ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della
 legge regionale approvata il 20 gennaio 1994  recante  "Modifica  del
 termine   per   l'adozione   degli   statuti  e  dei  regolamenti  di
 contabilita' dei comuni. Proroga di termini in  materia  urbanistica,
 per  la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle
 graduatorie  concorsuali.  Interventi  in   materia   di   formazione
 professionale  e  di  cooperazione"  e  degli artt. 1, 2, 6 e 7 della
 legge regionale approvata  il  4  marzo  1994  recante  "Proroga  del
 termine  per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in
 materia di formazione professionale e di cooperazione ed  abrogazione
 di  norme.  Modifiche  alla  legge regionale 1 settembre 1993, n. 25.
 Disposizioni in materia  di  personale",  promossi  con  ricorsi  del
 Commissario  dello  Stato  per la Regione siciliana, notificati il 29
 gennaio ed il 12 marzo 1994, depositati in cancelleria  l'8  febbraio
 ed  il  21  marzo  successivi ed iscritti ai nn. 13 e 30 del registro
 ricorsi 1994;
    Visti gli atti di costituzione della Regione siciliana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  ottobre  1994  il  Giudice
 relatore Massimo Vari;
    Uditi  l'Avvocato  dello  Stato Franco Favara per il ricorrente, e
 gli avvocati Giovanni Lo Bue e Laura Ingargiola per la Regione.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con il primo dei ricorsi in epigrafe, regolarmente  notificato
 e  depositato, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, 6 e
 7 della legge  approvata  dall'Assemblea  regionale  siciliana  nella
 seduta del 20 gennaio 1994 (Modifica del termine per l'adozione degli
 statuti  e  dei  regolamenti  di contabilita' dei comuni. Proroga dei
 termini in materia urbanistica, per la  costituzione  delle  province
 regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi
 in  materia  di  formazione  professionale  e  di  cooperazione), per
 contrasto con gli artt. 3, 81 e 97 della  Costituzione,  nonche'  con
 gli artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, e
 con l'art. 2, lettere t) ed u), della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
    2.  - Viene denunciato, anzitutto, l'art. 5 che - riproducendo con
 difformita' puramente lessicali (36 mesi anziche'  tre  anni)  e  con
 l'esclusione della amministrazione regionale, il disposto dell'art. 7
 della  legge  regionale  n.  11  del  1991,  in tema di proroga delle
 graduatorie dei concorsi pubblici - avrebbe introdotto una disciplina
 a regime, in contrasto,  oltre  che  con  gli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione,  con i principi della legislazione statale sopravvenuta
 sulle assunzioni obbligatorie che, in materia di esclusiva  spettanza
 del  legislatore  nazionale,  avrebbe abrogato il citato art. 7 della
 legge regionale n. 11 del 1991.  A tal fine il ricorso  richiama  gli
 artt.  36 e 42 del decreto legislativo n. 29 del 1993, nonche' l'art.
 19 del successivo decreto  legislativo  23  dicembre  1993,  n.  546,
 rilevando  che  la  disciplina  delle  assunzioni  di  appartenenti a
 categorie  protette  e'   stata   interamente   innovata   da   dette
 disposizioni  "per  quanto  attiene specificamente all'istituto della
 chiamata  numerica  degli  iscritti  nelle  liste  di  collocamento".
 Inoltre,  la  disposizione censurata nel far riferimento, al comma 2,
 alla utilizzazione, per quattro anni, delle graduatorie  concorsuali,
 ai  fini  della "copertura dei posti vacanti e disponibili riservati"
 dell'amministrazione  regionale,  comporterebbe  una  lesione   delle
 aspettative  di  altri  riservatari  che  non  hanno  partecipato  ai
 concorsi medesimi.  Rilevato che la  difformita'  dalla  legislazione
 nazionale  sarebbe  resa  ancora  piu'  evidente dalla variazione dei
 criteri di reclutamento introdotta dal comma  3  dell'art.  24  della
 legge  n.  67  del 1988 e dall'art. 2, lettera u), della legge n. 421
 del  1992,  basati  esclusivamente  sulla  preminenza  del  grado  di
 mutilazione   ed   invalidita',  il  ricorso  osserva,  poi,  che  la
 disposizione in esame, prevedendo la  possibilita'  di  immettere  in
 servizio  candidati giudicati idonei in un concorso concluso ormai da
 tre o quattro anni, non appare ragionevole, ne' ispirata a criteri di
 buona amministrazione, anche se  il  legislatore  siciliano  gode  di
 competenza  esclusiva, in materia di stato giuridico ed economico del
 proprio personale. Ad avviso del  ricorrente  la  disposizione  sulla
 durata quadriennale delle graduatorie, mentre disattende l'invito del
 legislatore  nazionale  (art.  2,  lettera  t, della legge n. 421 del
 1992) a regolare globalmente  le  procedure  concorsuali  di  accesso
 all'amministrazione  pubblica, nonche' la tendenza alla abbreviazione
 del termine di validita' delle graduatorie (art. 3, comma  22,  della
 legge  n.  537  del 1993), si porrebbe in contrasto, sotto il profilo
 della  disparita'  di  trattamento,  con  gli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione.      Atteso,   infine,  che  logico  presupposto  della
 disposizione oggetto di ricorso e' costituito dall'art. 7 della legge
 n. 11 del 1991, "che rimarrebbe in vigore in caso di accoglimento del
 ricorso   commissariale",   se   ne   chiede   la   declaratoria   di
 illegittimita'  ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953.  In
 contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione si  porrebbe  anche
 l'art.  6  della  legge,  nel  prevedere  l'erogazione a carico della
 finanza  regionale  delle retribuzioni ad unita' di personale di enti
 privati convenzionati con la Regione per lo svolgimento di  corsi  di
 formazione  professionale,  anche  indipendentemente  dalla effettiva
 prestazione lavorativa  ed  in  assenza  di  una,  seppur  ipotetica,
 possibilita'  di  rivalsa  nei  confronti degli enti datori di lavoro
 inadempienti. La disposizione, oltre ad apparire priva  di  qualsiasi
 finalita' pubblica, urterebbe contro il principio di buon andamento e
 contro  quello  di uniformita' di trattamento, in assenza di analoghe
 misure assistenziali nella legislazione nazionale di riferimento.  La
 stessa  si  porrebbe,  inoltre,  in  contrasto  con l'art. 81, quarto
 comma, della Costituzione, per  la  mancata  quantificazione  in  via
 legislativa  della  spesa  e  il  mancato  riferimento  alle  risorse
 erariali con cui provvedere.  Infine, anche l'art. 7 si  porrebbe  in
 contrasto  con  gli  artt.  3  e  97  della Costituzione perche', nel
 disciplinare il pensionamento anticipato del personale delle  cooper-
 ative  agricole  e  delle  cantine sociali, conferirebbe benefici non
 previsti dalla legislazione nazionale in  materia  di  assistenza  ai
 lavoratori, attribuendo ingiustificati privilegi ai destinatari.
    3. - Nel giudizio di fronte alla Corte si e' costituita la Regione
 siciliana,  chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
 o infondate. In particolare, l'art. 5, nel prorogare  le  graduatorie
 concorsuali,   intenderebbe   riferirsi   all'accesso  ai  posti  per
 qualifiche  professionali  e  livelli  superiori  al  quarto,   senza
 pertanto  porsi  in  contrasto  con  le  richiamate norme del decreto
 legislativo n.  29  del  1993;  ne'  si  avrebbe  una  lesione  degli
 interessi   delle   categorie  protette,  in  quanto  le  graduatorie
 sarebbero formate in osservanza dei criteri posti dall'art. 24, comma
 3, della legge n. 67 del 1988.   La ultrattivita'  delle  graduatorie
 concorsuali  regionali, disposta dal comma 2, non sarebbe illegittima
 in  se',  mentre  la  censura  attinente  alla  durata   quadriennale
 atterrebbe   al  merito  delle  scelte  legislative,  in  materia  di
 esclusiva competenza regionale.  Infondate sarebbero anche le censure
 avverso  l'art.  6  del  disegno  di  legge,  non   sussistendo   ne'
 arbitrarieta'  ne'  manifesta irragionevolezza della legge impugnata,
 poiche' la norma  si  inserisce  nel  quadro  tracciato  dalla  legge
 regionale  n.  25  del  1993, con la quale e' gia' stata garantita la
 continuita'  lavorativa  del  personale   addetto   alla   formazione
 professionale,   con   contratto  a  tempo  indeterminato.  Anzi,  la
 questione sarebbe da considerare inammissibile, investendo il  merito
 delle  scelte  del  legislatore.    Ne'  la  norma configurerebbe una
 violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, non avendo
 introdotto nuove o maggiori spese.   Ad avviso  della  Regione,  poi,
 nemmeno  illegittimo  sarebbe  l'art.    7, che contiene una norma di
 interpretazione autentica dell'art. 12 della legge  regionale  n.  36
 del 1991.
    4.  -  Con  il  secondo  dei  ricorsi  in  epigrafe,  regolarmente
 notificato e depositato, il Commissario dello Stato  per  la  Regione
 siciliana ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli
 artt.  1, 2, 6 e 7 della legge approvata il 4 marzo 1994 (Proroga del
 termine per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi  in
 materia  di formazione professionale e di cooperazione ed abrogazione
 di norme. Modifiche alla legge regionale 1  settembre  1993,  n.  25.
 Disposizioni in materia di personale), per contrasto con gli artt. 3,
 51,  81,  97  della  Costituzione; 17 e 19 del decreto legislativo 23
 dicembre  1993,  n.  546; 2, lettere t) ed u), della legge n. 421 del
 1992; 16 della legge n. 56 del 1957 (rectius: 1987), in relazione  ai
 limiti  posti alla legislazione concorrente dall'art. 17, lettera f),
 dello statuto speciale; 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988.
    5. - Gli artt. 1 e 2 riproporrebbero, ad  avviso  del  ricorrente,
 con  alcune  modifiche,  le  disposizioni  degli  artt.  5  e 6 della
 precedente  legge,  permanendo  cosi'  i  gia'  denunciati  vizi   di
 irragionevolezza  e  incompetenza.  In  particolare,  l'art.  1,  nel
 tentativo di evitare la censura di violazione degli artt. 36 e 42 del
 decreto legislativo n. 29 del 1993, avrebbe limitato i  suoi  effetti
 alle  graduatorie  dei  concorsi  espletati anteriormente al febbraio
 1993. Il carattere transitorio  della  norma  non  varrebbe  pero'  a
 superare le gia' prospettate censure di irragionevolezza. A parte che
 viene  a  mancare  qualsiasi  ipotesi  di  norma  a  regime, la nuova
 disposizione, nel riprodurre quella precedente, avrebbe  riconfermato
 una  disciplina  confliggente  con  quella  preminente  dello  Stato,
 atteso, tra l'altro, che gia' prima del decreto legislativo n. 29 del
 1993, l'art. 24, comma 3, della legge n. 67 del 1988  aveva  ancorato
 la  scelta,  in  ordine  alle  assunzioni  obbligatorie,  al grado di
 mutilazione o invalidita' del soggetto. Pertanto, la norma  impugnata
 rimarrebbe   viziata,   esulando   dalla   competenza   regionale   e
 configurando una indebita disparita' di trattamento che privilegia  i
 soggetti  riservatari  risultati  idonei nei concorsi espletati prima
 del febbraio 1993, rispetto a coloro che non hanno  partecipato  alla
 selezione,   ma   posseggono   un  maggior  grado  di  invalidita'  o
 menomazione.
    6. - Anche l'art. 2, che appresta  provvidenze  per  il  personale
 della  formazione  professionale,  non  si  discosterebbe  molto  dal
 precedente art. 6, nonostante i due commi  che  ad  esso  sono  stati
 aggiunti.  Il  Commissario  dello  Stato,  reiterando le censure gia'
 avanzate con il precedente ricorso, afferma che  la  norma  viola  il
 principio costituzionale del buon andamento, avendo l'unica finalita'
 di  garantire,  a  carico  del  bilancio  regionale,  in  ogni caso e
 indipendentemente dalla  prestazione  lavorativa,  la  corresponsione
 della   retribuzione   al   personale   interessato,   con  un  onere
 finanziario,  per  la  Regione,  a   fondo   perduto   ed   a   tempo
 indeterminato.  Pur  a  ricomprendere l'intervento in questione nella
 materia della assistenza sociale, esso sarebbe  comunque  lesivo  del
 principio  di  uniformita'  di  trattamento  di  cui all'art. 3 della
 Costituzione,  in  assenza  di  analoghe  misure  nella  legislazione
 nazionale,  cui  il legislatore siciliano e' tenuto ad uniformarsi ai
 sensi dell'art. 17, lettera f), dello statuto.
    7. - Quanto agli artt. 6 e 7,  il  ricorso  evidenzia,  anzitutto,
 come  all'originario  disegno  di  legge  siano  stati apportati vari
 emendamenti,  senza  tenere  in  debito  conto  le  norme   contenute
 nell'art.  12  dello statuto speciale e nell'art. 111 del regolamento
 dell'Assemblea  regionale  siciliana,   tant'e'   che   le   apposite
 commissioni, attesa la brevita' dei termini e l'assenza di dibattito,
 non  hanno  potuto  esprimere  una ponderata valutazione al riguardo.
 Nel merito, l'art. 6 porrebbe in essere una inammissibile deroga alla
 disciplina dell'art. 16 della legge n. 56 del 1987, in una materia di
 competenza concorrente, disponendo, per il 1994, la estensione  delle
 competenze,  gia'  attribuite, dall'art. 5 della predetta legge n. 56
 del 1987, alla Commissione regionale  per  l'impiego  in  materia  di
 collocamento   nelle   imprese   private,   alle   assunzioni  presso
 l'amministrazione  regionale,  degli  enti   ed   aziende   da   essa
 dipendenti,  nonche'  degli enti locali e delle UU.SS.LL.  siciliane.
 Inoltre, anche a voler ammettere che  l'art.  5,  lettera  g),  della
 legge  n.  56  del  1987,  conferisca  alle Commissioni regionali per
 l'impiego il potere di determinare procedure diverse da quelle a  re-
 gime  per  la  convocazione  e l'avviamento dei lavoratori degli enti
 pubblici,  non  sarebbe  ragionevole  limitarle  al  solo  1994,  ne'
 tantomeno circoscriverle alle assunzioni presso le amministrazioni di
 cui  all'art.  1  della  legge  regionale  n.  12 del 1991, potendone
 scaturire una diversa regolamentazione per le procedure relative alla
 formazione delle graduatorie concernenti le amministrazioni  statali,
 da   un  lato,  e  per  quelle  di  altri  enti  ed  amministrazioni,
 dall'altro. E questo a tacer del fatto che la norma riguarda anche il
 personale delle UU.SS.LL., in  ordine  al  quale  la  competenza  del
 legislatore regionale e' limitata.
    8.  -  Il  Commissario  dello  Stato solleva, infine, questione di
 legittimita' dell'art. 7 che, in contrasto con le  pari  opportunita'
 garantite,  dagli  artt.  3,  51  e  97 della Costituzione, a tutti i
 cittadini, nell'accesso alla  pubblica  amministrazione,  estende  le
 privilegiate  procedure  di  assunzione  - previste dall'art. 3 della
 legge regionale n. 22 del 1991, per i soggetti in rapporto di  lavoro
 precario  con  gli  enti locali della Regione - ai soci delle cooper-
 ative che hanno gestito,  mediante  convenzione,  il  servizio  degli
 asili-nido  ai  sensi  dell'art.  21 della legge regionale n. 214 del
 1979.
    9. - La Regione siciliana, costituitasi in  giudizio,  ha  chiesto
 che le questioni sollevate con il ricorso del Commissario dello Stato
 siano dichiarate non fondate.
    10.   -   In   ordine   all'art.   1,  la  Regione  resistente  ha
 preliminarmente eccepito l'inammissibilita' delle censure per carenza
 di  interesse,  in  quanto  l'eventuale  annullamento   della   norma
 impugnata  - che ripropone, con modifiche puramente lessicali, l'art.
 7 della legge regionale n. 11 del 1991 - non farebbe  che  restituire
 efficacia  ad  una  disposizione  non  impugnata  ne' impugnabile dal
 Commissario  dello   Stato.      Peraltro,   la   norma   viene   ora
 contraddittoriamente censurata perche' transitoria, senza considerare
 che la stessa, gia' presente nella legge approvata in data 20 gennaio
 1994, era stata impugnata dal Commissario dello Stato in quanto norma
 a  regime.    Nel  merito,  si  ribadisce  che  le graduatorie cui fa
 riferimento la norma impugnata hanno ad oggetto  l'accesso  ai  posti
 per  qualifiche  e profili professionali superiori al quarto livello,
 senza porsi percio' in contrasto con gli artt. 36 e  42  del  decreto
 legislativo  n.    29  del  1993.  E  questo a tacer del fatto che le
 graduatorie, nella Regione siciliana, sarebbero, gia' dal 1988,  for-
 mulate secondo i criteri di scelta introdotti con l'art. 24, comma 3,
 della  legge n.  67 del 1988.  Sul comma 2, si osserva che, una volta
 stabilita la legittimita' del  principio  della  ultrattivita'  delle
 graduatorie concorsuali (sancito anche dal legislatore nazionale), la
 censura  relativa  alla  durata  quadriennale  atterrebbe  al  merito
 legislativo, in una materia, tra  l'altro,  di  esclusiva  competenza
 regionale.
    11.  -  Secondo  la difesa della Regione la questione sollevata in
 ordine all'art. 2, attenendo al merito delle scelte  del  legislatore
 sarebbe  inammissibile  o,  comunque,  infondata,  in quanto la norma
 impugnata   si   inserisce   nella   tendenza   che   mira   ad   una
 riorganizzazione  dell'intero settore della formazione professionale,
 di cui e' espressione, tra l'altro, la  legge  regionale  n.  25  del
 1993.
    12.  -  In  ordine  alle  questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 6 e 7, la difesa della  Regione,  nell'escludere  che  la
 procedura  seguita  per  l'approvazione abbia violato gli artt. 111 e
 112 del regolamento dell'Assemblea  regionale,  deduce,  quanto  alla
 prima  disposizione,  che  essa sarebbe giustificata dall'esigenza di
 formulare, per il 1994, una  graduatoria  unica  degli  aspiranti  al
 collocamento,   comprensiva   degli   anni   1992  e  1993,  a  causa
 dell'avvenuta  scadenza  della  convenzione  per  l'automazione   dei
 servizi   dell'impiego,  che  avrebbe  determinato  il  blocco  delle
 graduatorie e dell'avviamento al lavoro. E questo non senza rilevare,
 da una parte, che gli elementi  di  valutazione  e  le  modalita'  di
 attribuzione   dei  punteggi  rimarrebbero  immutati,  come  previsto
 dall'art. 16 della legge n. 56 del 1987, e dall'altra che,  comunque,
 la   materia   dell'avviamento  al  lavoro  presso  l'amministrazione
 regionale e le aziende ed  enti  da  essa  dipendenti  rientra  nella
 competenza  esclusiva  della  Regione stessa.   In ordine all'art. 7,
 rilevato che ben possono ammettersi deroghe al principio del pubblico
 concorso,   in   presenza   di   reali   esigenze   della    pubblica
 amministrazione,  la  resistente osserva che, nel caso di specie, non
 si tratterebbe di assunzione, ma di  autorizzazione  a  mantenere  in
 servizio  personale  che,  per  anni,  in  regime  di convenzione, ha
 gestito il servizio di asili-nido,  al  fine  di  non  disperdere  un
 patrimonio di esperienza e professionalita'.
    13.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  il Commissario dello Stato
 nella Regione siciliana, rappresentato dall'Avvocatura generale dello
 Stato, ha depositato due memorie.  Nella prima, si chiede  che  venga
 dichiarata  la  cessazione  della materia del contendere in ordine al
 primo giudizio, in quanto la delibera legislativa del 20 gennaio 1994
 risulta promulgata con omissione delle norme impugnate  che,  d'altra
 parte,   sarebbero   state  "abrogate"  dall'art.  4  della  delibera
 legislativa del 4 marzo 1994.   Nella seconda memoria  si  ribadisce,
 quanto  al  secondo  giudizio,  il contrasto tra l'art. 1 della legge
 impugnata e gli artt. 3 e 97 della Costituzione. L'art.  1,  infatti,
 prolungherebbe  irragionevolmente  fino  a  quattro  anni l'efficacia
 delle graduatorie, disattendendo le  indicazioni  della  legislazione
 nazionale  e  "preferendo candidati solo idonei a possibili vincitori
 di nuovi concorsi". Inoltre, la stessa  norma  contrasterebbe  con  i
 citati parametri costituzionali, integrati dalla legge 2 aprile 1968,
 n.  482 e dall'art. 24, comma 3, ultimo periodo, della legge 11 marzo
 1988, n. 67, nonche' con le norme  statutarie  e  di  attuazione,  in
 quanto "darebbe, ancorche' in via transitoria, nuova forza ad un dato
 normativo   implicitamente   elusivo  di  altre  disposizioni  (anche
 statali)  prevedenti  riserve  di  posti".    Le  parole   "espletati
 anteriormente  al  febbraio 1993", aggiunte in tale articolo rispetto
 all'art. 5 della legge 20 gennaio 1994 (oggetto del ricorso n. 13 del
 1994), farebbero, invece, venir meno il contrasto con gli artt. 36  e
 42  del decreto legislativo n. 29 del 1993 (corretti dagli artt. 17 e
 19 del decreto  legislativo  23  dicembre  1993,  n.  546).    Quanto
 all'art.  2,  la  memoria  ne  ribadisce il contrasto con l'art.  81,
 quarto comma, della Costituzione, mancando la copertura  finanziaria,
 nonche'   la   relazione   tecnica  e  il  parere  della  commissione
 dell'Assemblea regionale  competente  per  il  bilancio.    L'art.  2
 violerebbe  altresi'  gli artt. 3 e 97 della Costituzione e il limite
 dei principi, posto dall'art. 17, lettera f), dello statuto speciale,
 nella materia di competenza concorrente "legislazione sociale", prev-
 edendo che la Regione  spenda  denaro  pubblico  in  sostituzione  di
 operatori  privati,  tra  i  quali  "quelli  non  utili o addirittura
 inadempienti". Ne'  l'aggiunta,  rispetto  al  primitivo  disegno  di
 legge,  impugnato  con  il  ricorso  n.  13 del 1994, dei commi 3 e 4
 all'articolo in esame ne ha migliorato  la  formulazione.  Si  chiede
 quindi  alla  Corte, "in estremo subordine", di sollevare di fronte a
 se' questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 7  della
 legge regionale n. 25 del 1993, in relazione agli artt. 3, 41, 51, 81
 e  97 della Costituzione e agli artt. 15 e 17 dello statuto speciale.
 In ordine alle censure rivolte avverso  l'art.  6,  la  memoria,  nel
 sostenere  che  la  norma  investe  materia di competenza concorrente
 della Regione, ribadisce che  "la  disciplina  del  collocamento  non
 tollera  procedure e graduatorie diversificate a seconda del soggetto
 cui il lavoratore e' avviato".  Infine, riguardo alle  censure  rela-
 tive all'art. 7, si afferma che si tratterebbe di assunzioni, persino
 in soprannumero, con oneri a carico del bilancio degli enti locali.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con  il  primo dei ricorsi in epigrafe, il Commissario dello
 Stato per la Regione siciliana ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  5,  6  e  7   della   legge   approvata
 dall'Assemblea  regionale  siciliana nella seduta del 20 gennaio 1994
 (Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei  regolamenti
 di   contabilita'   dei   comuni.  Proroga  dei  termini  in  materia
 urbanistica, per la  costituzione  delle  province  regionali  e  per
 l'efficacia  delle  graduatorie concorsuali. Interventi in materia di
 formazione professionale e di cooperazione), per  contrasto  con  gli
 artt.  3, 81 e 97 della Costituzione; 17 e 19 del decreto legislativo
 23 dicembre 1993, n. 546; 2, lettere t) ed u), della legge 23 ottobre
 1992, n.  421.    Con  il  secondo  ricorso,  ha  sollevato,  invece,
 questione  di  legittimita' costituzionale della legge approvata il 4
 marzo 1994 (Proroga del termine  per  l'efficacia  delle  graduatorie
 concorsuali.   Interventi in materia di formazione professionale e di
 cooperazione ed abrogazione di norme. Modifiche alla legge  regionale
 1  settembre 1993, n. 25.  Disposizioni in materia di personale), per
 contrasto con gli artt. 3, 51, 81, 97 della Costituzione; 17 e 19 del
 decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546; 2, lettere  t)  ed  u),
 della legge 23 ottobre 1992, n. 421; 16 della legge 28 febbraio 1987,
 n.  56,  in relazione ai limiti posti dall'art. 17, lettera f), dello
 statuto speciale; 24, comma 3, della legge 11 marzo 1988, n. 67.
    2.  -  Va  preliminarmente  dichiarata  cessata  la  materia   del
 contendere  sul  primo dei giudizi, perche', dopo la proposizione del
 ricorso,  la  delibera  legislativa  di   cui   trattasi   e'   stata
 parzialmente  promulgata  dal Presidente della Regione siciliana, con
 omissione delle disposizioni  impugnate  (legge  regionale  15  marzo
 1994,  n.  4, in Gazzetta ufficiale della Regione siciliana, parte I,
 n. 15, del 19 marzo 1994).  Infatti, come gia'  affermato  da  questa
 Corte,   l'esercizio   del  potere  di  promulgazione  attribuito  al
 Presidente  della  Regione  si  esaurisce  nell'atto  che tale organo
 compie  in  ordine  alla  delibera  approvata  dall'Assemblea.   Cio'
 comporta  che  le disposizioni impugnate sono da reputare espunte dal
 testo vigente una volta per tutte, senza che sussista la possibilita'
 di una loro successiva autonoma promulgazione (da ultimo, sentenza n.
 235 del 1994).
    3. - Quanto al secondo  dei  ricorsi  in  epigrafe,  la  Corte  e'
 chiamata a stabilire:
      1)  se  l'art.  1 della legge approvata dall'Assemblea regionale
 siciliana  nella  seduta  del  4  marzo   1994,   nel   disporre   la
 ultrattivita'   delle  graduatorie  degli  appartenenti  a  categorie
 protette, contrasti con gli artt. 3 e 97 della Costituzione,  per  la
 sua  irragionevolezza e per aver disciplinato, in maniera palesemente
 confliggente con i parametri ai quali  il  legislatore  regionale  si
 sarebbe  dovuto  rigorosamente  attenere,  una  materia, quale quella
 delle  assunzioni  obbligatorie,  esulante  dalle   sue   competenze,
 prefigurando  una  lesione degli interessi delle categorie protette e
 una disparita' di trattamento a danno di coloro che,  pur  possedendo
 un maggior grado di invalidita', non hanno partecipato al concorso;
      2) se l'art. 2 della medesima legge, nel prevedere l'assunzione,
 a  carico  del bilancio regionale, della retribuzione del personale a
 tempo indeterminato degli enti privati convenzionati con  la  Regione
 per   lo   svolgimento   di   corsi   di   formazione  professionale,
 impossibilitati a proseguire l'attivita', contrasti con gli artt. 3 e
 97 della Costituzione, per mancanza di qualsiasi finalita' pubblica e
 per lesione  del  principio  della  uniformita'  di  trattamento,  in
 assenza   di   analoghe   misure   nella  legislazione  nazionale  di
 riferimento cui il legislatore  regionale  e'  tenuto  a  conformarsi
 (art. 17, lettera f), dello statuto);
      3)  se  il  medesimo  art.  2 contrasti, altresi', con l'art. 81
 della Costituzione;
      4) se l'art. 6 della stessa legge, autorizzando  la  Commissione
 regionale  per  l'impiego,  limitatamente  al  1994,  ad  adottare  i
 provvedimenti previsti dall'art. 5, lettera g), della legge n. 56 del
 1987 - per le assunzioni, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della  legge
 regionale  n.  12  del 1991, da parte dell'amministrazione regionale,
 degli enti ed aziende da essa dipendenti, nonche' degli enti locali e
 delle UU.SS.LL. siciliane - violi l'art. 16 della medesima  legge  n.
 56 del 1987, in relazione ai limiti posti alla legislazione regionale
 dall'art.  17,  lettera  f),  dello  statuto  speciale,  e contrasti,
 altresi', con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, sotto  il  profilo
 della     ragionevolezza,    potendone    scaturire    una    diversa
 regolamentazione per le  procedure  relative  alla  formazione  delle
 graduatorie   riguardanti   le   amministrazioni   statali  e  quelle
 riguardanti gli altri enti ed amministrazioni;
      5) se l'art. 7 della richiamata legge, estendendo  le  procedure
 privilegiate  di assunzione - previste, per i soggetti in rapporto di
 lavoro precario con gli enti locali della Regione, dall'art. 3  della
 legge  regionale n. 22 del 1991 - ai soci delle cooperative che hanno
 gestito, mediante convenzione, il servizio degli asili-nido ai  sensi
 dell'art. 21 della legge regionale n. 214 del 1979, contrasti con gli
 artt.  3,  51  e  97  della  Costituzione,  costituendo  una sorta di
 assunzione ad personam, non sorretta, tra l'altro, da  alcuna  valida
 motivazione.
    3.  -  Quanto alla prima delle questioni sollevate, e cioe' quella
 concernente  l'art.  1  della   legge,   va,   anzitutto,   disattesa
 l'eccezione  di  inammissibilita'  formulata,  in  via pregiudiziale,
 dalla Regione, che deduce il  difetto  di  interesse,  da  parte  del
 Commissario  dello  Stato,  a  sollevare  questione  di  legittimita'
 costituzionale, perche' l'eventuale  caducazione  della  disposizione
 non farebbe che restituire efficacia all'art. 7 della legge regionale
 n.  11  del  1991,  norma non impugnata, ne' impugnabile da parte del
 Commissario stesso.  E' sufficiente rilevare, infatti, che il ricorso
 da parte dello Stato avverso le leggi regionali e' rivolto a tutelare
 l'interesse obiettivo all'eliminazione delle leggi  incostituzionali,
 a prescindere dagli effetti che, sul piano dell'ordinamento generale,
 possano anche indirettamente conseguirne.
    4. - Nondimeno, le doglianze relative all'art. 1 vanno dichiarate,
 in  parte,  inammissibili  -  sia  pure  per motivi diversi da quelli
 teste' riferiti - e, in parte, infondate.  L'art. 1 prevede, al comma
 1, che  "le  graduatorie  dei  concorsi  espletati  anteriormente  al
 febbraio 1993 degli enti e quelle relative alle categorie di cui alla
 legge  2  aprile  1968,  n.  482,  o  altre  categorie protette, sono
 efficaci per la durata di 36 mesi e devono essere utilizzate  per  la
 copertura  dei posti vacanti e disponibili riservati". Dispone, a sua
 volta,  il  comma  2  che  "le  graduatorie  dei  concorsi  espletati
 anteriormente  al  febbraio  1993 dell'Amministrazione regionale sono
 efficaci per la durata di 48 mesi e devono essere utilizzate  per  la
 copertura  dei  posti vacanti e disponibili riservati". Nei confronti
 della predetta disciplina viene sollevata una complessa e  articolata
 doglianza, formulata, invero, in termini non del tutto puntuali, che,
 secondo   quanto   e'   dato   desumere   dal   ricorso,   si  scinde
 sostanzialmente in due questioni: quella del rispetto  del  principio
 di ragionevolezza, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione,
 e  quella  del  rispetto  delle  disposizioni  dettate, in materia di
 collocamento obbligatorio, dalla  legislazione  statale.    Sotto  il
 primo  aspetto,  il Commissario dello Stato deduce l'irragionevolezza
 della disposizione, per la sua transitorieta' che "non e' logicamente
 seguita da alcuna ipotesi di norma a regime", e censura, altresi', il
 fatto che il legislatore siciliano - riformulando,  cosi',  l'art.  7
 della  legge  regionale  n.  11  del  1991, ove erano organicamente e
 complessivamente  disciplinate  le  modalita'  per  l'assunzione  del
 personale  presso  l'amministrazione  della  Regione  e  degli  enti,
 aziende  ed  istituti  da  essa  dipendenti  -  introduca  una  norma
 "assolutamente  non  confacente alla organica attuazione di quanto il
 legislatore  nel  1991  intendeva  globalmente  e  programmaticamente
 ottenere".    Per  altro  verso,  lamenta  che  l'art. 1, comma 1, in
 questione, riproduca sostanzialmente  la  disposizione  del  predetto
 art.  7, "riconfermando cosi' procedure di assunzione di appartenenti
 alle categorie  protette  non  ammissibili  rispetto  alla  normativa
 statale che regola la materia".  Tanto premesso, la Corte osserva che
 i termini in cui la doglianza e' formulata, poco chiari e addirittura
 contraddittori, non sono tali da consentire di apprezzare sotto quali
 aspetti  si  verificherebbe  il  lamentato contrasto con i richiamati
 parametri. Pertanto,  poiche'  i  motivi  addotti  a  sostegno  della
 questione  non permettono di cogliere il livello costituzionale delle
 censure, la questione  e'  da  ritenere,  sotto  l'indicato  profilo,
 inammissibile.  Quanto all'altro aspetto del problema, e cioe' quello
 attinente   all'osservanza  o  meno  dei  principi  desumibili  dalla
 legislazione statale sul collocamento obbligatorio, osserva la  Corte
 che  il  ricorrente - nel denunciare il mancato rispetto dei principi
 contenuti negli artt. 17 e 19 del  decreto  legislativo  23  dicembre
 1993,  n.  546, nell'art. 2, lettere t) ed u), della legge n. 421 del
 1992 e nell'art. 24, comma 3, della legge 11 marzo 1988, n. 67 -  de-
 duce  che  non  sarebbe  consentito  attribuire a soggetti, ancorche'
 appartenenti a categorie protette ex lege n. 482 del 1968 e risultati
 idonei in pubblici concorsi, posti riservati resisi vacanti,  poiche'
 in   tal  caso  si  concreterebbe  una  lesione  ed  una  conseguente
 disparita' di trattamento a detrimento  delle  aspettative  di  altri
 riservatari che non hanno partecipato a detti concorsi, atteso che il
 conferimento  di  posti  riservati e' subordinato inderogabilmente ad
 una pubblica selezione aperta a tutti i soggetti di cui alla legge n.
 482 del 1968 e soltanto ad  essi.  Aggiunge,  altresi',  non  potersi
 escludere  che,  per  effetto  della disposizione oggetto di censura,
 posti vacanti e disponibili siano ricoperti da persone  che,  benche'
 idonee, non abbiano titolo a beneficiare della riserva dei posti.  La
 questione  non  e'  fondata. Va, infatti, rilevato - e, del resto, ne
 da' atto lo stesso Commissario dello Stato nella memoria illustrativa
 - che la disciplina apprestata con il  denunciato  art.  1  e'  stata
 espressamente   limitata   dal   legislatore  regionale  ai  concorsi
 anteriori al febbraio  1993.  Cio'  esclude,  in  radice,  la  stessa
 possibilita'  di  configurare in termini di antinomia il rapporto fra
 la  legge  regionale  impugnata  e  la  disciplina,  cronologicamente
 successiva,  contenuta  negli artt. 36 e 42 del decreto legislativo 3
 febbraio 1993, n. 29, come pure nei successivi  artt.  17  e  19  del
 decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, modificativi dei primi.
 E  tutto  questo a tacere, ovviamente, del problema della rilevanza e
 dell'incidenza  che  le  norme  dei  decreti  delegati   emanati   in
 attuazione  della legge 23 ottobre 1992, n. 421, possano avere per le
 regioni a statuto speciale, in relazione a quanto disposto dal  comma
 2  dell'art.  2 della stessa legge di delega, atteso che, come questa
 Corte ha avuto occasione di affermare recentemente, con  quest'ultima
 disposizione  la  posizione delle regioni a statuto speciale e' stata
 differenziata da quelle a  statuto  ordinario,  nel  senso  che,  nei
 confronti delle prime, il carattere di "norme fondamentali di riforma
 economico-sociale",  suscettibili  di vincolare la competenza di tali
 enti e' stato attribuito soltanto ai principi desumibili dal medesimo
 art. 2 della legge di delega (sent. n. 383 del 1994). Restano, poi, a
 sorreggere la censura, il richiamo all'art. 24, comma 3, della  legge
 n.  67  del 1988 - che, per le assunzioni obbligatorie, si basa sulla
 preminenza del grado di mutilazione ed invalidita' del soggetto  -  e
 quello  ai  criteri  di  cui alle lettere t) ed u), dell'art. 2 della
 legge  n.  421   del   1992,   che   prevedono,   l'uno,   l'organica
 regolamentazione,  da parte del legislatore delegato, delle modalita'
 di  accesso  all'impiego   presso   le   pubbliche   amministrazioni,
 attraverso   il   sistema  del  concorso  o  delle  selezioni  psico-
 attitudinali, e, l'altro, la  chiamata  numerica  degli  appartenenti
 alle categorie protette iscritti nelle liste di collocamento.  Ma ne'
 l'uno  ne'  l'altro  riferimento  normativo  risultano  idonei a dare
 fondamento alla questione.  A  ben  vedere,  la  tesi  sostenuta  dal
 Commissario  dello  Stato pare muovere essenzialmente da un postulato
 che, pero', non trova  riscontro  nella  realta'  dell'ordinamento  e
 cioe'  che le invocate norme della legislazione statale impongano che
 tutte  le  assunzioni  degli  appartenenti  alle  categorie  protette
 debbano  ormai  avvenire, sia pure attraverso una pubblica selezione,
 per  chiamata  numerica,   sicche'   la   previsione   dell'eventuale
 assunzione   di   coloro  che  siano  risultati  idonei  in  concorsi
 precedenti a tale sopravvenuta legislazione,  attraverso  la  proroga
 delle  relative graduatorie, finirebbe per entrare in contrasto con i
 nuovi criteri di reclutamento. Senonche' una siffatta premessa e' del
 tutto erronea, in quanto in materia di collocamento obbligatorio  nel
 pubblico  impiego, come conferma, da ultimo, il d.P.R. 9 maggio 1994,
 n. 487, permane, sia prima che dopo l'emanazione  delle  leggi  sopra
 richiamate,  un  duplice  procedimento:  il concorso pubblico, per le
 qualifiche piu' elevate, nell'ambito del quale gli appartenenti  alle
 categorie  protette  trovano  tutela  attraverso  il meccanismo della
 riserva dei posti, purche' idonei, e la chiamata numerica per  coloro
 che,  iscritti negli appositi elenchi tenuti dagli uffici del lavoro,
 vengono avviati alle prove di  idoneita'  presso  amministrazioni  ed
 enti   pubblici.    Nella  vigenza  di  ambedue  i  sistemi  e  nella
 differenziata area di applicabilita' delle regole relative a ciascuno
 di essi, la disposta proroga delle graduatorie dei pubblici concorsi,
 secondo un criterio praticato, come  e'  noto,  anche  a  livello  di
 legislazione  statale, non consente di ipotizzare il contrasto fra la
 normativa regionale e la normativa statale richiamata dal Commissario
 dello Stato.
    5. - Quanto, poi, all'art. 2, va disattesa, anzitutto, l'eccezione
 di inammissibilita' della questione, che,  ad  avviso  della  Regione
 resistente,  atterrebbe  al  merito delle scelte del legislatore.  Al
 riguardo e' sufficiente ricordare il ripetuto orientamento di  questa
 Corte, secondo il quale le censure di legittimita' non si distinguono
 da  quelle  di  merito per la natura sostanziale delle valutazioni da
 operare, bensi' soltanto per il dato formale che, nel primo  caso,  a
 differenza  del  secondo,  le  regole  o  gli  interessi assunti come
 parametro del giudizio  sono  sanciti  in  norme  della  Costituzione
 ovvero di legge (sentenza n. 991 del 1988).  L'art. 2, infatti, viene
 impugnato per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, sotto
 il  profilo  del  buon  andamento,  deducendosi,  in  particolare, il
 difetto di qualsiasi  finalita'  pubblica  a  fronte  della  prevista
 erogazione  di considerevoli mezzi finanziari a carico della Regione,
 nonche' del principio della uniformita' di trattamento, in assenza di
 analoghe misure nella legislazione nazionale di  riferimento  cui  il
 legislatore  regionale  e'  tenuto a conformarsi (art. 17, lettera f,
 dello statuto speciale).
    La questione e' fondata.
    La  norma  autorizza  l'Assessore  regionale  per  il  lavoro,  la
 previdenza  sociale,  la  formazione professionale e l'emigrazione ad
 erogare, tramite gli uffici provinciali del lavoro,  le  retribuzioni
 per   il  personale  a  tempo  indeterminato  di  quegli  enti  della
 formazione professionale che, per varie cause  (tra  cui  la  mancata
 inclusione  nel piano formativo annuale, revoca del finanziamento dei
 corsi, contenzioso economico-contabile) siano nell'impossibilita'  di
 assicurare  la  prosecuzione dell'attivita'. Nel porre a carico della
 finanza  regionale  le  retribuzioni  per  il  detto  personale,   la
 disposizione    persegue,    infatti,   una   finalita'   tipicamente
 assistenziale che, in  assenza  di  qualsiasi  controprestazione,  si
 traduce  in un esborso a tempo indeterminato per la finanza pubblica.
 Vero e' che la  disposizione,  in  cio'  differenziandosi  da  quella
 analogamente  contenuta  nella  precedente  legge  20  gennaio  1994,
 oggetto del primo ricorso, prevede, al comma 4,  l'utilizzazione  del
 personale  in  questione  da  parte  dell'amministrazione  regionale,
 nonche' delle aziende e degli enti contemplati dal comma 1  dell'art.
 1  della  legge  regionale  10  aprile  1991,  n.  12.    Ma  la mera
 eventualita'  prevista  dalla  norma,  che  -  e'  da   presumere   -
 consentirebbe  di  trasferire  il  carico  retributivo sugli enti che
 intendessero  utilizzare  il  personale,  non   giustifica   comunque
 l'assunzione,  in via generale e in maniera indeterminata, dell'onere
 degli stipendi a carico della Regione,  attraverso  una  disposizione
 che  non  pare  poter  trovare  fondamento nella competenza meramente
 concorrente che spetta alla Regione stessa in materia  di  assistenza
 sociale    (art.   17,   lettera   f),   dello   statuto   speciale).
 L'accoglimento della questione nei termini sopra prospettati assorbe,
 come e' ovvio, l'altra questione, relativa alla lamentata  violazione
 dell'art. 81 della Costituzione.
    6.  -  Il  Commissario  dello  Stato  solleva,  poi,  questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  il  quale  dispone  che,
 limitatamente  al  1994,  la  Commissione  regionale per l'impiego e'
 autorizzata ad adottare i provvedimenti deliberativi di cui  all'art.
 5,  comma  1, lettera g), della legge 28 febbraio 1987, n. 56, per le
 assunzioni da effettuarsi ai sensi del  comma  1  dell'art.  1  della
 legge  regionale  30 aprile 1991, n. 12. In sostanza viene attribuita
 alla Commissione regionale per l'impiego la facolta' di  determinare,
 per  il  solo  1994,  procedure  diverse  da  quelle in vigore per la
 convocazione e l'avviamento dei lavoratori  ai  fini  dell'assunzione
 presso  "l'amministrazione  regionale e le aziende ed enti ed aziende
 da essa dipendenti  o  comunque  sottoposti  a  controllo,  tutela  e
 vigilanza",   nonche'   presso  "gli  enti  locali  territoriali  e/o
 istituzionali", nonche' gli enti  da  essi  dipendenti  e/o  comunque
 sottoposti  a  controllo,  tutela  e vigilanza, e le unita' sanitarie
 locali".   Nel sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
 della  disposizione  in parola, il Commissario dello Stato - premesso
 che, nell'iter parlamentare sarebbero stati disattesi l'art. 12 dello
 statuto  e  l'art.  111  del  regolamento  dell'Assemblea   regionale
 siciliana,  tanto  che  le  apposite commissioni non avrebbero potuto
 esprimere una ponderata ed esaustiva valutazione -  lamenta  che,  in
 una  materia  di competenza concorrente, si sia introdotta una deroga
 alla disciplina prevista dall'art. 16 della legge n. 56 del 1987  per
 le  assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, al fine di ovviare ad
 esigenze del tutto particolari e locali, non senza  rilevare  che  in
 materia  di personale delle unita' sanitarie locali la competenza del
 legislatore regionale e' ancor piu' limitata.  La Regione resistente,
 premesso  che   la   materia   dell'avviamento   al   lavoro   presso
 l'amministrazione  regionale  e le aziende ed enti da essa dipendenti
 rientrerebbe  fra  le  competenze  esclusive  della  Regione  stessa,
 osserva,  per  contro,  che la disposizione troverebbe la sua ragione
 d'essere nella necessita' di  superare  proprio  i  limiti  derivanti
 dall'art.  16  della  legge  28 febbraio 1987, n. 56, che prevede una
 graduatoria annuale degli aspiranti al collocamento  nelle  pubbliche
 amministrazioni. Si sarebbe, invece, posta la necessita' di pervenire
 alla formulazione, per il 1994, di una graduatoria unica, comprensiva
 degli  anni  1992  e  1993,  al  fine  di  ovviare ad una contingente
 situazione connessa alla scadenza della convenzione per l'automazione
 dei servizi dell'impiego, che avrebbe  determinato  il  blocco  delle
 graduatorie   e   dell'avviamento  al  lavoro.  E  questo  non  senza
 sottolineare, che comunque, nonostante la  deroga,  gli  elementi  di
 valutazione  e  le  modalita'  di attribuzione del punteggio previsti
 dall'art. 16 della legge n. 56 del 1987, sarebbero rimasti  immutati.
 In   linea   di   principio,  la  Corte  ritiene  di  dover  rilevare
 l'infondatezza della tesi sostenuta dalla Regione della  esclusivita'
 della  competenza regionale in materia di avviamento al lavoro presso
 la Regione ed aziende ed enti da essa dipendenti.  E' vero,  infatti,
 che l'accesso agli uffici regionali, secondo un costante orientamento
 giurisprudenziale,  e'  una  sub-materia  rientrante nell'ordinamento
 degli uffici, che l'art. 14, lettera p), dello  statuto  affida  alla
 competenza  legislativa esclusiva della Regione (v., sentenze nn. 101
 del 1986; 563 e 726 del 1988). Ma questo non sta  a  significare  che
 l'accesso  stesso  coincida,  seppure pro parte, con l'"occupazione",
 poiche', come questa Corte  ha  gia'  avuto  occasione  di  precisare
 (sent. n. 190 del 1987), la disciplina di quest'ultima coinvolge piu'
 materie, molte delle quali sono di spettanza dello Stato ed alcune di
 competenza  regionale.  Non  si puo' negare, infatti, che l'obiettivo
 dell'inserimento  di  persone  nel  mondo  del  lavoro  puo'   essere
 perseguito  soltanto  attraverso  la  disciplina di diversi settori -
 quali, ad esempio, l'istruzione scolastica, il mercato del  lavoro  e
 il  collocamento,  il  pensionamento,  la  politica  del mercato, dei
 prezzi e dei vari comparti produttivi (industria, servizi, ecc.) -  i
 quali  rientrano sicuramente nell'ambito delle competenze statali. In
 pari tempo e' innegabile che il perseguimento del medesimo  obiettivo
 coinvolga  materie d'indubbia spettanza regionale, quali, ad esempio,
 la formazione professionale, l'organizzazione degli uffici  regionali
 e  la  regolazione  dell'accesso  ai  medesimi  uffici e, inoltre, le
 politiche locali riguardanti i vari settori materiali  affidati  alle
 regioni  (agricoltura, artigianato, sanita', turismo, ecc.).  Da cio'
 deriva chiaramente che l'occupazione e'  qualcosa  che  trascende  le
 singole  materie sopra elencate e che una legislazione statale che ne
 persegua le relative finalita' puo' coinvolgere vari  settori,  anche
 di   competenza  regionale,  orientandone  o,  in  determinati  casi,
 vincolandone gli indirizzi verso gli obiettivi superiori,  propri  di
 una   politica  occupazionale.    In  questa  prospettiva,  non  puo'
 considerarsi senza significato il fatto che  la  stessa  legislazione
 della  Regione  siciliana  abbia,  da  un canto, dato attuazione alla
 legge statale n. 56 del 1987 con legge regionale 21  settembre  1990,
 n.   36,   e,  dall'altro,  recepito  integralmente,  in  materia  di
 assunzioni, i criteri dell'art. 16 della stessa legge  statale,  come
 risulta  dall'art.  1  della  legge  regionale 30 aprile 1991, n. 12.
 Quanto sopra premesso, la questione e' da ritenere fondata.  La norma
 impugnata, nel collocare le amministrazioni pubbliche che operano  in
 ambito  regionale fuori dallo schema procedimentale del predetto art.
 16 della legge n. 56 del 1987, crea,  come  rileva  il  ricorso,  una
 discrasia  fra  la  regolamentazione  delle  procedure  relative alla
 formazione delle graduatorie per le amministrazioni  statali,  da  un
 lato,  e quelle per gli altri enti e amministrazioni, dall'altro. Ne'
 le   motivazioni   addotte   dalla   Regione,   sotto   il    profilo
 dell'eccezionalita'  della  situazione di fatto, possono far superare
 alla  disposizione  lo  scrutinio  di  costituzionalita', giacche' la
 ragionevolezza delle norme esige sempre un rapporto di congruita' del
 mezzo al fine. Orbene, se il fine era quello dell'unificazione  delle
 graduatorie,  per gli anni 1992 e 1993, tale ridotto obiettivo poteva
 ben  essere  perseguito  limitandosi  a  prevedere  semplicemente  la
 possibilita'  di  formulare  globalmente,  per  entrambi gli anni, le
 dette  graduatorie,  cosi'  come,  in  effetti,  con  una  successiva
 disposizione, e cioe' quella della legge regionale 23 maggio 1994, n.
 15,  risulta,  poi,  essere  stato  disposto.    La  disposizione va,
 pertanto,   dichiarata   costituzionalmente   illegittima,   restando
 assorbito ogni altro motivo di censura.
    7.  - Del pari fondata e' la questione di legittimita' dell'art. 7
 della legge in esame.
    Con tale disposizione, al personale delle  cooperative  che  hanno
 gestito  in  regime  di convenzione gli asili-nido, giusta l'art. 21,
 ultimo comma, della  legge  regionale  14  settembre  1979,  n.  214,
 vengono  applicate  le  disposizioni  di  cui  all'art. 3 della legge
 regionale 15 maggio 1991, n. 22,  il  quale  prevede  un  particolare
 trattamento  preferenziale  -  ai  fini  della  copertura  dei  posti
 destinati ai servizi decentrati con leggi regionali  -  a  favore  di
 determinati  soggetti legati agli enti locali "con rapporto di lavoro
 subordinato o con contratto  d'opera  individuale,  instaurato  sulla
 base  di  provvedimento formale", prevedendo altresi' la eventualita'
 che tale personale venga "collocato in  soprannumero"  (comma  3  del
 medesimo  art.  3).  Secondo  il  ricorso, la disposizione denunciata
 lederebbe gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione,  che  garantiscono
 la  pari opportunita' di tutti i cittadini nell'accesso alla pubblica
 amministrazione, senza che la norma appaia sorretta da alcuna  valida
 motivazione   o  riferimento  a  comprovato  interesse  pubblico.  Al
 riguardo,   va   osservato   che   la   norma   qui   sospettata   di
 incostituzionalita'  tende,  in effetti, ad ampliare categorie per le
 quali sono stati apprestati strumenti volti a favorirne  l'assunzione
 nella  pubblica  amministrazione,  senza  il  vaglio  del concorso e,
 quindi, di quello strumento  che  la  Corte  ha  ritenuto,  in  linea
 generale,  indispensabile  per  il reclutamento, nell'ottica del buon
 andamento.  La disposizione impugnata appare volta a perseguire  tale
 obiettivo,  con disposizioni formulate, invero, in modo non del tutto
 chiaro - come risulta dal comma 2 della stessa norma  impugnata,  che
 qualifica  come  "personale  dipendente"  i  soci  delle  cooperative
 operanti in regime di convenzione - ma  con  l'effetto  di  agevolare
 l'assunzione dei destinatari stessi alle dipendenze dell'ente locale.
 Di  questo  e' ulteriore conferma il richiamo - contenuto nel comma 2
 della disposizione impugnata - alle disposizioni dell'art.  57  della
 legge  regionale  1  settembre  1993,  n.  25, che autorizza gli enti
 locali "a mantenere in servizio o a riassumere il personale  indicato
 all'art.  3" della legge regionale 15 maggio 1991, n. 22, "nelle more
 della piena applicazione" della legge medesima.   Pertanto la  norma,
 in  quanto  elusiva  dei  principi di cui agli artt. 3, 51 e 97 della
 Costituzione, va dichiarata costituzionalmente illegittima.