IL PRETORE
   Visti  gli  atti  del  procedimento  penale  n.  19184/94 r.g. e n.
 2866/92 r.n.r. contro Cutrona Francesco, nato a Niscemi il 28  aprile
 1955, ed ivi residente in via Cimabue, imputato della contravvenzione
 di  cui  agli artt. 20 lett. b), della legge 20 febbraio 1985, n. 47,
 36 della legge regione  Sicilia  24  dicembre  1978  n.  71,  perche'
 realizzava  in difformita' dalla concessione n. 21 del 24 maggio 1991
 le seguenti opere: sopraelevazione di primo piano per una  superficie
 totale di 28 mq;
       b) della contravvenzione di cui agli artt. 2, primo comma, e 13
 della  legge  5 novembre 1971, n. 1086, per avere realizzato opere in
 conglomerato cementizio  armato  in  assenza  di  progetto  esecutivo
 redatto da tecnico abilitato;
       c)  della contravvenzione di cui agli artt. 2, secondo comma, e
 13 della legge 5 novembre 1971, n. 1086, per avere  realizzato  opere
 in  conglomerato  cementizio  armato  senza  la  direzione di tecnico
 abilitato;
       d) della contravvenzione di cui agli artt. 4 e 14 della legge 5
 novembre 1971, n. 1086, per avere omesso  di  denunciare  all'ufficio
 del genio civile, prima del loro inizio, la realizzazione di opere in
 conglomerato cementizio armato;
    Vista  la legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in particolare l'art. 23,
 primo comma, secondo e terzo;
    Preso atto dell'istanza del p.m. a che sia sollevata la  questione
 di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1, 2 e 5 del d.l. 26
 luglio  1994  n.  468,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  79  della
 Costituzione;
    Ritenuto  di  dovere sollevare d'ufficio questione di legittimita'
 costituzionale delle norme di cui all'art. 1, primo, secondo e quinto
 comma, del d.l. 26 luglio 1994, n.  468,  in  cui  e'  ravvisata  la
 violazione degli artt. 79, 3, 9 e 32 della Costituzione;
    Ritenuto  che  le prospettate questioni appaiono tutte rilevanti e
 non manifestamente infondate per i seguenti motivi:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    Dal combinato disposto dell'art. 1, primo, secondo e quinto comma,
 del d.l. n. 468/1994,  in  relazione  all'art.  44  della  legge  n.
 47/1985, emerge che tutti i procedimenti per costruzioni suscettibili
 di  sanatoria  sono immediatamente sospesi di diritto fino al decorso
 di un anno dall'entrata in vigore  della  legge  di  conversione  del
 decreto.
    Tale  sospensione  perde  efficacia  se  non  viene  richiesta  la
 concessione in sanatoria entra il 31 ottobre 1994.
    Ne discende che attualmente sono sospesi i procedimenti  per  ogni
 costruzione  ultimata a interrotta col sequestro entro il 31 dicembre
 1993, anche se, di per se',  ecceda  i  limiti  di  volume  stabiliti
 dall'art.  1,  primo comma, del richiamato decreto-legge, poiche' non
 si puo' escludere la presentazione di piu' domande di  sanatoria  per
 diverse  parti  della  stessa  opera  (atteso il riferimento espresso
 dell'art. 1, primo comma,  del  su  indicato  decreto  alla  "singola
 richiesta  di  concessione  edilizia  in  sanatoria",  cio' che rende
 agevolmente  superabile  il  limite  di  volume,  poiche',  a   norma
 dell'art.  31,  terzo  comma,  della  legge n. 47/1985, ogni soggetto
 interessato al conseguimento della  sanataria  puo'  provvedere  alla
 richiesta di beneficio ed agli adempimenti relativi, purche' dimostri
 di  esser  titolare di un interesse giuridicamente rilevante a sanare
 una parte della costruzione).
    Il procedimento in esame, pertanto, e' sospeso e non  puo'  essere
 proseguito.  All'interno di esso, dunque, e' rilevante, anche ai soli
 fini della sospensione, la legittimita' costituzionale del sistema di
 norme contenuto  nei  denunziati  commi  dell'art.  1  del  d.l.  n.
 468/1994.
    In  tal  senso e' da aggiungere, infatti, che la sospensione opera
 anche a prescindere da una richiesta di parte e  serve  a  creare  la
 condizione  necessaria per l'operativita' (immediatamente successiva)
 del  meccanismo  procedimentale  del  condono:  le  disposizioni  che
 regolamentano  direttamente  tale  meccanismo  assumono rilevanza nel
 presente   processo  nel  momento  stesso  in  cui  il  giudice  deve
 provvedere  a  sospendere  il  processo,  previa  valutazione   della
 sussistenza  dei  presupposti  e  delle  condizioni  legittimanti  in
 concreto l'adozione del provvedimento sospensivo.
    Le restanti norme di cui all'art. 1 ed agli artt. 2 e 5 del  d.l.
 in  questione,  rilevano  nel  presente  processo nella misura in cui
 disciplinano fasi e modalita' del procedimento di sanatoria.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Il cosiddetto condono  edilizio  si  configura  come  istituto  di
 clemenza  attraverso  il  quale  viene  meno,  limitatamente  a fatti
 tipici, commessi in un determinato periodo di tempo,  anteriore  alla
 sua operativita', la pretesa punitiva dello Stato.
    Il  potere  di  clemenza soggiace a dei limiti, anche procedurali,
 chiaramente  posti  dalla  Carta  costituzionale:  tra  essi,  quello
 recentemente  posto  dal  legislatore costituzionale con la revisione
 dell'art. 79 (legge costituzionale 6 marzo  1992,  n.  1):  la  norma
 prevede   che  l'amnistia  venga  concessa  con  legge  deliberata  a
 maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in  ogni
 suo articolo e nella votazione finale. Orbene, l'estinzione del reato
 di  costruzione abusiva e dei reati satelliti prevista dalle norme or
 ora denunziate  presenta  tutte  le  caratteristiche  di  un'amnistia
 sottoposta  ad  obblighi (art. 151, quarto comma, del c.p.) in quanto
 non appare ricollegata all'oblazione a tempo indeterminato, ma  opera
 solo  per  i reati commessi fino ad una certa data, comportando cosi'
 quella rinunzia eccezionale dello Stato alla propria pretesa punitiva
 che, da sempre, e' l'essenza dell'amnistia  tanto  nel  senso  comune
 quanto nella terminologia giuridica.
    La  Costituzione  della  Repubblica vuole, invero, che la rinunzia
 contingente dello Stato alla propria pretesa punitiva per  fatti  che
 continuano   ad   essere  previsti  come  reato  sia  decisa  da  una
 maggioranza  altamente  qualificata,   perche',   evidentemente,   la
 considera  un  evento  cosi'  eccezionale  e  grave,  da  non poterla
 lasciare alla discrezione delle maggioranze politiche del momento  e,
 ancora  meno,  alla  discrezione  del Governo attraverso lo strumento
 della decretazione d'urgenza.
    Il cosiddetto condono infatti costituisce forma d'esercizio  della
 generale  potesta'  di  clemenza  dello  Stato  e deve essere percio'
 concesso con le forme e  le  procedure  dianzi  prospettate:  ove  si
 ritenesse che l'esecutivo sia legittimato a dar vita con decretazione
 d'urgenza,  ad  una misura generale di clemenza che si distingue solo
 per fisionomia, e non anche per effetti giuridici, dall'amnistia,  si
 giungerebbe  ad  una sostanziale elusione del dettato costituzionale,
 emergendo chiaramente, dal disposto dell'art. 79  della  Costituzione
 la   volonta'   di  riservare  esclusivamente  all'apprezzamento  del
 Parlamento l'emanazione di misure clemenziali  generali,  comportanti
 l'estinzione di reati.
    In  definitiva  il  termine amnistia, contenuta nell'art. 79 della
 Costituzione, non va intesa in  senso  strettamente  tecnico,  ma  va
 ricondotto   ad   una   nozione   generale  di  misura  di  clemenza,
 caratterizzata da elementi sostanziali tipici (effetto estintivo  del
 reato  limitato  a  fatti  determinati,  commessi  in  un determinato
 periodo di tempo, anteriore alla sua entrata in vigore), comuni tanto
 all'amnistia quanto al condono.
    In   ordine  all'ulteriore  parametro  di  riferimento  costituito
 dall'art. 3 della Costituzione, si  osserva  che  la  rinunzia  dello
 Stato   alla   sua   pretesa  punitiva  relativamente  a  determinate
 fattispecie  di  reato,  comporta  un  pregiudizio   inevitabile   al
 principio   di  eguaglianza:  essa,  dunque,  deve  trovare  adeguata
 giustificazione nel quadro costituzionale,  in  esito  ad  un'attenta
 comparazione  dei  valori e dei beni costituzionali in giuoco, a pena
 d'irragionevolezza delle disposizioni normative denunziate.
    E'  ritenuta  non  manifestamente  infondata   la   questione   di
 costituzionalita'   concernente   l'irragionevolezza   di  norme  che
 reintroducono oggi, a distanza di nove anni, una misura clemenziale -
 per sua natura eccezionale - per condotte punibili recanti  un  serio
 pregiudizio   a  fondamentali  esigenze  della  collettivita',  tutte
 parimenti tutelate nella tavola dei valori  costituzinali,  quali  il
 governa    del    territorio,    la    coordinazione   dell'esercizio
 dell'iniziativa economica privata a finalita'  sociali,  la  funzione
 sociale  della  proprieta',  la tutela del paesaggio e del patrimonio
 storico ed artistico.
    Ne',   peraltro,   potrebbe   rinvenirsi   (stante   la    ciclica
 riproposizione  del meccanismo del condono edilizio) alcuna razionale
 giustificazione nell'intenta, gia' vanificato una volta, di  chiudere
 con  un  passato  di  diffusa  illegalita': appaiono compromessi, per
 contro,  in  virtu'  della  suddetta  reiterazione,  gli  aspetti  di
 certezza,  uguaglianza ed obbligatorieta' (dell'azione penale e della
 pena) che connotano il volto costituzionale dell'illecito penale.
    V'e', infine, un ulteriore profilo di disarmonia con il  parametro
 costituzionale   di   riferimento,   indicato   dall'art.   3   della
 Costituzione: la rinunzia  dello  Stato  alla  pretesa  punitiva  per
 fatti-reato verificatisi entro il limite temporale indicato dall'art.
 1,   primo   comma,  del  d.l.  n.  468/1994  potrebbe  condurre  ad
 irragionevoli  disparita'  di  trattamento  per  situazioni  fattuali
 identiche (e da punire con sanzioni di pari gravita') a seconda della
 variabile  lunghezza assunto in concreto dai tempi processuali legati
 alle  indagini  preliminari  del  p.m.  ed  ai  connessi   meccanismi
 procedimentali  del  rinvio a giudizio degli indagati per fatti-reato
 identici, commessi nello stesso periodo di  tempo  (ovvero  anche  in
 periodi  differenti),  alcuni dei quali, tuttavia, gia' giudicati con
 sentenza irrevocabile di condanna eseguita (e conseguente  ordine  di
 demolizione, anch'esso eseguito), anteriormente all'entrata in vigore
 del  d.l.  n.  468/1994,  ed  altri,  viceversa, rinviati a giudizio
 successivamente, con la possibilita' di fruire dei benefici  connessi
 alla   sospensione   dei  procedimenti  penali  ed  alla  conseguente
 attivazione dei meccanismi della sanatoria delle violazioni  edilizie
 commesse.
    Va  infine  osservato che le norme incriminatrici su cui incide il
 condono edilizio mirano a  salvaguardare  beni  fondamentali  per  la
 collettivita':  a)  il  paesaggio, e dunque sia il razionale sviluppo
 urbanistico  del  territorio  che  la  tutela  dei  beni  di   pregio
 naturalistico  del  territorio  che  la  tutela  dei  beni  di pregio
 naturalistico; b) la salute psico-fisica, compromessa particolarmente
 in zone dove l'enormita' del fenomeno dell'abusivismo edilizio ed  il
 conseguente  degrado  dei  centri  urbani  sottrae  all'individuo  il
 diritto di vivere e di lavorare in un ambiente sano.
    Considerando  la  questione  secondo la prospettiva del divieto di
 irragionevoli disparita' di trattamento per situazioni meritevoli  di
 pari  tutela,  e'  da  rilevare  che  il  nuovo  sacrificio  dei beni
 costituzionali tutelati dagli articoli 4 e 32 della Costituzione  non
 pare  trovare  adeguata  giustificazione a fronte della promozione di
 altri beni, pur di rango costituzionale, ma che, proprio per  dettato
 della  Costituzione,  non  devono comunque contrastare con l'utilita'
 sociale e la dignita' umana.