IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sulla richiesta di riesame
 presentata dalla difesa avverso l'ordinanza del g.i.p. del  tribunale
 di  Roma  in  data  30  gennaio  1995,  che  ha  disposto gli arresti
 domiciliari nei confronti di Baldoni Carla, per  il  delitto  di  cui
 agli artt.  110 del c.p., e 73 del d.P.R. n. 309/1990.
   Proviene  da  annullamento  con rinvio della Corte di cassazione in
 data 28 giugno 1995.
   Il  2  febbraio  1995,  il  difensore  di  Baldoni  Carla,  persona
 sottoposta  alle  indagini per la preliminare ipotesi di concorso con
 Torneo Antonio nella cessione di 60 grammi di eroina, per  il  prezzo
 di   L.  7.200.000,  a  Di  Palma  Carmine  e  Iellamo  Antonio,  con
 l'intermediazione di Calamanti Vincenzo e Mangiacasale  Giuseppe,  in
 Roma  in  epoca  prossima  e anteriore al 1 settembre 1994, deposito'
 presso la  cancelleria  di  questo  tribunale  richiesta  di  riesame
 dell'ordinanza  applicativa  della  custodia domiciliare emessa il 30
 gennaio 1995 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di
 Roma.
   L'incolpazione provvisoria nei riguardi della  Baldoni  costituisce
 la   traccia   indagatoria   emessa   lungo   il   complesso  commino
 investigativo attivato dall'omicidio  del  coniuge,  Torneo  Antonio,
 avvenuto in Roma il primo settembre 1994.
   Il  fenomeno omicidiario maturo', secondo lo schema di lavoro degli
 investigatori, nell'ambito del commercio delle sostanze  stupefacenti
 del  tipo  eroina,  in cui il Torneo aveva radicato la sua esperienza
 delinquenziale.
   Il progetto di accusa involgente  la  Baldoni  e'  stato  disegnato
 utilizzando  le singole enunciazioni di tre soggetti che incrociarono
 le rispettive esperienze criminose con quella del Torneo proprio  nei
 giorni  precedenti alla data del suo omicidio: Mangiacasale Giuseppe,
 Di Palma Carmine e Iellamo Antonio.
   Costoro furono  tratti  in  arresto  in  esecuzione  dell'ordinanza
 custodiale  emessa  il  19  dicembre  1994 dallo stesso giudice a quo
 perche' incolpati, con il Calamanti Vincenzo,  del  fatto  delittuoso
 speculare  a quello addebitato alla Baldoni: l'acquisto dei 60 grammi
 di eroina per il prezzo di 7.200.000 lire.
   Durante il percorso investigativo mirante alla  individuazione  dei
 responsabili  dell'omicidio del Torneo, gli operanti raccolsero, il 5
 ottobre 1994, le dichiarazioni spontanee del Mangiacasale,  ai  sensi
 del comma 7 dell'articolo 350 del c.p.p.
   Questi,  narrando  le  cadenze  dei suoi rapporti con il Torneo nei
 giorni 26 agosto e seguenti per organizzare la cessione di 60  grammi
 di  eroina  al  Di  Palma  e  allo Iellamo, messi in contatto con lui
 tramite il Calamanti, disse: "Nella serata del 26 agosto 1994, quando
 sono tornato a casa del Torneo, ho trovato presente anche  la  moglie
 di qust'ultimo, Carla, che si interessava della vendita calcolando la
 somma  che avrei dovuto pagare e poi contando personalmente il denaro
 da me datole".
   Interrogato il 22 dicembre, ai sensi e per gli effetti della  norma
 di  cui  all'articolo  294  del  c.p.p.,  il  prevenuto  riferi': "Ho
 conosciuto Torneo  all'inizio  del  1994  tramite  Brundu  Francesco.
 All'inizio  era il Brundu ad acquistare per conto mio dal Torneo, che
 poi consumavo  senza  rivenderla.  Poi  ho  cominciato  a  rifornirmi
 personalmente  dal  Torneo,  comprando 1 gr. per volta. Andavo a casa
 sua la sera a Tor Bella Monaca, una volta si'  e  una  volta  no.  Il
 Torneo  mi  consegnava  la droga in presenza della moglie, che quindi
 conosceva benissimo i traffici del marito".
   Proseguendo   nella   ricostruzione   storica    delle    modalita'
 dell'acquisto dei 60 grammi di eroina, egli racconto' che, ricevuti i
 7  milioni  di lire in contanti dal Di Palma e le 200 mila lire dallo
 Iellamo  nei  pressi  della  abitazione  del  Torneo,  mentre  i  due
 attendevano  in  strada,  "io  salii  a  casa  di  Torneo  che era in
 compagnia della moglie. Io detti  i  7  milioni  e  200.000  lire  in
 contanti  dicendogli  che  invece  di 50 gr. prendevamo 60 gr. Torneo
 passo' i soldi alla moglie la  quale  fece  i  calcoli  e  disse  che
 effettivamente 60 gr.  di eroina venivano 7.200.000 lire.
   La  moglie  di Torneo prese i soldi e si allontano' verso la camera
 da letto.
   Il Torneo mi disse che non aveva li' la droga e che doveva andare a
 prenderla e che dovevamo aspettare mezz'ora  o  tre  quarti  d'ora...
 Passata  una  mezz'ora  lasciai i tre (Di Palma, Iellamo e Calamanti)
 con la signora anziana (la madre del Di Palma), nella piazzetta...  e
 mi avviai a casa di (Torneo)... Aspettai 10 minuti  un  quarto  d'ora
 finche'  vidi arrivare l'auto del Torneo con a bordo anche la moglie.
 Dopo averli visti salire a casa citofonai..."; indi, riferito che  il
 Torneo  gli  aveva  detto  di  attendere  5  minuti  prima di salire,
 aggiunse: "in presenza della moglie chiesi al Torneo se potevamo fare
 quel  lavoro per il prelievo dei 5 gr. senza rovinare la droga lui mi
 disse di si' e dall'ingresso... mi porto' in cucina dove  sul  tavolo
 c'era la bilancetta con la bustina contenente i 60 gr. di droga".
   Mangiacasale  rievoco'  l'operazione  di taglio che il Torneo aveva
 eseguito in cucina, mescolando 5  grammi  di  granulato  per  neonato
 all'eroina,  specificando:  "Mentre  facevamo  questa  operazione  la
 moglie girava tranquillamente per casa ed e' entrata un paio di volte
 in cucina, vedendo quello che stavamo facendo".
   In pari data fu interrogato dal giudice il Di Palma.
   Costui ricostrui' le fasi dell'acquisto dei 60 grammi di  eroina  e
 il contrasto che era insorto con il Torneo attraverso il Mangiacasale
 in   merito  alla  qualita'  dello  stupefacente  che  era  risultato
 insoddisfacente.
   Egli narro' che il Torneo, al fine di pacificare  la  situazione  e
 risarcire i due acquirenti, gli aveva offerto 10 grammi di eroina.
   La  sera concordata per la consegna dei 10 grammi di droga egli era
 salito con lo Iellamo in casa del Torneo, trovandovi anche la  moglie
 e il figlio.
   Cosi'  il  dichiarante  ricostrui'  il  fatto:  "Mi fece entrare in
 cucina, dove su una base di un mobile, in  modo  ben  visibile  erano
 posti 3 o 4 sacchetti di plastica dove penso che ci fosse della roba.
 L'ho pensato anche perche' vicino c'era una bilancia elettronica e il
 te'  deteinato.  La moglie del Torneo girava per casa, passando anche
 per la cucina stendeva i panni su  una  finestrella  della  cucina...
 L'unica volta che ho visto il Torneo con la moglie e' stato quando mi
 ha  consegnato  i  10  gr. e io gli dissi che non doveva permettere a
 casa sua al Mangiacasale di manipolare la droga. La moglie  continuo'
 a stendere i panni".
   Il 23 dicembre, il giudice interrogo' Iellamo Antonio.
   Questi  espose  nel  modo  che  segue  l'incontro con la moglie del
 Torneo, quando si era recato con il Di Palma a casa sua per  ritirare
 i  10 grammi di eroina: "a casa del Torneo c'erano anche la moglie ed
 il figlio. Torneo mi fece entrare in cucina e davanti alla moglie  ci
 dette  la  droga.  Sul  tavolo della cucina oltre al sacchetto che fu
 consegnato al Di Palma c'era altra droga ed una bilancia.  Il  Torneo
 ci  mostro'  un  sacchetto  da 20 grammi dicendoci che l'aveva appena
 doppiato. La  moglie  mentre  noi  facevamo  queste  cose  continuava
 tranquillamente  a  lavare  i piatti. Torneo preciso' che la droga da
 lui venduta poteva tranquillamente essere doppiata".
   Il 30 gennaio 1995, il giudice, richiesto dall'indagante  ai  sensi
 dell'articolo  291 del c.p.p., emise il provvedimento restrittivo nei
 confronti della Baldoni, argomentando la sussistenza della  provvista
 indiziaria  con  la  costruzione  del  reticolo  dichiarativo dei tre
 locutori  summenzionati,  osservando  che:  "il  comportamento  della
 Baldoni  quale  emerge da tali dichiarazioni puo' costituire concorso
 nello spaccio di stupefacenti col marito Torneo Antonio in quanto non
 si limita a conoscere l'illecito traffico del  marito,  ma  prende  e
 conta  il denaro corrispettivo della droga ceduta; non si limita alla
 mera convivenza ma e' connivente del marito".
   In tema di  esigenze  cautelari,  l'emittente  stimo'  adeguata  la
 misura  degli  arresti  domiciliari  alla  tutela  della  esigenza di
 prevenzione speciale. Con nota del 2 febbraio 1995, il  dirigente  la
 squadra mobile di Roma segnalo' al p.m. che la Baldoni, il 25 gennaio
 1995,  era stata arrestata nella flagranza del delitto di cessione di
 eroina dai carabinieri del nucleo operativo di Roma.
   La lettura degli atti evidenziano che il 25 gennaio, alle ore 22, i
 carabinieri,  nel  corso  di attivita' di controllo del territorio in
 Torrespaccata, nei pressi del bar "Sor Capanna", in via Marco Rutili,
 avevano osservato  direttamente  lo  scambio  stupefacente-danaro  da
 parte  della  Baldoni  e  un giovane identificato per Suraci Roberto.
 Costui era fermato poco dopo  l'acquisto  e  nella  circostanza  egli
 gettava  a  terra un involucro di colore rosso, contenente una esigua
 quantita' di eroina. La Baldoni,  invece,  era  trovata  in  possesso
 della  somma  contanti  di 500.000 lire suddivisa in una banconota da
 100 mila, quattro da 50 mila, quattordici da 10 mila e 12 da  5  mila
 lire.
   Nella  sua  autovettura  era  sequestrato  nastro adesivo di colore
 rosso "identico a quello con cui era celato lo stupefacente".
   Nelle abitazioni in  uso  alla  Baldoni  venivano  sequestrate  una
 bilancina  elettronica, la somma contanti di L. 120.000 e la somma di
 L. 600.000.
   Con ordinanza dei giudici della quarta sezione penale del tribunale
 di Roma, il 27 gennaio 1995, ella fu sottoposta alla misura cautelare
 degli arresti domiciliari.
   La prevenuta annovera un precedente penale specifico relativo ad un
 fatto per cui fu condannata dal tribunale di Roma il 22 giugno 1989.
   Il  difensore  richiedente   il   riesame   critica   il   pensiero
 motivazionale  del  giudice,  il  quale  ha  costruito la prognosi di
 colpevolezza della prevenuta sul concetto di connivenza che,  a  dire
 del  difensore,  non  puo'  integrare  alcuna fattispecie delittuosa,
 occorrendo un quid pluris sfociante nella previsione concorsuale.
   Con ordinanza depositata il 13 febbraio 1995 il tribunale, ritenuto
 che la  presenza  della  Baldoni,  moglie  del  Torneo,  in  casa  in
 occasione   dei   traffici   del   marito  fosse  qualificabile  come
 connivenza,  che  il  successivo  arresto  costituisse  un   semplice
 precedente   giudiziario   e   che   la  chiamata  in  correita'  del
 Mangiacasale  nell'episodio  in  cui  la  donna  avrebbe  concorso  a
 determinare  il  prezzo,  e  contato il denaro era priva di riscontri
 esterni, richiamata la natura unitaria del concetto di  gravi  indizi
 enunciato  dall'art.  273  per  qualsiasi misura cautelare, annullava
 l'ordinanza impugnata.
   Ha  proposto  ricorso  per  cassazione  il      procuratore   della
 Repubblica,  per  violazione  dell'art. 273 del c.p.p. ed illogicita'
 manifesta della motivazione nella  parte  in  cui  pretende,  per  la
 sussistenza  dei  gravi  indizi  di  colpevolezza, che la chiamata di
 correo  sia  suffragata  da  elementi  di  riscontro  sostanzialmente
 analoghi a quelli richiesti dall'art. 192 del c.p.p.
   La  Corte,  con sentenza n. 2625 del  28 giugno 1995, depositata il
 31 agosto 1995, accoglieva il  ricorso,  richiamando  la  sentenza  a
 Sezioni  Unite  del  21  aprile  1995  (Cosentino  Vincenzo + 1) che,
 ponendo fine al contrasto esistente in materia, ha  stabilito che pur
 occorrendo, nella chiamata in correita',  riscontri  esterni,  questi
 non  debbano essere necessariamente individualizzati nella fase delle
 indagini preliminari, poiche' in essa servono a  raggiungere  non  lo
 stesso  grado di certezza e concludenza delle prove necessarie per la
 condanna, ma un elevato grado di probabilita' che il reato sia  stato
 effettivamente  commesso.  Annullava  pertanto  l'ordinanza di questo
 tribunale, affermando il  seguente principio di diritto: "Non occorre
 pertanto  che  il  riscontro esterno al dichiarante riguardi in  modo
 specifico la condotta criminosa del chiamato ...., ma basta  ai  fini
 dell'attendibilita'  delle dichiarazioni accusatorie che queste siano
 corroborate da riscontri anche non individualizzanti ..., ma tali  da
 portare  a  ritenere  credibili complessivamente le dichiarazioni del
 chiamante".
   Tale principio, per essere affermato sia dalle sezioni  unite,  che
 dal giudice di legittimita' in sede di annullamento con rinvio, e' da
 considerare diritto vivente e comunque e' direttamente vincolante per
 il  giudice  di  rinvio.  Nel  caso  di  specie,  poi, la chiamata in
 correita' del Mangiacasale e' riconosciuta, per quanto  riguarda  gli
 altri  chiamati,  dalle  dichiarazioni  ammissive e dalle concordanti
 chiamate dello Iellano, del Calamanti,  del  Di  Palma.  Pertanto  il
 tribunale  dovrebbe  rigettare  la  richiesta di riesame, sussistendo
 gravi indizi ed esigenze cautelari desumibili da un precedente ed  un
 procedimento  pendente,  entrambi  specifici.    Tuttavia,  mentre la
 difesa non ha prospettato elementi nuovi, il tribunale ritiene che la
 prospettata interpretazione dell'art. 192, comma terzo, del c.p.p. si
 ponga in insanabile contrasto con il principio di ragionevolezza, con
 le garanzie della difesa  e  con  la  inviolabilita'  della  liberta'
 personale  (artt.  3 capoverso, 24, comma secondo, 13, comma secondo,
 27 comma secondo della Costituzione) e  mentre  l'art.    192,  comma
 terzo, cosi' interpretato sarebbe illegittimo in quanto la necessita'
 di un riscontro esterno individualizzato non e' richiesta per la fase
 delle   indagini   preliminari   l'art.  273  lo  sarebbe  in  quanto
 considererebbe  gravi,  indizi  o  non  valutabili  come  prove   nel
 dibattimento,  o comunque geneticamente insufficienti a formare prova
 senza riscontro individualizzato.
   E' costante l'interpretazione delle parole "gravi indizi" contenute
 nell'art. 273 come equivalenti a "rilevante probabilita' di condanna"
 nel  processo,  anche  in  relazione   alla   fase   delle   indagini
 preliminari,  ma  la  Corte,  di fronte alla collocazione sistemativa
 degli art. 187-207  e  alla  terminologia  adottata  (prove,  che  si
 formano  nel  dibattimento) ha ritenuto largamente inapplicabili alla
 fase delle indagini talune delle disposizioni dettate dal  codice  in
 materia    di   prova,   argomentando   talvolta   nella   differenza
 terminologica tra prove e "gravi indizi".  Ma la necessita' dei gravi
 indizi  per  l'emissione  delle   misure   cautelari   e'   richiesta
 dall'esigenza  di  evitare  ingiuste  detenzioni  o comunque ingiuste
 compressioni della liberta' personale, garantita  dall'art.    13  in
 correlazione con l'art. 27 della Costituzione, che richiedono un atto
 motivato e la riserva di legge. Ma e' chiaro che non ogni motivazione
 ed  ogni  limitazione  prevista dalla legge assicurano l'assolvimento
 della garanzia costituzionale, ma  solo  quelle  che,  assicurano  la
 possibilita'  di  difesa,  evitino  ad un tempo, senza ingiustificate
 discriminazioni, la possibilita' di una ingiusta detenzione.  Ritiene
 questo tribunale che le differenze terminologiche tra prove ed indizi
 (come   anche  il  mancato  richiamo  della  gravita',  precisione  e
 concordanza per gli indizi nella  fase  delle  indagini)  si  debbano
 spiegare solo in relazione alla fase delle indagini, che non consente
 di parlare di formazione della prova ed e' per sua natura provvisoria
 e soggetta a modifiche, ma non in relazione ai criteri di valutazione
 del  materiale  di indagine acquisito agli atti del p.m.. E del resto
 il codice non contiene alcuna differenza terminologica se ad emettere
 la  misura  e'  il  g.i.p.  o  il  giudice  del  dibattimento. Non si
 comprende, infatti, come possano  adottarsi  criteri  di  valutazione
 diversi  quando  il  materiale  d'indagine puo' assumere direttamente
 efficacia probatoria nel caso di rito abbreviato, con la  conseguenza
 di  concepire una chiamata in correita' valida per emettere la misura
 della custodia in  carcere,  che  diviene  senz'alcuna  modifica  del
 quadro   probatorio   inidonea  alla  condanna  nel  successivo  rito
 abbreviato, o nel dibattimento ordinario.  Se ha un senso parlare  di
 "rilevante  probabilita'  di condanna" il senso non puo' essere altro
 che escludere la certezza - che ci sarebbe se la situazione  restasse
 quella  cristallizzata  nelli  indagini del p.m. - perche' l'indagato
 non ha potuto ancora esercitare  il  suo  diritto  alla  prova  o  al
 contraddittorio,  ma  non  nel  senso  di rendere sufficiente ai fini
 dell'emissione  della  misura  cio'  che  nel  dibattimento  sarebbe,
 secondo  i casi, o addirittura non valutabile, o non idoneo a formare
 una valida prova penale. Tale e', appunto, il caso della chiamata  in
 correita' priva di riscontri, o senza riscontro individualizzato.
   Che  le dichiarazioni rese dal coimputato, o da persona imputata in
 procedimento connesso "hanno valore  di  prova,  ma  il  giudizio  di
 attendibilita'  su  di  esse necessita di un riscontro esterno" e che
 "ne consegue che non possono essere utilizzate da  sole,  ma  possono
 essere valutate congiuntamente con qualsiasi altro elemento di prova,
 di  qualsiasi tipo e natura, idoneo a confermare l'attendibilita'" lo
 hanno affermato, del resto, le stesse sezioni unite, con la  sentenza
 n.  2477 del 20 febbraio 1990. Tale linea, e il conseguente principio
 che non e' piu'  consentita  affermazione  di  responsabilita'  senza
 riscontri  esterni,  e'  costante, anche se le sezioni della Corte si
 sono spesso divise sul  significato  di  riscontro  esterno  e  sulla
 necessita'  della  sua individualizzazione. Nel senso piu rigoroso si
 e' pronunziata la prima sezione (vedi per tutte Cass., sez. I,  sent.
 11344  dell'11  dicembre 1993) e le sezioni unite, nella sentenza che
 stiamo esaminando, hanno accolto tale interpretazione per la fase del
 giudizio. Il contrasto, pero', era  insorto  sull'applicabilita'  del
 principio  alla  fase  delle  indagini, per l'emissione delle misure,
 poiche' per essa molte sentenze avevano ritenuto la  sufficienza  dei
 requisiti   intrinseci   della   chiamata   (spontaneita',  costanza,
 disinteresse  ed  intrinseca  attendibilita'),  mentre  altre   hanno
 ritenuto   valide,   ancorche'   non   espressamente  richiamate,  le
 disposizioni di cui all'art. 192, comma terzo. Le sezioni unite hanno
 seguito uno strano   compromesso, che  peraltro  appare  irrazionale,
 trattando   diversamente   situazioni  identiche  in  cui  la  misura
 cautelare sia emessa da g.i.p. o dal giudice del  dibattimento  sulla
 base  degli stessi elementi, con lesione dei diritti della difesa che
 deve limitarsi a  prendere  atto  della  diversita'  della  fase,  ed
 arbitraria  attenuazione  delle garanzie degli artt. 13 e 27, secondo
 comma, nella fase  delle  indagini  preliminari,  quando  esista  una
 chiamata   intrinsecamente   attendibile,   ma   priva  di  riscontri
 individualizzati.