi
 dell'art.  328  del  cod.  proc.  civ.,  non  sussiste l'onere di cui
 all'art.  300  del cod. proc. civ., cioe' della notificazione o della
 comunicazione dell'evento interruttivo, si da potersi considerare, in
 caso di inadempimento del predetto onere,  come  non  avvenuto,  agli
 effetti processuali, l'evento stesso").
    Soggiungeva  la  su  richiamata sentenza n. 6404: "Tale principio,
 secondo le sezioni unite (sentenza 21 febbraio 1984,  n.  1228:  cfr.
 anche  le coeve numeri 1229, 1230 e 1231) solo parzialmente affermato
 dall'art. 286 del cod. proc. civ.,  che  lo  esprime  in  termini  di
 facoltativita' (anche se non mancano altre sentenze come la n. 30 del
 1974 che ridimensionano l'accennato elemento letterale dell'art. 286,
 ritenendo  che  essa  ceda  al  piu'  generale  principio  desumibile
 dell'art. 328 del cod. proc. civ.), trova pieno  riscontro,  appunto,
 nell'art.  328,  essendo  evidente,  in caso di termine breve, che la
 rinnovazione della notificazione e' funzionale e  che  l'impugnazione
 di svolga contro i (o per iniziativa dei) soggetti reali del processo
 (nell'ipotesi di morte della parte, gli eredi di essa); e, in caso di
 termine  lungo,  che la diversificata disciplina, sopra descritta, e'
 funzionale e che, dopo l'evento,  rimanga  un  periodo  comunque  non
 inferiore a sei mesi perche' l'impugnazione possa essere proposta da,
 o  contro,  i  nuovi  soggetti  reali  del  processo,  in armonia con
 l'autorevole insegnamento secondo cui, chiusosi il grado con la  fine
 della  udienza di discussione, le parti ritornano nella situazione di
 dover  conoscere  la  posizione  di  colui  con  il  quale  intendono
 contrarre  il rapporto processuale, non diversamente da quando ancora
 doveva proporsi la domanda". Soggiungeva la motivazione della cennata
 sentenza che il secondo comma dell'art. 330 del cod. proc. civ.  "per
 il  quale  l'impugnazione  puo'  essere  notificata  agli eredi della
 parte, deceduta dopo  la  notificazione  della  sentenza,  presso  il
 procuratore  costituito  per  la  parte stessa nel pregresso grado di
 giudizio, tale norma non esprime(ndo)  una  nuova  manifestazione  di
 ultrattivita'   della   procura,  (ma)  semplicemente  identificando,
 attraverso il rinvio al precedente comma, uno dei luoghi  in  cui  la
 notificazione  dell'impugnazione  e'  eseguibile" (cfr. anche Cass. 4
 agosto 1977, n. 3505).
    In sostanza si confermava (piu'  recentemente:  Cass.  19  ottobre
 1977, n. 4476, 18 giugno 1980, n. 3888, 13 luglio 1982, n. 4119 - per
 la  quale  la  costituzione  degli  eredi  al  solo fine di sostenere
 l'inammissibilita' dell'impugnazione, non ha effetto  sanante  -,  18
 gennaio  1984,  n.  443)  l'autorevole  dottrina,  secondo  la  quale
 "irrilevante e' (che) alcuno degli eventi  menzionati  dall'art.  299
 nel corso del termine annuale di decadenza, se verificatosi nei primi
 sei  mesi  dalla  pubblicazione  della  sentenza",  conseguendone  la
 inammissibilita' della impugnazione, per nullita' della notificazione
 al procuratore  che  ha  rappresentato  la  parte  deceduta,  essendo
 irrilevante,   a   questi   fini,   la  ignoranza  incolpevole  della
 controparte.
    D'altra parte non si dubita che i luoghi nei quali, ai  sensi  del
 primo  comma dell'art. 330 del cod. proc. civ. deve essere notificata
 la impugnazione, sono identificati dal legislatore con riguardo  alla
 presunzione  che "detti luoghi siano quelli piu' idonei ad assicurare
 che il  destinatario  venga  a  conoscenza  dell'atto  notificatogli"
 (Cass.  28  luglio  1980, n. 4863); e cio', peraltro, trattandosi del
 luogo eletto da una parte successivamente deceduta, non  appare  piu'
 altrettanto plausibile rispetto agli eredi dello stesso.
    Puo'   pertanto  ritenersi  essere  questo  il  diritto  "vivente"
 applicabile  alla  fattispecie,  tenuto   conto   della   sostanziale
 concordanza  della  giurisprudenza, almeno negli ultimi anni e per un
 tempo sufficientemente potratto.
    In realta' la disciplina che risulta da siffatta  interpretazione,
 ed   in   particolare   dalla   necessita'   di  tenere  conto  della
 modificazione  soggettiva  ove  il   decesso   intervenga   dopo   la
 pubblicazione  della  sentenza,  si pone in termini rispetto ai quali
 non  e'  manifestamente   infondato   il   dubbio   di   legittimita'
 costituzionale,  in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma, della
 Costituzione.
    Da ricordare che  ormai  da  molti  anni  la  dottrina  invoca  la
 sottoposizione  della  questione  allo  scrutinio  della  Corte delle
 leggi, proprio per sospetta violazione dell'art. 24,  secondo  comma,
 della Costituzione.
    Ed  invero,  posto  che  la  parte  soccombente  ignora l'avvenuto
 decesso della parte vittoriosa, non ha altra possibilita', durante il
 decorso del termine annuale, che notificare la impugnazione a  quello
 che  le risulta essere il procuratore della parte stessa al domicilio
 eletto.
    Ben puo' accadere, e per ragioni diverse (ignoranza dell'evento  o
 dell'esistenza  degli  eredi,  sedi  tra  loro  distanti,  callidita'
 processuale - la su richiamata sentenza n. 3482 del 1968, al riguardo
 ritiene che il procuratore "non e' vincolato  ad  alcun  termine  per
 fare   tale  dichiarazione,  poiche'  la  legge  gli  attribuisce  la
 facolta',  come  dominus  della  lite,  di   valutare   l'oppotunita'
 nell'interesse  della  parte  che rappresenta, di portare o meno alla
 legale  conoscenza  del  giudice  e  della  controparte  la   notizia
 dell'evento  idoneo a produrre l'intererruzione del processo", ecc.),
 che il procuratore, gia' domiciliatario della parte  deceduta,  nulla
 dica  in  sede  di ricezione della notificazione dell'impugnazione, e
 che la parte appellante nulla sappia, ne' sia in grado di sapere,  in
 ordine alla mutata situazione (cosi' come nel caso che ne occupa), e,
 pertanto,   essendo   priva   di  efficacia  la  notificazione  della
 impugnazione effettuata, che il termine annuale di decadenza decorra,
 per quanto lo concerne, del tutto incolpevolmente con pregiudizio del
 suo diritto di difesa (donde  l'evidente  interesse  del  procuratore
 della  parte deceduta e vittoriosa in primo grado, a tacere l'evento;
 soprattutto ove si consideri quanto  affermato  dalla  su  richiamata
 sentenza n. 3474 del 1971 in ordine alla insussistenza di un onere di
 comunicazione o notificazione dell'evento interruttivo).
    Ne' e' possibile, come prospettato dalla su richiamata sentenza n.
 4393  del  1985,  affermare  che in realta' "chiusosi il grado con la
 fine  della  udienza  di  discussione,  le  parti   ritornano   nella
 situazione  di  dover  conoscere  la  posizione di colui con il quale
 intendono contrarre il  rapporto  processuale,  non  diversamente  da
 quando  ancora  doveva  proporsi la domanda": la differenza, infatti,
 discende dalla circostanza che al momento  di  produrre  la  domanda,
 incombe  all'attore  o  al  ricorrente  esattamente  identificare  il
 destinatario, ma non si verifica in caso di errore  alcuna  decadenza
 (cfr.   su   richiamata   sentenza   n.   30  del  1974),  rientrando
 l'azionabilita' negli ordinari termini di prescrizione; diversamente,
 nel  caso  dell'appellante,  proprio  per  essergli  nota  la   parte
 vittoriosa   ed   il   suo  rappresentante  domiciliatario  (ed  aver
 conseguentemente indirizzato ivi la notificazione dell'impugnazione),
 la  mancata  proposizione del gravame nei confronti degli eredi entro
 un determinato termine (ignorando la apertura della successione e  la
 loro esistenza, ed anzi dovendo escluderla, alla stregua della relata
 alla  notificazione  "a  mani  proprie"  dell'atto  di impugnazione),
 provoca la decadenza della  facolta'  di  impugnazione  e  quindi  il
 passaggio  in  giudicato  della  sentenza;  inoltre,  nell'ambito del
 processo, il domicilio eletto e il procuratore legale, gli erano noti
 ed   e'   appunto   la   sede   ove   indirizza   la    notificazione
 dell'impugnazione. La decadenza - la quale, come noto, per sua natura
 e'  insensibile  all'elemento  psicologico  (cfr.,  ad  es., Cass. 23
 giugno 1969, n. 2260, e, piu' recentemente, 6 dicembre 1988, n. 6666)
 -, nel caso che ne occupa, si verifica magrado che, per quanto a  lui
 noto, egli abbia gia' manifestato, e dal suo punto di vista del tutto
 validamente, la volonta' di impugnare, cioe' di impedire il passaggio
 in giudicato della sentenza.
    A  parte  la  irrilevanza,  al  fini  che  qui interessano, non e'
 possibile  neppure  ipotizzare  una  astratta   responsabilita'   del
 domiciliatario  (in  questo senso, ma non esplicitamente, sembrerebbe
 Cass. n. 4119 del 1982  su  richiamata),  se  non  altro  perche'  la
 ricezione  potrebbe  essere  avvenuta senza alcuna consapevolezza del
 decesso nel frattempo intervenuto; ne' e'  configurabile  un  obbligo
 processuale del procuratore (a seguito della morte della parte, viene
 meno  la  procura, tanto che egli non potrebbe validamente notificare
 la sentenza: Cass. 27 marzo 1976,  n.  1107;  non  si  tratta  di  un
 dovere,  ma  di  un  diritto  potestativo processuale del procuratore
 costituito: Cass.  14  gennaio  1987,  n.  204),  di  rendere  edotto
 l'ufficiale giudiziario dell'avvenuto decesso del gia' rappresentato,
 poiche'  -  a  parte  la difficolta' di accertare la consapevolezza -
 tale obbligo, insussistente in ambito processuale, come si e'  visto;
 dovrebbe configurarsi nei confronti degli eredi, con i quali egli non
 ha alcun rapporto.
    Del  pari,  non  e'  neppure  possibile  ipotizzare  un'automatica
 efficacia della notificazione della impugnazione nei confronti  degli
 eredi  della  parte  costituita  e  deceduta,  posto  che  gli stessi
 potrebbero non venire  informati,  o  essere  informati  con  ritardo
 pregiudizievole, della pendente impugnazione.
   Tanto   piu'   evidente  appare  cio',  ove  si  ponga  mente  alle
 statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 41
 del 3 marzo 1986 la'  dove,  con  riferimento  al  difensore,  si  e'
 ritenuto  che  "non  contribuisce  alla  difesa del cliente in misura
 minore dell'attivita' della  parte  stessa":  e  ancor  piu'  ove  si
 consideri  la ratio che ha presidiato la sentenza 12 dicembre 1967 n.
 139 della Corte costituzionale, soprattutto ove  e'  affermato:  "Ne'
 giova   richiamarsi   ad   una   pretesa   congruita'  dello  spatium
 deliberandi, perche' non si  tratta  di  valutare  l'opportunita'  di
 fissare   un   termine   per   il  compimento  di  un  atto  e  della
 discrezionalita' usata per fissarne i limiti, ma di  giudicare  della
 legittimita'  del criterio adottato per la decorrenza del termine ove
 questo cominci a decorrere dalla data di un evento di cui il soggetto
 non e' messo in condizione di conoscere l'avverarsi.  Trattandosi  di
 termini  processuali,  viene  percio' in considerazione il diritto di
 difesa,  che  comporta  anche  l'esigenza  della   conoscenza   delle
 situazioni  di  fatto obbiettive e subiettive cui la legge ricollega,
 condiziona  e subordina, in virtu' di oneri, preclusioni o decadenze,
 il concreto esercizio del diritto stesso" (cfr. anche Cass. 17 giugno
 1968 n. 1943 e 23 luglio 1976  n.  2956).  Tali  principi  erano  poi
 confermati  dalla  Corte  costituzionale  nelle  sentenze 26 febbraio
 1970, n. 34 e 28 giugno 1971, n. 159.
    Nella prima di dette sentenze si  rilevava  come  fosse  contrario
 alla  possibilita'  di difesa dei diritti, lasciare che la decorrenza
 del termine utile per la richiesta di  fissazione  di  nuova  udienza
 (art.  297,  primo  comma,  del  cod. proc. civ.) si computasse dalla
 cessazione della causa di sospensione, anziche' dalla conoscenza  che
 ne  abbiano  le  parti:  cio'  in  quanto  si tratta di fatti che, in
 ipotesi non eccezionali ne' rare, non sono conosciuti dalle parti del
 processo, non solo quando si verificano, ma neppure  successivamente,
 ovvero "sono conoscibili solo con l'impiego di una diligenza piu' che
 normale".
    Quanto  alla  successiva sentenza n. 159 del 1971, in quest'ultima
 sentenza, in particolare, si dichiarava contrario all'art.  24  della
 Costituzione  l'art.  305  del  cod.  proc.  civ.  nella parte in cui
 dispone  che  il  termine  utile  per  la  prosecuzione  o   per   la
 riassunzione  del  processo  interrotto  ai sensi dell'art. 299 dello
 stesso codice, decorre dall'interruzione, anziche' dalla data in  cui
 le parti ne abbiano avuto conoscenza. In motivazione, anzi, era detto
 testualmente:   "nell'ipotesi  di  morte  della  parte  (prima  della
 costituzione, ed il discorso vale, con i necessari  adattamenti,  per
 le rimanenti ipotesi), l'estinzione del processo puo' essere impedita
 mediante  la prosecuzione o riassunzione dello stesso. Si presuppone,
 cosi', che l'evento interruttivo sia tempestivamente conosciuto dagli
 eredi della parte deceduta o dalla controparte, e  che,  quindi,  gli
 uni  o  l'altra  siano  in condizione di attendere con diligenza alla
 tutela dei rispettivi diritti ed  interessi.  Qualora,  pero',  detti
 soggetti,  in  fatto,  non  vengano  tempestivamente  a conoscenza di
 quell'evento, nulla gli stessi possono fare per impedire il  prodursi
 dell'effetto  estintivo".  Questa  sentenza,  tra  l'altro, esaminava
 anche un aspetto che non riguarda  questo  procedimento,  ma  che  e'
 rilevante  quanto  meno  in  relazione alla possibilita' che la Corte
 delle leggi intenda valersi dei suoi poteri di sindacato  di  ufficio
 (art.  27  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87), e, comunque, per i
 criteri di valutazione della  legittimita'  che  risultano  adottati:
 "gli  eredi della parte deceduta, ad es. che non sappiano della morte
 del loro dante causa, non sono infatti posti in grado di  far  valere
 in  giudizio le loro pretese". Da notare che la giurisprudenza (Cass.
 10 dicembre 1979, n. 6378), a seguito della sentenza n. 159 del 1971,
 riteneva, in applicazione del testo risultante dall'art. 305 del cod.
 proc. civ., il termine sospeso a favore delle  altre  parti  "fino  a
 quando  le  stesse  non abbiano avuto conoscenza di detto evento": e'
 evidente la disparita' di trattamento che residua rispetto all'evento
 morte della parte vittoriosa.
    Infine, recentemente, la Corte costituzionale (sent. n.  1110  del
 20  dicembre 1988) ha escluso, ma con riguardo agli eredi della parte
 deceduta, la possibilita' di un intervento addittivo,  pur  ribadendo
 che  "e'  comunque  di  peculiare  evidenza,  che occorre una nuova e
 specifica disciplina normativa che, inserita nel sistema  del  codice
 di rito, ponga rimedio alla diversita' di trattamento che attualmente
 riceve  il  ricorrente incidentale rispetto al ricorrente principale,
 nei casi in cui si verifichi uno degli eventi di cui all'art. 299 del
 cod.   proc.   civ.,   tra  cui  la  morte  dello  stesso  ricorrente
 incidentale, ed appresti, tra i  vari  meccanismi  possibili,  quello
 ritenuto  piu'  idoneo  a  superare  le  difficolta'  in  cui possono
 trovarsi gli eredi, in modo che, con eguale trattamento, sia ad  essi
 garantita  la  piena tutela del diritto di cui sono divenuti titolari
 per la morte del de cuius", il che, come  evidente,  vale  anche  con
 riferimento   all'interesse   alla   impugnazione  che  derivi  dalla
 impugnativa dell'altra parte. Tale intervento legislativo non  vi  e'
 stato,   e   pertanto  permane  nei  diversi  aspetti  degli  effetti
 processuali della morte di una delle parti, ignorata dall'altra -  o,
 come  si  e'  visto,  dagli  stessi  eredi  -, una compromissione del
 diritto di difesa delle parti ignare dell'avvenuto decesso.
   A conclusioni non dissimili si perviene anche tenendo  conto  della
 sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 136 del 27 marzo 1992, che
 solo  apparentemente  sembra  contenere  principi  diversi:  si  deve
 infatti  tenere  conto  del fatto che questa sentenza si riferisce ad
 una fattispecie del  tutto  diversa,  trattandosi  di  perdita  della
 capacita'  (per  fallimento)  della  parte costituita, ma in corso di
 giudizio, e non successivamente alla pubblicazione della sentenza, ed
 in relazione alla notificazione della  impugnazione.  Si  e'  infatti
 gia'  avuto  modo  di  confermare  come la disciplina predisposta dal
 legislatore per la morte  o  la  perdita  della  capacita',  non  sia
 riconducibile,  nelle diverse fasi processuali, ad una unitarieta' di
 principi, essendo invece informata ad esigenze contingenti,  connesse
 con  la  agevolazione dell'iter procedimentale. Cio' vale del pari in
 relazione alla sentenza 5 agosto 1993, n. 8553, della 1a  sezione  di
 questa  suprema  Corte,  in quanto la fattispecie, ivi esaminata, non
 attiene alla individuazione del destinatario  della  impugnazione  ed
 alla notificazione della stessa, ma alla notificazione della sentenza
 ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione.
    Alla  stregua  delle  svolte considerazioni, che, almeno in parte,
 pur riguardando norme diverse, si svolgono secondo criteri e principi
 applicabili anche alla  disciplina  che  interessa  questo  giudizio,
 sempre  che la delineata disciplina non garantisca in modo regolare e
 normale  la  possibilita'  di  reintegrare  il  contraddittorio,   e,
 soprattutto,  non  assicuri il diritto di difesa in modo affettivo ed
 adeguato, nel rispetto del  principio  di  uguaglianza:  non  appare,
 pertanto,   del   tutto   infondato   il   dubbio   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 328 del  cod.  proc.  civ.,  in  riferimento
 all'art.  24,  secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui,
 in relazione al decreto verificatosi durante i  primi  sei  mesi  del
 decorso  del termine annuale di cui all'art. 327 del cod. proc. civ.,
 non prevede la automatica interruzione del processo nel caso  che  il
 procuratore  della  parte deceduta successivamente alla pubblicazione
 della  sentenza,  all'atto  della   ricezione   della   notificazione
 dell'impugnazione  dell'altra  parte, ometta di dichiarare l'avvenuto
 decesso; ovvero, con riferimento all'art. 325 del  cod.  proc.  civ.,
 non  prevede che, nel caso anzidetto, il termine annuale di decadenza
 decorra  soltanto  dal  momento  in  cui  sia  conosciuto  l'avvenuto
 decesso.
    Cio',  indipendentemente  dal  fatto  che  la Corte costituzionale
 possa eventualmente avvalersi dei suoi poteri di sindacato di ufficio
 (art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) della  legittimita'  della
 disciplina   esistente   in   relazione   alla  morte  di  una  parte
 successivamente alla pubblicazione della sentenza (in particolare con
 riguardo  all'art.  327  ed  allo stesso art. 328 del cod. proc. civ.
 nella cennata ipotesi di decesso avvenuto dopo sei mesi,  soprattutto
 alla  stregua  della  motivazione della sentenza 21 dicembre 1988, n.
 6984,  di  questo  supremo  collegio),  ed  anche  tenuto  delle  sue
 precedenti  pronunce su richiamate, in quanto appare possibile un suo
 intervento interpretativo di accoglimento, in una  formulazione  tale
 da  impedire che, per effetto dell'assetto legislativo della materia,
 si  verifichi  una  incolpevole  perdita  del   diritto   di   difesa
 consistente  nella  decadenza  dal  diritto  di  impugnazione, pur in
 presenza  di  una  volonta'  di  gravare  la  decisione  sfavorevole,
 manifestata  tempestivamente  e  ritualmente  (almeno alla stregua di
 quanto noto e conoscibile dalla parte nel processo).
    Consegue a  quanto  esposto  la  sospensione  del  giudizio  e  la
 trasmissione   degli   atti  alla  Corte  costituzionale,  previ  gli
 incombenti di cancelleria precisati in dispositivo.