ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 448, primo
 comma, ultima parte, del codice di  procedura  penale,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  12  aprile  1994  dal  Giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Milano, nel procedimento penale  a
 carico  di  Vona  Alberto,  iscritta al n. 348 del registro ordinanze
 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  25,
 prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 14 dicembre  1994  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto  che,  nel  corso dell'udienza preliminare instaurata nei
 confronti di  Vona  Alberto,  perveniva  richiesta  dell'imputato  di
 applicazione  della  pena  ex  art.  444  e  seguenti  del  codice di
 procedura penale, richiesta  relativamente  alla  quale  il  Pubblico
 ministero  rifiutava  il  suo  consenso  esclusivamente  per  il  non
 avvenuto risarcimento del danno in favore della parte civile;
      e che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
 di  Milano,  con  ordinanza  del  12  aprile  1994,  ha sollevato, su
 eccezione della difesa dell'imputato, in riferimento agli artt.  101,
 secondo   comma,   3,  24  e  76  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' dell'art. 448, primo comma, ultima parte, del codice  di
 procedura penale, "laddove non prevede che il Giudice per le indagini
 preliminari possa pronunciare sentenza "quando ritiene ingiustificato
 il  dissenso  del  Pubblico  ministero  e  congrua  la pena richiesta
 dall'imputato";
     che,  secondo   il   giudice   a   quo,   la   norma   denunciata
 confliggerebbe,  anzi  tutto,  "con  i  principi  di  liberta'  e  di
 autonomia del giudice"  cui  resterebbe  precluso  sia  di  accertare
 l'entita'  della pena e la congruita' della stessa sia di pronunciare
 nel  merito,  una  volta  ritenuto  ingiustificato  il  dissenso  del
 Pubblico  ministero  cosi'  da  sottoporre  il  Giudice  stesso  alla
 volonta' manifestata dalla parte pubblica;
      e  che  risulterebbe,  inoltre,   vulnerato   l'art.   3   della
 Costituzione,  perche'  la  soluzione  legislativa  che consente solo
 all'esito del dibattimento di verificare se il dissenso del  Pubblico
 ministero  sia  o  no  giustificato,  si  presenta  come irrazionale,
 costituendo un grave ostacolo alla concreta  praticabilita'  di  quei
 riti  di  deflazione del dibattimento ai quali il codice di procedura
 penale assegna un ruolo cruciale proprio per  attuare  l'esigenza  di
 "sfoltimento" dei processi;
      che,   ancora,   sarebbe   compromesso  il  diritto  di  difesa,
 impedendosi all'imputato l'"esercizio di una  facolta'  legittima  in
 quanto prevista dall'art. 444" del codice di procedura penale;
      che  resterebbe  inosservato,  infine,  anche il principio della
 "eguaglianza delle armi" di cui l'art. 2, n. 3, della legge-delega 16
 febbraio 1987, n. 81, per il "macroscopico  squilibrio  di  posizioni
 processuali  a  scapito  dell'imputato  ed  a vantaggio del" Pubblico
 ministero, una parita' garantita in ogni stato  del  procedimento  e,
 quindi, anche nel corso dell'udienza preliminare;
      che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
    Considerato  che  questa  Corte, con ordinanza n. 127 del 1993, ha
 dichiarato la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 della  norma  qui  denunciata, nella parte in cui stabilisce che solo
 all'esito  del  dibattimento  il  giudice  possa  applicare  la  pena
 richiesta  dall'imputato  nell'ipotesi  in  cui il Pubblico ministero
 abbia espresso il proprio dissenso;
      e che in tale occasione venne precisato  che  con  la  richiesta
 "anticipazione"  del  provvedimento decisorio sull'applicazione della
 pena richiesta dall'imputato, il petitum  perseguito  dal  giudice  a
 quo,  "viene a porsi in stridente antinomia non solo con la struttura
 pattizia che sta alla base dello speciale procedimento che viene  qui
 in  discorso,  ma,  soprattutto,  con  il  principio di parita' delle
 parti,  posto  che  il  Pubblico   ministero   verrebbe   ad   essere
 autoritativamente   "espropriato"   del   potere   di  esercitare  in
 dibattimento il proprio diritto alla prova, che ben puo'  volgersi  a
 dimostrare,  fra  l'altro,  proprio la fondatezza delle ragioni sulla
 base delle  quali  la  stessa  parte  pubblica  non  ha  ritenuto  di
 accondiscendere  alla  richiesta di applicazione della pena formulata
 dall'imputato";
      che il detto principio e', a fortiori, riferibile alla questione
 di legittimita' ora sottoposta all'esame della Corte, con la quale si
 richiede   di   "anticipare"  ulteriormente  l'esercizio  del  potere
 decisorio alla fase dell'udienza preliminare,  cosi'  da  privare  il
 Pubblico  ministero  anche del suo potere quanto alla scelta del rito
 (v. anche sentenze n. 120 del 1984 e n. 81 del 1991);
      che, profilandosi del tutto inconferente il richiamo anche  agli
 ulteriori  parametri  invocati,  la  questione deve essere dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;