ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7, settimo
 comma, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito  dalla
 legge  14  novembre  1992,  n.  438  (Misure  urgenti  in  materia di
 previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
 fiscali),  promossi  con  n.  7 ordinanze emesse il 5 maggio 1993 dal
 Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sui ricorsi  proposti
 da  Borile  Paolo  ed  altri  contro  l'Ufficio  Italiano  dei cambi,
 iscritte ai nn. 28, 29, 91, 92, 387, 388 e 389 del registro ordinanze
 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 12
 e 27 prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione di Borile  Paolo  ed  altri,  Nardo
 Massimo,  Lo  Coco  Anna  Maria,  Caleffi Adriano, Bertini Stefano ed
 altri  e  dell'Ufficio  Italiano  dei  Cambi  nonche'  gli  atti   di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 ottobre 1994 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto  che  nel  corso  del  giudizio  instaurato   da   alcuni
 dipendenti   dell'Ufficio   Italiano  dei  Cambi  per  richiedere  la
 declaratoria del diritto ad ottenere la ricostruzione della  carriera
 ai fini economici, con attribuzione, ai sensi dell'art. 4 del decreto
 legge  27  settembre 1982, n. 681, convertito dalla legge 20 novembre
 1982, n. 869, dello stipendio in godimento ai dipendenti immessi  nel
 grado  di funzionario di II livello in possesso di una anzianita' nel
 medesimo grado  inferiore  a  quella  dei  ricorrenti,  il  Tribunale
 amministrativo  regionale  per  il  Lazio, con ordinanza del 5 maggio
 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101,  108  e
 113  della  Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, settimo comma, del decreto legge 19 settembre  1992,  n.
 384,  convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438 (R.O. n. 28 del
 1994);
      che il giudice remittente  nell'ordinanza  ha  premesso  che  ai
 ricorrenti, transitati per concorsi interni nella carriera direttiva,
 viene  corrisposta  una retribuzione inferiore a quella attribuita ad
 altri  funzionari  malgrado  questi  abbiano  minore  anzianita'  nel
 medesimo grado (funzionario di II livello), in applicazione di alcune
 norme  regolamentari  che  disciplinano  il trattamento economico del
 personale dell'Ufficio  Italiano  Cambi,  e  che  a  tale  disparita'
 dovrebbe   porsi   rimedio   facendo   applicazione   del   principio
 dell'allineamento stipendiale, sancito dall'art.  4,  secondo  comma,
 seconda parte, del decreto legge 27 settembre 1982, n. 681 convertito
 dalla  legge  20  novembre  1982  n.  869, per la dirigenza statale e
 ritenuto applicabile dalla giurisprudenza a tutto il pubblico impiego
 quale rimedio correttivo di carattere generale;
     che  il  giudice  a  quo,  dopo  aver   richiamato   la   propria
 giurisprudenza   con  la  quale  aveva  riconosciuto  in  fattispecie
 analoghe    l'applicabilita'    del    principio    dell'allineamento
 stipendiale,  ha  rilevato  che  nelle more del giudizio in questione
 sono intervenute le  disposizioni  dell'art.  2,  quarto  comma,  del
 decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto
 1992,  n.  359,  che  ha  abrogato,  a decorrere dalla sua entrata in
 vigore,  le  norme  sull'allineamento  stipendiale,  e,  soprattutto,
 l'art. 7, comma settimo, del decreto legge 19 settembre 1992, n. 384,
 convertito  dalla  legge 14 novembre 1992, n. 438, di interpretazione
 del citato art. 2, comma quarto,  che  dispone  che  "dalla  data  di
 entrata  in vigore del predetto decreto legge non possono essere piu'
 adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche'  aventi
 effetti anteriori all'11 luglio 1992";
      che  -  sempre ad avviso del giudice remittente - sulla base del
 sopravvenuto quadro normativo il ricorso dovrebbe essere respinto,  e
 risulta  pertanto  rilevante la questione di costituzionalita' che il
 giudice medesimo solleva nei  confronti  della  norma  interpretativa
 impugnata;
      che nell'ordinanza di rimessione si osserva che un primo profilo
 di  illegittimita' della disposizione impugnata riguarda il contrasto
 con gli artt. 3, 24 e 113 della  Costituzione,  dal  momento  che  la
 stessa  disposizione  inibisce al giudice amministrativo la pronuncia
 su questioni sottoposte al suo  giudizio,  in  cio'  ravvisandosi  la
 violazione  del  diritto  di  difesa e del principio secondo il quale
 contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre  ammessa  la
 tutela giurisdizionale;
      che,  sempre  in  riferimento  ai poteri del giudice, un secondo
 profilo di  illegittimita'  prospettato  nell'ordinanza  concerne  il
 contrasto  con  gli  artt.  3,  101  e  108 Cost., dal momento che al
 giudice investito della causa e' preclusa la  possibilita'  di  tener
 conto  della  legislazione vigente al momento della presentazione del
 ricorso da parte degli interessati  e  al  momento  in  cui  si  sono
 verificati  i  presupposti  sui quali si fonda la domanda, e che, in-
 fine, secondo il giudice remittente, la  norma  impugnata  viola  gli
 artt.  3  e  97  Cost.  sia perche' dissimula, sotto le spoglie della
 norma interpretativa, una norma retroattiva che incide  su  posizioni
 giuridiche  soggettive  aventi consistenza di diritti soggettivi gia'
 perfezionati, sia in quanto produce una ingiustificata disparita'  di
 trattamento  tra dipendenti pubblici, e in particolare tra coloro che
 hanno gia' ottenuto  un  provvedimento  di  allineamento  stipendiale
 prima  dell'entrata  in vigore della disposizione in questione e chi,
 anche per ragioni  casuali,  in  relazione  allo  stesso  periodo  di
 maturazione  del  diritto,  non  abbia  ancora  ottenuto  il medesimo
 beneficio;
      che con altre sei ordinanze emesse in data  5  maggio  1993,  di
 contenuto  identico  alla  precedente,  il  Tribunale  amministrativo
 regionale per  il  Lazio,  ha  sollevato  la  medesima  questione  di
 costituzionalita' (R.O. nn. 29, 91, 92, 387, 388, 389 del 1994);
      che  in tutti i giudizi ha spiegato intervento il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  per chiedere che la questione sia dichiarata
 infondata, e che sono intervenute anche le parti private Borile Paolo
 e altri, che hanno depositato memorie ribadendo le  argomentazioni  a
 sostegno  dell'ordinanza del giudice remittente, e l'Ufficio Italiano
 Cambi, che ha richiesto che la  questione  sollevata  sia  dichiarata
 manifestamente infondata;
    Considerato  che  le ordinanze di rimessione sollevano un'identica
 questione e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti;
      che  questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  6  del  1994  e  con
 l'ordinanza  n.  105  del  1994, ha gia' dichiarato, rispettivamente,
 infondata  e  manifestamente  infondata  una  identica  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  affermando  che  "la  soppressione con
 efficacia retroattiva dell'istituto dell'allineamento stipendiale  e'
 stata  determinata dalla irrazionalita' e dalle diseguaglianze che si
 sono  andate  determinando  nelle  applicazioni  pratiche   di   tale
 istituto"  e  che neppure l'eventuale disparita' tra coloro che hanno
 potuto gia' acquisire l'allineamento e coloro che ne sono esclusi  in
 applicazione   della   norma   impugnata   potrebbe  giustificare  la
 sopravvivenza  dell'istituto  dell'allineamento  "che  si  e'  voluto
 espungere radicalmente dall'ordinamento proprio in relazione alla sua
 intrinseca  irrazionalita'", mentre la disposizione impugnata "non ha
 sottratto ai ricorrenti alcun strumento di tutela giurisdizionale nei
 confronti degli atti della pubblica amministrazione, ne' ha  menomato
 l'autonomia  riconosciuta al potere giurisdizionale nell'applicazione
 del  diritto  oggettivo  ai  fini  della  definizione  delle  singole
 controversie";
      che  il  giudice a quo, nelle ordinanze di rimessione, ripropone
 la questione di costituzionalita' dell'art.  7,  comma  settimo,  del
 decreto  legge  n.  384  del  1992, convertito dalla legge n. 438 del
 1992, senza introdurre nuove argomentazioni, mentre risulta privo  di
 rilievo,  ai fini del presente giudizio, il riferimento operato dalle
 parti private alle norme regolamentari che disciplinano il  personale
 dipendente dell'Ufficio Italiano Cambi, dal momento che l'oggetto del
 giudizio   di   costituzionalita'   deve  limitarsi  all'esame  della
 disposizione  di  legge  impugnata  dal  giudice   remittente   nelle
 ordinanze in epigrafe;
      che,  pertanto,  la  questione  di  legittimita'  sollevata  nel
 presente giudizio va dichiarata manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;