Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  della regione Puglia, in
 persona  del  presidente  della  giunta  regionale  pro-tempore  avv.
 Giuseppe   Martellotta   -  autorizzato  con  delibere  della  Giunta
 regionale nn. 7654 e 8167 rispettivamente del 14 e  del  22  novembre
 1994  -,  rappresentato  e difeso dal prof. avv. Alessandro Pace, con
 studio  in  Roma,  piazza  delle  Muse  n.  8,  presso  il  quale  e'
 elettivamente  domiciliato,  in  virtu'  di  mandato  a  margine  del
 presente atto contro lo Stato italiano, in persona del Presidente del
 Consiglio dei Ministri pro-tempore on. Silvio Berlusconi in relazione
 al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 novembre  1994
 e  all'ordinanza  del  medesimo Presidente del Consiglio dei Ministri
 emessa in pari data, pubblicati entrambi nella Gazzetta Ufficiale  n.
 263 del 10 novembre 1994.
                               F A T T O
    1.  -  Nel  periodo  compreso fra l'ultima settimana di agosto e i
 primi giorni di settembre, l'Albania veniva investita da  un'epidemia
 colerica, partita dal Nord del Pakistan e progressivamente spostatasi
 ad Ovest.
    Per scongiurare preventivamente i pericoli di contagio del proprio
 territorio,  il presidente della giunta della regione Puglia attivava
 prontamente un gruppo di lavoro al fine di esaminare la situazione di
 pandemia colerica in atto delle regioni balcaniche e  di  valutare  i
 potenziali  riflessi  sulla  Puglia, per poi definire eventualmente i
 programmi di intervento all'uopo necessari.
    Tale gruppo di lavoro -  composto  dal  capo  di  gabinetto  della
 presidenza  della  regione  Puglia,  dal  direttore  dell'istituto di
 igiene  dell'Universita'  di  Bari,  dal  coordinatore  del   settore
 ragioneria,   dal   coordinatore   del  settore  programmazione,  dal
 coordinatore della sanita' e dal coordinatore della protezione civile
 - si riuniva il 10 ottobre 1994 e, avvalendosi  delle  argomentazioni
 contenute  in un rapporto dell'Istituto superiore di sanita' (I.S.S.)
 datato  24  settembre  1994,  concludeva  nel  modo  che  di  seguito
 sinteticamente si espone.
    A fondamento delle analisi svolte venivano poste le risultanze del
 suddetto  rapporto  dell'I.S.S.,  in cui, partendo dal presupposto di
 fatto costituito dalla ciclicita' delle  epidemie  coleriche,  veniva
 messo  in  luce come la Puglia costituisca un "habitat a rischio, sia
 per la sua collocazione geografica  che  costituisce  naturale  ponte
 verso  le  regioni  balcaniche  e  medio-orientali,  sia  per  le sue
 particolari condizioni  orografiche  e  ambientali,  aggravate  dalla
 storica   penuria   di  acqua  e  dall'intenso  abusivismo  edilizio"
 (problema, quest'ultimo, peraltro  diffuso  in  tutto  il  territorio
 nazionale,  come  e'  dimostrato dalla prassi - vecchia e nuova - del
 ricorso  allo  strumento  del  "condono").  Tale  osservazione,  poi,
 legittimava la previsione dell'I.S.S. secondo cui "la Puglia non solo
 e'  ancora  potenzialmente  soggetta alla diffusione del vibrione, ma
 dovra' essere in costante emergenza per le future pandemie  cicliche,
 in assenza di interventi mirati" (pagina 1 del verbale della riunione
 de  gruppo  di lavoro, prodotto in allegato al doc. 1). Considerando,
 inoltre, che di norma la diffusione dell'epidemia colerica e'  dovuta
 alla comunicazione inquinante tra il sistema fognario e quello idrico
 -  entrambi  deficitari nella Regione pugliese - l'I.S.S. prospettava
 che l'opera di prevenzione  avrebbe  dovuto  basarsi  "su  due  piani
 temporanei:  un intervento di emergenza, ancora necessario, ed un pi-
 ano preventivo a piu'  lungo  termine",  i  cui  principi  ispiratori
 avrebbero    dovuto    essere   orientati   "al   reale   risanamento
 dell'inquinamento fecale dell'ambiente e dell'acqua potabile  e  alla
 rimozione dei siti di speciale contaminazione fecale" (loc. cit.).
    Partendo  da  cio', e scendendo in dettaglio nella descrizione dei
 problemi  igienico-strutturali  del  territorio  pugliese   collegati
 all'emergenza-colera,   il  citato  gruppo  di  lavoro  sottolineava:
 l'insufficienza del sistema idrico  e  fognario  (testimoniata  dalla
 persistenza  del  sistema  di  raccolta delle acque luride a mezzo di
 carro-botte e dal mancato superamento della prassi dello  scarico  in
 falda e cio' sia per l'inesistenza di allacciamento fognario, sia per
 questioni  di  abusivismo  edilizio);  le  abitudini  alimentari  dei
 cittadini pugliesi - grandi  consumatori  di  verdure  fresche  e  di
 molluschi  eduli  -;  la precarieta' delle tecniche di refrigerazione
 dei cibi freschi e  deperibili  (soprattutto  durante  il  trasporto)
 attualmente  in  uso;  un  certo degrado ambientale della costa e del
 territorio, con  particolare  riguardo  alla  situazione  di  degrado
 urbano di rioni di edilizia popolare; l'inesistenza di uffici statali
 abilitati  ai  necessari  controlli  fitosanitari  e  zootecnici  nei
 principali  porti  e aeroscali pugliesi; gli annosi problemi connessi
 con l'immigrazione proveniente proprio dalle regioni balcaniche (e in
 particolare dall'Albania);  e  rilevava  come  tutti  questi  fattori
 rappresentassero   un   coefficiente  di  moltiplicazione  di  ordine
 geometrico delle possibilita' di contagio.
    Cio' rendeva, pertanto, indifferibile l'adozione di  un  programma
 coordinato   di  risanamento  igienico-ambientale  del  territorio  -
 orientato     soprattutto     alla     soluzione     dei     problemi
 dell'approvvigionamento idrico e della ristrutturazione ed estensione
 del  sistema  fognario -, tramite un'azione impostata tanto sul breve
 quanto sul medio periodo: in altri termini, la situazione era tale  -
 secondo   il   gruppo  di  lavoro  -  da  ritenere  improcrastinabile
 l'intervento  sia  finanziario  che   operativo   dello   Stato   per
 fronteggiare  "le  emergenze"  derivanti  dalle  carenze  del sistema
 fognario e dell'approvvigionamento idrico; ma altrettanto urgente  la
 pianificazione    operativa   di   una   politica   di   prevenzione,
 considerando, da una parte, la ciclicita' del fenomeno delle epidemie
 di  colera,  e,  dall'altra,  l'imminenza  dell'impegno  preso  dalla
 regione  Puglia  ad  ospitare i Giochi del Mediterraneo del 1997, con
 tutte le conseguenze (facilmente immaginabili) che tale evento  avra'
 sullo sviluppo dell'industria turistica ed alberghiera pugliese.
     A  tal  fine, il gruppo di lavoro metteva in risalto come i mezzi
 economico-finanziari attualmente a disposizione della regione  Puglia
 fossero   largamente   insufficienti   per   un  intervento  di  tali
 dimensioni.
    Sotto questo punto di vista,  infatti,  "per  quanto  concerne  il
 bisogno di infrastrutture di igiene ambientale (depurazione fognatura
 nera) e' sotto stimato un fabbisogno non inferiore ai 300 miliardi di
 lire  (costi  1990)  per il completamento e l'adeguamento dei presidi
 depurativi, mentre una stima  di  larga  massima  indica  in  450-500
 miliardi  di  lire l'impegno finanziario per estendere il servizio di
 fognatura agli insediamenti urbani che ne sono privi; in dette  stime
 non sono compresi i costi relativi a villaggi e frazioni a prevalente
 presenza   diffusa  sul  territorio".  Senza  contare,  poi,  facendo
 riferimento ai servizi di  fognatura,  che  "la  popolazione  servita
 raggiunge  a  livello  regionale  il  60%  di quella residente; detta
 percentuale scende al 30% in provincia di Lecce" (pag. 3 del  verbale
 della riunione del gruppo di lavoro, prodotto in allegato al doc. 1).
    Sul  versante  dell'ordine  di grandezza delle spese da affrontare
 per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico, inoltre, il
 discorso rimane pressoche' identico.
    Presa coscienza della situazione esistente, pertanto, il gruppo di
 lavoro  arrivava  a  dichiarare  che  "le  risorse   regionali   sono
 assolutamente,  non  insufficienti,  ma inesistenti per affrontare un
 tale  compito  complesso  di  infrastrutturazione  e  di  risanamento
 igienico-ambientali", dal momento che, "e' a tutti nota la situazione
 finanziaria  in  cui  versa la Regione, con un bilancio ingessato per
 almeno 15 anni, per cui non sono preventivabili risorse anche  future
 che si possono liberare" (pag. 5 del verbale della riunione: allegato
 al  doc. 1; v., inoltre, la delibera n. 7654 in data 14 novembre 1994
 della giunta regionale pugliese, in cui si specifica,  a  motivazione
 della  richiesta di intervento finanziario dello Stato, che l'entita'
 del  problema  si  presentava  tale  da  non   essere   assolutamente
 sostenibile  "con le ordinarie risorse di bilancio da parte di alcuna
 Regione": pag. 2 del doc. n. 7).
    Considerando,  infine,  che  "il settore dell'acqua e delle grandi
 infrastrutturazioni .. fuoriescono dallo stretto ambito regionale per
 investire piu' propriamente la competenza statale" (ult. loc.  cit.),
 si  riteneva  necessaria  la  richiesta  di  intervento - soprattutto
 finanziario - da parte dello Stato.
    2. - Con la delibera n. 6957 del 18 ottobre 1994, la giunta  della
 regione  Puglia,  prendendo  atto  delle  risultanze dell'operato del
 gruppo di lavoro da essa istituito, proponeva pertanto al  Presidente
 del  Consiglio  dei Ministri di dichiarare "lo stato di emergenza per
 la Puglia e la conseguente adozione di provvedimenti straordinari  ed
 indifferibili  atti  a fronteggiare con tempestivita' ed efficacia la
 situazione di emergenza socio-economico ambientale"  sopra  descritta
 (p. 3 della delibera n. 6957; doc. n. 1).
    Con  tale  delibera, quindi, la regione Puglia invocava l'aiuto da
 parte dello Stato, resosi necessario dal momento che  gli  interventi
 strutturali  atti  a  risolvere  la  crisi  importavano (e importano)
 investimenti la cui rilevanza, sommata  all'urgenza  del  provvedere,
 andavano al di la' delle ordinarie risorse della regione, soprattutto
 a  causa della sua "notoria crisi finanziaria" (pag. 2 della delibera
 n. 6957; doc. n. 1).
    3. - Inopinatamente, con decreto del Presidente del Consiglio  dei
 Ministri 8 novembre 1994, il Governo provvedeva invece a dichiarare -
 ex  art.  5  primo  comma,  della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - lo
 stato di emergenza ambientale per il periodo che va  dal  27  ottobre
 1994 al 31 dicembre 1995, "con particolare riferimento ai settori dei
 servizi  di  approvvigionamento,  adduzione e distribuzione idrica di
 fognature, di depurazione, di recapito  delle  acque  depurate  e  di
 smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella regione Puglia".
    4.  -  Con  ordinanza  emessa  in  pari  data,  il  Presidente del
 Consiglio dei Ministri - ai sensi dell'art. 5 comma 4 della legge  n.
 225/1992   -   sostanzialmente  "commissariava"  la  regione  Puglia,
 esautorandola sia per quanto riguarda la gestione della situazione di
 emergenza, sia per quanto riguarda l'intero processo  di  risanamento
 del  territorio  regionale,  delegando  all'uopo  il prefetto di Bari
 dott. Corrado Catenacci  a  predisporre  (d'intesa  con  i  Ministeri
 dell'ambiente  e  del  bilancio  e della programmazione economica) il
 programma degli  interventi  da  approvare  e,  conseguentemente,  ad
 attivare  e  a realizzare (d'intesa con il Ministero dell'ambiente, e
 sentite le amministrazioni interessate) "gli interventi necessari per
 fronteggiare    la    situazione    di    emergenza    nel    settore
 dell'approvvigionamento,  dell'adduzione  e della distribuzione delle
 acque depurate e dello smaltimento dei rifiuti  solidi  urbani  della
 regione Puglia" (art. 1 dell'ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994).
    La  ricorrente  regione  Puglia,  essendo stata lesa nelle proprie
 attribuzioni costituzionali dal citato d.P.C.M.   8 novembre  1994  e
 dalla  citata ordinanza P.C.M. emessa in pari data, ricorre a codesta
 ecc.ma Corte - cosi' come deciso nella  delibera  n.    7654  del  14
 novembre  1994;  doc.  n.  7 - per il regolamento di competenza sulla
 base dei seguenti
                           MOTIVI DI DIRITTO
    1. - Invasione delle  attribuzioni  costituzionali  della  regione
 Puglia  di  cui  agli  artt.  117,  118  e  119  della  Costituzione.
 Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 lett. c), della legge  24
 febbraio  1992,  n.  225,  da  parte  del  d.P.C.M.  8 novembre 1994.
 Conseguente illegittimita' dei provvedimenti indicati in epigrafe. In
 subordine,  illegittimita'  costituzionale dell'art. 2 della legge 24
 febbraio  1992,  n.  225,  per  contrasto   con   l'art.   97   della
 Costituzione.  Conseguente illegittimita' dei provvedimenti impugnati
 in quanto invasivi delle attribuzioni  costituzionali  della  regione
 Puglia.    Tanto  il  decreto  quanto  l'ordinanza del Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  dell'8  novembre  1994,  che  costituiscono
 l'oggetto della presente impugnativa, sono stati emanati in (pretesa)
 conformita'  rispetto  a  quanto  stabilito dall'art. 5, primo comma,
 della legge 24 febbraio  1992,  n.  225  ("Istituzione  del  Servizio
 nazionale  della  protezione  civile").  Infatti,  tale  disposizione
 prevede  bensi'  che  il  Governo  possa  deliberare  "lo  stato   di
 emergenza,  determinandone  la  durata  ed estensione territoriale in
 stretto riferimento alla qualita' ed alla natura  degli  eventi",  ma
 solo  ove ricorrano le ipotesi di cui alla lett. c) dell'art. 2 della
 medesima legge n.  225/1992, e cioe' "calamita' naturali,  catastrofi
 o  altri  eventi  che,  per  intensita'  ed estensione debbono essere
 fronteggiati con mezzi e poteri straordinari".  Il  che  deve  essere
 tenuto  presente  anche  per  il  potere governativo di ordinanza, il
 quale, in tanto puo' essere esercitato ai sensi dell'art. 5,  secondo
 comma,  della  legge n.   225/1992, in quanto ricorrano i presupposti
 giustificativi  previsti  dall'art.  2,  lett.  c),  della  legge  n.
 225/1992.    Ed e' appena il caso di aggiungere che la verifica della
 ricorrenza  delle  ipotesi  previste  dal  legislatore  deve   essere
 particolarmente  rigorosa,  dal momento che a mezzo di tali ordinanze
 si puo' addirittura derogare "ad ogni disposizione  vigente"  -  come
 recita l'art. 5, secondo comma della legge n. 225/1992 -, seppur "nel
 rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico". E che nel
 caso  concreto il Governo abbia agito non solo in deroga a molteplici
 disposizioni di legge vigenti, ma altresi'  senza  rispettare  ne'  i
 principi   generali   dell'ordinamento,   ne'   la  stessa  normativa
 costituzionale, risulta lampante, sia ex facto, sia perche', a  parte
 quanto  verra'  messo in evidenza piu' avanti, cio' e' esplicitamente
 ammesso dall'art. 2 dell'ordinanza di cui e' causa,  nella  quale  si
 autorizza  il  commissario  ad  adottare provvedimenti in deroga alle
 (molteplici) norme di legge elencate nello stesso articolo.  Il primo
 punto della  complessa  questione  sottoposta  dalla  regione  Puglia
 all'attenzione   di   codesta   ecc.ma  Corte  consiste  percio'  nel
 verificare se, ai fini della dichiarazione dello stato  di  emergenza
 contenuta  nel decreto impugnato, ricorrevano le ipotesi - una o piu'
 - previste nella lett. c) dell'art. 2 della legge  n.  225/1992,  che
 fungono  da  presupposto  giustificativo  per un provvedimento di tal
 fatta.  L'esito della verifica - a nostro sommesso parere - non  puo'
 che  essere  completamente  negativo.    Ed  invero,  sicuramente non
 ricorre l'ipotesi della "calamita' naturale"  o  della  "catastrofe",
 dal  momento  che,  nella fattispecie di cui e' causa, non solo si e'
 trattato di un pericolo di contagio, senza che l'epidemia colerica si
 fosse   effettivamente   espansa   nel   territorio   pugliese,   ma,
 addirittura,  all'epoca  in  cui  la  regione  Puglia  ha sollecitato
 l'intervento dello Stato, nella stessa Albania  i  picchi  epidermici
 erano  ormai  in  flessione, come si puo' (e si poteva) leggere nelle
 premesse della stessa delibera n. 6957 (pag. 1 del doc. n.  1)  della
 giunta regionale pugliese. Quale sia stata, poi, la reale entita' del
 fenomeno  di  cui si discute, lo testimonia proprio una fonte di area
 governativa, e cioe' il Rapporto sull'attivita' di sorveglianza nella
 fase di emergenza legata al focolaio di colera in Puglia - redatto  a
 cura  della  direzione generale dei servizi per l'igiene pubblica del
 Ministero dela sanita' -, dove si parla di soli dieci casi di colera,
 avutisi nel solo territorio di Bari e provincia (v. p. 6 e la tabella
 n. 1 in allegato al suddetto rapporto; doc. n. 2). E'  quasi  inutile
 sottolineare,  a  tal riguardo, che dieci casi di colera, per di piu'
 localmente circoscritti, non costituiscono di sicuro  una  "calamita'
 naturale"  o  una  "catastrofe". Cio', da un lato, perche' "la durata
 della malattia e' di qualche  giorno";  dall'altro,  poiche',  se  in
 passato la letalita' del colera raggiungeva il 50-70% dei casi, "oggi
 con  una  terapia idonea e tempestiva (ripristino dell'aliquota idro-
 elettrolitica ed antibiotici) non supera l'1-5%"  (S.  Barbuti  -  E.
 Bellelli   -   G.M.   Fara   -   G.   Giammanco,  Igiene  e  medicina
 preventiva(Elevato al Cubo), Monduzzi, Bologna 1994, II, p. 94:  doc.
 n.  8;  sia  detto per inciso che il prof. Barbuti ha fatto parte del
 cit.  gruppo  di  lavoro).  Affermazione,  questa,  che  risulta   di
 fondamentale   importanza,   soprattutto  alla  luce  del  fatto  che
 l'esistente rete ospedaliera e' piu' che  soddisfacente,  cosi'  come
 rilevato dal cit. gruppo di lavoro (p. 2 dell'all. al doc. n. 1).
   Ne'   la   situazione  determinatasi  in  Puglia  poteva  rientrare
 nell'ipotesi residuale prevista dall'art. 2, lett. c) della legge  n.
 225/1992  ("altri  eventi  che, per intensita' ed estensione, debbano
 essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari").  Infatti,  per
 quanto  riguarda  l'intensita'  ed estensione del fenomeno valgono le
 considerazioni svolte poc'anzi, nel senso cioe'  che  nel  territorio
 pugliese  non  si  e'  mai  sviluppata  una  vera  e propria epidemia
 colerica, ma vi e' stato solo  un  pericolo  di  contagio,  dovuto  a
 carenze strutturali di tipo endemico.
    Si  apre,  percio',  il  campo  ad  una ulteriore osservazione. Se
 l'insufficienza del sistema idrico e  fognario,  il  degrado  urbano,
 l'inesistenza   di  strutture  tecniche  di  controllo  dei  prodotti
 alimentari (vale a dire, le carenze  strutturali  di  cui  si  faceva
 cenno  poche  righe  sopra)  rappresentano  per la regione pugliese -
 come, del resto, in tutto  il  territorio  nazionale  (e  la  recente
 alluvione nelle regioni settentrionali lo dimostra in modo perspicuo)
 -  dei  problemi  fortemente  datati  e non il portato di avvenimenti
 recenti, bisognera' allora  ammettere  che  le  emergenze  denunciate
 dalla Regione non sono state determinate dal pericolo di contagio, ma
 da  cio'  che e' da considerarsi "strutturale" per quei territori. Il
 mero  "pericolo"  della  propagazione  del   colera   -   del   resto
 definitivamente cessata subito dopo (v. la dichiarazione del Ministro
 della  sanita'  on.  Raffaele  Costa  al  Corriere  della Sera del 16
 novembre 1994: doc. n. 3) - e' stato percio' un episodio  non  dotato
 dei  crismi  dell'eccezionalita',  tali  da giustificare l'impiego di
 poteri straordinari da parte dello Stato, quali quelli che sono stati
 usati con i provvedimenti impugnati.  Pertanto,  proprio  perche'  le
 cause  della situazione lamentata erano quelle, "storiche", sopra in-
 dicate,  il  Governo  avrebbe  dovuto  muoversi  in  un'ottica  assai
 diversa,   finalizzata   cioe'   non   tanto  all'impiego  di  poteri
 straordinari,  quanto  al  conferimento   alla   regione   di   mezzi
 straordinari,  a tal fine assicurando alla regione Puglia un'adeguata
 copertura finanziaria  atta  sia  a  fronteggiare  la  situazione  di
 emergenza,  sia  -  e soprattutto - ad avviare, in maniera coordinata
 con l'intervento operativo degli organi statali, un'organica e quanto
 mai completa politica di  risanamento  del  territorio.    Si  dovra'
 allora  convenire  che,  volendo  applicare correttamente la legge n.
 225/1992, non ricorrevano le ipotesi di cui alla lett.  c)  dell'art.
 2,  ma,  al  contrario,  quelle  previste  alla lett. b) del medesimo
 articolo, in  cui  si  parla  di  "eventi  naturali  o  connessi  con
 l'attivita'  dell'uomo  che  per loro natura ed estensione comportano
 l'intervento coordinato di piu' enti o amministrazioni competenti  in
 via ordinaria".
    Cosi'   operando,   oltre  a  porre  rimedio  alla  situazione  di
 emergenza,  non  si  sarebbe  espropriata  la  regione  Puglia  delle
 attribuzioni  -  costituzionalmente garantite ex artt. 117, 118 e 119
 della Costituzione - che essa istituzionalmente esercita (v. infra il
 secondo motivo di ricorso). In tale ottica, si deve ricordare  quanto
 stabilito  da codesta ecc.ma Corte nella sentenza 9 novembre 1922, n.
 418, quando, nel respingere le  censure  di  costituzionalita'  mosse
 all'art.  5,  quarto  comma,  della legge n. 225/1992 - allora appena
 approvata -, metteva in evidenza come risultasse bensi'  giustificato
 "che  si  adottino misure eccezionali, quale puo' essere la nomina di
 commissari delegati", ma solamente  "nel  ricorrere  di  cosi'  gravi
 emergenze,   quando  l'ambiente,  i  beni  e  la  stessa  vita  delle
 popolazioni sono in pericolo e si richiede un'attivita'  di  soccorso
 staordinaria  e urgente" (in giur. cost. 1992, p. 3951). Presupposti,
 questi, che non si sono affatto verificati nella fattispecie  di  cui
 e'  causa.    Giunti  a  questo  punto  del  nostro  discorso, sembra
 ineludibile la seguente alternativa: o il Governo ha operato in  modo
 illegittimo,   invadendo   le   attribuzioni   costituzionali   della
 ricorrente, in forza della falsa applicazione dell'art. 2, lett.  c),
 della  legge  n.    225/1992;  oppure,  il  vizio  e' da riscontrarsi
 all'interno del medesimo dettato normativo della legge  n.  225/1992,
 che,  in tale ottica interpretativa, per come configura le ipotesi di
 cui alle lett. a), b) e  c)  dell'art.  2,  lascerebbe  un  eccessivo
 margine  di  discrezionalita' al Governo nel determinare la tipologia
 degli eventi e gli ambiti di competenza  ai  fini  dell'attivita'  di
 protezione  civile. Vera la seconda delle due ipotesi, sarebbe allora
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 della legge n. 225/1992 per contrasto  con
 l'art.  97  della  Costituzione,  anche con riferimento agli artt. 5,
 117, 118 e 119, della Costituzione, che pertanto  la  Corte  potrebbe
 sollevare dinanzi a se stessa, quale giudice della legittimita' delle
 leggi.
    L'ipotesi  di  cui  si  tratta  e'  tutt'altro  che manifestamente
 infondata se si considera che  effettuare  una  distinzione  fra  gli
 "eventi  naturali  o  connessi  con l'attivita' dell'uomo che possono
 essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti  e
 amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, lett. a), della
 legge  n.  225/1992), gli "eventi naturali o connessi con l'attivita'
 dell'uomo che per loro natura ed estensione  comportano  l'intervento
 coordinato   di   piu'  enti  o  amministrazioni  competenti  in  via
 ordinaria" (art.  2,  lett.  b),  della  legge  n.  225/1992)  e  "le
 calamita'  naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed
 estensione,  debbono  essere  fronteggiati   con   mezzi   e   poteri
 straordinari"  (art.  2, lett. c), della legge n. 225/1992), equivale
 ..  a  non  farla, poiche', data la mancanza di sicuri e ben definiti
 parametri di riferimento, si affida la riuscita dell'operazione  solo
 al  buon  senso:  vale a dire, ad un criterio che appartiene all'area
 del meta-giuridico.
    2. - In subordine.  Invasione  delle  attribuzioni  costituzionali
 della  regione  Puglia  di  cui  agli  artt.  117,  118  e  119 della
 Costituzione. Violazione e falsa applicazione della legge n. 225/1992
 da parte dell'ord. P.C.M. 8 novembre 1994 in  quanto  invasiva  delle
 attribuzioni costituzionali della regione Puglia.
    2.1. - Premessa.
    Qualora (in denegata ipotesi) fosse corretta l'interpretazione che
 l'impugnato d.P.C.M. ha dato dell'art. 2 della legge n. 225/1992, non
 percio' sarebbe possibile sostenere che l'ordinanza P.C.M. 8 novembre
 1994 - parimenti impugnata con il presente ricorso - abbia rispettato
 (e, quindi, correttamente applicato) la citata legge n. 225/1992.
    Il  punto  di  partenza  di  questo  secondo  motivo di ricorso e'
 offerto dalla gia' ricordata sentenza 9 novembre  1992,  n.  418,  di
 codesta ecc.ma Corte, con la quale sono state dichiarate non fondate,
 in  riferimento  all'art.  117  della  costituzione,  le questioni di
 legittimita' costituzionale degli artt. 1, secondo e terzo comma,  2,
 4,  primo  comma,  5,  quarto  comma,  e  14 della legge n. 225/1992,
 prospettate dalla ricorrente regione Lombardia.  In essa si legge che
 "il fulcro della legge n.  225/1992  sta,  per  quanto  attiene  alla
 esigenza  di  unitarieta'  di direzione che qui viene in rilievo, nel
 secondo comma dell'art. 1, il quale  attribuisce  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  o,  per  sua  delega,  al  Ministro  per il
 coordinamento della protezione civile, il  compito  di  promuovere  e
 coordinare  le attivita' di tutte le amministrazioni pubbliche, degli
 enti pubblici e di ogni altra istituzione ed organizzazione  pubblica
 e privata presente sul territorio nazionale" (in Giur. cost. 1992, p.
 3948).  Con  riferimento a cio', "la disposizione trova significativo
 riscontro nell'art.  6,  dove  si  sancisce  che  alle  attivita'  di
 protezione  civile provvedono, 'secondo i rispettivi ordinamenti e le
 rispettive competenze' le amministrazioni dello Stato, le regioni, le
 province, i comuni e le comunita' montane", (ivi). La conseguenza che
 ne deriva e' che "dalle norme  menzionate  risulta  evidente  che  la
 legge  n.  225/1992  non  ha  inteso modificare la ripartizione delle
 materie e delle competenze tra Stato e regioni. Essa ha voluto invece
 assicurare che i molteplici organismi, a  vario  titolo  interessanti
 alle  attivita'  di  protezione  civile  agiscano  in modo armonico e
 razionale, di modo  che  le  risorse  disponibili  vengano  impiegate
 opportunamente  e conducano alla maggiore efficacia degli interventi.
 Per raggiungere tale scopo la legge non ha  accentrato  competenze  e
 poteri,  ne'  ha  organizzato gli stessi secondo schemi di dipendenza
 gerarchico-funzionale"  (ibidem,  p.  3948-3949).    Riassumendo   il
 pensiero esplicitato, all'epoca, da codesta ecc.ma Corte, si potrebbe
 percio'  dire che, in tema di protezione civile, competono allo Stato
 l'indirizzo e il coordinamento  delle  attivita'  di  programmazione,
 prevenzione ed intervento, ferme restando - per quel che ci interessa
 -  (le  attribuzioni  e  le  competenze  delle  regioni coperte dalla
 garanzia costituzionale ex artt. 117, 118 e 119  della  Costituzione.
 Ma  vi  e'  di  piu'.  Infatti,  come si evince anche dal testo della
 sentenza sopracitata, una delle grandi novita' contenute nella  legge
 n. 225/1992 - una legge-quadro, lo ricordiamo, di riforma dell'intero
 sistema  di protezione civile, definitivamente approvata dopo anni ed
 anni  di  elaborazione  concettuale  e  dopo   un   tormentato   iter
 procedurale  che  ha,  fra le altre cose, portato il Presidente della
 Repubblica a far uso del suo potere di rinvio alle Camere ex art.  74
 della  Costituzione  -  e'  stata  proprio  quella  di riconoscere le
 esigenze di decentramento insite  in  un'attivita'  per  molti  versi
 complessa  quale  quella del servizio di protezione civile. Colmando,
 percio', le lacune presenti, in tal senso, nella normativa precedente
 - facente capo alla legge 8 dicembre 1970,  n.  996,  e  al  relativo
 regolamento di esecuzione d.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66 - la legge n.
 225/l992  prevede  all'art.  6, primo comma, che all'attuazione delle
 attivita' di protezione civile provvedano, oltre alle amministrazioni
 statali, anche le regioni, le  province,  i  comuni  e  le  comunita'
 montane   ("secondo   i   rispettivi   ordinamenti  e  le  rispettive
 competenze") ed ha persino ritagliato un proprio spazio ed un proprio
 ruolo - quello del "concorso" alle attivita' in oggetto  -  non  solo
 agli  enti pubblici, agli istituti e ai gruppi di ricerca scientifica
 con finalita' di protezione civile  e  a  ogni  altra  istituzione  e
 organizzazione  anche  privata,  ma persino ai "cittadini ed i gruppi
 associati di volontariato civile, nonche' gli  ordini  ed  i  collegi
 professionali"  (art.  6, secondo comma).   Passando ad analizzare la
 normativa concernente le competenze riservate alle Regioni in materia
 di protezione civile, l'art. 12 della legge n. 225/l992 stabilisce al
 primo  comma  che  le  regioni   partecipano   all'organizzazione   e
 all'attuazione  della  attivita' di protezione civile - suddivise, ai
 sensi dell'art. 3 della medesima legge, in attivita'  di  previsione,
 di  prevenzione  e  di  soccorso  -  "assicurando,  nei  limiti delle
 competenze proprie o delegate dallo Stato e nel rispetto dei principi
 stabiliti dalla presente legge, lo  svolgimento  delle  attivita'  di
 protezione  civile";  lo  stesso art. 12, poi, al primo comma prevede
 che "le regioni, nell'ambito  delle  competenze  ad  esse  attribuite
 dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, provvedono alla predisposizione ed
 attuazione  dei  programmi  regionali  di previsione e prevenzione in
 armonia con le indicazioni dei programmi nazionali" di previsione, di
 prevenzione e di soccorso.  Dopo aver specificato al terzo comma  che
 "per  le  finalita'  di  cui  al  primo  e  secondo  comma le regioni
 provvedono all'ordinamento degli uffici  ed  all'approntamento  delle
 strutture e dei mezzi necessari per l'espletamento delle attivita' di
 protezione  civile,  avvalendosi di un apposito comitato regionale di
 protezione civile", il piu' volte citato art. 12 conclude  al  quarto
 comma  affermando che "le disposizioni contenute nella presente legge
 costituiscono principi  della  legislazione  statale  in  materia  di
 attivita'   regionale   di  previsione,  prevenzione  e  soccorso  di
 protezione civile, cui dovranno conformarsi  le  leggi  regionali  in
 materia".    Una  volta  chiarito  il quadro di riferimento normativo
 contenuto   nella   legge   n.   225/1992   -   anche    alla    luce
 dell'interpretazione svolta al riguardo dalla sopracitata sentenza n.
 418/1992  di  codesta  ecc.ma Corte - il punto focale della questione
 che qui viene a rilievo consiste nel verificare se, nella fattispecie
 in esame, il Governo, avendo dichiarato con l'impugnato  d.P.C.M.  lo
 stato  di  emergenza  ai  sensi dell'art. 5, primo comma, della legge
 225/1992 (ammesso, per mera ipotesi, che tale provvedimento sia stato
 legittimamente adottato),  abbia  rispettato,  nell'emanazione  della
 parimenti   impugnata  ordinanza  P.C.M.  8  novembre  1994,  sia  le
 attribuzioni    costituzionali    della   regione,   sia   il   ruolo
 specificamente attribuito  alla  regione  in  materia  di  protezione
 civile dagli artt. 6 e 12 della medesima legge n. 225/1992.
    Si  badi: e' lo stesso art. 5, secondo comma, della citata legge a
 spingere verso una siffatta impostazione del  problema,  dal  momento
 che  nella  sua formulazione letterale esso recita: "Per l'attuazione
 degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione  di  cui
 al  primo  comma,  si  provvede,  nel quadro di guanto previsto dagli
 artt. 12, 13, 14, 15 e 16 anche a mezzo di  ordinanze  in  deroga  ad
 ogni  disposizione  vigente,  e  nel  rispetto  dei principi generali
 dell'ordinamento giuridico.   Nel fondare il  potere  governativo  (e
 commissariale,  qualora si proceda alla nomina di commissari delegati
 ex art. 5, quarto comma, della legge n. 225/1992) di ordinanza extra-
 ordinem, e' quindi, la medesima legge che, al tempo stesso, fa  salvi
 sia  le  competenze  attribuite  dall'art. 12 alle regioni in tema di
 protezione  civile,  sia   i   principi   generali   dell'ordinamento
 giuridico,  fra  i  quali  vi e', senza dubbio, la ripartizione delle
 funzioni fra Stato e regioni cosi' come configurata dagli artt.  117,
 118 e 119 della Costituzione.
    2.2.  - Le attribuzioni costituzionali della regione Puglia incise
 dall'impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 ..
    Anche con  riferimento  al  contenuto  dell'ord.  P.C.M.,  bisogna
 purtroppo  rilevare  come il Governo abbia abusato dei propri poteri,
 superando largamente i limiti fissati dalla legge n.  225/1992.  Cio'
 risulta  da  tutte le disposizioni di legge - statali e, soprattutto,
 regionali - che riguardano le attribuzioni della regione Puglia, alle
 quali il commissario delegato puo' derogare,  ai  sensi  dell'art.  2
 dell'ordinanza in questione.
    2.2.  a.    ..  con  riferimento  alla  legge  n.  142/1990 e alle
 corrispettive  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla  regione
 Puglia ai sensi degli artt. 117, 118, primo e terzo comma, 129, primo
 comma,  e 133 della Costituzione, nonche' degli artt. 3, 18, 19, 63 e
 64 dello statuto della regione Puglia.
    L'elenco di tali disposizioni di  legge  inizia  con  la  legge  8
 giugno  1990,  n. 142 ("Ordinamento delle autonomie locali"), e cioe'
 proprio con quella legge -  esplicitamente  richiamata  dall'art.  12
 della  legge  n.  225/1992  -  che funge da presupposto (sic|) per la
 predisposizione ed attuazione dei programmi regionali di previsione e
 di prevenzione ai fini dell'attivita' di protezione civile. Ma,  piu'
 in   generale,  bisogna  sottolineare  come,  avendo  il  commissario
 delegato il potere di derogare alla legge  n.  142/1990,  la  regione
 Puglia  sia esposta al pericolo di non poter piu' regolare i rapporti
 con gli enti locali presenti nel proprio  territorio  secondo  quanto
 stabilito  dall'art.  3  della  legge  suddetta.  Scendendo  piu'  in
 dettaglio, va osservato che, cosi' facendo, si revoca  in  dubbio  la
 facolta'  dell'ente regione di organizzare l'esercizio delle funzioni
 amministrative a livello locale attraverso i comuni e le  province  (
 ex  art.  3,  primo  comma);  la  funzione  di  identificazione degli
 interessi comunali e provinciali  in  rapporto  alle  caratteristiche
 della  popolazione  e  del territorio che la regione, nelle materie e
 nei  casi  previsti  dall'art.  117  della  Costituzione,  attua  con
 l'esercizio della propria potesta' legislativa (ai sensi dell'art. 3,
 secondo  comma);  la  funzione  di  disciplinare  legislativamente la
 cooperazione dei comuni e delle province tra loro  e  con  la  stessa
 regione,  al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie
 locali al  servizio  dello  sviluppo  economico,  sociale  e  civile,
 attribuita  all'ente  regione  dall'art.  3, terzo comma; la potesta'
 regionale  di   determinazione   degli   obiettivi   generali   della
 programmazione  economico-sociale  e  territoriale,  con  la connessa
 ripartizione delle risorse destinate al finanziamento  del  programma
 di  investimento  degli  enti  locali  (art.  3,  quarto  comma);  di
 stabilire con legge regionale le forme e  i  modi  di  partecipazione
 degli enti locali alla formazione dei piani e dei programmi regionali
 e  degli  altri provvedimenti della regione (art. 3, sesto comma); la
 potesta' di fissare, a mezzo di legge regionale, i criteri e le  pro-
 cedure  per la formazione e l'attuazione degli atti e degli strumenti
 della   programmazione   socio-economica   e   della   pianificazione
 territoriale   dei   comuni   e  delle  province  rilevanti  ai  fini
 dell'attuazione dei programmi regionali (art. 3, settimo comma),  con
 la  complementare  possibilita'  di  effettuare  il  raccordo di tali
 strumenti con il contenuto dei programmi regionali medesimi (art.  3,
 ottavo  comma).  Con  la  medesima legge n. 142/1990, poi, sono state
 attribuite alla regione "potesta'  programmatorie  e  propulsive  per
 promuovere  le modifiche e le fusioni dei comuni necessarie a rendere
 razionale l'assetto delle autonomie (artt. 11 e 12),  nonche'  poteri
 di  intervento  relativamente  alle  province  (art. 15) ed alle aree
 metropolitane (artt. 17, 19 e 20)" (Corte  costituzionale,  sent.  15
 luglio  199l,  n.  343,  in  Giur.  cost.    1991,  p. 2729-2730), in
 conformita' ai principi stabiliti all'art.    133,  primo  e  secondo
 comma,  della  Costituzione.   Si tratta di un insieme di prerogative
 regionali, questo, sicuramente rientrante  nelle  maglie  dell'ordito
 costituzionale  di cui agli artt. 117, 118, primo e terzo comma, 129,
 primo comma, e 133 della Costituzione, che, regolando i rapporti  fra
 regioni,  da  una  parte,  e  province  e comuni, dall'altra, assegna
 all'ente regione una "posizione di centralita'" (come si  esprime  la
 medesima  sentenza  n.    343/1991 di codesta ecc.ma Corte: loc. ult.
 cit.) nel sistema delle autonomie locali, soprattutto quale organo di
 coordinamento, programmazione e pianificazione nelle materie  di  sua
 spettanza.
    2.2 b ... in riferimento alla materia "programmazione regionale" e
 alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione
 Puglia ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, nonche' degli artt.
 2,  3,  4,  5,  11, 12, 14, 15 e 16 dello statuto regione Puglia.  Di
 "programmazione regionale", del resto, non  si  potra'  piu'  parlare
 qualora  il  commissario  delegato  faccia  uso dei poteri derogatori
 conferitigli nei confronti della l.r. Puglia  4  marzo  1975,  n.  24
 ("Procedure  ed organi della programmazione") e della l.r.  Puglia 25
 luglio 1979, n. 44 (recante modifiche ed integrazioni alla  legge  n.
 24/1975,  appena citata), approvate in attuazione (della l.r.  Puglia
 25 marzo 1974, n. 18 e, a  ben  vedere)  dell'art.  3  dello  statuto
 regionale  pugliese.  Ora,  a  parte i dubbi di costituzionalita' per
 contrasto con le normative statutarie in materia  di  programmazione,
 che  l'esercizio  di  un  potere di tal fatta potrebbe ingenerare, il
 punto  e'  che  le   regioni   sono   istituzionalmente   organi   di
 programmazione  economica  anche  a  norma dell'art. 11 del d.P.R. n.
 616/1977. Ne consegue che, almeno  per  quanto  riguarda  le  materie
 elencate  all'art.  117  della Costituzione, non si puo' inibire alla
 regione l'uso di siffatto strumento, pena la collocazione al di fuori
 dell'alveo  costituzionale  dei provvedimenti che determinino codesto
 effetto.
    2.2. c ... in riferimento alla materia "assetto  ed  utilizzazione
 del  territorio"  e  alle  corrispettive  attribuzioni costituzionali
 spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117  e  118  della
 Costituzione,  nonche'  degli  artt.  4,  6, 9, 11 e 12 dello statuto
 regione Puglia.  Passando ad un altro gruppo di materie di  interesse
 regionale,  sussumibili  sotto l'omnicomprensivo concetto di "assetto
 ed utilizzazione del territorio" -  che,  gia',  la  legge-delega  n.
 382/1975 e, poi, il d.P.R. n. 616/1977 hanno individuato come uno dei
 quattro  grandi  raggruppamenti  in  cui  suddividere  gli  ambiti di
 pertinenza regionale ex artt. 117 e 118 della Costituzione -, bisogna
 preliminarmente  affermare  che  qui  lo  straripamento  dei   poteri
 commissariali extra-ordinem assume dimenzioni macroscopiche, tanto da
 sfiorare il parossismo.
    2.2.  c.1.    ..  con specifico riferimento all'urbanistica e alle
 corrispettive  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla  regione
 Puglia ai sensi dell'art. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli
 artt.  4  e  9  dello  statuto  regione  Puglia.   Infatti, iniziando
 l'analisi in tema di  assetto  e  utilizzazione  del  territorio  col
 parlare  della  materia  urbanistica strictu sensu, bisogna rimarcare
 come il commissario delegato abbia avuto la facolta' di  deroga  alla
 legge  28  gennaio  1977,  n.  10  ("Norme  per la edificabilita' dei
 suoli") e successive modificazioni ed integrazioni:  tale  normativa,
 stabilendo  il  principio  della concessione edilizia in sostituzione
 della licenza, ha demandato alle regioni di  determinare  i  relativi
 oneri  sulla base dei costi di urbanizzazione e di costruzione (artt.
 5, primo comma, 6, primo comma e  8  secondo  comma),  correlando  le
 concessioni stesse agli strumenti urbanistici da attuare gradualmente
 attraverso   programmi  pluriennali  di  attuazione,  la  cui  stessa
 formazione rientra nelle competenze delle  regioni  (art.  13,  terzo
 comma).  La  lesione  dei  poteri  costituzionalmente attribuiti alle
 regioni, in  tal  caso,  risulta  ictu  oculi  evidente  sol  che  si
 consideri  l'art.  117 della Costituzione, che annovera espressamente
 fra le materie riservate alle regioni, quella urbanistica: materia in
 cui le funzioni amministrative statali  sono  state  trasferite  alle
 regioni a statuto ordinario, prima, con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n.
 8,  e, poi, piu' estensivamente, con il d.P.R. n. 616/1977 (art. 80 e
 segg.).   Che, in  tale  ambito,  il  commissario  governativo  possa
 soffocare  completamente  l'attivita' dell'ente regione e' dimostrato
 dal fatto che, fra le disposizioni di legge soggette  al  suo  potere
 derogatorio   di   ordinanza,  e'  stata  inserita  anche  la  "Legge
 urbanistica" (legge 17 agosto 1942, n. 1150) cosi' come modificata ed
 integrata dalla normativa successiva, in larga parte dedicata al  suo
 adeguamento  alla  realta'  delle autonomie locali: ebbene, in virtu'
 del sopracitato d.P.R. n. 8/1972 (rectius:  a  partire  da  esso)  la
 formazione  dei  piani  territoriali  di  coordinamento (che hanno la
 funzione di indirizzare armonicamente  gli  insediamenti  nell'intero
 territorio regionale), previsti all'art. 5 della "Legge urbanistica",
 spetta  ora  alle  regioni.  Cio'  vale,  d'altro  canto,  anche  per
 l'approvazione dei piani regolatori  generali  -  comunali  e  inter-
 comunali   -  (artt.  7-12  della  "Legge  urbanistica"),  dei  piani
 regolatori particolareggiati (artt.  13-17 della "Legge urbanistica")
 e  dei  programmi  di  fabbricazione  (artt.   34-36   della   "Legge
 urbanistica")  di competenza comunale, affidata alla giunta regionale
 al  fine  di  controllare  che  tali  strumenti   di   pianificazione
 urbanistica   rispettino   non   solo   il   piano   territoriale  di
 coordinamento (v. supra), ma anche il piano  territoriale  paesistico
 (di competenza regionale, per delega conferitane da parte dello Stato
 tramite  l'art.  82  del  d.P.R. n.   616/1977) e dei piani di bacino
 (introdotti dalla legge n. 183/1989, alla cui formazione  partecipano
 -  e,  per  quanto  riguarda  quelli  di  interesse  regionale,  sono
 direttamente preposte - le regioni), per poi valutarne la conformita'
 agli interessi regionali.  Bisognera' vedere, quindi, se in  concreto
 la  regione Puglia potra' esercitare tali importanti funzioni durante
 la gestione commissariale impostale. Il dubbio in  proposito  risulta
 piu' che legittimo, anche perche' al commissario governativo e' stato
 attribuito  anche il potere di derogare il d-l. 23 gennaio 1982, n. 9
 ("Norme per l'edilizia  residenziale  e  provvidenze  in  materia  di
 sfratti"),  convertito,  con modificazioni dalla legge 25 marzo 1982,
 n. 94,  e  il  d.-l.  5  ottobre  1993,  n.  398  ("Disposizioni  per
 l'accelerazione degli investimenti a sostegno della occupazione e per
 la   semplificazione   dei   procedimenti   in   materia  edilizia"),
 convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993,  n.  493.
 Il  primo,  ad esempio, prevede all'art. 6 che spetta alla regione il
 compito di decidere quali comuni con popolazione inferiore  a  10.000
 abitanti  debbano  predisporre  i programmi pluriennali di attuazione
 per  l'edilizia  residenziale;  il  secondo,   sempre   ad   esempio,
 stabilisce  all'art.  4 che si applicano le procedure per il rilascio
 delle concessioni edilizie previste dal medesimo articolo "in assenza
 di legislazione regionale". Il dubbio  di  cui  sopra,  poi,  diventa
 praticamente  una  certezza  quando  si viene a scoprire che l'intera
 l.r. Puglia 31 maggio 1980, n. 56, e' soggetta alla spada di  Damocle
 costituita  dal potere derogatorio commissariale: infatti, la l.r. n.
 56/1980 - recante la denominazione "Tutela ed uso del  territorio"  -
 disciplina in maniera sistematica "gli strumenti della pianificazione
 urbanistica,  le forme del controllo sostitutivo, nonche' l'esercizio
 delle relative funzioni amministrative" (art. 1) a livello  regionale
 e sub-regionale. Inoltre, come se tutto cio' non bastasse, il Governo
 ha  ricompreso  fra  le  norme  derogande  anche  la  l.r.  Puglia 11
 settembre 1986, n. 19 ("Disciplina  urbanistica  per  la  costruzione
 delle  serre").    I  fatti, a questo punto, parlano da soli: si vuol
 dire, cioe', che l'estensione dei poteri commissariali  extra-ordinem
 in  materia  urbanistica e' talmente accentuata da far pensare ad una
 espropriazione completa delle funzioni che la regione Puglia esercita
 (rectius:  deve  esercitare,  ex  art.  117  della  Costituzione)   a
 tutt'oggi in questo campo.
    2.2.  c.2.    ..  con specifico riferimento alla tutela ambientale
 (paesaggistica)  e  alle  corrispettive  attribuzioni  costituzionali
 spettanti  alla  regione  Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della
 Costituzione, nonche' degli artt. 4, 11 e 12  dello  statuto  regione
 Puglia.    Sempre  rimanendo  in  tema di assetto e utilizzazione del
 territorio, ma spostando il campo di osservazione dal punto di  vista
 della  tutela  ambientale, bisogna in primo luogo riferire come anche
 le procedure di cui all'art. 6 della legge  8  luglio  1986,  n.  349
 ("Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno
 ambientale")  siano  incorse  nel  pericolo  di  deroga  a  mezzo  di
 ordinanze commissariali e che percio', anche in tal caso, ci si  deve
 lamentare della situazione che ne deriva. Infatti, la disposizione di
 legge  in  questione,  per  la  parte  che  qui  interessa,  prevede:
 l'individuazione delle norme tecniche e delle categorie di opere  che
 sono  in  grado di produrre rilevanti modificazioni dell'ambiente; la
 sua effettuazione da parte del Governo; la comunicazione, prima della
 loro approvazione, al Ministro per l'ambiente, al Ministro per i beni
 culturali e alla regione territorialmente  interessata  dei  progetti
 aventi   ad   oggetto   l'indicazione   della   localizzazione  degli
 interventi, la specificazione dei rifiuti  liquidi  e  solidi,  delle
 emissioni  ed  immissioni  inquinanti nell'atmosfera, delle emissioni
 sonore  prodotte  dall'opera,  la  descrizione  dei  dispositivi   di
 eliminazione  o  di  recupero  dei  danni  all'ambiente ed i piani di
 prevenzione e monitoraggio ambientale; l'attribuzione della pronuncia
 sulla  compatibilita'  ambientale  dei  progetti  al   Ministro   per
 l'ambiente,  sentite  le  regioni  interessate,  di  concerto  con il
 Ministro dei beni culturali e ambientali.   Ebbene,  considerando  il
 fatto  che  nell'ordinanza impugnata si eccettuano, in riferimento al
 potere di deroga commissariale,  "le  attribuzioni  ed  i  pareri  di
 competenza  del  Ministero  per  i  beni  culturali e ambientali", e'
 chiaro come ci si trovi di fronte al tentativo - lo si deduce in  via
 residuale   -   di   escludere   la  regione  Puglia  dalla  doverosa
 partecipazione alle  procedure  suddette.    Doverosa  partecipazione
 regionale  che  aveva indotto codesta ecc.ma Corte, nella sentenza 28
 maggio 1987, n. 210 (in Giur. cost.  1987,  p.    1590  e  segg.),  a
 dichiarare  infondata  la  questione di costituzionalita' dell'art. 6
 della legge n. 349/1986. Ed infatti, una delle questioni discusse  in
 tale  pronuncia  era  costituita  dall'ampiezza dei poteri attribuiti
 allo Stato nella valutazione di impatto ambientale. Ebbene,  in  tale
 decisione  essi  erano stati giustificati alla luce della funzione di
 indirizzo e coordinamento e,  quindi,  in  un'ottica  sostanzialmente
 rispettosa   -   per  quel  che  direttamente  ci  riguarda  -  delle
 attribuzioni che l'art. 117 della Costituzione riserva  alle  regioni
 in  materia  di  tutela dell'ambiente.   Ma, vero questo, e' altresi'
 chiaro come nella fattispecie di cui e'  causa  cio'  tale  principio
 verrebbe   platealmente  contraddetto.    L'art.  2  della  impugnata
 ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 prosegue la sua opera di demolizione
 delle prerogative regionali in tema di tutela ambientale prefigurando
 la  possibilita'  di  derogare  la  "legge   della   regione   Puglia
 concernente  il piano regionale delle aree regionali protette". Viene
 qui in questione,  oltre  alla  l.r.  Puglia  21  marzo  1977,  n.  8
 ("Istituzione  delle  riserve  naturali"), la l.r.   Puglia 11 maggio
 1990,  n.  30,  che,  fino  all'approvazione  del  piano  urbanistico
 territoriale   tematico   -  elemento  di  specificazione  del  piano
 urbanistico territoriale, entrambi  previsti  dalla  gia'  citata  (e
 parimenti  deroganda)  l.r.  Puglia  n.  56/1980  - detta, cosi' come
 recita il suo titolo, le "Norme transitorie di tutela delle  aree  di
 particolare  interesse  ambientale paesaggistico".  Si tratta, in tal
 caso, di funzioni regionali in parte delegate dallo Stato  (art.  82,
 primo  comma, del d.P.R.  n. 616/1977: "Sono delegate alle regioni le
 funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici
 dello Stato per la protezione  delle  bellezze  naturali  per  quanto
 attiene  alla  loro  individuazione, alla loro tutela e alle relative
 sanzioni") e in parte proprie (art. 83, primo comma,  del  d.P.R.  n.
 616/1977:  "Sono  trasferite  alle regioni le funzioni amministrative
 concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve
 ed i parchi naturali"), e per la maggior parte rientranti nell'ambito
 della   materia  dell'"assetto  ed  uso  del  territorio"  e  percio'
 riconducibili nell'alveo dell'art. 117 della  Costituzione.  Cio'  e'
 stato   reso  possibile  tramite  un'interpretazione  elastica  della
 materia urbanistica -  sistematicamente  correlata  alle  altre  voci
 contenute nel suddetto art. 117 della Costituzione - recepita, prima,
 dal  d.P.R.  n. 616/1977 e, poi, di conseguenza, dalla giurisprudenza
 di codesta ecc.ma Corte.  La quale, da una parte, ha  stabilito  come
 la  nozione  di  urbanistica  comprenda tutto cio' che concerne l'uso
 dell'intero territorio (e non solo degli aggregati  urbani)  ai  fini
 della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere
 con  le  relative  infrastrutture  e,  dall'altra,  ha  precisato che
 appartiene  alla  competenza  regionale  l'istituzione   di   riserve
 naturali  infraregionali (v. risp. Corte costituzionale, sentenze nn.
 239/1982 e 223/1984).
    2.2. c.3.   .. con specifico riferimento  alla  tutela  ambientale
 (smaltimento    rifiuti)    e    alle    corrispettive   attribuzioni
 costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117
 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4  e  6  dello  statuto
 regione  Puglia.    Lo  stesso  discorso  vale,  poi, per la tematica
 ambientale specificamente affrontata sotto il punto  di  vista  della
 tutela   dell'inquinamento.      Inizieremo   l'analisi  in  tema  di
 inquinamento con la sottomateria dello smaltimento  dei  rifiuti:  in
 tale  prospettiva bisogna rilevare come il commissario delegato possa
 agire in deroga non solo, in via generale,  al  d.P.R.  10  settembre
 1982, n. 915 ("Attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai
 rifiuti,  n. 76/403 relative allo smaltimento dei policiclorodifenili
 e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai  rifiuti  tossici  e
 nocivi"),  al  d.-l. 26 gennaio 1987, n. 10 ("Disposizioni urgenti in
 materia di scarichi dei frantoi oleari"), al d.-l. 31 agosto 1987, n.
 361 ("Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti")  -
 convertito,  con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n. 44 -,
 al d.-l. 9 settembre 1988, n.  397 ("Disposizioni urgenti in  materia
 di   smaltimento   dei   rifiuti   industriali")  -  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475 -, e, cioe',  alla
 normativa  statale  attributiva  (nella  materia  in  esame) di vaste
 competenze alle regioni, soprattutto nella loro qualita' di  enti  di
 pianificazione,  programmazione  e  controllo (v. rispettivamente gli
 artt. 6 del d.P.R. n. 915/1982; 5 del d.-l.  n. 10/1987; 1- bis ,  1-
 ter,  2,  3,  3-  bis,  4 e 5 del d.-l. n.  361/1987; 2, 3, 5 e 7 del
 d.-l. n. 397/1988), ma anche, in concreto, alla "legge della  regione
 Puglia  (3  ottobre  1986, n. 30) concernente il piano di smaltimento
 dei rifiuti", raccordato (ai sensi dell'art. 3,  terzo  comma,  della
 medesima  l.r.  Puglia n.  30/1986) al Piano regionale di risanamento
 delle acque previsto dalla l.r. Puglia - parimenti deroganda, come si
 dira' piu' avanti - 19 dicembre 1983, n. 24  ("Tutela  ed  uso  delle
 risorse  idriche  e risanamento delle acque in Puglia").  Ma vi e' di
 piu': l'art. 2 dell'impugnata  ordinanza  richiama  nominatim,  quale
 suscettibile  di  deroga,  tutta  la  normativa  regionale in tema di
 smaltimento dei rifiuti: oltre alla citata l.r. Puglia  n.    30/1986
 (si  tratta,  infatti,  di  una ripetizione, essendo questa la "legge
 della regione Puglia concernente il piano di smaltimento dei rifiuti"
 di cui si e' discusso poc'anzi), il Governo ha incluso, tra le  norme
 derogande,  la  l.r.  Puglia 18 agosto 1973, n. 21 ("Contributi della
 regione a comuni e consorzi di comuni per gli impianti di smaltimento
 di rifiuti solidi urbani"), la l.r. Puglia  13  agosto  1993,  n.  17
 ("Organizzazione  dei  servizi  di  smaltimento  rifiuti urbani"), il
 regolamento regione Puglia 20 febbraio 1988, n. 1 ("Disciplina  degli
 impianti   di   smaltimento  sul  suolo  di  insediamenti  civili  di
 consistenza inferiore a 50  vani  o  5000  mc  e  degli  insediamenti
 turistici  non  allacciati  alla  pubblica fognatura", il regolamento
 regione Puglia 3 novembre 1989,  n.  4  ("Disciplina  degli  impianti
 provvisori  di  smaltimento sul suolo di nuovi insediamenti civili di
 consistenza inferiore a 50 vani o 5000 mc nei comuni o nelle aree ur-
 bane non ancora serviti  da  pubbliche  fognature"),  il  regolamento
 regionale   3  novembre  1989,  n.  5  ("Disciplina  delle  pubbliche
 fognature") e la delibera del consiglio regionale pugliese 29  luglio
 1987,  n.  583  ("Regolamento  regionale di disciplina degli scarichi
 idrici provenienti dalla lavorazione di trasformazione delle olive").
 A  tal  riguardo,  bisogna  mettere  in  rilievo  il  fatto  che   lo
 smaltimento  dei  rifiuti  sicuramente rientra nelle materie previste
 all'art. 117 della Costituzione, soprattutto in riferimento a  quanto
 stabilito all'art. 101 del piu' volte citato d.P.R. n. 616/1977: tale
 opinione, tra l'altro, e' pressoche' scontata nella giurisprudenza di
 codesta  ecc.ma Corte (v., ad esempio, Corte costituzionale, sentenze
 nn. 192/1987 e 324/1989).
    2.2. c.4.   .. con specifico riferimento  alla  tutela  ambientale
 (inquinamento   delle   acque)   e  alle  corrispettive  attribuzioni
 costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117
 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4  e  6  dello  statuto
 regione   Puglia.      Anche   in   tema   di   tutela   delle  acque
 dall'inquinamento,  il  commissario  delegato  e'  stato  dotato   di
 amplissimi poteri di deroga dell'ordinamento vigente, tali da mettere
 a  rischio,  pure  in  tal  caso  -  e per quel che ci riguarda -, le
 competenze attribuite alla regione Puglia nella suddetta materia.  In
 tale ambito, la normativa statale soggetta a deroga e'  la  seguente:
 legge  10  maggio  1976,  n.  319  ("Norme  per la tutela delle acque
 dall'inquinamento") e successive modifiche ed integrazioni; d.P.R.  3
 luglio  1982,  n.  515  ("Attuazione della direttiva (CEE) n.  75/440
 concernente la  qualita'  delle  acque  superficiali  destinate  alla
 produzione  di  acqua  potabile");  d.P.R.  24  maggio  1988,  n. 236
 ("Attuazione della direttiva CEE n. 80/778  concernente  la  qualita'
 delle  acque  destinate al consumo umano, ai sensi dell'art. 15 della
 legge 10 aprile 1987, n. 183"); d.-l. 5 febbraio 1990, n. 16 ("Misure
 urgenti  per  il  miglioramento  qualitativo  e  per  la  prevenzione
 dell'inquinamento  delle  acque");  d.lgs.  12  luglio  1993,  n. 275
 ("Riordino in materia di concessione di  acque  pubbliche";  legge  5
 gennaio 1994, n. 36 ("Disposizioni in materia di risorse idriche") e,
 con  formula  alquanto  generica,  "tutta  la  normativa  statale  ..
 concernente i piani nazionali e  regionali  acquedottistici".    Tale
 corpo  normativo  configura  un complesso intreccio di competenze fra
 Stato e regioni, rispettando pero' i  criteri  (gia'  adottati  dalla
 sopracitata  legge n. 319/1976) stabiliti nel d.P.R. n.  616/1977 nel
 trasferire a quest'ultime le funzioni  statali  in  materia.  Secondo
 questi  criteri,  sono cosi' riservate alle amministrazioni regionali
 "la disciplina degli scarichi e la programmazione degli interventi di
 conservazione e depurazione delle acque e di smaltimento dei  rifiuti
 liquidi  e  idrosolubili",  nonche'  "la  tutela dell'inquinamento ..
 idrico da impianti termici e industriali e da qualunque altra  fonte,
 con  esclusione  di quello prodotto da scarichi veicolari" (art. 101,
 secondo comma, del d.P.R.   616/1977, rispettivamente  lettere  a)  e
 c)).    Il Governo, pero', non si e' accontentato di neutralizzare la
 vigenza di codesta normativa statale, ma ha  altresi'  sottoposto  al
 potere  di  ordinanza commissariale anche la corrispondente normativa
 regionale, quale contenuta nella l.r. Puglia 19 dicembre 1983, n.  24
 ("Tutela  ed  uso  delle risorse idriche e risanamento delle acque in
 Puglia", nella l.r. Puglia 23 marzo 1993, n. 5  -  recante  modifiche
 alla  medesima l.r. n. 24/1983 - e, piu' in generale, nella normativa
 regionale concernente i piani regionali acquedottistici  (oltre  alle
 leggi regionali citate in precedenza vengono qui in questione la l.r.
 Puglia  n.  17/1984,  la  l.r.  Puglia  n. 3/1985 e la l.r. Puglia n.
 3/1986).  La situazione che ne deriva e' palesemente  illegittima,  e
 cio'  risulta  chiaro alla luce del fatto che la competenza regionale
 nella materia ora in esame si fonda sicuramente sul dettato normativo
 dell'art. 117  della  Costituzione,  data  l'esistenza  di  un  certo
 collegamento  funzionale  che  intercorre  fra  la  submateria  degli
 inquinamenti e i settori dell'urbanistica e dell'assistenza sanitaria
 - come, d'altronde, e' stato messo  in  evidenza  da  codesta  ecc.ma
 Corte:  sentenze  n. 225/1983 e 183/1987 -, espressamente contemplate
 dall'articolo della Costituzione cui si sta facendo riferimento.
   2.2. c.5.  .. con specifico riferimento alle risorse idriche e alle
 corrispettive  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla  regione
 Puglia  ai  sensi  degli  artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche'
 degli artt. 4, 11 e 12 dello statuto regione Puglia.
    Il fatto dell'assoggettamento a deroga commissariale di  tutta  la
 normativa - statale e regionale - (richiamata al paragrafo precedente
 rileva  anche  sotto  un  altro  punto  di  vista:  ed infatti, cosi'
 disponendosi, si mette a repentaglio quanto  stabilito  dall'art.  90
 del  piu'  volte  citato  d.P.R.  n.  616/1977, secondo cui "tutte le
 funzioni relative  alla  tutela,  disciplina  e  utilizzazione  delle
 risorse  idriche,  con esclusione delle funzioni riservate allo Stato
 dal successivo  articolo,  sono  delegate  alle  regioni  .."  (primo
 comma).    Prevenendo  una possibile eccezione, fondata sul fatto che
 qui si tratterebbe di funzioni meramente delegate, che  alla  bisogna
 potrebbero  quindi  ammettere  l'avocazione  da parte dello Stato dei
 corrispettivi poteri, si rinvia a quanto sara' messo in evidenza piu'
 avanti, non senza pero' aver sottolineato che cio'  non  puo'  valere
 ne'  per  quanto riguarda le acque minerali e termali, ne' per quanto
 concerne  gli  acquedotti:  si  tratta,  infatti,   di   materie   di
 attribuzione  regionale di tipo proprio, ai sensi dell'art. 117 della
 Costituzione.
    2.2. d ... in  riferimento  alla  materia  "lavori  pubblici"  (ed
 espropriazioni)  e  alle  corrispettive  attribuzioni  costituzionali
 spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117  e  118  della
 Costituzione,  nonche'  degli  artt. 4, 11 e 15 dello statuto regione
 Puglia.
    La  lesione,  in  riferimento  agli  artt.   117   e   118   della
 Costituzione,  delle competenze regionali si rileva anche in un altro
 settore di fondamentale importanza: quello delle opere e  dei  lavori
 pubblici di interesse regionale.
    Infatti,  fra  la normativa regionale soggetta a deroga si ritrova
 anche la l.r. Puglia 16 maggio  1985,  n.  27  ("Testo  unificato  ed
 aggiornato   di   leggi  regionali  in  materia  di  opere  e  lavori
 pubblici"), che all'art. 2 ricomprende, fra le  opere  di  competenza
 della  regione: il demanio e il patrimonio regionale; gli immobili di
 proprieta' non regionale in uso sia pure temporaneo alla regione;  le
 strade  e  le ferrovie classificate regionali; gli interventi urgenti
 ed  indifferibili  a  tutela  della  pubblica  incolumita',  che  non
 rientrino  nella competenza primaria degli enti locali e dello Stato;
 le opere idrauliche irrigue e di bonifica; le opere  di  sistemazione
 montana;  i  porti  di  seconda categoria, secondo e terza classe; la
 costruzione, ricostruzione, ristrutturazione, riparazione di  edifici
 di culto e delle opere annesse, destinate all'esercizio dello stesso;
 le  opere  di  difesa,  di  consolidamento  e  di trasferimento degli
 abitati inclusi negli elenchi approvati dal Consiglio  regionale;  le
 opere  classificate  regionali  o  di  rilevanza regionale, con legge
 regionale; i lavori di ricostruzione,  ristrutturazione,  riparazione
 di  opere  pubbliche  di  competenza  della  regione,  danneggiate da
 calamita' naturali.  Anche qui, come al solito, si rischia  di  porre
 nel  nulla  il  dettato  normativo  degli  articoli  117  e 118 della
 Costituzione, come attuato dal d.P.R. n. 616/1977,  che,  trasferendo
 le  funzioni  statali alle regioni per la parte di loro spettanza, ha
 significativamente esteso le competenze regionali in tema  di  lavori
 pubblici  rispetto  a  quanto  gia'  stabilito  col  primo decreto di
 trasferimento (il d.P.R.  n. 8/1972). Ai sensi  dell'art.  87,  primo
 comma,  del  citato  d.P.R.  n.    616/1977,  infatti,  "le  funzioni
 amministrative relative alla materia 'viabilita', acquedotti e lavori
 pubblici di interesse regionale', concernono: le  strade  e  la  loro
 classificazione,  escluse  le  strade  statali  e  le autostrade; gli
 acquedotti di interesse regionale; le opere  pubbliche  di  qualsiasi
 natura,  anche di edilizia residenziale pubblica, che si eseguono nel
 territorio di una regione". A norma dell'art. 89,  primo  comma,  del
 medesimo d.P.R. n. 616/1977, poi, "tutte le opere idrauliche relative
 ai   bacini  idrografici  non  interregionali  sono  trasferite  alle
 regioni".  Merita percio' di essere considerato  che  il  commissario
 delegato  ha  avuto  altresi'  il potere complementare di derogare le
 normative statali e regionali in  materia  di  espropriazioni.  Sotto
 questo punto di vista, la normativa regionale che viene a rilievo, in
 quanto  soggetta  al  potere  di deroga commissariale, e' soprattutto
 l'art. 39 della sopracitata l.r. Puglia n. 27/1985, a norma del quale
 il presidente della giunta regionale "esercita le  funzioni  comunque
 attribuite  alla  regione  in  materia  di  dichiarazione di pubblica
 utilita' delle opere e di urgenza e di indifferibilita'  dei  lavori,
 quali  che siano le opere ed i soggetti interessati" (primo comma) ed
 "esercita  altresi'  le  funzioni   amministrative   in   ordine   ai
 procedimenti espropriativi, ivi comprese le occupazioni temporanee di
 urgenza,  le  determinazioni  delle  indennita',  le  retrocessioni e
 provvede ai relativi atti preparatori  e  successivi,  per  tutte  le
 opere  di  competenza  regionale  e  per  quelle  non ricadenti nella
 delega" ai comuni e alle province di cui all'art. 40  della  medesima
 legge  (secondo  comma).  In  riferimento a cio', si ricordi che tale
 normativa e' del tutto conforme rispetto a quanto stabilito  all'art.
 106 del d.P.R. n. 616/1977, che, ricomprendendo espressamente "tra le
 funzioni  amministrative  trasferite  o  delegate  alle regioni nelle
 materie indicate dal presente  decreto  anche  quelle  concernenti  i
 procedimenti    di   espropriazione   per   pubblica   utilita',   le
 dichiarazioni  di  indifferibilita'  ed  urgenza  dei  lavori  e   le
 occupazioni  temporanee  e  d'urgenza"  (primo comma), ha superato le
 restrittive interpretazioni che la  normativa  precedente  -  facente
 capo al d.P.R. n. 8/1972 - aveva in vario senso ricevuto, aggiungendo
 in   modo   esplicito   che   sono   riservate  allo  Stato  le  sole
 espropriazioni relative alle opere pubbliche "la cui esecuzione e' di
 sua spettanza" (secondo comma).  Ne', a tal riguardo, potrebbe essere
 obiettato che e' proprio il d.P.R. n. 616/1977 a prevedere  che  allo
 Stato  compete  la  titolarita'  degli "interventi straordinari nelle
 opere di soccorso relative a calamita' di  estensione  e  di  entita'
 particolarmente   gravi,   nei   casi  in  cui  si  operi  in  regime
 commissariale ai sensi della legge sulla protezione civile" (art. 88,
 n. 9). Anche a prescindere dalla considerazione secondo cui, nel caso
 di cui ci si  occupa  non  ricorrevano  gli  estremi  (vale  a  dire:
 calamita'  di  estensione  e  di  entita'  particolarmente gravi) per
 sottoporre la regione Puglia a  regime  commissariale  (v.  supra  il
 primo  motivo), va comunque ricordato che la normativa di riferimento
 in materia di protezione civile, all'epoca dell'emanazione del d.P.R.
 n. 616/1977, era  la  (ben  diversa)  legge  n.  996/1970.  Oggi,  la
 situazione  e'  radicalmente  cambiata.  Si vuol ribadire - ripetendo
 sinteticamente quanto gia' evidenziato sub par. 2.1. -  che,  con  la
 legge   n.   225/1992,  il  Parlamento,  profondamente  innovando  la
 precedente normativa, ha  inteso  preservare  le  attribuzioni  e  le
 competenze  regionali  -  tanto  quelle  istituzionali, quanto quelle
 specifiche in tema  di  protezione  civile,  definite  proprio  dalla
 medesima  legge  n.  225/1992  -  anche  nelle ipotesi nelle quali la
 natura  e  l'estensione  degli  interventi   di   protezione   civile
 richiedano  la  nomina  di  un  commissario straordinario. E, allora,
 chiaro che il suddetto art. 88, n. 9, del d.P.R.  n.  616/1977  debba
 ora  essere  interpretato  in  senso  riduttivo,  relazionandolo alla
 normativa nel frattempo intervenuta.
    2.2. e ... in riferimento alla materia  "assistenza  sanitaria  ed
 ospedaliera"   e   alle   corrispettive  attribuzioni  costituzionali
 spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117  e  118  della
 Costituzione, nonche' dell'art. 6 dello statuto regione Puglia.
    L'art.  2  dell'impugnata ordinanza conclude - per cosi' dire - il
 suo disegno ablativo dei poteri della regione Puglia,  conferendo  al
 commissario  delegato  la facolta' di emanare provvedimenti in deroga
 anche al r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 ("Approvazione del testo  unico
 delle  leggi  sanitarie")  e  successive  modifiche  ed integrazioni.
 Considerando che fra le modifiche ed integrazioni  al  regio  decreto
 suddetto  vi e' anche la legge 23 dicembre 1978, n. 833 ("Istituzione
 del servizio sanitario nazionale")  e'  allora  chiaro  come  si  sia
 voluto  (surrettiziamente)  incidere  sulle competenze riservate alle
 regioni  in  materia  di   assistenza   sanitaria   ed   ospedaliera,
 espressamente  contemplata  all'art.  117  della  Costituzione.    La
 sopracitata legge n. 833/1978, infatti, ha conferito alle regioni non
 solo  diverse  funzioni  legislative  e   programmatorie,   orientate
 soprattutto alla regolamentazione dell'organizzazione, della gestione
 e  del  funzionamento delle allora istituende unita' sanitarie locali
 (v. gli artt. 11, 15, nono comma, 50 e 55  della  citata  legge),  ma
 anche  una  serie  di poteri amministrativi, sia in tema di personale
 sanitario (art. 15, nono comma, n.  4),  sia  tendenti  a  realizzare
 l'obiettivo  di eliminare gli squilibri esistenti nei servizi e nelle
 prestazioni  nel  territorio  regionale  (art.  55,   primo   comma).
 Potesta',  queste,  che  la  normativa successivamente sopravvenuta -
 parimenti soggetta a deroga commissariale - ha ulteriormente  esteso,
 dotando  altresi'  le  regioni  del  potere  di esercitare penetranti
 controlli sulle uu.ss.ll., con l'obbligo di avocare a se' le funzioni
 a quest'ultime spettanti in caso di inadempienze o ritardi (v. l'art.
 13, secondo comma, della legge 26 aprile 1982, n.  181  e  l'art.  1,
 nono  comma,  del  d.-l.  12 settembre 1983, n. 463, convertito nella
 legge n. 638/1983).
    2.2.  f  ...  in  riferimento  all'avviamento  al  lavoro  e  alle
 corrispettive  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla  regione
 Puglia ai sensi degli artt. 7, 14 e 16 dello statuto regione  Puglia.
 Merita  altresi'  di essere ricordato, seppur incidentalmente, che, a
 norma del medesimo art.  2  dell'ordinanza  in  questione,  anche  la
 normativa  regionale  in tema di avviamento al lavoro risulta esposta
 al potere di  deroga  commissariale.    Cosi'  facendo,  in  evidente
 contrasto  con  l'autonomia statutaria della regione Puglia garantita
 ex art. 123  della  Costituzione,  si  pongono  nel  nulla  non  solo
 l'intera  l.r.  Puglia 26 marzo 1985, n. 9 ("Interventi per agevolare
 il lavoro dei giovani e delle categorie svantaggiate"), ma  anche  le
 disposizioni di cui agli artt. 5 della l.r. Puglia 18 luglio 1974, n.
 25 ("Interventi per la tutela del patrimonio boschivo"); 8 della l.r.
 Puglia 17 aprile 1984, n. 17 ("Disposizioni finanziarie in attuazione
 del  piano  regionale  di  sviluppo");  14  e 15 della l.r. Puglia 12
 febbraio 1985, n. 3 ("Disposizioni finanziarie per il biennio 1985-86
 in attuazione del piano regionale di sviluppo"); 10 della l.r. Puglia
 19 febbraio 1986, n. 3 ("Disposizioni  finanziarie  per  il  triennio
 1986-88  in  attuazione del piano regionale di sviluppo della regione
 Puglia"); e 13 della l.r. Puglia 13 febbraio 1987, n. 6 ("Bilancio di
 previsione per l'esercizio finanziario 1987  e  bilancio  pluriennale
 1987-89   della  regione  Puglia"),  recanti  provvidenze  in  favore
 dell'occupazione, soprattutto giovanile.
    2.2. g ... in  riferimento  all'autonomia  amministrativa  e  alle
 corrispettive  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla  regione
 Puglia ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, nonche' degli artt.
 63, 64 e 67 dello statuto regione  Puglia.    L'impugnata  ordinanza,
 inoltre, ponendosi in tale circostanza in chiaro contrasto con l'art.
 118  della  Costituzione,  autorizza  il  commissario delegato, da un
 lato,  a  prorogare  i  termini  di   efficacia   dei   provvedimenti
 amministrativi  regionali  (art.  3,  primo  comma) e, dall'altro, ad
 avvalersi, nello svolgimento delle attivita' previste, del  personale
 e  delle  strutture  dell'amministrazione  regionale (art.   4, primo
 comma).
    2.2.  h  ...  in  riferimento  all'autonomia  finanziaria  e  alle
 corrispettive  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla  regione
 Puglia ai sensi dell'art. 119 della Costituzione, nonche' degli artt.
 68, 69, 70 e 71 dello statuto regione Puglia.
    2.2. h.1. (con specifico riferimento rispetto a  quanto  stabilito
 dall'art.  2  dell'impugnata ordinanza).  La (potenziale) menomazione
 dell'autonomia regionale causata dall'emanazione  dell'ordinanza  che
 qui  s'impugna,  infine, appare manifesta nel considerare che perfino
 la "legge della regione  Puglia  concernente  norme  sulle  procedure
 della  programmazione, sul bilancio e contabilita' regionale" (v., di
 nuovo,  l'art.  2  del  provvedimento in questione) rimane esposta al
 pericolo di essere derogata: si tratta della l.r.  Puglia  30  maggio
 1977,  n.  17  ("Norme  sulla  contabilita'  regionale"),  cosi' come
 coordinata con  le  successive  modifiche  ed  integrazioni.    Fermo
 restando  quanto detto in tema di programmazione ( sub par.  2.2. b.)
 - che vale anche per quanto contemplato al riguardo dalla  legge  ora
 in  esame,  il  cui  titolo  primo  e'  integralmente  dedicato  alla
 programmazione regionale -, per la parte che qui interessa  riteniamo
 di  non  dover  spendere  molte  parole,  dal momento che l'autonomia
 finanziaria delle regioni  (che  significa  soprattutto  liberta'  di
 formare  un  proprio  bilancio)  e'  garantita  in  modo non equivoco
 dall'art. 119 della Costituzione. Si vuole  soltanto  aggiungere,  in
 questo  senso,  che al commissario delegato e' stato attribuito anche
 il potere di derogare al d.lgs. 30 dicembre 1992, n.  504  ("Riordino
 della  finanza  degli  enti  territoriali,  a norma dell'art. 4 della
 legge 23  ottobre  1992,  n.  421"),  come  modificato  dall'art.  1,
 undicesimo e dodicesimo comma del d.lgs. 1 dicembre 1993, n. 528, che
 al titolo terzo disciplina i tributi riservati alle regioni.
    2.2.  h.2.  (con  specifico riferimento rispetto a quanto previsto
 dall'art. 5 dell'impugnata ordinanza).
    A dare il colpo di grazia all'autonomia finanziaria della  regione
 Puglia,  pero',  interviene  l'art.  5  dell'impugnata ordinanza, che
 assegna  al  commissario  delegato   le   risorse   finanziarie   per
 l'attuazione  degli  interventi  previsti.    Gli  effetti che qui si
 determinano sono pressoche' assurdi, dal momento che ivi si prefigura
 la situazione secondo cui, alla richiesta  della  regione  Puglia  di
 intervento  finanziario  da parte dello Stato - emanata sulla base di
 quanto accaduto in precedenti numerose occasioni a  favore  di  altre
 regioni  -,  il Governo ha risposto (sic|) con l'ablazione di risorse
 proprie della regione, gia' ad essa assegnate: a conferma del disegno
 di esautorare completamente la regione Puglia, con il suddetto art. 5
 il Governo non ha individuato risorse aggiuntive  da  assegnare  alla
 regione,  ma,  al  contrario,  ha  sottratto  alla  regione  medesima
 finanziamenti gia' programmati e finalizzati. In  tale  ambito,  poi,
 quel   che   e'   piu'   grave   e'   che   tali  finanziamenti,  pur
 legislativamente previsti, non sono stati mai materialmente assegnati
 alla regione (e agli enti locali), cosicche', a mezzo del sopracitato
 art. 5, il Governo tenta  di  ritorcere  in  danno  della  Puglia  un
 proprio  comportamento  omissivo,  dando al commissario delegato cio'
 che (in teoria) era dovuto alla regione stessa.  E' evidente la falsa
 applicazione della legge n.  225/1992  perpetrata  dal  Governo,  con
 l'impugnata  ordinanza,  ai  danni  della  regione Puglia, qualora si
 parta dal  presupposto  secondo  cui,  all'art.  19  della  legge  n.
 225/1992,  il  legislatore,  ai fini dell'attuazione degli interventi
 atti a fronteggiare le situazioni di emergenza in tema di  protezione
 civile,  prevede  l'impiego  di  risorse  finanziarie  statali  e non
 l'espropriazione di risorse finanziarie regionali. A cio' si aggiunga
 che e' radicalmente da escludere  che  il  Governo  possa  effettuare
 variazioni di bilancio (sia statale, sia - e soprattutto - regionale)
 con   un   semplice  atto  amministrativo,  occorrendo  all'uopo  uno
 specifico atto legislativo. E qui si apre il campo ad un  (ulteriore)
 dubbio  di costituzionalita' (che va ad aggiungersi a quelli trattati
 piu' avanti nel terzo motivo di ricorso), che dovrebbe  (in  ipotesi)
 investire  la  legge n. 225/1992, qualora si volesse sostenere che il
 cit.  art. 19 cio' consenta, in violazione degli artt. 81 e 119 della
 Costituzione.
    Nell'elencare le sottrazioni di risorse finanziarie  subite  dalla
 regione Puglia, seguiremo lo schema seguito dall'art. 5, primo comma,
 dell'impuganta ordinanza:
      lett.  a):  L. 24.875 milioni, assegnati pro-quota alla regione,
 di cui: L. 17.500 milioni, previsti dalla legge 4 agosto 1989, n. 283
 (di conversione del d.-l. 13 giugno  1989,  n.    227  "Provvedimenti
 urgenti  per  la  lotta  all'eutrofizzazione delle acque costiere del
 Mare  Adriatico  e  per  l'eliminazione  degli  effetti");  L.  1.000
 milioni,  previsti dalla legge 28 agosto 1989, n.  305 (contenente il
 programma triennale per la tutela dell'ambiente), per il  risanamento
 del  Mar Jonio; L. 6.375 milioni, previsti dalla legge 3 luglio 1991,
 n. 195 ("Conversione in legge, con modificazioni, del d.-l. 3  maggio
 1991, n. 142, recante provvedimenti in favore delle popolazioni delle
 province  di  Siracusa,  Catania  e Ragusa, colpite dal terremoto nel
 dicembre 1990 ed altre disposizioni in favore delle zone  danneggiate
 da  eccezionali  avversita'  atmosferiche  dal giugno 1990 al gennaio
 1991"), per il risanamento idrico  di  alcune  parti  del  territorio
 regionale.
    Premesso  che  del  predetto importo complessivo, pur essendo esso
 rientrato nel Piano triennale dell'ambiente  adottato  dalla  regione
 per  il  1991-93,  non e' mai stata assicurata la relativa provvista,
 bisogna qui rilevare che il Governo  non  puo'  distrarre  per  altri
 scopi  somme  aventi  una  destinazione  specifica  in  base a quanto
 stabilito da leggi statali di  settore  ed  un'altrettanto  specifica
 finalizzazione loro impressa a mezzo di programmazione regionale;
      lett.  b): L. 25.000 milioni (di pertinenza statale), di cui: L.
 15.000 milioni previsti  dal  piano  triennale  dell'ambiente  (quota
 volta  statale)  come  stanziamento  di  somme per le aree ad elevato
 rischio ambientale, in attuazione dell'art. 7 della  legge  8  luglio
 1986,  n.  349  ("Istituzione  del Ministero dell'ambiente e norme in
 materia di danno ambientale"); L. 10.000 milioni, previsti dalla gia'
 cit. legge n. 305/1989 (contenente  il  programma  triennale  per  la
 tutela  ambientale).  In relazione a cio', bisogna dire, alla luce di
 quanto gia' evidenziato sub par. 2.2. c.2.  del  presente  motivo  di
 ricorso,  che  lo  Stato  non  puo'  unilateralmente disporre di tali
 somme, dato il necessario concorso delle regioni alla formazione  dei
 piani e dei programmi di cui sopra;
      lett.  c):  L.  50.974  milioni  "mediante  utilizzo delle somme
 derivanti  dalla  revoca  disposta  con  la  presente  ordinanza  dei
 finanziamenti destinati all'attuazione di altri interventi ambientali
 nella regione Puglia, di cui all'elenco allegato. Conseguentemente il
 Ministro  dell'ambiente  e  la  regione  Puglia  provvedono a versare
 all'entrata del bilancio dello Stato, rispettivamente, gli importi di
 L. 48.581,2 milioni e di L. 2.392,8 milioni".
    In tale ambito, vale quanto gia' messo in evidenza  per  cio'  che
 concerne  la lett. a). Si deve solo ricordare che, dei 50.974 milioni
 di lire di cui si parla, L. 8.100 milioni sono stati  assegnati  pro-
 quota  alla  regione  in base a quanto previsto dalla piu' volte cit.
 legge n. 305/1989 ("Programma triennale per la tutela dell'ambiente")
 e i rimanenti 42.874 milioni, in base a quanto stabilito dalla  legge
 finanziaria del 1988 (legge 11 marzo 1988, n.  67). Si parla di somme
 assegnate, pero', ma solo per una modestissima parte trasferite: fino
 ad  oggi, infatti, la regione ha avuto la materiale disponibilita' di
 soli 2.392,8 milioni, la medesima  cifra,  cioe',  che  ritorna  allo
 Stato  tramite  l'art.  5,  primo  comma,  lett.   c), dell'impugnata
 ordinanza;
      lett. d): "le ulteriori somme gia' destinate dallo Stato,  dalla
 regione,  nonche'  dagli enti locali per la realizzazione di impianti
 di approvvigionamento, di adduzione e di distribuzione dell'acqua, di
 fognature  di  collettazione,  depurazione  e  recapito  delle  acque
 depurate,  di  smaltimento e di recupero di rifiuti urbani, anche con
 una diversa localizzazione degli stessi, di bonifica ambientale  ..".
 Crediamo  che, in proposito, non vi sia nulla da aggiungere al tenore
 letterale dell'ordinanza, salvo riferire ancora che " .. in tale caso
 il commissario assumera' in nome e  per  conto  dei  rispettivi  enti
 locali  i mutui con la Cassa depositi e prestiti" (sic|), indebitando
 cosi' ad libitum gli enti locali suddetti;
      lett. e):  "le  somme  derivanti  dai  finanziamenti  comunitari
 ricompresi  nell'ambito  di  operativita'  dei fondi strutturali e di
 altre iniziative comunitarie ricadenti nella competenza  regionale  e
 degli   enti   locali,  in  relazione  ai  quali  il  commissario  e'
 autorizzato a predisporre e a presentare tutti gli atti necessari".
    .. E cosi', a tacer d'altro, il Governo si pone in contrasto anche
 con la normativa CEE, che vede gli enti locali  e  le  regioni  quali
 soggetti  di  diritto  comunitario pleno jure (v. infra par. 3.3. del
 terzo motivo di ricorso) e, come tali, ammessi in  via  immediata  ai
 finanziamenti  di  cui sopra, senza, cioe', riservare allo Stato, nel
 caso specifico, poteri di ingerenza (e tanto meno di sostituzione);
      lett. f): "le somme derivanti dalla legge 10 gennaio 1983, n.  8
 (("Norme  per  l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle
 regioni sedi  di  centrali  elettriche  alimentate  con  combustibili
 diversi dagli idrocarburi")), dall'art. 15 della legge 2 agosto 1975,
 n. 393 (("Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e
 sulla  produzione  o sull'impiego di energia elettrica"), che assegna
 provvidenze finanziarie in favore degli enti locali e delle  regioni,
 per  le opere di urbanizzazione secondaria connesse all'installazione
 di dette centrali) e dal d.P.C.M. 27 dicembre 1988  ("Norme  tecniche
 per la redazione degli studi di impianto ambientale e la formulazione
 del giudizio di compatibilita' di cui all'art. 6 della legge 8 luglio
 1986,  n.  349,  adottate ai sensi dell'art. 3 del d.P.C.M. 10 agosto
 1988, n. 377"), limitatamente  ad  interventi  interessanti  le  aree
 beneficiarie  fino  al  limite di 100 miliardi.  E' di tutta evidenza
 che  l'importanza   degli   obiettivi   perseguiti   dagli   indicati
 provvedimenti  normativi destituisce di giuridico fondamento (a tacer
 d'altro) la possibilita' da parte del Governo di distrarre  le  somme
 ivi previste per altri scopi.
    2.3. - Conclusioni.  A questo punto, tirando le fila del discorso,
 se cio' che si e' detto finora ha un senso, e' chiaro che, qualora il
 commissario governativo decidesse - e niente potrebbe impedirglielo -
 di  far  uso  dei  poteri  di ordinanza extra-ordinem conferitigli ai
 sensi dell'art.    2  dell'ordinanza  P.C.M.  8  novembre  1994,  non
 rimarrebbe praticamente nulla delle prerogative regionali (sia quelle
 che  la regione Puglia istituzionalmente esercita ex artt. 117, 118 e
 119  della  Costituzione,  sia  quelle  riservatele  dalla  legge  n.
 225/1992 in tema di protezione civile).
    Una  volta  chiarito  cio',  non  si potra' di certo negare che il
 Governo abbia falsamente applicato la legge n. 225/1992 (quanto meno)
 nell'emanare l'ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994: la pervasivita'  dei
 poteri  conferiti  al  commissario  delegato,  mettendo  a rischio le
 funzioni costituzionalmente attribuite alla regione Puglia -  che  la
 medesima  legge  n.  225/1992  ha inteso preservare (anche in tema di
 protezione civile),  cosi'  come  chiarito  dalla  cit.  sentenza  n.
 418/1992  di  codesta  ecc.ma Corte - non consente di giungere ad una
 conclusione di tipo diverso.  Ci si consenta - a questo  punto  -  di
 svolgere un'ulteriore considerazione, che dimostra (in maniera, a dir
 la   verita',   un  po',  grottesca)  l'esattezza  di  quanto  appena
 affermato.  Il  Governo,  tutto  proteso   nell'annientamento   delle
 attribuzioni  della  regione  Puglia,  ha  conferito  al  commissario
 delegato anche il potere di derogare ..  l'inesistente: si  veda,  al
 riguardo,  l'art.  2  dell'impugnata  ordinanza,  che annovera fra la
 normativa statale e  regionale  deroganda  anche  la  l.r.  Puglia  3
 novembre 1989, n. 5, mai approvata.
    3.  -  In  subordine  al  non  accoglimento  del secondo motivo di
 ricorso. Illegittimita' costituzionale dell'art.  5,  secondo  comma,
 della legge n. 225/1992 per contrasto con gli artt. 1, 5, 11, 70, 76,
 77,  117,  118  e 119 della Costituzione e conseguente illegittimita'
 dei provvedimenti impugnati in  quanto  invasivi  delle  attribuzioni
 costituzionali della regione Puglia.
    In  subordine  al secondo motivo di ricorso, nel caso cioe' in cui
 (per mera ipotesi) si  ritenesse  che  il  Governo  abbia  rettamente
 applicato  la  legge  n.  225/1992  -  all'uopo  emanando l'impugnata
 ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 - si chiede a codesta  ecc.ma  Corte
 di  sollevare  dinanzi  a  se  stessa  la  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della  citata  legge,  per
 contrasto  con  gli  artt. 1, 5, 11, 70, 76, 77, 117, 118 e 119 della
 Costituzione.  Essendo la problematica scindibile in piu'  parti,  ne
 divideremo l'esposizione cosi' come segue.
    3.1.   -   Disciplina  specifica  ed  esaustiva,  da  parte  della
 Costituzione, dei poteri normativi "derogatori".
    Il primo punto della questione  consiste  nel  verificare  se  sia
 possibile  tollerare,  secondo  i  principi generali dell'ordinamento
 giuridico, provvedimenti amministrativi di emergenza (o di necessita'
 ed urgenza) che possano derogare - se del caso -  le  leggi  vigenti,
 incidendo  pertanto sulla ripartizione costituzionale dei poteri, che
 vede, ancor  oggi,  la  funzione  legislativa  affidata,  in  via  di
 principio, al Parlamento (art. 70 della Costituzione).
    Detto  in altri termini, la problematica che qui si affronta verte
 sulla possibilita' (o meno) di considerare la necessita' come  "fonte
 istituzionale  del  diritto".  La necessita', quindi, come fondamento
 autonomo di poteri normativi extra-ordinem.
    Tale possibilita', nella prospettiva che qui si accoglie, dovrebbe
 essere  radicalmente  esclusa  gia'  a  partire   da   una   semplice
 considerazione  di  teoria  generale:  non  si  puo'  accogliere e al
 contempo negare l'idea stessa  di  ordinamento  giuridico,  la  quale
 implica  - prima fra tutte - la potesta' di regolare le proprie fonti
 e, fra queste, in primo luogo,  di  decidere  a  quali  organi  debba
 essere attribuito il potere legislativo, e cioe' il potere di emanare
 le   norme   primarie   che   andranno  a  comporre  (o  a  derogare)
 l'ordinamento medesimo. Questa decisione, una  volta  adottata,  vale
 per  sempre,  almeno se si vuole continuare a parlare di validita' di
 quel determinato ordinamento.  Ora, la nostra Costituzione, dopo aver
 attribuito,  in via generale, al Parlamento il potere legislativo, ha
 specificamente ed esaustivamente previsto le ipotesi,  ricorrendo  le
 quali,   il   potere   esecutivo   possa  derogare  a  tale  generale
 attribuzione della funzione legislativa in  favore  delle  Camere;  e
 cio'   la  Costituzione  ha  fatto  in  via  espressa  e  con  limiti
 garantistici tali da assicurare sempre e  comunque  il  rispetto  del
 principio  della  centralita'  del  Parlamento  (e, mediatamente, del
 principio della sovranita' popolare).  La  Costituzione  ha  pertanto
 previsto un apposito istituto atto a derogare le norme legislative in
 situazioni  di  emergenza, vale a dire il decreto-legge.  Ma se cosi'
 e', sorge spontanea la seguente domanda: quale mai fondamento possono
 avere  nel  nostro  ordinamento  "le  ordinanze  in  deroga  ad  ogni
 disposizione  vigente?"  E  la risposta - gia' data da codesta ecc.ma
 Corte, in altra occasione - non  puo'  che  essere:    nessuno.    Ed
 invero,  tale domanda non varrebbe nemmeno la pena di formularla, dal
 momento che  e'  assolutamente  contraddittorio  affermare  (art.  5,
 secondo  comma,  della  legge  n.  225/1992) che si possa derogare ad
 "ogni" disposizione vigente, pur continuando a rispettare i "principi
 generali dell'ordinamento giuridico".  Se cio' e' vero,  e'  evidente
 come  in  questa  prospettiva  dovrebbe  palesarsi non manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
 secondo comma, della legge n. 225/1992 per contrasto con gli artt. 1,
 70,  76  e 77 della Costituzione, nella parte in cui essa prevede che
 "per l'attuazione degli  interventi  di  emergenza  conseguenti  alla
 dichiarazione  (dello  stato  di emergenza) di cui al primo comma, si
 provvede .. anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione
 vigente,  e  nel  rispetto  dei  principi  generali  dell'ordinamento
 giuridico".  Per  evitare  che  tale  disposizione  si risolva in una
 chiara contraddizione in termini, bisognerebbe  infatti  sostenere  -
 con  inimmaginabile  "disinvoltura"  -  che  fra  i principi generali
 dell'ordinamento giuridico non vi siano ne' le norme  costituzionali,
 ne' il principio della separazione dei poteri, cosi' come configurato
 (e  con  le  deroghe  solamente  ivi  previste)  dagli articoli della
 Costituzione  qui  presi  a  parametro  di   riferimento.   Il   che,
 ovviamente, non e' e non puo' essere.
    3.2. - Insospendibilita' dell'efficacia di norme costituzionali in
 forza  di  ordinanze  amministrative.    Quanto  appena detto, assume
 coloriture ancora piu' forti, qualora si ponga l'accento del discorso
 sulla  problematica  della  sospensione  dell'efficacia  delle  norme
 costituzionali.    In questa prospettiva, si partira' dal presupposto
 secondo  cui,  anche  a  voler  considerare  legittime   nel   nostro
 ordinamento  le  ordinanze di necessita' ed urgenza (sia in generale,
 sia quelle previste  dall'art.  5,  secondo  comma,  della  legge  n.
 225/1992)  esse, tuttavia, non potrebbero comunque essere adottate in
 spregio delle situazioni giuridiche soggettive e  dei  poteri  aventi
 un'immediata  copertura  costituzionale.    Cio'  e'  stato  messo in
 evidenza a piu' riprese nella giurisprudenza di codesta ecc.ma  Corte
 dalla  quale  discende,  da  un lato, che le ordinanze amministrative
 "non possono in nessun modo considerarsi  di  carattere  legislativo,
 quanto  alla  loro  forma  e  quanto  ai loro effetti. Quanto al loro
 contenuto, i relativi provvedimenti, finche' si mantengono nei limiti
 dei principi dell'ordinamento giuridico, non possono mai  esser  tali
 da invadere il campo riservato all'attivita' degli organi legislativi
 ne'  a quella di altri organi dello Stato: il rispetto di quei limiti
 impedisce ogni possibile  violazione  degli  artt.  70,  76  e  77  e
 dell'art. 1, secondo comma, della Costituzione" (cosi' la sentenza n.
 26/1961,  in  Giur.  cost.  1961,  p.  534;  v. anche le sentenze nn.
 4/1977, ivi 1977, p. 23; e 201/1987, ivi 1987, p. 1513);  dall'altra,
 che  rientrano  sicuramente  (rectius:  ovviamente)  fra  i  principi
 dell'ordinamento   "quei    precetti    della    Costituzione    che,
 rappresentando   gli   elementi   cardinali   dell'ordinamento,   non
 consentono alcuna possibilita' di deroga nemmeno ad opera della legge
 ordinaria" (cosi' la sopracitata sentenza n. 26/1961, ivi, p. 535) e,
 a maggior ragione, da parte di semplici provvedimenti amministrativi,
 ancorche' emanati per far fronte ad una situazione di emergenza.  Ne'
 si dica che le ordinanze amministrative troverebbero un limite  nella
 Costituzione,  ma  non nelle riserve di legge da questa previste (v.,
 nella specie, gli artt. 117 e  118  della  Costituzione).  Si  legge,
 infatti,  nella  sentenza n. 26/1961: "Per quel che si riferisce alle
 riserve di legge, la Corte ritiene che si  debba  distinguere.    Nei
 casi  in  cui  la  Costituzione  stabilisce  che  la  legge  provveda
 direttamente a disciplinare una  determinata  materia  (per  esempio,
 art.  13,  terzo comma), non puo' concepirsi che nella materia stessa
 l'art. 2 permetta la emanazione di atti amministrativi che dispongono
 in difformita' alla legge prevista dalla Costituzione.    Per  quanto
 riguarda  quei  campi  rispetto ai quali la Costituzione ha stabilito
 una riserva adoperando la formula 'in base alla  legge'  o  altra  di
 eguale significato, giova ricordare che la costante giurisprudenza di
 questo  collegio,  formatasi principalmente nei riguardi dell'art. 23
 della Carta costituzionale, ha  ritenuto  ammissibile  che  la  legge
 ordinaria  attribuisca  all'autorita'  amministrativa l'emanazione di
 atti anche normativi, purche' la legge indichi  i  criteri  idonei  a
 delimitare  la  discrezionalita' dell'organo a cui il potere e' stato
 attribuito. E, pertanto, nulla vieta che, nelle materie ora indicate,
 una disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il  potere
 di  emettere  ordinanze  di  necessita'  ed  urgenza,  ma occorre che
 risultino adeguati limiti all'esercizio di tale  potere"  (loc.  ult.
 cit.).  E  pertanto,  poiche'  non  esiste  alcuna norma di legge che
 specificamente   detti    "criteri    idonei    a    delimitare    la
 discrezionalita'" del commissario, si deve concludere che esso non e'
 costituzionalmente abilitato a incidere nemmeno su materie coperte da
 riserva  relativa di legge.  Ma c'e' di piu'| Se infatti si considera
 specificamente  la  problematica  dei  provvedimenti  d'emergenza  in
 riferimento  alle  attribuzioni  regionali,  fondamentale  e'  quanto
 stabilito dalla successiva  sentenza  n.  307/1983,  nella  quale  e'
 enucleato  il  principio  secondo  cui  "nell'ordinamento italiano le
 competenze regionali possono e debbono essere esercitate anche  nelle
 condizioni  d'emergenza,  sicche'  la  regione partecipa, nel proprio
 ambito di competenza, alla gestione dello stato d'eccezione. Pertanto
 non puo' accadere che le attribuzioni regionali 'cedano'  allorquando
 occorra   fronteggiare  una  condizione  d'emergenza  con  mezzi  non
 previsti dall'ordinamento di regola vigente. Questi  mezzi,  infatti,
 se  rientrano  nell'ambito di competenza regionale, possono e debbono
 essere utilizzati dalle regioni. Da qui la coerente  conclusione  che
 le  attribuzioni  regionali vanno in ogni caso rispettate" (P. Pinna,
 Le competenze regionali in "condizioni" d'emergenza, nota a  commento
 della  sopracitata  sent.  n. 307/1983 di codesta ecc.ma Corte, in Le
 Regioni  1983,  pp. 166-167). Detto questo, possiamo allora stabilire
 un  punto  fermo:   data   la   ricomprensione   della   ripartizione
 costituzionale  delle  funzioni  tra  Stato e regioni nell'ambito dei
 principi generali dell'ordinamento,  le  attribuzioni  costituzionali
 delle  regioni  sono  comunque  insuscettibili  di  essere soggette a
 deroga tramite provvedimenti amministrativi d'emergenza.  Ma, da tale
 sentenza si potrebbe ricavare molto di  piu'.    Sembrerebbe,  cioe',
 che, nell'interpretazione fornita da codesta ecc.ma Corte, le prerog-
 ative  regionali  siano  piuttosto da annoverare, ancor piu' di altre
 situazioni giuridicamente garantite dalla Costituzione, fra le  norme
 costituzionali  del  tutto insuscettibili di sospensione, "poiche' il
 loro  'infrangimento'   determinerebbe   una   'rottura'   insanabile
 dell'impianto  costituzionale.  In  altri  termini, anche nello stato
 d'eccezione  conserva  piena  efficacia  quel  minimo  di   struttura
 costituzionale   che   determina   'l'identita'',   per  cosi'  dire,
 dell'ordinamento stabilito dal  costituente.  Diversamente  lo  stato
 d'eccezione  andrebbe  considerato  non  gia'  come  un particolare e
 straordinario modo di essere dell'ordinamento, ma un  vero  mutamento
 dell'identita'  di  questo;  sarebbe, cioe', un ordinamento alienato"
 (P. Pinna, op. cit., pp. 178-179).  In  tale  ottica  interpretativa,
 pertanto, si potrebbe evincere dalla sopracitata sentenza n. 307/1983
 che  le  attribuzioni  delle  regioni  facciano parte di quel minimum
 organizzativo costituzionale di cui si e' parlato. Cio',  del  resto,
 non   dovrebbe   meravigliare,  dal  momento  che,  secondo  la  tesi
 prevalente in  dottrina,  l'autonomia  e'  una  manifestazione  della
 sovranita'  popolare,  "cosicche'  le  attribuzioni  delle regioni si
 configurano in modo tanto fondamentale da  dover  essere  considerate
 come  uno dei modi e limiti entro cui nell'ordinamento costituzionale
 italiano si esercita la sovranita'" (P. Pinna, op. cit., p. 179).
    3.3. - La q.l.c. dell'art. 5, secondo comma, legge n. 225/1992 per
 contrasto con gli artt. 1, 70, 76, 77 nonche' 5, 11, 117, 118  e  119
 della  Costituzione.    Considerato che le attribuzioni della regione
 Puglia incise dall'impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre  1994  hanno
 un  sicuro  fondamento  costituzionale  negli artt. 5, 117, 118 e 119
 della Costituzione (v. supra: par. 2.2.), non sembra possa sfuggirsi,
 alla luce di quanto rilevato nel precedente paragrafo, alla  seguente
 alternativa:  o  il  Governo ha invaso le attribuzioni costituzionali
 della  ricorrente  violando  e  falsamente  applicando  la  legge  n.
 225/1992,  oppure,  la  causa  dell'illegittima situazione denunciata
 risale alla  (e  va  identificata  nella)  legge  n.  225/1992,  che,
 all'art.  5,  secondo  comma,  ha reso possibile, a mezzo di semplici
 ordinanze  amministrative  di   emergenza,   la   sospensione   delle
 attribuzioni  costituzionali  dell'ente  regione. Prerogative che, in
 forza della legge 30 dicembre 1989, n. 439, contenente  la  "Ratifica
 ed  esecuzione  della convenzione europea relativa alla Corte europea
 dell'autonomia locale, firmata a  Strasburgo  il  15  ottobre  1985",
 godono  al  momento attuale anche della copertura internazionale, con
 ovvie  implicazioni  costituzionali  ai  sensi  dell'art.  11   della
 Costituzione.    Si giustifica, percio', la richiesta secondo cui, in
 subordine al non accoglimento del secondo motivo, dovrebbe  ritenersi
 non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della legge  n.  225/1992,
 per  contrasto,  da  una  parte,  con  gli artt. 1, 70, 76 e 77 della
 Costituzione e, dall'altra, con gli artt. 5, 11, 117, 118 e 119 della
 Costituzione.
    3.4.  - La sottoponibilita' della regione Puglia a "totale" regime
 commissariale e l'art. 126 della Costituzione.  Va comunque  aggiunto
 che,  in  favore  dell'accoglimento  del secondo motivo di ricorso e'
 decisiva la constatazione che, operando cosi'  come  ha  operato,  il
 Governo   sembrerebbe   aver  voluto  sottoporre  a  "totale"  regime
 commissariale la regione Puglia.  Depongono in tal senso le  seguenti
 considerazioni:  a) l'estensione materiale dei poteri del commissario
 delegato che, se usati in una certa maniera - e niente, lo si ripete,
 potrebbe impedirlo - rischia  di  privare  completamente  la  regione
 Puglia della sua autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria;
 b)  il  tenore letterale del d.P.C.M. 8 novembre 1994, secondo cui lo
 stato di emergenza e' dichiarato "a far tempo dal 27 ottobre  1994  e
 fino  al 31 dicembre 1995", con la conseguenza che, la durata di tali
 poteri sicuramente oltrepassera' il periodo di gestione  dello  stato
 di  crisi (rectius:  lo ha gia' oltrepassato, dato che, al momento in
 cui si scrive, l'emergenza e' gia' da tempo passata:  v.,  infra,  il
 quarto  motivo  di  ricorso);  c) la segretezza con la quale e' stato
 avvolto  il  contenuto  della   nota   del   prefetto   di   Bari   -
 successivamente  nominato  commissario  delegato  del  Governo  -  n.
 5507/13.3/Gab in data 23 settembre  1994,  ancorche'  tale  documento
 occupi, materialmente e sostanzialmente, la parte preponderante fra i
 considerata posti a base dei provvedimenti impugnati (v. la richiesta
 di  accesso,  ai  sensi  della  legge n. 241/1990, alla suddetta nota
 prefettizia, con nota del presidente della regione  Puglia  prot.  n.
 01/4599/Gab  in  data  23  novembre  1994:  doc.  n. 4; il diniego di
 accesso, con nota del prefetto di Bari prot. n. 6136/15.6/Gab in data
 26 novembre 1994, motivato parlando della nota richiesta come  di  un
 "atto    interno,    prodromico   ad   un   provvedimento   di   alta
 amministrazione": doc.  n.  5;  e  la  nuova  richiesta  di  accesso,
 direttamente  indirizzata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 con nota del presidente della regione Puglia prot. n. 01/04702/Gab in
 data 30 novembre 1994, che non  ha,  a  tutt'oggi,  nemmeno  ricevuto
 risposta:  doc.  n.  6).   Posto cio' in evidenza, il sospetto che il
 Governo   abbia   voluto   sostanzialmente    (e    surrettiziamente)
 commissariare in toto la regione Puglia, espropriandola completamente
 di  quei  poteri  che  le  spettano  secondo  Costituzione quale ente
 esponenziale della propria collettivita' territoriale,  risulta  piu'
 che  legittimo. Qualora cio' fosse vero deve pero' rilevarsi che, per
 realizzare un obiettivo di tal fatta, al Governo non sarebbe  bastato
 nemmeno  il  ricorso  allo  strumento della decretazione d'urgenza ex
 art. 77 della Costituzione, dovendo  ricorrere  alle  procedure,  ben
 piu' garantistiche, previste all'art. 126 della Costituzione.
    4. - In via ulteriormente subordinata. Illegittimita' sopravvenuta
 del  d.P.C.M.  8  novembre  1994  e  conseguente illegittimita' della
 conseguenziale ord. P.C.M. emessa in pari data. In estremo subordine,
 illegittimita' costituzionale degli artt. 3, quinto comma, e 5, primo
 comma, della legge n. 225/1992 per  contrasto  con  l'art.  97  della
 Costituzione   e   conseguenziale  illegittimita'  dei  provvedimenti
 impugnati in quanto invasivi delle attribuzioni costituzionali  della
 regione  Puglia.   Con questo motivo di ricorso si intende mettere in
 evidenza che, qualora il discorso precedentemente  svolto  nei  primi
 tre  motivi  fosse  ritenuto  privo  di  fondamento  -  e,  quindi, i
 provvedimenti impugnati fossero ritenuti legittimamente  adottati  -,
 cio'  non  di  meno non cambierebbe, oggi, il giudizio negativo sulla
 conformita'  dei  suddetti  provvedimenti  rispetto  alla  legge   n.
 225/1992.  Tale legge, infatti, prevede all'art. 5, primo comma, che,
 con  le  medesime modalita' previste per la dichiarazione dello stato
 di emergenza (vale a dire, con decreto governativo), si procede  alla
 sua  revoca  "al  venir  meno  dei  relativi  presupposti".  In  tale
 prospettiva, e' l'art. 3,  quinto  comma,  della  medesima  legge  n.
 225/1992  a  suggerire  quando  vengano  meno  i  presupposti  per la
 dichiarazione  dello  stato  di  emergenza,  nel   momento   in   cui
 stabilisce,  in via generale e cioe' con una formula valida per tutti
 i tipi di emergenza regolati dalla medesima legge  n.  225/1992,  che
 "il  superamento  dell'emergenza consiste unicamente nell'attuazione,
 coordinata con gli organi istituzionali competenti, delle  iniziative
 necessarie  ed  indilazionabili  volte  a rimuovere gli ostacoli alla
 ripresa delle normali condizioni di vita".   Fermo restando,  quindi,
 che  e'  la legge n. 225/1992 a determinare la cessazione dello stato
 di emergenza individuandola nella ripresa delle normali condizioni di
 vita, e' chiaro come, nel caso in cui i  poteri  governativi  possano
 assumere addirittura la configurazione di ordinanze in deroga ad ogni
 disposizione  vigente, la revoca dello stato di emergenza costituisca
 un vero e proprio imperativo categorico per il  Governo.    In  altri
 termini,  l'esistenza  di poteri eccezionali come quelli di cui si e'
 parlato - incidenti, cioe', sulla ripartizione  costituzionale  delle
 funzioni fra Stato e regioni - risulta giustificata (ammesso che cio'
 sia  esatto, ma cosi' non e') solo in situazioni di stretta emergenza
 e non oltre (si v.  in  termini  Corte  costituzionale,  sentenza  n.
 15/1982,  in  Giur.  cost.  1982,  p.  102:   "l'emergenza, nella sua
 accezione piu' propria, e' una condizione certamente anomala e grave,
 ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che  essa  legittima,
 si',   misure   insolite,  ma  che  queste  perdono  legittimita'  se
 ingiustificatamente protratte nel tempo").  Ricordiamo, in proposito,
 che  anche  Santi  Romano,  ancorche'  (anzi:      proprio   perche')
 sostenitore  della  necessita'  come fonte istituzionale del diritto,
 ammetteva che "la necessita' puo' far  uscire  temporaneamente  dalla
 legalita',  ma  nella  legalita'  si  deve  rientrare quando la prima
 cessa", altrimenti "non vi e' modo di distinguere la necessita'  vera
 dall'arbitrio  e dalla confusione incostituzionale dei poteri" (Santi
 Romano, Sui decreti legge e lo stato  di  assedio  in  occasione  del
 terremoto  di  Messina  e  Reggio  Calabria,  ora  in Scritti minori,
 Giuffre', Milano 1950, I, p. 305).  Che, poi, i provvedimenti  extra-
 ordinem d'emergenza (o di necessita' ed urgenza) emanati da autorita'
 amministrative, per essere correttamente inquadrabili nell'ambito del
 nostro   ordinamento,   debbano  (per  lo  meno)  essere  attuati  in
 riferimento alla concreta  situazione  di  fatto  che  si  tratta  di
 fronteggiare  e  che  percio'  essi debbano adeguarsi alla dimensione
 spaziale e temporale della situazione medesima, e' opinione  costante
 nella  giurisprudenza  di  codesta ecc.ma Corte (cfr., ad esempio, la
 gia' ricordata sentenza n.  201/1987, proprio in tema  di  protezione
 civile,  in  Giur. cost. 1987, soprattutto p. 1513 e segg. e ivi ampi
 riferimenti alla precedente giurisprudenza costituzionale).  Nel caso
 di cui ci si occupa l'emergenza (che, comunque, non  ha  mai  assunto
 dimensioni   tali  da  indurre  il  Governo  a  far  uso  dei  poteri
 conferitigli dall'art. 5, primo comma, della legge n.   225/1992)  e'
 cessata  da  tempo;  che  cio'  sia  vero e' riconosciuto anche dalla
 stessa   amministrazione  statale,  come  testimoniano  non  solo  le
 dichiarazioni rilasciate il  16  novembre  1994  dal  Ministro  della
 sanita',  on. Raffaele Costa, al Corriere della Sera (doc. n.  3), ma
 anche  un  documento  ufficiale,  quale  il  gia'   citato   Rapporto
 sull'attivita'  di  sorveglianza  nella  fase  di emergenza legata al
 focolaio di colera in Puglia (doc. n. 2), redatto in data 21 novembre
 1994 dalla direzione generale dei servizi per l'igiene  pubblica  del
 Ministero della sanita': ivi, infatti, a pag. 8 si parla di "presente
 fase  di  'non  emergenza'" e, alla pag. successiva, si specifica che
 "si deve considerare conclusa la  fase  di  emergenza".    E'  allora
 evidente  l'illegittimita'  dei  comportamento tenuto dal Governo nel
 mantenere  in  vita  l'impugnato  d.P.C.M.  8  novembre  1994  (e  la
 parimenti  impugnata  ordinanza P.C.M. emessa in pari data, quale suo
 atto conseguenziale), una volta cessati i presupposti  che  ne  hanno
 (in  via ipotetica) giustificato l'emanazione.  In estremo subordine,
 qualora,  invece,  si  volesse   adottare   una   diversa   soluzione
 interpretativa  delle  disposizioni  da  ultimo citate della legge n.
 225/1992  e  si  sostenesse  che  l'unica  ipotesi   di   superamento
 dell'emergenza  sta  nell'attuazione  delle  iniziative  necessarie e
 indilazionabili (art. 3, quinto comma) e non, invece, nel venir  meno
 dei presupposti di fatto che hanno determinato la deliberazione dello
 stato  di emergenza (art. 5, primo comma), si chiede a codesta ecc.ma
 Corte di sollevare dinanzi a se stessa la questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, quinto comma, e dell'art. 5, primo comma,
 ultima  parte,  della  legge  n.  225/1992, che, non condizionando il
 mantenimento dei poteri di emergenza alla permanente sussistenza  dei
 presupposti, finiscono col conferire un'eccessiva discrezionalita' al
 Governo,  ponendosi  cosi'  in  sicuro  contrasto con l'art. 97 della
 Costituzione, anche e soprattutto  (per  quel  che  si  e'  detto  in
 precedenza  nei  primi  tre motivi di ricorso) con riferimento, da un
 lato, agli artt. 5,  11,  117,  118  e  119  della  Costituzione,  e,
 dall'altro, agli artt. 1, 70, 76 e 77 della Costituzione.
    5.  -  Istanza di sospensione dell'esecutorieta' dei provvedimenti
 impuguati ai sensi dell'art. 40 della legge n. 87/1953.    Da  quanto
 premesso  e  considerato  nei  precedenti  motivi di ricorso, risulta
 evidente la gravita' e  l'irreparabilita'  del  pregiudizio  arrecato
 alle  attribuzioni  costituzionali  della  ricorrente  regione Puglia
 dall'adozione da parte del Governo,  degli  impugnati  provvedimenti.
 Poiche'  dai  surriportati motivi risulta altresi' ampiamente provato
 il fumus boni juris del presente ricorso, la  regione  Puglia  chiede
 che   codesta   ecc.ma   Corte   voglia   disporre   la   sospensione
 dell'esecutorieta' degli impugnati provvedimenti.