ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione), come convertito nella legge 25 marzo 1983, n. 79 e dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promosso con ordinanza emessa il 27 ottobre 1993 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Feliziani Marco, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1994; Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore. Ritenuto in fatto 1. - La Corte dei conti, sul ricorso prodotto dal maggiore dell'esercito Mario Feliziani, cessato dal servizio permanente a domanda, avverso il provvedimento di sospensione del trattamento di pensione, disposto dall'amministrazione militare a seguito di comunicazione dell'interessato di svolgere attivita' lavorativa alle dipendenze di terzi, con ordinanza del 27 ottobre 1993 (R.O. n. 222 del 1994), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dell'art. 10, ultimo comma, del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione), conv., con modif., nella legge 25 marzo 1983, n. 79, nonche' dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nella parte in cui dette norme dispongono il divieto di cumulo di trattamento pensionistico anticipato con redditi di lavoro dipendente. Secondo il Collegio remittente, tale previsione darebbe luogo ad un trattamento differenziato rispetto ai pensionati che svolgono lavoro autonomo che sarebbe irragionevole, in quanto basato su d'una diversificazione di situazioni non rispondente alle finalita' della legge, da ricondursi al contenimento del costo del lavoro e all'adozione di misure a favore dell'occupazione. Arbitraria sarebbe, altresi', la differenziazione, operata dalla normativa in questione, tra chi, avendo presentato dichiarazione di dimissioni, e svolgendo attivita' retribuita alle dipendenze di terzi, si veda opporre il divieto di cumulo, e chi, assentatosi dal servizio oltre il tempo massimo previsto, sia incorso nella decadenza dell'impiego, cui il divieto non si applica. La normativa denunciata violerebbe, inoltre, l'art. 36 della Costituzione, sotto un duplice profilo, e cioe' sopprimendo la pensione, che e' retribuzione differita, e comportando la decurtazione del trattamento pensionistico senza stabilire il limite minimo dell'emolumento dell'attivita' esplicata in relazione al quale tale decurtazione diviene operante. Il legislatore non potrebbe, infatti, violare il principio di proporzionalita' che sorregge il sistema pensionistico e non tener conto delle contribuzioni dei prestatori di lavoro. Considerato in diritto 1. - La Corte e' chiamata a decidere se gli artt. 10, ultimo comma, del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17, come convertito nella legge 25 marzo 1983, n. 79, e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui dispongono il divieto di cumulo di trattamento pensionistico anticipato con redditi di lavoro dipendente, violino l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificata disparita' di trattamento nei confronti dei pensionati che svolgono lavoro autonomo e dei dipendenti che non abbiano presentato la dichiarazione di dimissioni, ma che siano decaduti dall'impiego per essersi arbitrariamente assentati dal servizio oltre il tempo massimo consentito, ai quali non si applica il divieto di cumulo; nonche' l'art. 36 della Costituzione, sotto il duplice profilo della soppressione del diritto alla pensione, che e' retribuzione differita, e della decurtazione del trattamento pensionistico senza determinazione di un limite minimo dell'emolumento dell'attivita' esplicata, in relazione al quale tale decurtazione diventa operante. 2. - In via preliminare, va dichiarata la inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Nel giudizio all'esame del collegio remittente non deve, infatti, farsi applicazione della predetta norma, che regola fattispecie di- verse (pensioni erogate agli iscritti alle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori delle miniere, cave e torbiere, dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, degli artigiani e degli esercenti attivita' commerciali). Manca, pertanto, una delle condizioni per l'ammissibilita' della sollevata questione di costituzionalita', quella della rilevanza, facendo difetto il rapporto di pregiudizialita' tra giudizio costituzionale e giudizio a quo. 3. - La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, ultimo comma, del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17, come convertito nella legge 25 marzo 1983, n. 79, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, non e' fondata. L'art. 10, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, recante misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione, nel testo risultante dalla legge di conversione 25 marzo 1983, n. 79, stabilisce che nei confronti dei soggetti fruenti di pensionamento anticipato di cui allo stesso articolo - e cioe' del personale avente diritto all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge n. 324/1959 che ha presentato domanda di pensionamento a partire dalla data di entrata in vigore del decreto stesso - opera il divieto di cumulo tra pensione liquidata ed eventuale retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi. La disposizione in esame, quindi, come emerge in modo univoco dal dato letterale, esclude da siffatto divieto, per un verso, i redditi da lavoro autonomo, per l'altro quelli derivanti da attivita' lavorativa prestata, anche alle dipendenze di terzi, da coloro che non abbiano presentato formale domanda di pensionamento. La mancata estensione del divieto di cumulo tra pensione e retribuzione ad entrambe le categorie menzionate e' oggetto, da parte della Corte dei conti, di dubbio di legittimita' costituzionale sotto il profilo di una ingiustificata disparita' di trattamento in ambito pensionistico. Osserva la Corte che e' del tutto ragionevole la diversita' di disciplina in relazione alle differenti situazioni. Diversificate sono anzitutto le posizioni dei pensionati che svolgono lavoro autonomo rispetto a quelli che prestano attivita' retribuita alle dipendenze di terzi, per la stessa diversita', ripetutamente affermata anche dalla Corte, dei rispettivi rapporti che danno causa al reddito percepito oltre la pensione, e specificamente, quanto al profilo che qui interessa, per la diversita' dei relativi sistemi contributivi. E cio' anche a prescindere dalla considerazione, pur di non lieve momento, che lo scopo di disincentivare l'attivita' lavorativa prestata, successivamente al collocamento a riposo, in posizione subordinata, potrebbe costituire l'espressione di un indirizzo di politica legislativa, inteso a rimuovere ostacoli all'accesso dei giovani ad occasioni lavorative. Tali ostacoli quasi sempre non sono costituiti dall'espletamento di un'attivita' libero professionale, dato il carattere della relativa prestazione che normalmente implica l'impiego di risorse specifiche al soggetto che la fornisce e, quindi, non attuabile da parte di qualsiasi soggetto. 4. - Non ingiustificatamente discriminatoria si appalesa del pari la limitazione del divieto di cumulo tra pensione e retribuzione ai dipendenti collocati anticipatamente in quiescenza a seguito di formale domanda in tal senso, con conseguenziale esclusione dei casi di pensionamento anticipato che trovano origine in cause diverse dalle dimissioni volontarie, e, in particolare, del caso di decadenza per assenza ingiustificata dal servizio. La disciplina di cui all'ultimo comma dell'art. 10 del d.-l. n. 17 del 1983, come convertito dalla legge n. 17/1983, e' stata dettata specificamente per i pensionamenti avvenuti a domanda prima del compimento dell'eta' massima di pensionamento e della maturazione di quaranta anni di servizio utile ai fini del trattamento di quiescenza (primo comma), nonche' per quelli derivanti dalla applicazione a domanda dell'art. 42 del d.P.R. 29 dicembre 1973 (quinto comma). Il successivo d.-l. n. 49 del 1986, allo scopo di scoraggiare il ricorso ad ogni forma di pensionamento anticipato e di limitare la spesa in quel settore, ha disposto che i primi quattro commi dell'art. 10 del d.-l. n. 17 del 1983, e cioe' le norme restrittive del trattamento economico sotto la specie di una limitazione della indennita' integrativa speciale, si applicano a tutti i casi di pensionamento anticipato, a qualunque causa dovuti, con la eccezione di quelli di cessazione dal servizio per morte o per invalidita' derivanti o meno da causa di servizio, purche' tali da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Ebbene, proprio il richiamo ai primi quattro commi del citato art. 10 del d.-l. n. 17 del 1983 pone in luce l'intenzione del legislatore di limitare ai soli effetti in quei commi previsti l'assimilazione della ipotesi di pensionamento anticipato derivante da formale domanda a tutte le altre cause di cessazione anticipata dal servizio. Quanto, invece, alla ulteriore limitazione costituita dal divieto di cumulo tra pensione e retribuzione da altro lavoro dipendente, si e' inteso porla esclusivamente a carico del personale che abbia compiuto una manifestazione univoca e formale della volonta' di rinunciare all'impiego. Tale limitazione ha una sua struttura procedimentale, e la conseguente diversificazione rispetto al regime applicabile alle altre ipotesi di pensionamento anticipato, e specificamente al caso di decadenza per assenza ingiustificata, non si pone, quindi, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Si e' inteso, invero, riconnettere in tal modo l'effetto di cui e' questione ad un atto tipico, la domanda di dimissioni, espressione sicura ed inequivocabile della volonta' di abbandonare il posto, anziche' collegarlo a comportamenti dai quali solo in via presuntiva e con valutazione rimessa all'amministrazione, possa desumersi l'intendimento dell'impiegato di sottrarsi ai doveri del suo ufficio. Si' che viene ad attenuarsi il collegamento tra volonta' di recedere e cessazione del rapporto. 5. - Non fondato e', infine, l'altro profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 10, ultimo comma, del d.-l. n. 17 del 1983, come convertito nella legge n. 79 del 1983, concernente un presunto contrasto con l'art. 36 della Costituzione. La Corte non ha condiviso questo dubbio nella sentenza n. 576/1989, confermata poi dalla ordinanza n. 47/1994, nella considerazione che la disposizione di cui all'indicato art. 10 e' diretta a scoraggiare il ricorso ai pensionamenti anticipati a domanda, previsti da una normativa di particolare favore, e che il divieto di cumulo da essa istituito, che opera solo per i pensionamenti avvenuti dopo la sua entrata in vigore, e' determinato da una scelta del lavoratore tra la sospensione del trattamento pensionistico e la rinuncia ad assumere un nuovo rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi. Nelle argomentazioni oggi addotte, non si ravvisa alcun valido motivo per discostarsi da tale indirizzo.