IL PUBBLICO MINISTERO
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento nei confronti di:
 Sammaritano  Gaspare,  Gandolfo  Matteo,  Adamo  Aldo, Alagna Egidio,
 Titone Pasquale, Genna Vincenzo, Caimi Michele, Sciacca Luigi,  Leone
 Michele,  Ferrantelli  Pellegrino  Guglielmo,  Pizzo  Pietro, Anselmi
 Ludovico, Fernandez Gaspare, Figuccia Ernesto, Valenti Giuseppe.
                               F A T T O
    Il comitato regionale di controllo, sezione provinciale di Trapani
 con nota del 2 febbraio 1994 trasmetteva a questa procura copia della
 delibera n. 1855 approvata dalla giunta municipale di Marsala  il  31
 dicembre  1993  e  concernente  la  liquidazione  e pagamento, in via
 transattiva,  alla  signora  Vincenza  Rallo,  della  somma   di   L.
 35.000.000  a  titolo di risarcimento per i danni arrecati al terreno
 di sua proprieta', sito in contrada  Buttagana,  dai  fumi  derivanti
 dalla  combustione  dei rifiuti solidi urbani, esalazioni provenienti
 dalla  vicina  discarica  comunale;  controversia  per  la  quale  la
 presunta  creditrice  aveva  gia'  notificato  atto  di  citazione in
 giudizio il 26 aprile 1985.
    Questo  p.m.  effettuati  i  necessari  accertamenti   istruttori,
 ravvisati  sufficienti  elementi  di responsabilita' amministrativa a
 carico degli amministratori indicati in epigrafe,  tutti  sindaci  ed
 assessori  alla  N.U.  in  carica  nel  periodo  durante  il quale si
 sarebbero verificati i danni lamentati dalla Rallo, i  quali  avevano
 omesso di adottare i necessari provvedimenti e la richiesta vigilanza
 affinche' fossero evitati danni a terzi conseguenti dall'esercizio di
 quella  discarica,  in  data  6  settembre  1994  emetteva  nei  loro
 confronti l'avviso di cui all'art. 5 del decreto-legge n. 453/1993.
    Dalle deduzioni e dagli atti depositati dai presunti  responsabili
 questo  p.m.  maturava  il  convincimento  dell'assenza del requisito
 dell'elemento psicologico colposo richiesto dal  vigente  ordinamento
 al  fine  di  potere  radicare  la  responsabilita' amministrativa e,
 pertanto,   si   determinava   nel   senso   dell'archiviazione   del
 procedimento.
    Tuttavia,    nelle   more   dell'istruttoria   e   successivamente
 all'emanazione dei  suddetti  avvisi  ex  art.  5  del  decreto-legge
 citato, in data 4 ottobre 1994 il consiglio di presidenza della Corte
 dei  conti procedeva ad incardinare presso la sezione giurisdizionale
 per la regione siciliana il consigliere Egidio Alagna, magistrato  di
 nomina  governativa,  il cui nominativo figura tra quelli "avvisati",
 per la sua pregressa  attivita'  politica  e  nella  qualita'  di  ex
 sindaco di Marsala, nel corso del presente procedimento.
    Tale  circostanza  induce  questo  p.m. a sospendere ogni giudizio
 sulla vicenda sottoposta al suo esame ed a  rimetterne  gli  atti  al
 giudice delle leggi, per le considerazione che seguono.
                             D I R I T T O
    Preliminarmente  deve affrontarsi la questione se, innanzi al p.m.
 contabile ricorrano le condizioni per la proposizione di un  giudizio
 costituzionale  in  via  incidentale  su  norme  delle  quali il p.m.
 medesimo debba fare applicazione.
    Quattro i  requisiti  posti  dalla  giurisprudenza  costituzionale
 (confermati  recentemente  anche  dall'ordinanza n. 168/1992) perche'
 una questione possa qualificarsi ammissibile sotto il  profilo  della
 legittimazione dell'autorita' proponente:
       a) che si tratti di un'autorita' giurisdizionale;
       b) che si versi nel corso di un giudizio;
       c)  che  l'autorita'  abbia  potere  decisorio  in  ordine alla
 controversia;
       d) che il giudizio non possa essere definito  indipendentemente
 dalla risoluzione della detta questione.
    Dei  primi  tre  (del  quarto  si  dara'  contezza in prosieguo di
 motivazione)  non  puo'  che  riscontrarsene,  in  questa  sede,   la
 sussistenza.
    Che    il    p.m.   sia,   nel   nostro   ordinamento,   autorita'
 giurisdizionale,  costituisce  dato  assolutamente  acquisito  e  non
 revocabile in dubbio in virtu' di quanto disposto dal Titolo IV della
 Costituzione,  oltre  che  dall'ordinamento giudiziario approvato con
 regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 e  successive  modificazioni  ed
 integrazioni, quest'ultimo applicabile a tutte le magistrature per le
 materie  ed  i  principi non diversamente disciplinati dalle relative
 leggi speciali.
    Parimenti non puo' dubitarsi che, sia  pure  in  una  fase  ancora
 istruttoria,  innanzi  al  p.m. contabile ci si trovi nel corso di un
 giudizio.
    In disparte la censurabile rarefazione normativa  nella  quale  il
 legislatore  ha  lasciato  languire  i  modi  di esercizio dei poteri
 conferiti e recentemente rafforzati in capo  al  p.m.  contabile  (la
 vetusta'   ed  inadeguatezza  del  regolamento  di  procedura  ne  e'
 riprova), appare chiaro che, comunque, l'attivazione di quest'ultimo,
 come di quello penale, sulla base di una notitia damni,  inneschi  un
 procedimento    che   in   quanto   finalizzato   a   verificare   la
 riconducibilita' della fattispecie concreta  ai  parametri  normativi
 astratti    nell'ottica    dell'eventuale    esercizio   obbligatorio
 (argomentando  analogicamente  ex  art.   112   della   Costituzione)
 dell'azione  di responsabilita', comporti, in positivo od in negativo
 una  valutazione   di   fatti   (rectius:   giudizio)   in   funzione
 giurisdizionale (iuris dicere).
    Il  p.m.  contabile  esercita tutta una serie di poteri istruttori
 (in  quanto  tali  esclusivamente  funzionali  ad  un   giudizio)   e
 inquisitori   (autoritativi  in  quanto  funzionali  alla  tutela  di
 interessi pubblici), prima molto sinteticamente indicati nell'art. 74
 del t.u. delle leggi della Corte dei conti, ed adesso  analiticamente
 elencati  dalla legge n. 19/1994, sfocianti in sede predibattimentale
 nell'avviso ex art. 5 del decreto-legge n. 453/1993.
    Potrebbe da taluno obiettarsi che il potere di  archiviazione  del
 p.m.  nel  contenzioso  contabile non trovi conforto legislativo, non
 essendo disciplinato da alcuna fonte positiva.
    L'osservazione si palesa priva di pregio giuridico.
    In disparte la pur fondamentale considerazione che, da  sempre,  i
 pubblici  ministeri hanno esercitato un tale potere ponendo in essere
 provvedimenti che,  indipendentemente  dalla  denominazione  formale,
 avevano  come  effetto quello di archiviare un procedimento in corso,
 in  considerazione  dell'assenza  dei  presupposti  per   l'esercizio
 dell'azione,  radicando cosi' nell'ordinamento norme di comportamento
 procedurale ben connotabili come  "diritto  vivente",  deve  comunque
 rilevarsi   che   l'obbligatorieta'  dell'azione  di  responsabilita'
 amministrativa   (principio   radicato   nella   dottrina   e   nella
 giurisprudenza  contabile) implica sempre l'adozione di un "giudizio"
 finale in ordine all'esame della fattispecie esaminata: giudizio  che
 sara'  di  archiviazione  (o  qualunque altra denominazione si voglia
 adottare) nel senso di ritenere esente da responsabilita' l'indagato;
 sara' invece di citazione in giudizio (rectius: di rinvio innanzi  al
 Collegio) in caso di ritenuta sussistenza della responsabilita'.
    Nel  primo  caso  la  decisione del p.m. ha valore definitorio, in
 quanto manda esente da responsabilita' l'indagato  senza  l'ulteriore
 fase  dibattimentale  e  senza  che,  soprattutto,  la  sezione possa
 comunque  obbligare  il  p.m.   ad   esperire   ulteriore   attivita'
 istruttoria o, di piu', ad esercitare altrimenti l'azione.
    Puo'  quindi  affermarsi  che il p.m. contabile, volendo istaurare
 quanto  mai  opportuni  parallelismi  col   giudizio   penale,   dopo
 l'emanazione  dell'avviso ex art. 5 decreto-legge citato, esercita le
 funzioni che in quel  rito  sono  proprie  del  giudice  dell'udienza
 preliminare,  dovendo  operare  una prima delibazione delle posizioni
 degli indagati al fine dell'emissione del successivo provvedimento di
 citazione  in  giudizio,  emettendo   una   decisione   a   carattere
 definitorio   nel   caso  in  cui  ritenga  il  convenuto  esente  da
 responsabilita', e rinviando (rectius: citando) in giudizio  in  caso
 contrario.
    Anche  il terzo elemento, quello del potere decisionale, e' quindi
 presente  in  capo  al  p.m.  contabile  in  modo  pieno  sul  fronte
 dell'archiviazione   o,   se   si   vuole,   dell'esercizio  negativo
 dell'azione.
    Sulla base di tali considerazioni e per il modo in cui si atteggia
 l'esito cui ritiene di dovere pervenire il p.m. nel presente giudizio
 di merito, va affrontata la problematica che  qui  di  seguito  viene
 sottoposta al giudizio di compatibilita' costituzionale.
    L'art.  11  del  vigente  codice  di procedura penale detta talune
 disposizioni  concernenti  lo  spostamento   della   competenza   per
 territorio  degli  uffici  giudiziari  nel  caso  in  cui  ad  essere
 inquisito sia un  magistrato  che  all'epoca  dei  fatti  o  in  atto
 eserciti  le  proprie funzioni nell'ambito del distretto nel quale si
 trova l'ufficio che sarebbe competente secondo le norme generali.
    Il principio, gia' presente nell'abrogato codice di rito del  1930
 (art.  60  c.p.p.,  la  cui  costituzionalita'  fu  riconosciuta  con
 sentenza del 7 giugno 1963 della Corte costituzionale), va inquadrato
 tra  gli  istituti  di  c.d.  "bonifica   processuale",   diretti   a
 correggere,  o  ad  eliminare, situazioni processuali patologiche, al
 fine di riportare il processo alla sua normale fisiologia.
    Come per istituti analoghi, quali l'astensione  e  la  ricusazione
 del   giudice,   il   principio   sopra   delineato   si   giustifica
 eziologicamente con l'ombra del  sospetto  che  gravita  sul  giudice
 investito  del  procedimento:  questi, capax et abolis, tuttavia puo'
 denunciarsi judex suspectus, e  quindi  inhabilis,  in  relazione  al
 rapporto  che lo lega alla causa o ad i suoi protagonisti (astensione
 e ricusazione), o in relazione al rapporto tra la causa stessa (ed  i
 suoi  protagonisti)  e  l'ambiente  presso  il  quale il procedimento
 relativo si svolge, in relazione alla sua topografia giurisdizionale.
    Lo strumento processuale  qui  in  esame,  prima  conosciuto  come
 l'unico  caso di rimessione obbligatoria, non presuppone quindi, come
 la ricusazione, suspectus il giudice in vista delle  sue  qualita'  o
 rapporti  personali,  ma in relazione all'ambiente nel quale l'organo
 giurisdizionale  deve giudicare una determinata causa: in tal caso, e
 nel concorso delle condizioni volute dalla legge, la  rimessione  del
 procedimento  determina  la sostituzione di un organo giurisdizionale
 non sospetto ad uno ritenuto  tale,  con  eccezione  alle  norme  che
 regolano la competenza territoriale.
    L'istituto risponde, in presenza dei preminenti interessi pubblici
 protetti dalle norme penali, alla tutela di valori costituzionalmente
 garantiti, quali l'eguaglianza sostanziale dei cittadini innanzi alla
 legge  (art.  3  della Costituzione), l'effettivita' del diritto alla
 difesa  (art.  24  della  Costituzione)  e,   ma   non   da   ultimo,
 l'imparzialita' della p.a. (art. 97 della Costituzione), concetto nel
 quale   ben  si  comprende  anche  quello  dell'aministrazione  della
 giustizia.
    In ambito  processuale  penale  militare  questo  strumento  trova
 identica  applicazione,  in  forza della legge 7 maggio 1981, n. 180,
 che ha abrogato la diversa disciplina prima esistente.
    Nessuna  traccia  di  un  tale  meccanismo  di  spostamento  della
 competenza  territoriale e' dato invece rinvenire nel rito civile, al
 quale rinvia l'art. 26 del regolamento di  procedura  per  i  giudizi
 innanzi  alla  Corte  dei conti, a differenza dell'astensione e della
 ricusazione, pure presenti, invece, nel codice di  procedura  civile;
 ne',  nell'ambito delle specifiche norme che disciplinano il processo
 contabile  e'  possibile  individuare  qualunque  altra  disposizione
 afferente l'istituto in questione.
    Ne deriva, essendo le norme sulla competenza e la giurisdizione di
 stretta interpretazione, l'impossibilita' di applicare nell'ambito di
 questa giurisdizione l'istituto della c.d. rimessione obbligatoria ad
 altro  ufficio giudiziario per i procedimenti a carico dei magistrati
 della  Corte  dei   conti   ritenuti   perseguibili   a   titolo   di
 responsabilita'  amministrativa  o  contabile  e che si trovino nelle
 medesime condizioni previste dall'art. 11 c.p.p.
    L'assenza di un tale meccanismo di  salvaguardia  solleva,  pero',
 fondati  dubbi di legittimita' costituzionale del sistema processuale
 contabile sotto tale specifico profilo.
    Deve innanzi tutto chiarirsi, anche al fine della rilevanza  della
 questione  nel presente giudizio, che la c.d. "rimessione" si applica
 nel rito penale anche  per  la  semplice  pronuncia  del  decreto  di
 archiviazione  (Cass.  15  marzo  1980),  in  quanto,  considerato il
 particolare valore del provvedimento in  questione,  appare  vieppiu'
 necessario  eliminare  in  radice  l'ombra  di  qualsiasi sospetto in
 ordine alla sua  adozione,  e  cio'  anche  se  il  provvedimento  di
 archiviazione emesso dal p.m. contabile dopo l'emissione degli avvisi
 ex   art.   5   del  decreto-legge  citato  sembrerebbe  assimilabile
 maggiormente al proscioglimento operato dal giudice penale in sede di
 udienza preliminare.
    Nel rito contabile esercizio dell'azione come pure l'archiviazione
 della  notitia  damni  competono  allo  stesso  organo,  il  pubblico
 ministero,  il  quale nella fase istruttoria pre-dibattimentale somma
 in se',  come  gia'  detto,  le  funzioni  di  titolare  dell'azione,
 istruttore  e giudice, senza l'intermediazione di un organo che debba
 valutare in posizione di terzieta', come nel rito penale, l'effettiva
 assenza di ogni responsabilita' a carico dell'indagato.
    Tale  condizione,  in presenza dell'obbligatorieta' dell'azione di
 responsabilita' contabile  a  tutela  degli  interessi  del  pubblico
 erario,  esalta  maggiormente  quegli  stessi motivi che nel processo
 penale  hanno  determinato   l'introduzione   di   quel   particolare
 meccanismo  di  spostamento  della  competenza  per  territorio degli
 uffici giudiziari.
    Basti  pensare  che,  mentre  nel  processo  penale   il   giudice
 dell'udienza  preliminare  puo'  obbligare  il pubblico ministero che
 abbia chiesto l'archiviazione od il proscioglimento dell'indagato  ad
 effettuare  un  supplemento  istruttorio, o addirittura ad esercitare
 comunque l'azione per il rinvio a giudizio, nulla di  tutto  cio'  e'
 possibile  nel processo contabile, nel quale il pubblico ministero e'
 giudice unico ed insindacabile nel caso  in  cui  ritenga  di  dovere
 archiviare  il  procedimento,  mandando  esente  l'indagato  da  ogni
 responsabilita'.
    Questa  stessa  struttura   procedimentale   che   risente   della
 originaria   struttura  civilistica  dell'azione  di  responsabilita'
 amministrativa,  ormai  inadeguata  ed  ampiamente   superata   dalla
 legislazione  vigente  che  ha  rimodulato  le  caratteristiche della
 giurisdizione  contabile   sempre   piu'   assimilandola   a   quella
 sanzionatoria  penale,  consacrandone  la  natura  inquisitoria  e di
 diritto oggettivo, radica in capo al p.m. il potere decisorio  finale
 in  ordine al giudizio sull'esistenza dei presupposti per l'esercizio
 dell'azione e lo legittima, secondo i  parametri  fin  qui  elaborati
 dalla    giurisprudenza,    a    poter    sollevare    questioni   di
 costituzionalita' di norme delle quali, in corso di  procedimento,  e
 maggiormente   per   la   definizione  di  quest'ultimo,  debba  fare
 applicazione.
    V'e' da dire che, probabilmente e' lo stesso rinvio al  codice  di
 procedura  civile per i giudizi di responsabilita' amministrativa che
 nel vigente ordinamento, con gli accresciuti poteri del  p.m.  appare
 ormai   inadeguato   ad   un   corretto  svolgersi  della  dialettica
 processuale contabile, e, forse, anche per la vetusta' e  lacunosita'
 del  vigente  regolamento di procedura, pure in contrasto con qualche
 parametro costituzionale afferente, innanzitutto, l'effettivita'  del
 diritto  alla  difesa,  attesa la manifesta sproporzione tra i poteri
 riconosciuti  al  soggetto  agente  (p.m.)  ed  a  quello   convenuto
 (privato),   in  una  struttura  processuale  tutta  fondamentalmente
 proiettata al ne cives ad arma veniant ed  alla  regolamentazione  di
 interessi  privati, con un giudice in rigorosa posizione di terzieta'
 e che certo non conosce (in quanto non puo'), come invece avviene nel
 processo contabile, alcun potere di stimolo dell'azione  delle  parte
 pubblica nella ricerca della verita' oggettiva.
    Orbene,   in  assenza  di  ogni  norma  specifica  in  materia  di
 rimessione nell'ambito dell'ordinamento processual-contabile,  questo
 p.m.  e'  tenuto  a  dare  applicazione alla generale norma di rinvio
 contenuta nell'art. 26 del regolamento di procedura, il quale prevede
 che, per quanto non disposto, viga il rinvio dinamico  al  codice  di
 procedura civile, il quale, essendo finalizzato alla regolamentazione
 e  tutela  di  interessi  essenzialmente  privati non possiede (e non
 poteva  contemplare)  alcuna  norma  del  genere  di  quella  dettata
 dall'art. 11 c.p.p.
    Tale   omessa  previsione,  non  appare  pero'  costituzionalmente
 compatibile con gli interessi pubblici preminenti, al pari di  quelli
 oggetto  di  tutela  penale, garantiti dall'azione di responsabilita'
 del  p.m.  contabile,  tenuto  pure  conto  della   sempre   maggiore
 assimilazione  alle potesta' esercitate nel processo penale di quelle
 gia' esistenti o recentemente introdotte nel processo contabile dalle
 recenti leggi 19 e 20 del 1994.
    Appare  difatti  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 26 del regolamento di procedura
 dei  giudizi  innanzi  alla  Corte  dei conti, nella parte in cui non
 rinvia, per i giudizi di responsabilita' amministrativa e  contabile,
 alle  disposizioni  vigenti nel codice di procedura penale in materia
 di competenza territoriale per i procedimenti a carico di magistrati,
 in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.
    Se  e'  vero  che  ad  ogni  cittadino   deve   essere   garantita
 un'effettiva   eguaglianza   davanti   alla   legge   (art.  3  della
 Costituzione), questa deve consistere, innanzitutto,  nella  garanzia
 di  un  giudizio  obiettivo e sganciato da ogni influenza o refluenza
 derivante  dall'essere  il  giudicando  in  posizione  qualificata  e
 differenziata  nei  confronti dell'organo chiamato a iuris dicere nei
 suoi confronti, e cio', maggiormente  qualora  si  versi  nell'ambito
 della  tutela di interessi pubblici costituzionalmente protetti, come
 del caso della tutela penale e di quella  contabile,  situazione  che
 non  si verifica laddove l'organo giudiziario chiamato a pronunciarsi
 sulla responsabilita' amministrativa del magistrato sia lo stesso nel
 quale quello era all'epoca dei fatti o e' in atto incardinato.
    Peraltro non e' dato comprendere sulla base di quale principio  di
 razionalita'  si  possano  trattare in modo radicalmente difforme due
 situazioni, quella dei magistrati ordinari nell'ambito  del  processo
 penale  e  quella  dei  magistrati contabili nell'ambito di quello di
 responsabilita' amministrativa, sostanzialmente identiche.
    Analoghe argomentazioni valgono  per  l'effettivita'  del  diritto
 alla difesa (art. 24 della Costituzione) che puo' esplicarsi soltanto
 in  un  contesto  il  piu'  possibile  asettico  -  ed impermeabile a
 condizionamenti provenienti da fattori ambientali che, nel caso della
 denunciata appartenenza organica all'ufficio giudicante da parte  del
 convenuto raggiungono, anche sotto il profilo presuntivo dell'id quod
 plerumque    accidit,   livelli   di   massima   rilevanza,   e   non
 necessariamente pro reo.
    Infine, il principio di imparzialita' (art. 97 della Costituzione)
 che puo' dirsi immanente, per definizione,  all'organizzazione  delle
 strutture  giudiziarie  ed all'impianto del giusto processo, verrebbe
 gravemente compromesso dalla presenza di elementi procedurali,  quali
 quelli  in  atto  nel  rito  contabile,  capaci di elidere l'immagine
 stessa di terzieta' del giudice innanzi al convenuto e nei  confronti
 dell'opinione  pubblica,  con grave nocumento per il prestigio stesso
 della funzione giurisdizionale.
    Sotto  tali  profili   la   norma   appare   pertanto   ampiamente
 censurabile.
    La questione, poi, e' rilevante al fine di decidere.
    Infatti,  nel  caso in cui il giudice delle leggi dovesse ritenere
 infondate le censure qui prospettate, questo p.m.  potra'  provvedere
 alla definizione del procedimento mediante l'emissione del decreto di
 archiviazione,   mentre,  in  caso  contrario,  dovra'  provvedere  a
 rimettere gli atti alla procura regionale  competente  ai  sensi  del
 combinato  disposto  di  cui  all'art.  11  c.p.p. e 1 delle norme di
 attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice  di  procedura
 penale.