IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Oliver Sergio, Lucchi Lino e Foresta Aldo venivano citati in giudizio per il reato di cui agli artt. 113 del c.p. e 21, terzo comma della legge n. 1976/319 perche', nelle rispettive qualita' di assessore delegato (il primo) e di direttore protempore (il secondo e il terzo) effettuavano uno scarico in acque superficiali superando i limiti massimi previsti dalla tab. A della legge in quanto ai parametri di colore, materiali in sospensione, sedimentabili, BOD 5, COD, azoto ammoniacale, azoto nitrico (in Trento fino all'aprile 1992). Ritiene il pretore di dover sollevare d'ufficio questione di costituzionalita' dell'art. 3 d.l. 17 settembre 1994, n. 533 per contrasto con gli artt. 25 secondo comma e 3 primo comma della Costituzione. R I L E V A N Z A L'art. 25 c.p.v. della Costituzione fissa, tra gli altri, il principio della riserva assoluta della legge penale. La scelta operata dal costituente risiede - come e' stato autorevolmente rilevato - nella "rappresentativita' del potere legislativo, nel suo essere espressione non di una ristretta oligarchia, ma dell'intero popolo che, attraverso i suoi rappresentanti, si attende che l'esercizio avvenga non gia' arbitrariamente,ma per il suo bene e il suo interesse"; nonche', nelle modalita' e nelle caratteristiche di detto procedimento legislativo che "permette alle minoranze ed alle opposizioni di limitare e controllare la volonta' della maggioranza quanto alla determinazione del contenuto della disciplina sulle materie "riservate" (Delitala G.). La riserva di legge in materia penale e', insomma, la garanzia del cittadino nei confronti degli arbitrii dell'esecutivo (Bricola). La ratio di garanzia che sta alla base dell'art. 25 secondo comma della Costituzione impone, conseguentemente, una limitazione delle fonti in materia penale alla sola legge in senso formale in coerenza con la manifestata volonta' del costituente di riduzione della sfera dell'illecito penale. Ne e' possibile sostenere che dal carattere assoluto della riserva di legge si debba desumere che tutti gli atti normativi (compresi quelli comparati alla legge in senso formale: decreti legge e decreti legislativi) possano essere fonti in materia penale giacche', se e' vero che i decreti legge e legislativi emanati dal potere esecutivo sono sotto il vigile controllo del potere legislativo e della Corte costituzionale (art. 134 della Costituzione), e' pur vero che il ricorso ai d.l. fa si che tra il momento della loro approvazione e quello della loro conversione in legge formale tutte le garanzie legali del principio costituzionale della riserva di legge vengono di fatto abolite. Basti pensare ai pericoli di violazione della liberta' personale del cittadino nel caso di mancata conversione di norme incriminatrici contenute nel decreto, senza possibilita' della sanatoria di cui all'art. 77 della Costituzione. Tale conclusione si impone anche nella logica riduttiva della Corte costituzionale che ha sempre inteso la riserva di legge in materia penale non come precetto di natura sostanziale - garanzia del cittadino contro gli abusi del potere esecutivo - ma come mero principio classificatorio di competenza, come regola puramente formale. E, infatti, dalla violazione di questa regola costituzionale di ripartizione dei compiti, derivano, tra le altre, conseguenze gravi, vulneratrici del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 primo comma della Costituzione). Osserviamo da vicino l'art. 3 del d.l. 17 settembre 1994, n. 537. Esso e' stato preceduto dall'art. 3 del d.l. 15 luglio 1994, n. 449 che stabiliva che, in deroga alla previsione di cui al terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 (che determina la pena dell'arresto), per tutti gli scarichi, eccettuati quelli provenienti da insediamenti abitativi o dediti allo svolgimento di attivita' alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica e sanitaria, si applicava la sola ammenda qualora fossero superati i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile, di cui al n. 4 del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del C.I. L'art. 3 del nuovo d.l. 17 settembre 1994, n. 537 stabilisce che, in deroga al terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976, per gli scarichi diversi da quelli provenienti da insediamenti abitativi o adibiti allo svolgimento di attivita' alberghiera, turistica, ecc. .. in caso di superamento, in misura superiore al 20 per cento dei limiti di accettabilita' previsti delle tabelle allegati alla presente legge, o di quelli stabiliti dalle regioni, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, si applica la pena dell'ammenda da 10 milioni a 100 milioni. Si applica la pena dell'ammenda da lire 20 milioni a lire 200 milioni o la pena dell'arresto da due mesi a due anni qualora siano superati i limiti di accettabilita' per i parametri di natura tossico, persistente e bioaccumulabile di cui al n. 4 del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980, del C.I. Ne consegue che, riassuntivamente, per gli scarichi da insediamenti produttivi (come quello per cui e' processo) l'art. 31 terzo comma della legge n. 319/1976 prevedeva la pena dell'arresto allorche' gli stessi fossero difformi dalla tabella allegata alla legge. Il d.l. 15 luglio 1994, n. 449 sanciva la pena dell'ammenda nel caso di superamento dei limiti di accettabilita' per i meri parametri di natura tossico, persistente e bioaccumulabile. L'attuale d.l. 17 settembre 1994, n. 537 stabilisce la pena dell'ammenda per il superamento, in misura superiore del 20%, delle tabelle di cui alla legge n. 319/1976 e quella dell'ammenda o arresto nel caso di superamento dei limiti di accettabilita' per i parametri di natura tossico, persistente e bioaccumulabile. Come si puo' verificare, si tratta di tre diverse disposizioni sanzionatorie che possono astrattamente trovare tutte applicazione. Nel caso che ci interessa, infatti, il fatto criminoso e' precedente all'entrata in vigore dei decreti legge intervenuti. Ne consegue che, se l'udienza dibattimentale fosse stata fissata prima del 15 luglio 1994, gli imputati all'esito dell'istruttoria dibattimentale sarebbero stati dichiarati colpevoli e condannati alla pena dell'arresto. Nel caso in cui il dibattimento fosse stato, per venutra, fissato tra il 15 luglio e il 15 settembre 1994, l'imputato, per lo stesso fatto, avrebbe dovuto essere mandato assolto. Poiche' il dibattimento e' stato fissato in data 6 ottobre 1994 l'imputato, previa declaratoria di colpevolezza, dovrebbe essere condannato alla sola pena dell'ammenda. Il diverso esito dipende dunque dalla diversita' della data di fissazione del dibattimento e non dalla diversita' del fattoreato, con inevitabile vulnerazione del principio di uguaglianza. Si aggiunga che il d.l. potrebbe non essere convertito. Ne consegue che, avendo la Corte costituzionale con sentenza 19 febbraio 1985, n. 51 dichiarato l'illegittimita' costituzionale del quinto comma dell'art. 2 del c.p. nella parte in cui rendeva applicabili alle ipotesi da esso previste (e cioe' al caso di mancata conversione di un d.l. recante norme piu' favorevoli) le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma di tale articolo, e poiche' la incostituzionalita' della norma e' riferita per l'appunto ai fatti pregressi (cioe' compiuti anteriormente all'entrata in vigore del decreto-legge non convertito), ne consegue che allo scadere del sessantesimo giorno, in aso di mancata conversione in legge, ove per caso l'udienza fosse fissata dopo il 16 novembre 1994 gli attuali imputati dovrebbero essere condannati alla pena dell'arresto ai sensi dell'art. 21 terzo comma della legge n. 319/1976 posto che, ai sensi dell'art. 77 terzo comma della Costituzione, il d.l. non convertito e' privo di effetto sin dall'inizio. Il trattamento riservato agli imputati (che potrebbero essere assolti oppure condannati a pena diversa a seconda della data di fissazione del dibattimento) e' analogo a quello riservato ad altri possibili ed eventuali imputati che, a seconda della diversa fissazione delle udienze, per gli stessi fatti commessi in data precedente al 15 luglio 1994, si vedrebbero attribuite conseguenze penali del tutto eterogene con conseguente inevitabile violazione del principio di uguaglianza dei diritti di fronte alla legge. Sul piano della rilevanza della eccepita incostituzionalita' della norma, basti pensare che se, giudicati tra il 15 luglio e il 15 settembre 1994, gli attuali imputati sarebbero stati assolti; laddove attualmente essi non possono che essere condannati, sia pure con una pena diversa e minore di quella che sarebbe loro toccata nella vigenza della legge n. 319/1976 o potrebbe loro toccare in caso di mancata conversione in legge del d.l. oggetto di censura. Ne e' possibile sostenere che un tale esito ingiustamente diseguale si sarebbe potuto verificare anche nel caso in cui la modifica della disciplina di cui all'art. 21 terzo comma della legge n. 319/1976 fosse avvenuta con legge in senso formale. Quest'ultima offre garanzie sul piano tecnico e politico che non possono avere i decreti legge. La legge, infatti, e' espressione di un equilibrio politico e di una dialettica tra maggioranza e minoranza oltre che il risultato di un percorso critico molto profondo e tutela al massimo grado il diritto del cittadino a che l'esercizio della normazione penale - da cui deriva la privazione o meno della sua liberta' - avvenga non gia' arbitrariamente ma solo per il proprio bene ed interesse e con criteri oggettivi privi di quella discrezionalita' del caso che rappresenta l'antitesi della certezza della pena.