LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 6866/1993 e 7849/1993 presentati il 17 aprile ed il 6 maggio 1993, rispettivamente, il primo, dai sigg. Fogliano e Livia MERZOGORA e Lucia ed Alfonsina Veronesi (rappresentati dai procuratori Roberto Curatolo e Antonia Pagani), il secondo dai primi due (rappresentati dal solo Roberto Curatolo), avverso gli avvisi di liquidazione delle imposte di successione relative alle eredita' lasciate da Rino Veronesi e da Enrichetta Merzagora ved. Veronesi; Letti i ricorsi riuniti; Visti i documenti prodotti; Sentite le parti all'udienza del 28 aprile 1994. RILEVATO: che in data 2 aprile 1984, decedeva il sig. Rino Veronesi, e che, quattro mesi piu' tardi, il 10 agosto 1984 decedeva altresi' la moglie Enrichetta Merzagora, entrambi senza figli; che in data 29 agosto 1984 il Notaio Gabey di Alessandria pubblicava un testamento a firma di Rino Veronesi, nel quale si nominavano eredi universali i sigg. Fridiano ed Antonia Pagani; che, tuttavia, tale testamento risultava falsificato dal sig. Fridiano Pagani che veniva condannato dal Tribunale di Alessandria, con sentenza poi confermata dalla Corte d'Appello di Torino del 19 febbraio 1988; che la Corte di Cassazione con sentenza n. 1035 del 12 maggio 1989 respingeva il ricorso proposto contro la sentenza di secondo grado; che, pertanto, dichiarato falso il testamento, divenivano eredi ope legis di Rino Veronesi, la moglie Enrichetta Merzagora (e per essa, nel frattempo morta, i suoi eredi Fogliano e Livia Merzagora) e le sorelle Alfonsina e Lucia Veronesi; che in data 11 maggio 1990 venne presentata la dichiarazione di successione, integrata, quanto alle passivita' in data 27 aprile 1992; che l'ufficio successioni di Milano ha proceduto a liquidare le imposte di successione senza tener conto delle passivita' e cio' - per quanto si e' potuto appurare in sede di discussione orale del ricorso - in forza dell'art. 23, quarto comma del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, che, riproducendo sostanzialmente la disposizione dell'art. 16, quarto comma del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, dispone che "l'esistenza di debiti deducibili, ancorche' non indicati nella dichiarazione di successione, puo' essere dimostrata .. entro il termine di tre anni dalla data di apertura della successione, prorogato, per i debiti risultanti da provvedimenti giurisdizionali e per i debiti verso pubbliche amministrazioni, fino a sei mesi dalla data in cui il relativo provvedimento giurisdizionale o amministrativo e' divenuto definitivo"; che, quindi, il motivo del non riconoscimento delle passivita' dell'asse ereditario e' dovuto al mancato rispetto del termine triennale dall'apertura della successione per la produzione dei documenti giustificativi delle predette passivita'; che i ricorrenti hanno in merito sollevato eccezione d'incostituzionalita' delle norme or ora richiamate per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione nella parte in cui non dispongono che il termine triennale decorra dalla data in cui sono stati chiamati all'eredita', anziche' da quello dell'apertura della successione, adducendo di essere stati chiamati all'eredita' soltanto in data 12 maggio 1989 (con la conferma da parte della Corte di Cassazione della sentenza di condanna del sig. Pagani per la falsificazione del testamento di Rino Veronesi) e quindi ben cinque anni dopo l'apertura della successione, talche' nel triennio dalla morte del loro dante causa essi erano nell'impossibilita' giuridica di fare alcunche'; che, la doglianza appare fondata. E' noto, infatti che la Corte costituzionale, dopo aver affermato, nel primo decennio della propria attivita', che il principio ex art. 24 della Costituzione regola propriamente il diritto di agire in giudizio e presuppone l'esistenza di un interesse gia' protetto, sicche' non si riflette sulla configurazione del diritto sostanziale e sui termini di prescrizione e decadenza stabiliti dal legislatore; successivamente, recependo le critiche della dottrina, ha mutato il proprio orientamento, a partire dalla nota sentenza 5 luglio 1968, n. 85 (in Riv. dir. proc. 1969, 463), dichiarando incostituzionali, anche per violazione dell'art. 24 della Costituzione, norme che ponevano termini prescrizionali o di decadenza del diritto troppo ristretti per l'esercizio dell'azione. Il principio e' stato riaffermato piu' volte negli anni successivi dalla Corte (cfr. sent. 17 luglio 1974, n. 234, in Foro it. 1974, I, 2944; 18 gennaio 1977 n. 31, in giur. Cost. 1977, I, 106), che, proseguendo in tale direzione, ha anche dichiarato incostituzionale l'art. 1 della legge 7 ottobre 1969 n. 742 laddove limita ai soli termini processuali "puri" la sospensione per il periodo di ferie, senza tener conto di altri termini, anche se non a carattere processuale, ma non meno rilevanti (cfr. Corte Cost. 13 luglio 1987 n. 255 in giust. civ. 1987, I, 2750 e 2 febbraio 1990 n. 49). Sempre in tema di termini va poi ricordato che la Corte ha ritenuto incostituzionali quelle norme che facevano decorrere il termine (a carattere sostanziale) per proporre domanda giudiziale prescindendo dalla conoscibilita' effettiva da parte dell'interessato dal fatto costitutivo del suo diritto (es.: nel caso del disconoscimento di paternita', l'adulterio - cfr. Corte costituzionale 6 maggio 1985 n. 134, in Foro it. 1985, I, 1905 - In senso analogo, in relazione al termine di cui all'art. 80 della legge 27 luglio 1978, n. 392, Corte costituzionale 18 febbraio 1988, n. 185 in Giur. it. 1989, I, 1, 15). Ne' va dimenticata in proposito la sent. 191 del 29 giugno 1983 (in Foro it. 1983, I, 2704), che nel rigettare l'eccezione d'incostituzionalita' dell'art. 480 c.c. in relazione ai termini per l'accettazione dell'eredita', precisava che il detto termine non puo' decorrere finquando non sia stata accertata giudizialmente la paternita'; che in considerazione dei predetti insegnamenti non appare infondata l'eccezione d'incostituzionalita' degli artt. 23, quarto comma del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e 16, quarto comma del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, per violazione degli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, laddove irragionevolmente (e, quindi, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione) fanno decorrere il termine ivi previsto per la presentazione della documentazione delle passivita' gravanti l'asse ereditario dall'apertura della successione e non da quello in cui gli obbligati alla presentazione della dichiarazione di successione sono chiamati all'eredita', impedendo in tal modo, nel caso d'impossibilita' (giuridica) di presentare tale dichiarazione, in violazione dell'art. 24 della Costituzione, la deducibilita' delle passivita' gravanti l'asse ereditario, con conseguente aggravamento dell'imposta, in violazione dell'art. 53, primo comma della Costituzione;