IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile,  iscritta
 al  numero  di  ruolo  generale sopra riportato, discussa all'udienza
 collegiale del giorno 6 ottobre 1994 promossa con ricorso  depositato
 in  data  7  aprile  1994  da Guglieri Domenico con proc. e dom. avv.
 Francesco  Santangelo  di  Piacenza  e  Paolo  Grondona  di   Milano,
 ricorrente,  contro fallimento G.F.P. S.p.a., in persona del curatore
 dott.  Ciro  D'Aries  con  proc.  e  dom.  avv.  Guido   Ramacciotti,
 resistente.
                               Sul fatto
   Su  richiesta  del  fallimento della soc. G.F.P. S.p.a., il giudice
 del  procedimento  cautelare  con  decreto  inaudita   altera   parte
 autorizzava la curatela a procedere a sequestro conservativo sui beni
 di  amministratori  e sindaci della predetta societa', fra i quali il
 rag.  Domenico  Guglieri;   con   successiva   ordinanza   resa   nel
 contraddittorio  delle  parti,  depositata  l'11  novembre  1993,  il
 giudice  modificava  il precedente decreto, riducendo l'entita' della
 misura cautelare. Tale provvedimento a cura del fallimento ricorrente
 veniva notificato al Guglieri  in  data  17  novembre  1993;  poi  la
 concelleria  comunicava  l'ordinanza solo in data 6 dicembre 1993; il
 ricorrente introduceva il giudizio di merito in data 21 dicembre 1993
 e contestualmente provvedeva alla trascrizione del sequestro sui beni
 immobili del resistente.
    Con ricorso depositato il 7 aprile 1994, il Guglieri  chiedeva  ex
 art.  669-novies  del c.p.c. che il giudice della cautela dichiarasse
 l'inefficacia del sequestro, posto che l'attore aveva  introdotto  la
 causa  di  merito ed eseguito il sequestro oltre il trentesimo giorno
 dalla notizia del provvedimento e dal deposito dell'ordinanza.
    Si costituiva il fallimento che si opponeva  alla  richiesta,  si'
 che il giudice, rilevata la sussistenza di contestazioni, invitava le
 parti ad "istruire" la causa secondo il rito a cognizione ordinaria.
                      Sui motivi della decisione
    Della  non  manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 675 del  c.p.c.  in  relazione  all'art.  24
 della Costituzione e all'art. 3 della Costituzione.
    All'esame  del  collegio  sono  sottoposte  due distinte questioni
 entrambe inerenti alla  inefficacia  del  sequestro  conservativo  ed
 entrambe connesse alla nuova disciplina dei procedimenti cautelari.
    In particolare si tratta di stabilire se:
      1)  il  dies  a  quo  per la proposizione del giudizio di merito
 decorra sempre  dalla  comunicazione  del  provvedimento  reso  fuori
 udienza,  a  cura  della  cancelleria  ovvero  se  esso decorra da un
 momento anteriore qualora si accerti che il ricorrente  ne  ha  avuto
 notizia legale prima di ricevere la comunicazione;
      2)  se  il  dies  a  quo  per l'esecuzione del sequestro decorra
 dall'emissione del provvedimento ovvero se per effetto della novella,
 anch'esso decorra dalla sua comunicazione.
    Cosi'  prospettate  le  questioni,  prima  di  esaminare   se   la
 conoscenza   legale   di   un   provvedimento   possa   surrogare  la
 comunicazione,  occorre  logicamente  accertare  se  il  termine  per
 l'esecuzione  del sequestro sia rimasto inalterato pur dopo l'entrata
 in vigore della legge n. 353/1990.
    La norma di cui all'art. 675 del c.p.c. (termine  d'efficacia  del
 provvedimento) non e' stata intaccata dalla riforma. Nel vigore della
 precedente  disciplina sui sequestri, pur nella scarna giurisprudenza
 edita, si segnala un precedente della Corte regolatrice,  secondo  il
 quale il termine di trenta giorni inizierebbe a decorrere dal momento
 del deposito del provvedimento in cancelleria (in questo senso, Cass.
 12 marzo 1971, n. 710).
    L'interpretazione adottata, pur conforme al dettato testuale della
 norma  poneva, peraltro, qualche problema sulla tenuta costituzionale
 della   disposizione,   tanto   e'   vero   che    il    dubbio    di
 incostituzionalita'  venne  avanzato  da  un giudice di merito (Trib.
 Palermo 1 ottobre 1982, Giur. cost., 1983, II, 799), per  vero  senza
 successo,  posto  che  il  giudice delle leggi ritenne manifestamente
 infondata la  questione,  osservando  che  la  natura  cautelare  del
 procedimento   rendeva   non  eccessivamente  gravoso  per  la  parte
 sequestrante  l'onere  di  informarsi  in  cancelleria  sull'avvenuto
 deposito del provvedimento.
    Ora, a seguito della novella, il legislatore con l'art. 669-octies
 del  c.p.c. ha previsto espressamente che il termine per l'inizio del
 giudizio di merito, nel caso di pronuncia del provvedimento  positivo
 fuori  udienza,  decorra  sola  con  la  comunicazione  a  cura della
 cancelleria. Per effetto di tale soluzione, alcuni  interpreti  della
 nuova   disciplina   hanno   ritenuto   che  possa  essere  applicata
 analogicamente la regola di cui all'art. 669-octies del c.p.c.  anche
 alla fattispecie di cui all'art. 675 del c.p.c.
    Ad  avviso del tribunale tale interpretazione analogica non sembra
 poter essere efficacemente prospettata, dal momento che non si tratta
 di colmare una lacuna (come se vi fosse scritto, invece, "  ..  entro
 30 giorni"), quanto piuttosto di leggere una norma in modo diverso da
 quello espressamente suggerito dal dato testuale (lo scarso numero di
 precedenti  conferma  che effettivamente era consolidata la scelta di
 far decorrere dal deposito del provvedimento il dies a  quo  relativo
 al termine per l'esecuzione del sequestro).
    Il  collegio,  pertanto,  non  ritiene  possibile pervenire ad una
 lettura dell'art. 675 del c.p.c. opposta a quella indicata  dal  dato
 lessicale.
    V'e'  da  chiedersi, allora, se la norma cosi' interpretata sfugga
 ancora alle censure di incostituzionalita', oppure se alla luce della
 nuova normativa e  di  altre  pronunce  della  Corte,  medio  tempore
 intervenute,  l'art.  675  del  c.p.c. non si presti ad un intervento
 correttivo del giudice costituzionale.
                   Sulla non manifesta infondatezza
    Con la novella del 1990,  il  legislatore  ha  chiaramente  inteso
 riconoscere  alla parte che ha ottenuto una misura cautelare maggiori
 garanzie rispetto al  passato,  nel  senso  che  una  volta  tenutasi
 l'udienza,  il ricorrente non ha l'onere di informarsi in cancelleria
 sull'avvenuto deposito del provvedimento, dal momento che il  termine
 per  radicare  il  giudizio  di  merito inizia a trascorrere solo dal
 momento in cui riceve formale avviso del deposito.
    Tale norma, certamente diretta a garantire  una  effettiva  tutela
 del  diritto  di  difesa  di  cui  all'art.  24  della  Costituzione,
 recepisce alcuni orientamenti  emersi  proprio  a  livello  di  Corte
 costituzionale   in   ordine   alla  necessita'  che  taluni  termini
 processuali inizino a decorrere solo a far data dal  momento  in  cui
 sono  portati  a  conoscenza del destinatario tramite comunicazione o
 notificazione.
    Significative  al  riguardo  sono  varie  decisioni   in   materia
 fallimentare.  Corte  costituzionale  29  aprile  1993,  n.  201,  ha
 stabilito che e' incostituzionale l'art. 209 della legge fallimentare
 nella parte in cui non fa decorrere il termine per l'opposizione allo
 stato passivo dal momento in cui il  creditore  riceve  l'avviso  del
 deposito.  Tale pronuncia fa seguito Corte costituzionale 14 dicembre
 1990, n. 538  e  22  aprile  1986,  n.  102,  che  avevano  stabilito
 l'illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  100  e 98 della legge
 fallimentare sempre con riferimento alla individuazione  dei  termini
 di impugnazione.
    Ancor  piu'  significativo  e'  il  precedente costituito da Corte
 costituzionale 30 aprile 1986, n. 120, con il quale  si  e'  ritenuto
 costituzionalmente  illegittima  la  disposizione  con  la  quale,  a
 termini dell'art.  98  della  legge  fallimentare,  il  creditore  ha
 l'onere  di  notificare  al curatore il ricorso introduttivo entro un
 termine perentorio senza essere posto a  conoscenza  della  esistenza
 del decreto di fissazione dell'udienza.
    Come  e'  agevole  notare,  il  percorso  intrapreso  dalla  Corte
 costituzionale   sembra   ineluttabilmente   indirizzato   verso   il
 riconoscimento di un principio generale secondo il quale i termini di
 decorrenza  (tanto che si riferiscano ai gravami, quanto ad attivita'
 processuali da compiere a pena di inefficacia) non  scattano  se  non
 dal momento in cui alla parte "onerata" e' data formale comunicazione
 della  esistenza  del  provvedimento  giudiziario  da  impugnare o da
 eseguire.
    Per questa ragione la norma di cui all'art.  675  del  c.p.c.  non
 puo'  sottrarsi  al  sindacato  di  costituzionalita' con riferimento
 all'art. 24 della Costituzione. Ma  un  motivo  per  riproporre  alla
 Corte  la  questione  di legittimita' costituzionale si ritrova anche
 nel fatto che la mancata modifica  dell'art.  675  del  c.p.c.  rende
 praticamente inutile l'art. 669-octies del c.p.c.
    Infatti  se  il  sequestrante  per  evitare  la  "perenzione"  del
 sequestro per mancato inizio della  esecuzione,  deve  attivarsi  per
 conoscere   il  momento  in  cui  il  provvedimento  cautelare  viene
 depositato, e' evidente che l'innovazione legislativa resta priva  di
 significato.
    Pur  se  di  minor  peso,  la norma di cui all'art. 675 del c.p.c.
 sembra porsi in contrasto anche con il parametro di costituzionalita'
 di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Infatti, se la  ratio  legis  della  novellazione  in  materia  di
 procedimento   cautelare   e'   stata  quella  di  pervenire  ad  una
 razionalizzazione   del   processo   attraverso   l'uniformita'   del
 procedimento,  la  mancata  riforma  dell'art.  675  del c.p.c. rende
 inspiegabilmente meno agevole il diritto di difesa  del  sequestrante
 rispetto  al ricorrente di un qualsiasi altro procedimento cautelare,
 posto che non sono previste disposizioni particolari che stabiliscano
 ulteriori condizioni di efficacia della misura non in  linea  con  le
 regole dettate dagli artt. 669-octies e novies del c.p.c.
    Di  tale  disparita'  di  trattamento,  una  volta  introdotto  il
 principio della unitarieta' del procedimento, non v'e'  ragione,  si'
 che pare violato anche l'art. 3 della Costituzione.
                            Sulla rilevanza
    La decisione pregiudiziale della Corte si qualifica come rilevante
 nel presente giudizio, posto che in casi di pronuncia di infondatezza
 il ricorso del Guglieri dovrebbe certamente essere accolto, mentre in
 caso di pronuncia di accoglimento, il collegio dovrebbe poi esaminare
 la  valenza  della  condotta  della  parte che, in attesa di ricevere
 l'avviso  della  cancelleria,  si  attiva   per   conoscere   l'esito
 dell'udienza.
    Sussistono,  pertanto,  le  condizioni  per sospendere il presente
 giudizio in attesa della pronuncia  della  Corte  costituzionale  cui
 vanno  rimessi  gli  atti ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del
 1953.