IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello proposto dal p.m.
 avverso  l'ordinanza  del  g.i.p.  del  tribunale  di Roma in data 30
 gennaio 1995 che ha disposto la misura degli arresti domiciliari  nei
 confronti di Baldoni Carla, sottoposta ad indagini preliminari per il
 delitto  di  cui  agli  artt.  73  d.P.R.  n.  309/1990 e 81 del c.p.
 Proviene da annullamento con rinvio della Corte di cassazione in data
 11 luglio 1995.
   Il  2  febbraio  1995,  il  difensore  di  Baldoni  Carla,  persona
 sottoposta  alle  indagini per la preliminare ipotesi di concorso con
 Torneo Antonio nella cessione di 60 grammi di eroina, per  il  prezzo
 di   L.  7.200.000,  a  Di  Palma  Carmine  e  Iellamo  Antonio,  con
 l'intermediazione di Calamanti Vincenzo e Mangiacasale  Giuseppe,  in
 Roma  in  epoca  prossima  e anteriore al 1 settembre 1994, deposito'
 presso la  cancelleria  di  questo  tribunale  richiesta  di  riesame
 dell'ordinanza  applicativa  della  custodia domiciliare emessa il 30
 gennaio 1995 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di
 Roma.
   L'incolpazione provvisoria nei riguardi della  Baldoni  costituisce
 la   traccia   indagatoria   emessa   lungo   il   complesso  commino
 investigativo attivato dall'omicidio  del  coniuge,  Torneo  Antonio,
 avvenuto in Roma il primo settembre 1994.
   Il  fenomeno omicidiario maturo', secondo lo schema di lavoro degli
 investigatori, nell'ambito del commercio delle sostanze  stupefacenti
 del  tipo  eroina,  in cui il Torneo aveva radicato la sua esperienza
 delinquenziale.
   Il progetto di accusa involgente  la  Baldoni  e'  stato  disegnato
 utilizzando  le singole enunciazioni di tre soggetti che incrociarono
 le rispettive esperienze criminose con quella del Torneo proprio  nei
 giorni  precedenti alla data del suo omicidio: Mangiacasale Giuseppe,
 Di Palma Carmine e Iellamo Antonio.
   Costoro furono  tratti  in  arresto  in  esecuzione  dell'ordinanza
 custodiale  emessa  il  19  dicembre  1994 dallo stesso giudice a quo
 perche' incolpati, con il Calamanti Vincenzo,  del  fatto  delittuoso
 speculare  a quello addebitato alla Baldoni: l'acquisto dei 60 grammi
 di eroina per il prezzo di 7.200.000 lire.
   Durante il percorso investigativo mirante alla  individuazione  dei
 responsabili  dell'omicidio del Torneo, gli operanti raccolsero, il 5
 ottobre 1994, le dichiarazioni spontanee del Mangiacasale,  ai  sensi
 del comma 7 dell'articolo 350 del c.p.p.
   Questi,  narrando  le  cadenze  dei suoi rapporti con il Torneo nei
 giorni 26 agosto e seguenti per organizzare la cessione di 60  grammi
 di  eroina  al  Di  Palma  e  allo Iellamo, messi in contatto con lui
 tramite il Calamanti, disse: "Nella serata del 26 agosto 1994, quando
 sono tornato a casa del Torneo, ho trovato presente anche  la  moglie
 di qust'ultimo, Carla, che si interessava della vendita calcolando la
 somma  che avrei dovuto pagare e poi contando personalmente il denaro
 da me datole".
   Interrogato il 22 dicembre, ai sensi e per gli effetti della  norma
 di  cui  all'articolo  294  del  c.p.p.,  il  prevenuto  riferi': "Ho
 conosciuto Torneo  all'inizio  del  1994  tramite  Brundu  Francesco.
 All'inizio  era il Brundu ad acquistare per conto mio dal Torneo, che
 poi consumavo  senza  rivenderla.  Poi  ho  cominciato  a  rifornirmi
 personalmente  dal  Torneo,  comprando 1 gr. per volta. Andavo a casa
 sua la sera a Tor Bella Monaca, una volta si'  e  una  volta  no.  Il
 Torneo  mi  consegnava  la droga in presenza della moglie, che quindi
 conosceva benissimo i traffici del marito".
   Proseguendo   nella   ricostruzione   storica    delle    modalita'
 dell'acquisto dei 60 grammi di eroina, egli racconto' che, ricevuti i
 7  milioni  di lire in contanti dal Di Palma e le 200 mila lire dallo
 Iellamo  nei  pressi  della  abitazione  del  Torneo,  mentre  i  due
 attendevano  in  strada,  "io  salii  a  casa  di  Torneo  che era in
 compagnia della moglie. Io detti  i  7  milioni  e  200.000  lire  in
 contanti  dicendogli  che  invece  di 50 gr. prendevamo 60 gr. Torneo
 passo' i soldi alla moglie la  quale  fece  i  calcoli  e  disse  che
 effettivamente 60 gr.  di eroina venivano 7.200.000 lire.
   La  moglie  di Torneo prese i soldi e si allontano' verso la camera
 da letto.
   Il Torneo mi disse che non aveva li' la droga e che doveva andare a
 prenderla e che dovevamo aspettare mezz'ora  o  tre  quarti  d'ora...
 Passata  una  mezz'ora  lasciai i tre (Di Palma, Iellamo e Calamanti)
 con la signora anziana (la madre del Di Palma), nella piazzetta...  e
 mi avviai a casa di (Torneo)... Aspettai 10 minuti  un  quarto  d'ora
 finche'  vidi arrivare l'auto del Torneo con a bordo anche la moglie.
 Dopo averli visti salire a casa citofonai..."; indi, riferito che  il
 Torneo  gli  aveva  detto  di  attendere  5  minuti  prima di salire,
 aggiunse: "in presenza della moglie chiesi al Torneo se potevamo fare
 quel lavoro per il prelievo dei 5 gr. senza rovinare la droga lui  mi
 disse  di  si' e dall'ingresso... mi porto' in cucina dove sul tavolo
 c'era la bilancetta con la bustina contenente i 60 gr. di droga".
   Mangiacasale rievoco' l'operazione di taglio che  il  Torneo  aveva
 eseguito  in  cucina,  mescolando  5  grammi di granulato per neonato
 all'eroina,  specificando:  "Mentre  facevamo  questa  operazione  la
 moglie girava tranquillamente per casa ed e' entrata un paio di volte
 in cucina, vedendo quello che stavamo facendo".
   In pari data fu interrogato dal giudice il Di Palma.
   Costui  ricostrui'  le fasi dell'acquisto dei 60 grammi di eroina e
 il contrasto che era insorto con il Torneo attraverso il Mangiacasale
 in  merito  alla  qualita'  dello  stupefacente  che  era   risultato
 insoddisfacente.
   Egli  narro'  che  il Torneo, al fine di pacificare la situazione e
 risarcire i due acquirenti, gli aveva offerto 10 grammi di eroina.
   La sera concordata per la consegna dei 10 grammi di droga egli  era
 salito  con lo Iellamo in casa del Torneo, trovandovi anche la moglie
 e il figlio.
   Cosi' il dichiarante ricostrui'  il  fatto:  "Mi  fece  entrare  in
 cucina,  dove  su  una  base di un mobile, in modo ben visibile erano
 posti 3 o 4 sacchetti di plastica dove penso che ci fosse della roba.
 L'ho pensato anche perche' vicino c'era una bilancia elettronica e il
 te' deteinato. La moglie del Torneo girava per casa,  passando  anche
 per  la  cucina  stendeva  i panni su una finestrella della cucina...
 L'unica volta che ho visto il Torneo con la moglie e' stato quando mi
 ha consegnato i 10 gr. e io gli dissi che  non  doveva  permettere  a
 casa  sua al Mangiacasale di manipolare la droga. La moglie continuo'
 a stendere i panni".
   Il 23 dicembre, il giudice interrogo' Iellamo Antonio.
   Questi espose nel modo che  segue  l'incontro  con  la  moglie  del
 Torneo,  quando si era recato con il Di Palma a casa sua per ritirare
 i 10 grammi di eroina: "a casa del Torneo c'erano anche la moglie  ed
 il  figlio. Torneo mi fece entrare in cucina e davanti alla moglie ci
 dette la droga. Sul tavolo della cucina oltre  al  sacchetto  che  fu
 consegnato  al  Di Palma c'era altra droga ed una bilancia. Il Torneo
 ci mostro' un sacchetto da 20 grammi  dicendoci  che  l'aveva  appena
 doppiato.  La  moglie  mentre  noi  facevamo  queste  cose continuava
 tranquillamente a lavare i piatti. Torneo preciso' che  la  droga  da
 lui venduta poteva tranquillamente essere doppiata".
   Il  30  gennaio 1995, il giudice, richiesto dall'indagante ai sensi
 dell'articolo 291 del c.p.p., emise il provvedimento restrittivo  nei
 confronti  della Baldoni, argomentando la sussistenza della provvista
 indiziaria con la  costruzione  del  reticolo  dichiarativo  dei  tre
 locutori  summenzionati,  osservando  che:  "il  comportamento  della
 Baldoni quale emerge da tali dichiarazioni puo'  costituire  concorso
 nello spaccio di stupefacenti col marito Torneo Antonio in quanto non
 si  limita  a  conoscere  l'illecito traffico del marito, ma prende e
 conta il denaro corrispettivo della droga ceduta; non si limita  alla
 mera convivenza ma e' connivente del marito".
   In  tema  di  esigenze  cautelari,  l'emittente  stimo' adeguata la
 misura degli  arresti  domiciliari  alla  tutela  della  esigenza  di
 prevenzione  speciale.  Con nota del 2 febbraio 1995, il dirigente la
 squadra mobile di Roma segnalo' al p.m. che la Baldoni, il 25 gennaio
 1995, era stata arrestata nella flagranza del delitto di cessione  di
 eroina dai carabinieri del nucleo operativo di Roma.
   La lettura degli atti evidenziano che il 25 gennaio, alle ore 22, i
 carabinieri,  nel  corso  di attivita' di controllo del territorio in
 Torrespaccata, nei pressi del bar "Sor Capanna", in via Marco Rutili,
 avevano osservato  direttamente  lo  scambio  stupefacente-danaro  da
 parte  della  Baldoni  e  un giovane identificato per Suraci Roberto.
 Costui era fermato poco dopo  l'acquisto  e  nella  circostanza  egli
 gettava  a  terra un involucro di colore rosso, contenente una esigua
 quantita' di eroina. La Baldoni,  invece,  era  trovata  in  possesso
 della  somma  contanti  di 500.000 lire suddivisa in una banconota da
 100 mila, quattro da 50 mila, quattordici da 10 mila e 12 da  5  mila
 lire.
   Nella  sua  autovettura  era  sequestrato  nastro adesivo di colore
 rosso "identico a quello con cui era celato lo stupefacente".
   Nelle abitazioni in  uso  alla  Baldoni  venivano  sequestrate  una
 bilancina  elettronica,  la somma contanti di L. 1.120.000 e la somma
 di L. 600.000.
   Con ordinanza dei giudici della quarta sezione penale del tribunale
 di Roma, il 27 gennaio 1995, ella fu sottoposta alla misura cautelare
 degli arresti domiciliari.
   La prevenuta annovera un precedente penale specifico relativo ad un
 fatto per cui fu condannata dal tribunale di Roma il 22 giugno 1989.
   Il   difensore   richiedente   il   riesame   critica  il  pensiero
 motivazionale del giudice, il  quale  ha  costruito  la  prognosi  di
 colpevolezza  della  prevenuta sul concetto di connivenza che, a dire
 del difensore, non  puo'  integrare  alcuna  fattispecie  delittuosa,
 occorrendo un quid pluris sfociante nella previsione concorsuale.
   Con ordinanza depositata il 13 febbraio 1995 il tribunale, ritenuto
 che  la  presenza  della  Baldoni,  moglie  del  Torneo,  in  casa in
 occasione  dei  traffici  del   marito   fosse   qualificabile   come
 connivenza,   che  il  successivo  arresto  costituisse  un  semplice
 precedente  giudiziario  e  che  la   chiamata   in   correita'   del
 Mangiacasale  nell'episodio  in  cui  la  donna  avrebbe  concorso  a
 determinare il prezzo, e contato il denaro  era  priva  di  riscontri
 esterni,  richiamata  la natura unitaria del concetto di gravi indizi
 enunciato dall'art. 273 per  qualsiasi  misura  cautelare,  annullava
 l'ordinanza impugnata.
   Ha   proposto   ricorso   per  cassazione  il    procuratore  della
 Repubblica, per violazione dell'art. 273 del  c.p.p.  ed  illogicita'
 manifesta  della  motivazione  nella  parte  in  cui pretende, per la
 sussistenza dei gravi indizi di  colpevolezza,  che  la  chiamata  di
 correo  sia  suffragata  da  elementi  di  riscontro  sostanzialmente
 analoghi a quelli richiesti dall'art. 192 del c.p.p.
   La Corte, con sentenza n. 2625 del  28 giugno 1995,  depositata  il
 31  agosto  1995,  accoglieva  il  ricorso, richiamando la sentenza a
 Sezioni Unite del 21  aprile  1995  (Cosentino  Vincenzo  +  1)  che,
 ponendo fine al contrasto esistente in materia, ha  stabilito che pur
 occorrendo,  nella  chiamata  in correita', riscontri esterni, questi
 non debbano essere necessariamente individualizzati nella fase  delle
 indagini  preliminari,  poiche'  in essa servono a raggiungere non lo
 stesso grado di certezza e concludenza delle prove necessarie per  la
 condanna,  ma un elevato grado di probabilita' che il reato sia stato
 effettivamente commesso. Annullava  pertanto  l'ordinanza  di  questo
 tribunale, affermando il  seguente principio di diritto: "Non occorre
 pertanto  che  il  riscontro esterno al dichiarante riguardi in  modo
 specifico la condotta criminosa del chiamato ...., ma basta  ai  fini
 dell'attendibilita'  delle dichiarazioni accusatorie che queste siano
 corroborate da riscontri anche non individualizzanti ..., ma tali  da
 portare  a  ritenere  credibili complessivamente le dichiarazioni del
 chiamante".
   Il tribunale,  con  ordinanza  2  novembre  1995,  ha  ritenuto  di
 sollevare    questione    di    legittimita'   costituzionale   della
 interpretazione proposta dalle Sezioni Unite e  dalla  Cassazione  in
 sede di annullamento con rinvio.
   Nel  frattempo  il  p.m.,  con  atto del 6 febbraio 1994, proponeva
 appello avverso l'ordinanza del g.i.p. del 30 gennaio  1995,  perche'
 non  aveva  accolto  la  richiesta  della  misura  della  custodia in
 carcere.
   Il tribunale, il 24 febbraio  1995,  dichiarava  l'inammissibilita'
 dell'appello, poiche' l'ordinanza cui si riferiva era stata annullata
 il  13  febbraio  1995.  Il  procuratore della Repubblica ha proposto
 ricorso per cassazione, poiche' il 24 febbraio 1995 non era    ancora
 divenuta  irrevocabile  l'ordinanza  13  febbraio 1995. La Corte, con
 sentenza 11 luglio 1995, ha    accolto  il  ricorso,  annullando  con
 rinvio a questo tribunale.
   Si e' pervenuti cosi' all'udienza odierna. Ritiene il tribunale che
 il  presente procedimento non possa essere deciso, senza la decisione
 sulla legittimita' costituzionale gia'  sollevata  nel  pregiudiziale
 procedimento relativo alla sussistenza dei gravi indizi.
   E'  evidente,  infatti,  che  non si puo' procedere all'esame delle
 esigenze cautelari, senza esaminare il pregiudiziale  elemento  della
 sussistenza dei gravi indizi, e pregiudiziale e' dunque l'esame della
  legittimita'  costituzionale  dell'interpretazione  proposta da s.u.
 21 aprile 1995; Cosentino, sull'art. 192,  comma secondo, del c.p.p.,
 in relazione agli artt. 3, comma secondo, 13,    comma  secondo,  24,
 comma secondo e 27, comma secondo, della  Costituzione.
   Il  principio affermato sia dalle sezioni unite, che dal giudice di
 legittimita' in sede di annullamento con rinvio,  e'  da  considerare
 diritto vivente.
   Nel  caso di specie, poi, la chiamata in correita' del Mangiacasale
 e'  riscontrata,  per  quanto  riguarda  gli  altri  chiamati,  dalle
 dichiarazioni  ammissive  e dalle concordanti chiamate dello Iellamo,
 del Calamanti, del Di Palma. Pertanto il tribunale dovrebbe  ritenere
 sussistenti   gravi   indizi,   mentre  le  esigenze  cautelari  sono
 desumibili da un precedente ed  un  procedimento  pendente,  entrambi
 specifici.   Tuttavia,   il  tribunale  ritiene  che  la  prospettata
 interpretazione dell'art.  192, comma terzo, del c.p.p. si  ponga  in
 insanabile  contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza, con le
 garanzie  della  difesa  e  con  la  inviolabilita'  della   liberta'
 personale  (artt.  3 capoverso, 24, comma secondo, 13, comma secondo,
 27, comma secondo della Costituzione)  e  mentre  l'art.  192,  comma
 terzo, cosi' interpretato sarebbe illegittimo in quanto la necessita'
 di un riscontro esterno individualizzato non e' richiesta per la fase
 delle   indagini   preliminari   l'art.  173  lo  sarebbe  in  quanto
 considererebbe  gravi,  indizi  o  non  valutabili  come  prove   nel
 dibattimento,  o comunque geneticamente insufficienti a formare prova
 senza riscontro individualizzato.
   E' costante l'interpretazione delle parole "gravi indizi" contenute
 nell'art. 273 come equivalenti a "rilevante probabilita' di condanna"
 nel  processo,  anche  in  relazione   alla   fase   delle   indagini
 preliminari,  ma  la  Corte,  di fronte alla collocazione sistematica
 degli artt.   187-207 e alla terminologia  adottata  (prove,  che  si
 formano  nel  dibattimento) ha ritenuto largamente inapplicabili alla
 fase delle indagini talune delle disposizioni dettate dal  codice  in
 materia    di   prova,   argomentando   talvolta   dalla   differenza
 terminologica tra prove e "gravi indizi".  Ma la necessita' dei gravi
 indizi  per  l'emissione  delle   misure   cautelari   e'   richiesta
 dall'esigenza  di  evitare  ingiuste  detenzioni  o comunque ingiuste
 compressioni della liberta' personale, garantita  dall'art.    13  in
 correlazione con l'art. 27 della Costituzione, che richiedono un atto
 motivato e la riserva di legge. Ma e' chiaro che non ogni motivazione
 ed  ogni  limitazione  prevista dalla legge assicurano l'assolvimento
 della garanzia costituzionale, ma solo  quelle  che,  assicurando  la
 possibilita'  di  difesa,  evitino  ad un tempo, senza ingiustificate
 discriminazioni, la possibilita' di una ingiusta detenzione.  Ritiene
 questo tribunale che le differenze terminologiche tra prove ed indizi
 (come   anche  il  mancato  richiamo  della  gravita',  precisione  e
 concordanza per gli indizi nella  fase  delle  indagini)  si  debbano
 spiegare solo in relazione alla fase delle indagini, che non consente
 di parlare di formazione della prova ed e' per sua natura provvisoria
 e soggetta a modifiche, ma non in relazione ai criteri di valutazione
 del materiale di indagine acquisito agli atti del p.m. E del resto il
 codice non contiene alcuna differenza terminologica se ad emettere la
 misura  e' il g.i.p. o il giudice del dibattimento. Non si comprende,
 infatti, come possano adottarsi criteri di valutazione diversi quando
 il  materiale  d'indagine  puo'   assumere   direttamente   efficacia
 probatoria  nel  caso  di  rito  abbreviato,  con  la  conseguenza di
 concepire una chiamata in correita' valida  per  emettere  la  misura
 della  custodia  in  carcere,  che  diviene  senz'alcuna modifica del
 quadro  probatorio  inidonea  alla  condanna  nel   successivo   rito
 abbreviato, o nel dibattimento ordinario.
   Se  ha  un senso parlare di "rilevante probabilita' di condanna" il
 senso non puo' essere altro  che  escludere  la  certezza  -  che  ci
 sarebbe   se  la  situazione  restasse  quella  cristallizzata  nelle
 indagini  del  p.m.  -  perche'  l'indagato  non  ha  potuto   ancora
 esercitare  il suo diritto alla prova o al contradditorio, ma non nel
 senso di rendere sufficiente ai fini dell'emissione della misura cio'
 che nel dibattimento sarebbe,  secondo  i  casi,  o  addirittura  non
 valutabile,  o non idoneo a formare una valida prova penale. Tale e',
 appunto, il caso della chiamata in correita' priva  di  riscontri,  o
 senza riscontro individualizzato.
   Che  le dichiarazioni rese dal coimputato, o da persona imputata in
 procedimento connesso "hanno valore  di  prova,  ma  il  giudizio  di
 attendibilita'  su  di  esse necessita di un riscontro esterno" e che
 "ne consegue che non possono essere utilizzate da  sole,  ma  possono
 essere valutate congiuntamente con qualsiasi altro elemento di prova,
 di  qualsiasi tipo e natura, idoneo a confermare l'attendibilita'" lo
 hanno affermato, del resto, le stesse sezioni unite, con la  sentenza
 n.  2477 del 20 febbraio 1990. Tale linea, e il conseguente principio
 che non e' piu'  consentita  affermazione  di  responsabilita'  senza
 riscontri  esterni,  e'  costante, anche se le sezioni della Corte si
 sono spesso divise sul  significato  di  riscontro  esterno  e  sulla
 necessita' della sua individualizzazione.
   Nel senso piu rigoroso si e' pronunziata la prima sezione (vedi per
 tutte  Cass., sez. I, sent. 11344 dell'11 dicembre 1993) e le sezioni
 unite, nella sentenza  che  stiamo  esaminando,  hanno  accolto  tale
 interpretazione  per  la  fase del giudizio. Il contrasto, pero', era
 insorto sull'applicabilita' del principio alla fase  delle  indagini,
 per l'emissione delle misure, poiche' per essa molte sentenze avevano
 ritenuto  la  sufficienza  dei  requisiti  intrinseci  della chiamata
 (spontaneita', costanza, disinteresse ed intrinseca  attendibilita'),
 mentre  altre  hanno  ritenuto  valide,  ancorche'  non espressamente
 richiamate, le disposizioni di cui  all'art.  192,  comma  terzo.  Le
 sezioni  unite  hanno  seguito uno strano   compromesso, che peraltro
 appare irrazionale, trattando diversamente  situazioni  identiche  in
 cui  la  misura  cautelare  sia  emessa  da  g.i.p. o dal giudice del
 dibattimento sulla  base  degli  stessi  elementi,  con  lesione  dei
 diritti  della  difesa  che  deve  limitarsi  a  prendere  atto della
 diversita' della fase,  ed  arbitraria  attenuazione  delle  garanzie
 degli  artt.  13  e  27,  secondo  comma,  nella  fase delle indagini
 preliminari, quando esista una chiamata intrinsecamente  attendibile,
 ma priva di riscontri individualizzati.