IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 117 del codice di procedura penale sollevata dalla difesa degli imputati Righetto Sandro, Righetto Massimo, Righetto Katiuscia, sentito il pubblico ministero; Premesso che con missiva 5 gennaio 1994 la procura della Repubblica di Venezia, direzione distrettuale antimafia, trasmetteva alla procura della Repubblica di Padova copia delle trascrizioni delle conversazioni intercettate nel corso di indagini relative a procedimento che veniva seguito da quella autorita' giudiziaria, in date 10 e 31 dicembre 1993, "presso i locali ubicati in Padova ed in uso e/o frequentati dai fratelli Sandro, Massimo e Katiuscia Righetto, conversazioni dalle quali risulta la disponibilita' da parte di Righetto Sandro e Massimo di materiale esplosivo e la corresponsabilita' dei fratelli Righetto nella connissione degli attentati consumati in Padova e firnati 'Blues Brothers', nonche' nella preparazione dell 'attentato realizzato mediante collocazione di esplosivo nella cabina telefonica ubicata in via Pellizzo a Padova", e cio' ravvisando nell'autorita' giudiziaria di Padova la conpetenza, per materia e territorio, a procedere per i reati ravvisabili; Premesso che nei confronti dei tre sunnominati Righetto, da parte della procura della Repubblica di Padova, e' stata esercitata l'azione penale e, da parte di questo Ufficio, sono state emesse misure cautelari personali di natura custodiale tuttora in corso; Premesso infatti, e cio' va segnalato fin d'ora in quanto assume preciso significato in punto di rilevanza della questione che si va a proporre, che nel corso di conversazione avvenuta, secondo l'impostazione accusatoria, tra alcuni degli attuali imputati il 10 dicembre 1993 presso i locali di cui si e' detto gli stessi imputati, commentando la notizia di una operazione di polizia riguardante un ritrovamento di armi, pronunciavano frasi dalle quali sarebbe possibile desumere la loro illecita attivita' sintetizzata negli attuali capi A) e B), e che anzi l'attribuzione agli stessi imputati di tale illecita attivita' si basa in modo praticamente esclusivo sugli esiti della intercettazione cosicche' la valutazione dell'osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 del codice di procedura penale, viene ad essere momento di passaggio assolutamente indispensabile per la decisione finale, anche della presente fase; Premesso che in relazione alle ipotesi concorsuali variamente ag- gravate di reato di cui agli artt. 1, 2, 4 e 6 della legge n. 895/1967 e 648 del codice penale, e' stato richiesto il rinvio a giudizio degli attuali imputati Righetto; Premesso che nel corso dell'udienza preliminare, su specifica richiesta della difesa degli imputati, il giudice - con ordinanza 19 luglio corrente anno - invitava il pubblico ministero a trasmettere gli atti in essa ordinanza analiticamente esposti e cio' perche', in sostanza ed in sintesi, riteneva che i provvedimenti autorizzativi alle intercettazioni telefoniche ed ambientali del giudice per le indagini preliminari di Venezia in date 22 novembre, 23 novembre, 17 dicembre e 9 novembre 1993 fossero motivati per relationem, cosa che imponeva la contemporanea presenza e dei provvedimenti richiamanti, (decreti autorizzativi all 'intercettazione) e degli atti richiamati (atti di polizia giudiziaria, non presenti tutti nel fascicolo del procedimento); Premesso che, relativamente agli atti del procedimento sorto presso l'autorita' giudiziaria di Venezia D.D.A., il pubblico ministero produceva una missiva, in data 26 settembre corrente anno, con la quale la procura della Repubblica di Venezia D.D.A. (e per essa il sostituto titolare del procedimento n. 2671/93 da cui erano stati tratti gli atti inviati ab origine), manifestava "di non intendere trasmettere al g.i.p. del tribunale di Padova gli atti da questi indicati nell'ordinanza 19 luglio, posto che tali atti sono tutt'ora coperti da segreto ed ineriscono ad un procedimento tutt'ora in corso relativo ad indagini avviate anche nei confronti di soggetti diversi da quelli che figurano imputati aventi l'autorita' giudiziaria di Padova"; Premesso che con ordinanza 21 ottobre 1994 il giudice invitava la procura della Repubblica di Venezia, direzione distrettuale antimafia, a trasmettere quanto indicato nell'ordinanza 19 luglio, evidenziando ulteriormente quanto gia' esposto nella precitata ordinanza circa la particolarita' del caso, (motivazione per relationem di decreti autorizzativi all' intercettazione che impone la presenza, oltre che dei decreti, anche degli atti di polizia giudiziaria ivi citati, possibilita' di coprire con omissis tutte le parti di tali atti non direttamente riguardanti il procedimento de quo etc."; Premesso infine che con missiva 7 corrente mese (per altro indirizzata personalmente al sostituto procuratore contitolare del procedimento e solo per conoscenza a questo ufficio che viene esplicitamente indicato come impossibilitato "istituzionalmente ad assumere mai alcuna iniziativa tendente a stabilire un qualsiasi contatto diretto con l'ufficio del pubblico ministero, costituito presso il tribunale di Venezia") la direzione distrettuale antimafia ribadiva l'intenzione di non trasmettere gli atti richiesti ed indicati nelle ordinanze 19 luglio e 19 ottobre 1994; Rilevato che e' principio di ordine logico, prima ancora che giuridico, che una motivazione per relationem e legittima in via generale solo a condizione che quanto richiamato sia conosciuto o conoscibile dall'interessato, in modo che questi sia in grado di controllarne, sia pure esaminando un diverso provvedimento, la congruenza, la logicita' e quindi la legittimita'; Rilevato che nel caso in esame si e' in presenza di tipiche motivazioni per relationem (si veda ad esempio il decreto di autorizzazione alle operazioni di intercettazione emesso dal g.i.p. di Venezia il 9 novembre 1993, a foglio 791: "l'intercettazione appare necessaria per lo svolgimento delle indagini e per verificare l'ipotesi investigativa prospettata nella nota 5 novembre 1993 della D.I.A.", - nota che non e' presente agli atti - o quello del provvedimento 23 novembre 1993, che fa riferimento ad "intercettazioni sinora effettuate da cui emergono elementi in ordine al coinvolgimento del Righetto in un'organizzazione criminale facente capo a Felice Maniero", - intercettazioni il cui contenuto rimane sconosciuto -); Rilevato che nell'ipotesi di utilizzazione dei risultati di intercettazioni in altro procedimento vanno sicuramente depositati in copia presso l'autorita' competente per il diverso procedimento, anche i decreti emessi dal giudice nel procedimento a quo e cio' proprio al fine di consentire ai difensori delle parti interessate, nel procedimento derivato, le verifiche connesse al loro ufficio (Corte costituzionale, sentenza il giugno 1987, n. 223, seppure in riferimento all'analoga disposizione del codice di procedura abrogato, art. 226-quater); Rilevato quindi che dalla sintesi di tutto quanto sinora affermato discende che nel caso in esame andrebbero depositati sia gli atti richiamanti (decreti autorizzativi all'intercettazione) che quelli richiamati (atti di polizia giudiziaria) nei limiti e con le modalita' di cui si e' detto; Rilevato che in tema di necessita' che il pubblico ministero, parte pubblica, trasmetta al g.u.p. l'intera documentazione relativa agli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari aventi rilievo ai fini della decisione, non puo' che farsi riferimento alla sentenza n. 145 del 20 marzo 1991 della Corte costituzionale; Rilevato peraltro che secondo l'attuale normativa non sembrano esservi norme che costituiscano tale obbligo, cosi' definito dalla Corte, in capo a tutti i rappresentanti della pubblica accusa che in concreto abbiano avuto parte nel procedimento (nel caso in questione la direzione distrettuale antimafia che ha dato origine allo stesso); Rilevato che, come evidenziato nella missiva della d.d.a. 7 novembre corrente anno ultima citata, questo ufficio non pare nell'attuale normativa avere una possibilita' di contatto diretto con ufficio di pubblico ministero, diverso da quello costituito direttamente presso di lui, (l'ufficio della procura della Repubblica di Venezia, quale d.d.a. ha per altro evidentemente una competenza territoriale distrettuale); Rilevato che la d.d.a. ha gia' opposto un inequivocabile e non temporalmente delimitato rifiuto alla richiesta del pubblico ministero presso questo ufficio di trasmettere copia degli atti relativi al procedimento in esame; Rilevato che appare non conforme ai dettami della Carta costituzionale che un concreto comportamento tenuto dal rappresentante della parte pubblica possa condizionare dapprima, in modo cosi' incisivo ed irragionevole, l'esercizio del diritto di difesa, e poi lo stesso momento valutativo e di decisione del giudice; Rilevato d'altro canto che la corretta soluzione alla particolare situazione venutasi a creare non pare potere essere semplicemente e direttamente quella (basantesi su un'affermazione di sostanziale inadempimento dell'onere della prova da parte dell'accusa) di una dichiarazione di nullita' dei decreti autorizzativi all'intercettazione o comunque quella di una dichiarazione di inutilizzabilta' degli esiti delle intercettazioni stesse e cio' perche', da un lato, tali dichiarazioni si baserebbero essenzialmente su un criterio presuntivo, privo di spessore logico e razionale, circa la sussistenza di difetti nella motivazione di provvedimenti autorita' giudiziaria e, d'altro lato, perche' tale conclusione apparirebbe in contrasto con quanto evidenziato dalla stessa Corte costituzionale (per esempio sentenza n. 111 del 24 marzo 1993) circa il fatto che le opzioni metodologiche del nuovo codice di procedura penale, in tema di dialettica delle parti in ordine alla prova e prima ancora in relazione alla caratterizzazione dell'attuale processo come processo di parti non possono far trascurare che fine primario ed ineludibile del processo penale rimane quello della ricerca della verita' e circa il fatto che in un ordinamento improntato al principio di legalita' (che rende doverosa la punizione delle condotte penalmente sanzionate) nonche' al connesso principio di obbligatorieta' dell'azione penale non sarebbero consone norme processuali (e, si aggiunge, a maggior ragione comportamenti delle parti legittimati da difetti normativi) che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto necessario per pervenire ad una "giusta decisione", essendo forse possibile sintetizzare il tutto nella considerazione che sarebbe contrario ai principi di legalita' e di obbligatorieta' dell'azione penale concepire attualmente come assolutamente disponibili per le parti, e tra queste anche quella pubblica, le stesse res judicandae; Rilevato che in effetti la norma viziata da illegittimita' costituzionale appare essere quella di cui all'art. 117 del codice di procedura penale in quanto, come si e visto, gia' e' stato delineato dalle sentenze nn. 145 e 190 del 1991 l'ambito di applicazione degli artt. 416, secondo comma, e 422 del c.p.p. in relazione alla produzione documentale ed ai compiti di integrazione probatoria che incombono sul pubblico ministero, inteso come ufficio costituito presso il giudice che procede, mentre tali conpiti non possono essere portati a compimento nei casi - come quello in esame - in cui la stessa attivita' necessitata del pubblico ministero sia impedita dal diniego di altro omologo ufficio al quale il pubblico ministero officiato si sia rivolto per ottenere copia di atti relativi al procedimento penale della cui definizione si sta discutendo dinanzi ad un giudice; ed invero tale norma appare non rispettosa dei canoni costituzionali nella parte in cui, anche in casi come quello in esame, si limita a facultizzare ("puo'"), anziche' obbligare il pubblico ministero del procedimento originario a trasmettere all'ufficio omologo le copie degli atti ritenute necessarie dal giudice che procede; Rilevato che le norme costituzionali assunte come parametri della violazione evidenziata sono, alla luce di quanto gia' premesso, gli artt. 24, secondo comma, e 101, secondo comma, della Carta costituzionale, la prima per l'irragionevole compressione per il diritto di difesa che si viene a creare, la seconda per l'irragionevole concreta subordinazione che il giudice viene a subire a seguito del comportamento tenuto dalla parte pubblica; Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;