IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    E'  contestato  all'imputato  il reato di cui all'art. 82 d.l. 14
 giugno 1993, n. 187, convertito in legge  12  agosto  1993,  n.  296,
 perche',  sottoposto  a  procedimento  di espulsione (che rusulta del
 tutto rituale) con decreto 15 luglio 1991  ed  invitato  in  data  20
 settembre   1993   ad   adoperarsi  presso  la  competente  autorita'
 diplomatica e/o consolare per ottenere il rilascio del  documento  di
 viaggio,  non  vi  ottemperava  (trattenendosi  nel  territorio della
 Repubblica  italiana,  dice  il  capo  di  imputazione,  ma  cio'  e'
 irrilevante rispetto alla fattispecie astratta);
    E'  pacifico  che  l'imputato  abbia  ricevuto  quell'invito (oggi
 acquisito in copia); sostiene la difesa che il p.m. dovrebbe  provare
 la  mancata  attivazione  del prevenuto, eventualmente consultando le
 autorita' diplomatiche  e/o  consolari,  che  altrimenti  vi  sarebbe
 riversione  dell'onere  della prova. In realta' cio' non e' possibile
 giacche', come nel caso di specie, l'imputato  e'  sedicente  tant'e'
 che  il  decreto  di  espulsione  e'  a diverso nome - ma l'identita'
 fisica e' certa), sicche'  non  si  vede  a  quale  nome  la  ricerca
 dovrebbe  essere  fatta.  Il  problema  e'  in  realta' nella pessima
 formulazione della norma (della quale  e'  emblematica  l'espressione
 "distrugge"  il  passaporto;  avrebbe  dovuto essere usato il termine
 occulta,  perche'  la  norma  avesse  buon  senso;  dare   la   prova
 dell'avvenuta  distruzione  e'  esso  di fatto impossibile, salvo che
 l'interessato non compia gesti  eclatanti  e  plateali).  Sicche'  di
 fatto  la  contestazione  e  la incriminazione generale riguardano la
 "mancata attivazione"; fatto, condotta e comportamento  assolutamente
 generici.  Cio'  e  tanto vero che la locale Questura ha provveduto a
 creare, di propria iniziativa, dei biglietti di invito,  fissando  un
 termine,  ritenuto congruo, di quindici giorni per l'ottemperanza. Si
 e' cioe' tentato di dare contenuto a quell'obbligo genericissimo.  Ma
 cio' appartiene al legislatore, il quale avrebbe dovuto spiegare agli
 operatori  ed  ai  cittadini stranieri interessati cosa come e in che
 tempi deve essere  fatto  per  procurarsi  i  documenti  di  viaggio.
 L'assenza  di  tali  necessarie  specificazioni rendono palese la non
 manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art.
 7-bis del d.l.  30  dicembre  1989,  n.  416,  convertito  in  legge
 39/1990,  quale  introdotto  dall'art.  8.2  del  d.l.  n.  187/1993
 convertito in legge n. 296/1993, in  relazione  all'art.  25.2  della
 Costituzione,  posto  che  la  assoluta  genericita'  della norma non
 consente di individuare il fatto astrattamente previsto  dalla  legge
 come reato.
    Il contrasto si manifesta anche con l'art. 24.2 della Costituzione
 (essendo  evidente  che  difficoltosa e' la possibilita' di dar prova
 della propria attivazione, posto che la documentazione  della  stessa
 dipende  anche  dalla  attivita' e dalla buona volonta' di terzi - le
 autorita'  diplomatiche  e  consolari)  e  con   l'art.   112   della
 Costituzione (posto che il p.m. si trova di fronte a fattispecie che,
 nella  sua  genericita',  non  consente  di dare prova adeguata delle
 relative violazioni). La questione e' rilevante nel presente giudizio
 posto che  se  fosse  accolta  l'imputato  dovrebbe  essere  comunque
 assolto.
    Vanno  adottati  i conseguenziali provvedimenti ordinatori. Appare
 opportuno  modificare  lo  stato  di  custodia  cautelare  in   atto,
 nell'attesa  della decisione della Corte adita, sostituendo la misura
 in atto con quella del divieto di dimora nel comune di Padova, idonea
 alla salvaguardia delle sussistenti esigenze consolari.