Ricorso per conflitto di attribuzione della regione Puglia, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore avv. Giuseppe Martellotta - autorizzato con delibere della Giunta regionale nn. 7654 e 8167 rispettivamente del 14 e del 22 novembre 1994 -, rappresentato e difeso dal prof. avv. Alessandro Pace, con studio in Roma, piazza delle Muse n. 8, presso il quale e' elettivamente domiciliato, in virtu' di mandato a margine del presente atto contro lo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore on. Silvio Berlusconi in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 novembre 1994 e all'ordinanza del medesimo Presidente del Consiglio dei Ministri emessa in pari data, pubblicati entrambi nella Gazzetta Ufficiale n. 263 del 10 novembre 1994. F A T T O 1. - Nel periodo compreso fra l'ultima settimana di agosto e i primi giorni di settembre, l'Albania veniva investita da un'epidemia colerica, partita dal Nord del Pakistan e progressivamente spostatasi ad Ovest. Per scongiurare preventivamente i pericoli di contagio del proprio territorio, il presidente della giunta della regione Puglia attivava prontamente un gruppo di lavoro al fine di esaminare la situazione di pandemia colerica in atto delle regioni balcaniche e di valutare i potenziali riflessi sulla Puglia, per poi definire eventualmente i programmi di intervento all'uopo necessari. Tale gruppo di lavoro - composto dal capo di gabinetto della presidenza della regione Puglia, dal direttore dell'istituto di igiene dell'Universita' di Bari, dal coordinatore del settore ragioneria, dal coordinatore del settore programmazione, dal coordinatore della sanita' e dal coordinatore della protezione civile - si riuniva il 10 ottobre 1994 e, avvalendosi delle argomentazioni contenute in un rapporto dell'Istituto superiore di sanita' (I.S.S.) datato 24 settembre 1994, concludeva nel modo che di seguito sinteticamente si espone. A fondamento delle analisi svolte venivano poste le risultanze del suddetto rapporto dell'I.S.S., in cui, partendo dal presupposto di fatto costituito dalla ciclicita' delle epidemie coleriche, veniva messo in luce come la Puglia costituisca un "habitat a rischio, sia per la sua collocazione geografica che costituisce naturale ponte verso le regioni balcaniche e medio-orientali, sia per le sue particolari condizioni orografiche e ambientali, aggravate dalla storica penuria di acqua e dall'intenso abusivismo edilizio" (problema, quest'ultimo, peraltro diffuso in tutto il territorio nazionale, come e' dimostrato dalla prassi - vecchia e nuova - del ricorso allo strumento del "condono"). Tale osservazione, poi, legittimava la previsione dell'I.S.S. secondo cui "la Puglia non solo e' ancora potenzialmente soggetta alla diffusione del vibrione, ma dovra' essere in costante emergenza per le future pandemie cicliche, in assenza di interventi mirati" (pagina 1 del verbale della riunione de gruppo di lavoro, prodotto in allegato al doc. 1). Considerando, inoltre, che di norma la diffusione dell'epidemia colerica e' dovuta alla comunicazione inquinante tra il sistema fognario e quello idrico - entrambi deficitari nella Regione pugliese - l'I.S.S. prospettava che l'opera di prevenzione avrebbe dovuto basarsi "su due piani temporanei: un intervento di emergenza, ancora necessario, ed un pi- ano preventivo a piu' lungo termine", i cui principi ispiratori avrebbero dovuto essere orientati "al reale risanamento dell'inquinamento fecale dell'ambiente e dell'acqua potabile e alla rimozione dei siti di speciale contaminazione fecale" (loc. cit.). Partendo da cio', e scendendo in dettaglio nella descrizione dei problemi igienico-strutturali del territorio pugliese collegati all'emergenza-colera, il citato gruppo di lavoro sottolineava: l'insufficienza del sistema idrico e fognario (testimoniata dalla persistenza del sistema di raccolta delle acque luride a mezzo di carro-botte e dal mancato superamento della prassi dello scarico in falda e cio' sia per l'inesistenza di allacciamento fognario, sia per questioni di abusivismo edilizio); le abitudini alimentari dei cittadini pugliesi - grandi consumatori di verdure fresche e di molluschi eduli -; la precarieta' delle tecniche di refrigerazione dei cibi freschi e deperibili (soprattutto durante il trasporto) attualmente in uso; un certo degrado ambientale della costa e del territorio, con particolare riguardo alla situazione di degrado urbano di rioni di edilizia popolare; l'inesistenza di uffici statali abilitati ai necessari controlli fitosanitari e zootecnici nei principali porti e aeroscali pugliesi; gli annosi problemi connessi con l'immigrazione proveniente proprio dalle regioni balcaniche (e in particolare dall'Albania); e rilevava come tutti questi fattori rappresentassero un coefficiente di moltiplicazione di ordine geometrico delle possibilita' di contagio. Cio' rendeva, pertanto, indifferibile l'adozione di un programma coordinato di risanamento igienico-ambientale del territorio - orientato soprattutto alla soluzione dei problemi dell'approvvigionamento idrico e della ristrutturazione ed estensione del sistema fognario -, tramite un'azione impostata tanto sul breve quanto sul medio periodo: in altri termini, la situazione era tale - secondo il gruppo di lavoro - da ritenere improcrastinabile l'intervento sia finanziario che operativo dello Stato per fronteggiare "le emergenze" derivanti dalle carenze del sistema fognario e dell'approvvigionamento idrico; ma altrettanto urgente la pianificazione operativa di una politica di prevenzione, considerando, da una parte, la ciclicita' del fenomeno delle epidemie di colera, e, dall'altra, l'imminenza dell'impegno preso dalla regione Puglia ad ospitare i Giochi del Mediterraneo del 1997, con tutte le conseguenze (facilmente immaginabili) che tale evento avra' sullo sviluppo dell'industria turistica ed alberghiera pugliese. A tal fine, il gruppo di lavoro metteva in risalto come i mezzi economico-finanziari attualmente a disposizione della regione Puglia fossero largamente insufficienti per un intervento di tali dimensioni. Sotto questo punto di vista, infatti, "per quanto concerne il bisogno di infrastrutture di igiene ambientale (depurazione fognatura nera) e' sotto stimato un fabbisogno non inferiore ai 300 miliardi di lire (costi 1990) per il completamento e l'adeguamento dei presidi depurativi, mentre una stima di larga massima indica in 450-500 miliardi di lire l'impegno finanziario per estendere il servizio di fognatura agli insediamenti urbani che ne sono privi; in dette stime non sono compresi i costi relativi a villaggi e frazioni a prevalente presenza diffusa sul territorio". Senza contare, poi, facendo riferimento ai servizi di fognatura, che "la popolazione servita raggiunge a livello regionale il 60% di quella residente; detta percentuale scende al 30% in provincia di Lecce" (pag. 3 del verbale della riunione del gruppo di lavoro, prodotto in allegato al doc. 1). Sul versante dell'ordine di grandezza delle spese da affrontare per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico, inoltre, il discorso rimane pressoche' identico. Presa coscienza della situazione esistente, pertanto, il gruppo di lavoro arrivava a dichiarare che "le risorse regionali sono assolutamente, non insufficienti, ma inesistenti per affrontare un tale compito complesso di infrastrutturazione e di risanamento igienico-ambientali", dal momento che, "e' a tutti nota la situazione finanziaria in cui versa la Regione, con un bilancio ingessato per almeno 15 anni, per cui non sono preventivabili risorse anche future che si possono liberare" (pag. 5 del verbale della riunione: allegato al doc. 1; v., inoltre, la delibera n. 7654 in data 14 novembre 1994 della giunta regionale pugliese, in cui si specifica, a motivazione della richiesta di intervento finanziario dello Stato, che l'entita' del problema si presentava tale da non essere assolutamente sostenibile "con le ordinarie risorse di bilancio da parte di alcuna Regione": pag. 2 del doc. n. 7). Considerando, infine, che "il settore dell'acqua e delle grandi infrastrutturazioni .. fuoriescono dallo stretto ambito regionale per investire piu' propriamente la competenza statale" (ult. loc. cit.), si riteneva necessaria la richiesta di intervento - soprattutto finanziario - da parte dello Stato. 2. - Con la delibera n. 6957 del 18 ottobre 1994, la giunta della regione Puglia, prendendo atto delle risultanze dell'operato del gruppo di lavoro da essa istituito, proponeva pertanto al Presidente del Consiglio dei Ministri di dichiarare "lo stato di emergenza per la Puglia e la conseguente adozione di provvedimenti straordinari ed indifferibili atti a fronteggiare con tempestivita' ed efficacia la situazione di emergenza socio-economico ambientale" sopra descritta (p. 3 della delibera n. 6957; doc. n. 1). Con tale delibera, quindi, la regione Puglia invocava l'aiuto da parte dello Stato, resosi necessario dal momento che gli interventi strutturali atti a risolvere la crisi importavano (e importano) investimenti la cui rilevanza, sommata all'urgenza del provvedere, andavano al di la' delle ordinarie risorse della regione, soprattutto a causa della sua "notoria crisi finanziaria" (pag. 2 della delibera n. 6957; doc. n. 1). 3. - Inopinatamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 novembre 1994, il Governo provvedeva invece a dichiarare - ex art. 5 primo comma, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - lo stato di emergenza ambientale per il periodo che va dal 27 ottobre 1994 al 31 dicembre 1995, "con particolare riferimento ai settori dei servizi di approvvigionamento, adduzione e distribuzione idrica di fognature, di depurazione, di recapito delle acque depurate e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella regione Puglia". 4. - Con ordinanza emessa in pari data, il Presidente del Consiglio dei Ministri - ai sensi dell'art. 5 comma 4 della legge n. 225/1992 - sostanzialmente "commissariava" la regione Puglia, esautorandola sia per quanto riguarda la gestione della situazione di emergenza, sia per quanto riguarda l'intero processo di risanamento del territorio regionale, delegando all'uopo il prefetto di Bari dott. Corrado Catenacci a predisporre (d'intesa con i Ministeri dell'ambiente e del bilancio e della programmazione economica) il programma degli interventi da approvare e, conseguentemente, ad attivare e a realizzare (d'intesa con il Ministero dell'ambiente, e sentite le amministrazioni interessate) "gli interventi necessari per fronteggiare la situazione di emergenza nel settore dell'approvvigionamento, dell'adduzione e della distribuzione delle acque depurate e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani della regione Puglia" (art. 1 dell'ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994). La ricorrente regione Puglia, essendo stata lesa nelle proprie attribuzioni costituzionali dal citato d.P.C.M. 8 novembre 1994 e dalla citata ordinanza P.C.M. emessa in pari data, ricorre a codesta ecc.ma Corte - cosi' come deciso nella delibera n. 7654 del 14 novembre 1994; doc. n. 7 - per il regolamento di competenza sulla base dei seguenti MOTIVI DI DIRITTO 1. - Invasione delle attribuzioni costituzionali della regione Puglia di cui agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 lett. c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, da parte del d.P.C.M. 8 novembre 1994. Conseguente illegittimita' dei provvedimenti indicati in epigrafe. In subordine, illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, per contrasto con l'art. 97 della Costituzione. Conseguente illegittimita' dei provvedimenti impugnati in quanto invasivi delle attribuzioni costituzionali della regione Puglia. Tanto il decreto quanto l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 novembre 1994, che costituiscono l'oggetto della presente impugnativa, sono stati emanati in (pretesa) conformita' rispetto a quanto stabilito dall'art. 5, primo comma, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 ("Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile"). Infatti, tale disposizione prevede bensi' che il Governo possa deliberare "lo stato di emergenza, determinandone la durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualita' ed alla natura degli eventi", ma solo ove ricorrano le ipotesi di cui alla lett. c) dell'art. 2 della medesima legge n. 225/1992, e cioe' "calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari". Il che deve essere tenuto presente anche per il potere governativo di ordinanza, il quale, in tanto puo' essere esercitato ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 225/1992, in quanto ricorrano i presupposti giustificativi previsti dall'art. 2, lett. c), della legge n. 225/1992. Ed e' appena il caso di aggiungere che la verifica della ricorrenza delle ipotesi previste dal legislatore deve essere particolarmente rigorosa, dal momento che a mezzo di tali ordinanze si puo' addirittura derogare "ad ogni disposizione vigente" - come recita l'art. 5, secondo comma della legge n. 225/1992 -, seppur "nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico". E che nel caso concreto il Governo abbia agito non solo in deroga a molteplici disposizioni di legge vigenti, ma altresi' senza rispettare ne' i principi generali dell'ordinamento, ne' la stessa normativa costituzionale, risulta lampante, sia ex facto, sia perche', a parte quanto verra' messo in evidenza piu' avanti, cio' e' esplicitamente ammesso dall'art. 2 dell'ordinanza di cui e' causa, nella quale si autorizza il commissario ad adottare provvedimenti in deroga alle (molteplici) norme di legge elencate nello stesso articolo. Il primo punto della complessa questione sottoposta dalla regione Puglia all'attenzione di codesta ecc.ma Corte consiste percio' nel verificare se, ai fini della dichiarazione dello stato di emergenza contenuta nel decreto impugnato, ricorrevano le ipotesi - una o piu' - previste nella lett. c) dell'art. 2 della legge n. 225/1992, che fungono da presupposto giustificativo per un provvedimento di tal fatta. L'esito della verifica - a nostro sommesso parere - non puo' che essere completamente negativo. Ed invero, sicuramente non ricorre l'ipotesi della "calamita' naturale" o della "catastrofe", dal momento che, nella fattispecie di cui e' causa, non solo si e' trattato di un pericolo di contagio, senza che l'epidemia colerica si fosse effettivamente espansa nel territorio pugliese, ma, addirittura, all'epoca in cui la regione Puglia ha sollecitato l'intervento dello Stato, nella stessa Albania i picchi epidermici erano ormai in flessione, come si puo' (e si poteva) leggere nelle premesse della stessa delibera n. 6957 (pag. 1 del doc. n. 1) della giunta regionale pugliese. Quale sia stata, poi, la reale entita' del fenomeno di cui si discute, lo testimonia proprio una fonte di area governativa, e cioe' il Rapporto sull'attivita' di sorveglianza nella fase di emergenza legata al focolaio di colera in Puglia - redatto a cura della direzione generale dei servizi per l'igiene pubblica del Ministero dela sanita' -, dove si parla di soli dieci casi di colera, avutisi nel solo territorio di Bari e provincia (v. p. 6 e la tabella n. 1 in allegato al suddetto rapporto; doc. n. 2). E' quasi inutile sottolineare, a tal riguardo, che dieci casi di colera, per di piu' localmente circoscritti, non costituiscono di sicuro una "calamita' naturale" o una "catastrofe". Cio', da un lato, perche' "la durata della malattia e' di qualche giorno"; dall'altro, poiche', se in passato la letalita' del colera raggiungeva il 50-70% dei casi, "oggi con una terapia idonea e tempestiva (ripristino dell'aliquota idro- elettrolitica ed antibiotici) non supera l'1-5%" (S. Barbuti - E. Bellelli - G.M. Fara - G. Giammanco, Igiene e medicina preventiva(Elevato al Cubo), Monduzzi, Bologna 1994, II, p. 94: doc. n. 8; sia detto per inciso che il prof. Barbuti ha fatto parte del cit. gruppo di lavoro). Affermazione, questa, che risulta di fondamentale importanza, soprattutto alla luce del fatto che l'esistente rete ospedaliera e' piu' che soddisfacente, cosi' come rilevato dal cit. gruppo di lavoro (p. 2 dell'all. al doc. n. 1). Ne' la situazione determinatasi in Puglia poteva rientrare nell'ipotesi residuale prevista dall'art. 2, lett. c) della legge n. 225/1992 ("altri eventi che, per intensita' ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari"). Infatti, per quanto riguarda l'intensita' ed estensione del fenomeno valgono le considerazioni svolte poc'anzi, nel senso cioe' che nel territorio pugliese non si e' mai sviluppata una vera e propria epidemia colerica, ma vi e' stato solo un pericolo di contagio, dovuto a carenze strutturali di tipo endemico. Si apre, percio', il campo ad una ulteriore osservazione. Se l'insufficienza del sistema idrico e fognario, il degrado urbano, l'inesistenza di strutture tecniche di controllo dei prodotti alimentari (vale a dire, le carenze strutturali di cui si faceva cenno poche righe sopra) rappresentano per la regione pugliese - come, del resto, in tutto il territorio nazionale (e la recente alluvione nelle regioni settentrionali lo dimostra in modo perspicuo) - dei problemi fortemente datati e non il portato di avvenimenti recenti, bisognera' allora ammettere che le emergenze denunciate dalla Regione non sono state determinate dal pericolo di contagio, ma da cio' che e' da considerarsi "strutturale" per quei territori. Il mero "pericolo" della propagazione del colera - del resto definitivamente cessata subito dopo (v. la dichiarazione del Ministro della sanita' on. Raffaele Costa al Corriere della Sera del 16 novembre 1994: doc. n. 3) - e' stato percio' un episodio non dotato dei crismi dell'eccezionalita', tali da giustificare l'impiego di poteri straordinari da parte dello Stato, quali quelli che sono stati usati con i provvedimenti impugnati. Pertanto, proprio perche' le cause della situazione lamentata erano quelle, "storiche", sopra in- dicate, il Governo avrebbe dovuto muoversi in un'ottica assai diversa, finalizzata cioe' non tanto all'impiego di poteri straordinari, quanto al conferimento alla regione di mezzi straordinari, a tal fine assicurando alla regione Puglia un'adeguata copertura finanziaria atta sia a fronteggiare la situazione di emergenza, sia - e soprattutto - ad avviare, in maniera coordinata con l'intervento operativo degli organi statali, un'organica e quanto mai completa politica di risanamento del territorio. Si dovra' allora convenire che, volendo applicare correttamente la legge n. 225/1992, non ricorrevano le ipotesi di cui alla lett. c) dell'art. 2, ma, al contrario, quelle previste alla lett. b) del medesimo articolo, in cui si parla di "eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di piu' enti o amministrazioni competenti in via ordinaria". Cosi' operando, oltre a porre rimedio alla situazione di emergenza, non si sarebbe espropriata la regione Puglia delle attribuzioni - costituzionalmente garantite ex artt. 117, 118 e 119 della Costituzione - che essa istituzionalmente esercita (v. infra il secondo motivo di ricorso). In tale ottica, si deve ricordare quanto stabilito da codesta ecc.ma Corte nella sentenza 9 novembre 1922, n. 418, quando, nel respingere le censure di costituzionalita' mosse all'art. 5, quarto comma, della legge n. 225/1992 - allora appena approvata -, metteva in evidenza come risultasse bensi' giustificato "che si adottino misure eccezionali, quale puo' essere la nomina di commissari delegati", ma solamente "nel ricorrere di cosi' gravi emergenze, quando l'ambiente, i beni e la stessa vita delle popolazioni sono in pericolo e si richiede un'attivita' di soccorso staordinaria e urgente" (in giur. cost. 1992, p. 3951). Presupposti, questi, che non si sono affatto verificati nella fattispecie di cui e' causa. Giunti a questo punto del nostro discorso, sembra ineludibile la seguente alternativa: o il Governo ha operato in modo illegittimo, invadendo le attribuzioni costituzionali della ricorrente, in forza della falsa applicazione dell'art. 2, lett. c), della legge n. 225/1992; oppure, il vizio e' da riscontrarsi all'interno del medesimo dettato normativo della legge n. 225/1992, che, in tale ottica interpretativa, per come configura le ipotesi di cui alle lett. a), b) e c) dell'art. 2, lascerebbe un eccessivo margine di discrezionalita' al Governo nel determinare la tipologia degli eventi e gli ambiti di competenza ai fini dell'attivita' di protezione civile. Vera la seconda delle due ipotesi, sarebbe allora rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 225/1992 per contrasto con l'art. 97 della Costituzione, anche con riferimento agli artt. 5, 117, 118 e 119, della Costituzione, che pertanto la Corte potrebbe sollevare dinanzi a se stessa, quale giudice della legittimita' delle leggi. L'ipotesi di cui si tratta e' tutt'altro che manifestamente infondata se si considera che effettuare una distinzione fra gli "eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, lett. a), della legge n. 225/1992), gli "eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di piu' enti o amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, lett. b), della legge n. 225/1992) e "le calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari" (art. 2, lett. c), della legge n. 225/1992), equivale .. a non farla, poiche', data la mancanza di sicuri e ben definiti parametri di riferimento, si affida la riuscita dell'operazione solo al buon senso: vale a dire, ad un criterio che appartiene all'area del meta-giuridico. 2. - In subordine. Invasione delle attribuzioni costituzionali della regione Puglia di cui agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione della legge n. 225/1992 da parte dell'ord. P.C.M. 8 novembre 1994 in quanto invasiva delle attribuzioni costituzionali della regione Puglia. 2.1. - Premessa. Qualora (in denegata ipotesi) fosse corretta l'interpretazione che l'impugnato d.P.C.M. ha dato dell'art. 2 della legge n. 225/1992, non percio' sarebbe possibile sostenere che l'ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 - parimenti impugnata con il presente ricorso - abbia rispettato (e, quindi, correttamente applicato) la citata legge n. 225/1992. Il punto di partenza di questo secondo motivo di ricorso e' offerto dalla gia' ricordata sentenza 9 novembre 1992, n. 418, di codesta ecc.ma Corte, con la quale sono state dichiarate non fondate, in riferimento all'art. 117 della costituzione, le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, secondo e terzo comma, 2, 4, primo comma, 5, quarto comma, e 14 della legge n. 225/1992, prospettate dalla ricorrente regione Lombardia. In essa si legge che "il fulcro della legge n. 225/1992 sta, per quanto attiene alla esigenza di unitarieta' di direzione che qui viene in rilievo, nel secondo comma dell'art. 1, il quale attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, al Ministro per il coordinamento della protezione civile, il compito di promuovere e coordinare le attivita' di tutte le amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale" (in Giur. cost. 1992, p. 3948). Con riferimento a cio', "la disposizione trova significativo riscontro nell'art. 6, dove si sancisce che alle attivita' di protezione civile provvedono, 'secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze' le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunita' montane", (ivi). La conseguenza che ne deriva e' che "dalle norme menzionate risulta evidente che la legge n. 225/1992 non ha inteso modificare la ripartizione delle materie e delle competenze tra Stato e regioni. Essa ha voluto invece assicurare che i molteplici organismi, a vario titolo interessanti alle attivita' di protezione civile agiscano in modo armonico e razionale, di modo che le risorse disponibili vengano impiegate opportunamente e conducano alla maggiore efficacia degli interventi. Per raggiungere tale scopo la legge non ha accentrato competenze e poteri, ne' ha organizzato gli stessi secondo schemi di dipendenza gerarchico-funzionale" (ibidem, p. 3948-3949). Riassumendo il pensiero esplicitato, all'epoca, da codesta ecc.ma Corte, si potrebbe percio' dire che, in tema di protezione civile, competono allo Stato l'indirizzo e il coordinamento delle attivita' di programmazione, prevenzione ed intervento, ferme restando - per quel che ci interessa - (le attribuzioni e le competenze delle regioni coperte dalla garanzia costituzionale ex artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. Ma vi e' di piu'. Infatti, come si evince anche dal testo della sentenza sopracitata, una delle grandi novita' contenute nella legge n. 225/1992 - una legge-quadro, lo ricordiamo, di riforma dell'intero sistema di protezione civile, definitivamente approvata dopo anni ed anni di elaborazione concettuale e dopo un tormentato iter procedurale che ha, fra le altre cose, portato il Presidente della Repubblica a far uso del suo potere di rinvio alle Camere ex art. 74 della Costituzione - e' stata proprio quella di riconoscere le esigenze di decentramento insite in un'attivita' per molti versi complessa quale quella del servizio di protezione civile. Colmando, percio', le lacune presenti, in tal senso, nella normativa precedente - facente capo alla legge 8 dicembre 1970, n. 996, e al relativo regolamento di esecuzione d.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66 - la legge n. 225/l992 prevede all'art. 6, primo comma, che all'attuazione delle attivita' di protezione civile provvedano, oltre alle amministrazioni statali, anche le regioni, le province, i comuni e le comunita' montane ("secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze") ed ha persino ritagliato un proprio spazio ed un proprio ruolo - quello del "concorso" alle attivita' in oggetto - non solo agli enti pubblici, agli istituti e ai gruppi di ricerca scientifica con finalita' di protezione civile e a ogni altra istituzione e organizzazione anche privata, ma persino ai "cittadini ed i gruppi associati di volontariato civile, nonche' gli ordini ed i collegi professionali" (art. 6, secondo comma). Passando ad analizzare la normativa concernente le competenze riservate alle Regioni in materia di protezione civile, l'art. 12 della legge n. 225/l992 stabilisce al primo comma che le regioni partecipano all'organizzazione e all'attuazione della attivita' di protezione civile - suddivise, ai sensi dell'art. 3 della medesima legge, in attivita' di previsione, di prevenzione e di soccorso - "assicurando, nei limiti delle competenze proprie o delegate dallo Stato e nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge, lo svolgimento delle attivita' di protezione civile"; lo stesso art. 12, poi, al primo comma prevede che "le regioni, nell'ambito delle competenze ad esse attribuite dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, provvedono alla predisposizione ed attuazione dei programmi regionali di previsione e prevenzione in armonia con le indicazioni dei programmi nazionali" di previsione, di prevenzione e di soccorso. Dopo aver specificato al terzo comma che "per le finalita' di cui al primo e secondo comma le regioni provvedono all'ordinamento degli uffici ed all'approntamento delle strutture e dei mezzi necessari per l'espletamento delle attivita' di protezione civile, avvalendosi di un apposito comitato regionale di protezione civile", il piu' volte citato art. 12 conclude al quarto comma affermando che "le disposizioni contenute nella presente legge costituiscono principi della legislazione statale in materia di attivita' regionale di previsione, prevenzione e soccorso di protezione civile, cui dovranno conformarsi le leggi regionali in materia". Una volta chiarito il quadro di riferimento normativo contenuto nella legge n. 225/1992 - anche alla luce dell'interpretazione svolta al riguardo dalla sopracitata sentenza n. 418/1992 di codesta ecc.ma Corte - il punto focale della questione che qui viene a rilievo consiste nel verificare se, nella fattispecie in esame, il Governo, avendo dichiarato con l'impugnato d.P.C.M. lo stato di emergenza ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge 225/1992 (ammesso, per mera ipotesi, che tale provvedimento sia stato legittimamente adottato), abbia rispettato, nell'emanazione della parimenti impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994, sia le attribuzioni costituzionali della regione, sia il ruolo specificamente attribuito alla regione in materia di protezione civile dagli artt. 6 e 12 della medesima legge n. 225/1992. Si badi: e' lo stesso art. 5, secondo comma, della citata legge a spingere verso una siffatta impostazione del problema, dal momento che nella sua formulazione letterale esso recita: "Per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al primo comma, si provvede, nel quadro di guanto previsto dagli artt. 12, 13, 14, 15 e 16 anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Nel fondare il potere governativo (e commissariale, qualora si proceda alla nomina di commissari delegati ex art. 5, quarto comma, della legge n. 225/1992) di ordinanza extra- ordinem, e' quindi, la medesima legge che, al tempo stesso, fa salvi sia le competenze attribuite dall'art. 12 alle regioni in tema di protezione civile, sia i principi generali dell'ordinamento giuridico, fra i quali vi e', senza dubbio, la ripartizione delle funzioni fra Stato e regioni cosi' come configurata dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. 2.2. - Le attribuzioni costituzionali della regione Puglia incise dall'impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 .. Anche con riferimento al contenuto dell'ord. P.C.M., bisogna purtroppo rilevare come il Governo abbia abusato dei propri poteri, superando largamente i limiti fissati dalla legge n. 225/1992. Cio' risulta da tutte le disposizioni di legge - statali e, soprattutto, regionali - che riguardano le attribuzioni della regione Puglia, alle quali il commissario delegato puo' derogare, ai sensi dell'art. 2 dell'ordinanza in questione. 2.2. a. .. con riferimento alla legge n. 142/1990 e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117, 118, primo e terzo comma, 129, primo comma, e 133 della Costituzione, nonche' degli artt. 3, 18, 19, 63 e 64 dello statuto della regione Puglia. L'elenco di tali disposizioni di legge inizia con la legge 8 giugno 1990, n. 142 ("Ordinamento delle autonomie locali"), e cioe' proprio con quella legge - esplicitamente richiamata dall'art. 12 della legge n. 225/1992 - che funge da presupposto (sic|) per la predisposizione ed attuazione dei programmi regionali di previsione e di prevenzione ai fini dell'attivita' di protezione civile. Ma, piu' in generale, bisogna sottolineare come, avendo il commissario delegato il potere di derogare alla legge n. 142/1990, la regione Puglia sia esposta al pericolo di non poter piu' regolare i rapporti con gli enti locali presenti nel proprio territorio secondo quanto stabilito dall'art. 3 della legge suddetta. Scendendo piu' in dettaglio, va osservato che, cosi' facendo, si revoca in dubbio la facolta' dell'ente regione di organizzare l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province ( ex art. 3, primo comma); la funzione di identificazione degli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio che la regione, nelle materie e nei casi previsti dall'art. 117 della Costituzione, attua con l'esercizio della propria potesta' legislativa (ai sensi dell'art. 3, secondo comma); la funzione di disciplinare legislativamente la cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con la stessa regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile, attribuita all'ente regione dall'art. 3, terzo comma; la potesta' regionale di determinazione degli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale, con la connessa ripartizione delle risorse destinate al finanziamento del programma di investimento degli enti locali (art. 3, quarto comma); di stabilire con legge regionale le forme e i modi di partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani e dei programmi regionali e degli altri provvedimenti della regione (art. 3, sesto comma); la potesta' di fissare, a mezzo di legge regionale, i criteri e le pro- cedure per la formazione e l'attuazione degli atti e degli strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei comuni e delle province rilevanti ai fini dell'attuazione dei programmi regionali (art. 3, settimo comma), con la complementare possibilita' di effettuare il raccordo di tali strumenti con il contenuto dei programmi regionali medesimi (art. 3, ottavo comma). Con la medesima legge n. 142/1990, poi, sono state attribuite alla regione "potesta' programmatorie e propulsive per promuovere le modifiche e le fusioni dei comuni necessarie a rendere razionale l'assetto delle autonomie (artt. 11 e 12), nonche' poteri di intervento relativamente alle province (art. 15) ed alle aree metropolitane (artt. 17, 19 e 20)" (Corte costituzionale, sent. 15 luglio 199l, n. 343, in Giur. cost. 1991, p. 2729-2730), in conformita' ai principi stabiliti all'art. 133, primo e secondo comma, della Costituzione. Si tratta di un insieme di prerogative regionali, questo, sicuramente rientrante nelle maglie dell'ordito costituzionale di cui agli artt. 117, 118, primo e terzo comma, 129, primo comma, e 133 della Costituzione, che, regolando i rapporti fra regioni, da una parte, e province e comuni, dall'altra, assegna all'ente regione una "posizione di centralita'" (come si esprime la medesima sentenza n. 343/1991 di codesta ecc.ma Corte: loc. ult. cit.) nel sistema delle autonomie locali, soprattutto quale organo di coordinamento, programmazione e pianificazione nelle materie di sua spettanza. 2.2 b ... in riferimento alla materia "programmazione regionale" e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, nonche' degli artt. 2, 3, 4, 5, 11, 12, 14, 15 e 16 dello statuto regione Puglia. Di "programmazione regionale", del resto, non si potra' piu' parlare qualora il commissario delegato faccia uso dei poteri derogatori conferitigli nei confronti della l.r. Puglia 4 marzo 1975, n. 24 ("Procedure ed organi della programmazione") e della l.r. Puglia 25 luglio 1979, n. 44 (recante modifiche ed integrazioni alla legge n. 24/1975, appena citata), approvate in attuazione (della l.r. Puglia 25 marzo 1974, n. 18 e, a ben vedere) dell'art. 3 dello statuto regionale pugliese. Ora, a parte i dubbi di costituzionalita' per contrasto con le normative statutarie in materia di programmazione, che l'esercizio di un potere di tal fatta potrebbe ingenerare, il punto e' che le regioni sono istituzionalmente organi di programmazione economica anche a norma dell'art. 11 del d.P.R. n. 616/1977. Ne consegue che, almeno per quanto riguarda le materie elencate all'art. 117 della Costituzione, non si puo' inibire alla regione l'uso di siffatto strumento, pena la collocazione al di fuori dell'alveo costituzionale dei provvedimenti che determinino codesto effetto. 2.2. c ... in riferimento alla materia "assetto ed utilizzazione del territorio" e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4, 6, 9, 11 e 12 dello statuto regione Puglia. Passando ad un altro gruppo di materie di interesse regionale, sussumibili sotto l'omnicomprensivo concetto di "assetto ed utilizzazione del territorio" - che, gia', la legge-delega n. 382/1975 e, poi, il d.P.R. n. 616/1977 hanno individuato come uno dei quattro grandi raggruppamenti in cui suddividere gli ambiti di pertinenza regionale ex artt. 117 e 118 della Costituzione -, bisogna preliminarmente affermare che qui lo straripamento dei poteri commissariali extra-ordinem assume dimenzioni macroscopiche, tanto da sfiorare il parossismo. 2.2. c.1. .. con specifico riferimento all'urbanistica e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi dell'art. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4 e 9 dello statuto regione Puglia. Infatti, iniziando l'analisi in tema di assetto e utilizzazione del territorio col parlare della materia urbanistica strictu sensu, bisogna rimarcare come il commissario delegato abbia avuto la facolta' di deroga alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 ("Norme per la edificabilita' dei suoli") e successive modificazioni ed integrazioni: tale normativa, stabilendo il principio della concessione edilizia in sostituzione della licenza, ha demandato alle regioni di determinare i relativi oneri sulla base dei costi di urbanizzazione e di costruzione (artt. 5, primo comma, 6, primo comma e 8 secondo comma), correlando le concessioni stesse agli strumenti urbanistici da attuare gradualmente attraverso programmi pluriennali di attuazione, la cui stessa formazione rientra nelle competenze delle regioni (art. 13, terzo comma). La lesione dei poteri costituzionalmente attribuiti alle regioni, in tal caso, risulta ictu oculi evidente sol che si consideri l'art. 117 della Costituzione, che annovera espressamente fra le materie riservate alle regioni, quella urbanistica: materia in cui le funzioni amministrative statali sono state trasferite alle regioni a statuto ordinario, prima, con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, e, poi, piu' estensivamente, con il d.P.R. n. 616/1977 (art. 80 e segg.). Che, in tale ambito, il commissario governativo possa soffocare completamente l'attivita' dell'ente regione e' dimostrato dal fatto che, fra le disposizioni di legge soggette al suo potere derogatorio di ordinanza, e' stata inserita anche la "Legge urbanistica" (legge 17 agosto 1942, n. 1150) cosi' come modificata ed integrata dalla normativa successiva, in larga parte dedicata al suo adeguamento alla realta' delle autonomie locali: ebbene, in virtu' del sopracitato d.P.R. n. 8/1972 (rectius: a partire da esso) la formazione dei piani territoriali di coordinamento (che hanno la funzione di indirizzare armonicamente gli insediamenti nell'intero territorio regionale), previsti all'art. 5 della "Legge urbanistica", spetta ora alle regioni. Cio' vale, d'altro canto, anche per l'approvazione dei piani regolatori generali - comunali e inter- comunali - (artt. 7-12 della "Legge urbanistica"), dei piani regolatori particolareggiati (artt. 13-17 della "Legge urbanistica") e dei programmi di fabbricazione (artt. 34-36 della "Legge urbanistica") di competenza comunale, affidata alla giunta regionale al fine di controllare che tali strumenti di pianificazione urbanistica rispettino non solo il piano territoriale di coordinamento (v. supra), ma anche il piano territoriale paesistico (di competenza regionale, per delega conferitane da parte dello Stato tramite l'art. 82 del d.P.R. n. 616/1977) e dei piani di bacino (introdotti dalla legge n. 183/1989, alla cui formazione partecipano - e, per quanto riguarda quelli di interesse regionale, sono direttamente preposte - le regioni), per poi valutarne la conformita' agli interessi regionali. Bisognera' vedere, quindi, se in concreto la regione Puglia potra' esercitare tali importanti funzioni durante la gestione commissariale impostale. Il dubbio in proposito risulta piu' che legittimo, anche perche' al commissario governativo e' stato attribuito anche il potere di derogare il d-l. 23 gennaio 1982, n. 9 ("Norme per l'edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti"), convertito, con modificazioni dalla legge 25 marzo 1982, n. 94, e il d.-l. 5 ottobre 1993, n. 398 ("Disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a sostegno della occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia"), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493. Il primo, ad esempio, prevede all'art. 6 che spetta alla regione il compito di decidere quali comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti debbano predisporre i programmi pluriennali di attuazione per l'edilizia residenziale; il secondo, sempre ad esempio, stabilisce all'art. 4 che si applicano le procedure per il rilascio delle concessioni edilizie previste dal medesimo articolo "in assenza di legislazione regionale". Il dubbio di cui sopra, poi, diventa praticamente una certezza quando si viene a scoprire che l'intera l.r. Puglia 31 maggio 1980, n. 56, e' soggetta alla spada di Damocle costituita dal potere derogatorio commissariale: infatti, la l.r. n. 56/1980 - recante la denominazione "Tutela ed uso del territorio" - disciplina in maniera sistematica "gli strumenti della pianificazione urbanistica, le forme del controllo sostitutivo, nonche' l'esercizio delle relative funzioni amministrative" (art. 1) a livello regionale e sub-regionale. Inoltre, come se tutto cio' non bastasse, il Governo ha ricompreso fra le norme derogande anche la l.r. Puglia 11 settembre 1986, n. 19 ("Disciplina urbanistica per la costruzione delle serre"). I fatti, a questo punto, parlano da soli: si vuol dire, cioe', che l'estensione dei poteri commissariali extra-ordinem in materia urbanistica e' talmente accentuata da far pensare ad una espropriazione completa delle funzioni che la regione Puglia esercita (rectius: deve esercitare, ex art. 117 della Costituzione) a tutt'oggi in questo campo. 2.2. c.2. .. con specifico riferimento alla tutela ambientale (paesaggistica) e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4, 11 e 12 dello statuto regione Puglia. Sempre rimanendo in tema di assetto e utilizzazione del territorio, ma spostando il campo di osservazione dal punto di vista della tutela ambientale, bisogna in primo luogo riferire come anche le procedure di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349 ("Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale") siano incorse nel pericolo di deroga a mezzo di ordinanze commissariali e che percio', anche in tal caso, ci si deve lamentare della situazione che ne deriva. Infatti, la disposizione di legge in questione, per la parte che qui interessa, prevede: l'individuazione delle norme tecniche e delle categorie di opere che sono in grado di produrre rilevanti modificazioni dell'ambiente; la sua effettuazione da parte del Governo; la comunicazione, prima della loro approvazione, al Ministro per l'ambiente, al Ministro per i beni culturali e alla regione territorialmente interessata dei progetti aventi ad oggetto l'indicazione della localizzazione degli interventi, la specificazione dei rifiuti liquidi e solidi, delle emissioni ed immissioni inquinanti nell'atmosfera, delle emissioni sonore prodotte dall'opera, la descrizione dei dispositivi di eliminazione o di recupero dei danni all'ambiente ed i piani di prevenzione e monitoraggio ambientale; l'attribuzione della pronuncia sulla compatibilita' ambientale dei progetti al Ministro per l'ambiente, sentite le regioni interessate, di concerto con il Ministro dei beni culturali e ambientali. Ebbene, considerando il fatto che nell'ordinanza impugnata si eccettuano, in riferimento al potere di deroga commissariale, "le attribuzioni ed i pareri di competenza del Ministero per i beni culturali e ambientali", e' chiaro come ci si trovi di fronte al tentativo - lo si deduce in via residuale - di escludere la regione Puglia dalla doverosa partecipazione alle procedure suddette. Doverosa partecipazione regionale che aveva indotto codesta ecc.ma Corte, nella sentenza 28 maggio 1987, n. 210 (in Giur. cost. 1987, p. 1590 e segg.), a dichiarare infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 6 della legge n. 349/1986. Ed infatti, una delle questioni discusse in tale pronuncia era costituita dall'ampiezza dei poteri attribuiti allo Stato nella valutazione di impatto ambientale. Ebbene, in tale decisione essi erano stati giustificati alla luce della funzione di indirizzo e coordinamento e, quindi, in un'ottica sostanzialmente rispettosa - per quel che direttamente ci riguarda - delle attribuzioni che l'art. 117 della Costituzione riserva alle regioni in materia di tutela dell'ambiente. Ma, vero questo, e' altresi' chiaro come nella fattispecie di cui e' causa cio' tale principio verrebbe platealmente contraddetto. L'art. 2 della impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 prosegue la sua opera di demolizione delle prerogative regionali in tema di tutela ambientale prefigurando la possibilita' di derogare la "legge della regione Puglia concernente il piano regionale delle aree regionali protette". Viene qui in questione, oltre alla l.r. Puglia 21 marzo 1977, n. 8 ("Istituzione delle riserve naturali"), la l.r. Puglia 11 maggio 1990, n. 30, che, fino all'approvazione del piano urbanistico territoriale tematico - elemento di specificazione del piano urbanistico territoriale, entrambi previsti dalla gia' citata (e parimenti deroganda) l.r. Puglia n. 56/1980 - detta, cosi' come recita il suo titolo, le "Norme transitorie di tutela delle aree di particolare interesse ambientale paesaggistico". Si tratta, in tal caso, di funzioni regionali in parte delegate dallo Stato (art. 82, primo comma, del d.P.R. n. 616/1977: "Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni") e in parte proprie (art. 83, primo comma, del d.P.R. n. 616/1977: "Sono trasferite alle regioni le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali"), e per la maggior parte rientranti nell'ambito della materia dell'"assetto ed uso del territorio" e percio' riconducibili nell'alveo dell'art. 117 della Costituzione. Cio' e' stato reso possibile tramite un'interpretazione elastica della materia urbanistica - sistematicamente correlata alle altre voci contenute nel suddetto art. 117 della Costituzione - recepita, prima, dal d.P.R. n. 616/1977 e, poi, di conseguenza, dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. La quale, da una parte, ha stabilito come la nozione di urbanistica comprenda tutto cio' che concerne l'uso dell'intero territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture e, dall'altra, ha precisato che appartiene alla competenza regionale l'istituzione di riserve naturali infraregionali (v. risp. Corte costituzionale, sentenze nn. 239/1982 e 223/1984). 2.2. c.3. .. con specifico riferimento alla tutela ambientale (smaltimento rifiuti) e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4 e 6 dello statuto regione Puglia. Lo stesso discorso vale, poi, per la tematica ambientale specificamente affrontata sotto il punto di vista della tutela dell'inquinamento. Inizieremo l'analisi in tema di inquinamento con la sottomateria dello smaltimento dei rifiuti: in tale prospettiva bisogna rilevare come il commissario delegato possa agire in deroga non solo, in via generale, al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 ("Attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relative allo smaltimento dei policiclorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi"), al d.-l. 26 gennaio 1987, n. 10 ("Disposizioni urgenti in materia di scarichi dei frantoi oleari"), al d.-l. 31 agosto 1987, n. 361 ("Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti") - convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n. 44 -, al d.-l. 9 settembre 1988, n. 397 ("Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali") - convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475 -, e, cioe', alla normativa statale attributiva (nella materia in esame) di vaste competenze alle regioni, soprattutto nella loro qualita' di enti di pianificazione, programmazione e controllo (v. rispettivamente gli artt. 6 del d.P.R. n. 915/1982; 5 del d.-l. n. 10/1987; 1- bis , 1- ter, 2, 3, 3- bis, 4 e 5 del d.-l. n. 361/1987; 2, 3, 5 e 7 del d.-l. n. 397/1988), ma anche, in concreto, alla "legge della regione Puglia (3 ottobre 1986, n. 30) concernente il piano di smaltimento dei rifiuti", raccordato (ai sensi dell'art. 3, terzo comma, della medesima l.r. Puglia n. 30/1986) al Piano regionale di risanamento delle acque previsto dalla l.r. Puglia - parimenti deroganda, come si dira' piu' avanti - 19 dicembre 1983, n. 24 ("Tutela ed uso delle risorse idriche e risanamento delle acque in Puglia"). Ma vi e' di piu': l'art. 2 dell'impugnata ordinanza richiama nominatim, quale suscettibile di deroga, tutta la normativa regionale in tema di smaltimento dei rifiuti: oltre alla citata l.r. Puglia n. 30/1986 (si tratta, infatti, di una ripetizione, essendo questa la "legge della regione Puglia concernente il piano di smaltimento dei rifiuti" di cui si e' discusso poc'anzi), il Governo ha incluso, tra le norme derogande, la l.r. Puglia 18 agosto 1973, n. 21 ("Contributi della regione a comuni e consorzi di comuni per gli impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani"), la l.r. Puglia 13 agosto 1993, n. 17 ("Organizzazione dei servizi di smaltimento rifiuti urbani"), il regolamento regione Puglia 20 febbraio 1988, n. 1 ("Disciplina degli impianti di smaltimento sul suolo di insediamenti civili di consistenza inferiore a 50 vani o 5000 mc e degli insediamenti turistici non allacciati alla pubblica fognatura", il regolamento regione Puglia 3 novembre 1989, n. 4 ("Disciplina degli impianti provvisori di smaltimento sul suolo di nuovi insediamenti civili di consistenza inferiore a 50 vani o 5000 mc nei comuni o nelle aree ur- bane non ancora serviti da pubbliche fognature"), il regolamento regionale 3 novembre 1989, n. 5 ("Disciplina delle pubbliche fognature") e la delibera del consiglio regionale pugliese 29 luglio 1987, n. 583 ("Regolamento regionale di disciplina degli scarichi idrici provenienti dalla lavorazione di trasformazione delle olive"). A tal riguardo, bisogna mettere in rilievo il fatto che lo smaltimento dei rifiuti sicuramente rientra nelle materie previste all'art. 117 della Costituzione, soprattutto in riferimento a quanto stabilito all'art. 101 del piu' volte citato d.P.R. n. 616/1977: tale opinione, tra l'altro, e' pressoche' scontata nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (v., ad esempio, Corte costituzionale, sentenze nn. 192/1987 e 324/1989). 2.2. c.4. .. con specifico riferimento alla tutela ambientale (inquinamento delle acque) e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4 e 6 dello statuto regione Puglia. Anche in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, il commissario delegato e' stato dotato di amplissimi poteri di deroga dell'ordinamento vigente, tali da mettere a rischio, pure in tal caso - e per quel che ci riguarda -, le competenze attribuite alla regione Puglia nella suddetta materia. In tale ambito, la normativa statale soggetta a deroga e' la seguente: legge 10 maggio 1976, n. 319 ("Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento") e successive modifiche ed integrazioni; d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515 ("Attuazione della direttiva (CEE) n. 75/440 concernente la qualita' delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile"); d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236 ("Attuazione della direttiva CEE n. 80/778 concernente la qualita' delle acque destinate al consumo umano, ai sensi dell'art. 15 della legge 10 aprile 1987, n. 183"); d.-l. 5 febbraio 1990, n. 16 ("Misure urgenti per il miglioramento qualitativo e per la prevenzione dell'inquinamento delle acque"); d.lgs. 12 luglio 1993, n. 275 ("Riordino in materia di concessione di acque pubbliche"; legge 5 gennaio 1994, n. 36 ("Disposizioni in materia di risorse idriche") e, con formula alquanto generica, "tutta la normativa statale .. concernente i piani nazionali e regionali acquedottistici". Tale corpo normativo configura un complesso intreccio di competenze fra Stato e regioni, rispettando pero' i criteri (gia' adottati dalla sopracitata legge n. 319/1976) stabiliti nel d.P.R. n. 616/1977 nel trasferire a quest'ultime le funzioni statali in materia. Secondo questi criteri, sono cosi' riservate alle amministrazioni regionali "la disciplina degli scarichi e la programmazione degli interventi di conservazione e depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti liquidi e idrosolubili", nonche' "la tutela dell'inquinamento .. idrico da impianti termici e industriali e da qualunque altra fonte, con esclusione di quello prodotto da scarichi veicolari" (art. 101, secondo comma, del d.P.R. 616/1977, rispettivamente lettere a) e c)). Il Governo, pero', non si e' accontentato di neutralizzare la vigenza di codesta normativa statale, ma ha altresi' sottoposto al potere di ordinanza commissariale anche la corrispondente normativa regionale, quale contenuta nella l.r. Puglia 19 dicembre 1983, n. 24 ("Tutela ed uso delle risorse idriche e risanamento delle acque in Puglia", nella l.r. Puglia 23 marzo 1993, n. 5 - recante modifiche alla medesima l.r. n. 24/1983 - e, piu' in generale, nella normativa regionale concernente i piani regionali acquedottistici (oltre alle leggi regionali citate in precedenza vengono qui in questione la l.r. Puglia n. 17/1984, la l.r. Puglia n. 3/1985 e la l.r. Puglia n. 3/1986). La situazione che ne deriva e' palesemente illegittima, e cio' risulta chiaro alla luce del fatto che la competenza regionale nella materia ora in esame si fonda sicuramente sul dettato normativo dell'art. 117 della Costituzione, data l'esistenza di un certo collegamento funzionale che intercorre fra la submateria degli inquinamenti e i settori dell'urbanistica e dell'assistenza sanitaria - come, d'altronde, e' stato messo in evidenza da codesta ecc.ma Corte: sentenze n. 225/1983 e 183/1987 -, espressamente contemplate dall'articolo della Costituzione cui si sta facendo riferimento. 2.2. c.5. .. con specifico riferimento alle risorse idriche e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4, 11 e 12 dello statuto regione Puglia. Il fatto dell'assoggettamento a deroga commissariale di tutta la normativa - statale e regionale - (richiamata al paragrafo precedente rileva anche sotto un altro punto di vista: ed infatti, cosi' disponendosi, si mette a repentaglio quanto stabilito dall'art. 90 del piu' volte citato d.P.R. n. 616/1977, secondo cui "tutte le funzioni relative alla tutela, disciplina e utilizzazione delle risorse idriche, con esclusione delle funzioni riservate allo Stato dal successivo articolo, sono delegate alle regioni .." (primo comma). Prevenendo una possibile eccezione, fondata sul fatto che qui si tratterebbe di funzioni meramente delegate, che alla bisogna potrebbero quindi ammettere l'avocazione da parte dello Stato dei corrispettivi poteri, si rinvia a quanto sara' messo in evidenza piu' avanti, non senza pero' aver sottolineato che cio' non puo' valere ne' per quanto riguarda le acque minerali e termali, ne' per quanto concerne gli acquedotti: si tratta, infatti, di materie di attribuzione regionale di tipo proprio, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. 2.2. d ... in riferimento alla materia "lavori pubblici" (ed espropriazioni) e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 4, 11 e 15 dello statuto regione Puglia. La lesione, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, delle competenze regionali si rileva anche in un altro settore di fondamentale importanza: quello delle opere e dei lavori pubblici di interesse regionale. Infatti, fra la normativa regionale soggetta a deroga si ritrova anche la l.r. Puglia 16 maggio 1985, n. 27 ("Testo unificato ed aggiornato di leggi regionali in materia di opere e lavori pubblici"), che all'art. 2 ricomprende, fra le opere di competenza della regione: il demanio e il patrimonio regionale; gli immobili di proprieta' non regionale in uso sia pure temporaneo alla regione; le strade e le ferrovie classificate regionali; gli interventi urgenti ed indifferibili a tutela della pubblica incolumita', che non rientrino nella competenza primaria degli enti locali e dello Stato; le opere idrauliche irrigue e di bonifica; le opere di sistemazione montana; i porti di seconda categoria, secondo e terza classe; la costruzione, ricostruzione, ristrutturazione, riparazione di edifici di culto e delle opere annesse, destinate all'esercizio dello stesso; le opere di difesa, di consolidamento e di trasferimento degli abitati inclusi negli elenchi approvati dal Consiglio regionale; le opere classificate regionali o di rilevanza regionale, con legge regionale; i lavori di ricostruzione, ristrutturazione, riparazione di opere pubbliche di competenza della regione, danneggiate da calamita' naturali. Anche qui, come al solito, si rischia di porre nel nulla il dettato normativo degli articoli 117 e 118 della Costituzione, come attuato dal d.P.R. n. 616/1977, che, trasferendo le funzioni statali alle regioni per la parte di loro spettanza, ha significativamente esteso le competenze regionali in tema di lavori pubblici rispetto a quanto gia' stabilito col primo decreto di trasferimento (il d.P.R. n. 8/1972). Ai sensi dell'art. 87, primo comma, del citato d.P.R. n. 616/1977, infatti, "le funzioni amministrative relative alla materia 'viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale', concernono: le strade e la loro classificazione, escluse le strade statali e le autostrade; gli acquedotti di interesse regionale; le opere pubbliche di qualsiasi natura, anche di edilizia residenziale pubblica, che si eseguono nel territorio di una regione". A norma dell'art. 89, primo comma, del medesimo d.P.R. n. 616/1977, poi, "tutte le opere idrauliche relative ai bacini idrografici non interregionali sono trasferite alle regioni". Merita percio' di essere considerato che il commissario delegato ha avuto altresi' il potere complementare di derogare le normative statali e regionali in materia di espropriazioni. Sotto questo punto di vista, la normativa regionale che viene a rilievo, in quanto soggetta al potere di deroga commissariale, e' soprattutto l'art. 39 della sopracitata l.r. Puglia n. 27/1985, a norma del quale il presidente della giunta regionale "esercita le funzioni comunque attribuite alla regione in materia di dichiarazione di pubblica utilita' delle opere e di urgenza e di indifferibilita' dei lavori, quali che siano le opere ed i soggetti interessati" (primo comma) ed "esercita altresi' le funzioni amministrative in ordine ai procedimenti espropriativi, ivi comprese le occupazioni temporanee di urgenza, le determinazioni delle indennita', le retrocessioni e provvede ai relativi atti preparatori e successivi, per tutte le opere di competenza regionale e per quelle non ricadenti nella delega" ai comuni e alle province di cui all'art. 40 della medesima legge (secondo comma). In riferimento a cio', si ricordi che tale normativa e' del tutto conforme rispetto a quanto stabilito all'art. 106 del d.P.R. n. 616/1977, che, ricomprendendo espressamente "tra le funzioni amministrative trasferite o delegate alle regioni nelle materie indicate dal presente decreto anche quelle concernenti i procedimenti di espropriazione per pubblica utilita', le dichiarazioni di indifferibilita' ed urgenza dei lavori e le occupazioni temporanee e d'urgenza" (primo comma), ha superato le restrittive interpretazioni che la normativa precedente - facente capo al d.P.R. n. 8/1972 - aveva in vario senso ricevuto, aggiungendo in modo esplicito che sono riservate allo Stato le sole espropriazioni relative alle opere pubbliche "la cui esecuzione e' di sua spettanza" (secondo comma). Ne', a tal riguardo, potrebbe essere obiettato che e' proprio il d.P.R. n. 616/1977 a prevedere che allo Stato compete la titolarita' degli "interventi straordinari nelle opere di soccorso relative a calamita' di estensione e di entita' particolarmente gravi, nei casi in cui si operi in regime commissariale ai sensi della legge sulla protezione civile" (art. 88, n. 9). Anche a prescindere dalla considerazione secondo cui, nel caso di cui ci si occupa non ricorrevano gli estremi (vale a dire: calamita' di estensione e di entita' particolarmente gravi) per sottoporre la regione Puglia a regime commissariale (v. supra il primo motivo), va comunque ricordato che la normativa di riferimento in materia di protezione civile, all'epoca dell'emanazione del d.P.R. n. 616/1977, era la (ben diversa) legge n. 996/1970. Oggi, la situazione e' radicalmente cambiata. Si vuol ribadire - ripetendo sinteticamente quanto gia' evidenziato sub par. 2.1. - che, con la legge n. 225/1992, il Parlamento, profondamente innovando la precedente normativa, ha inteso preservare le attribuzioni e le competenze regionali - tanto quelle istituzionali, quanto quelle specifiche in tema di protezione civile, definite proprio dalla medesima legge n. 225/1992 - anche nelle ipotesi nelle quali la natura e l'estensione degli interventi di protezione civile richiedano la nomina di un commissario straordinario. E, allora, chiaro che il suddetto art. 88, n. 9, del d.P.R. n. 616/1977 debba ora essere interpretato in senso riduttivo, relazionandolo alla normativa nel frattempo intervenuta. 2.2. e ... in riferimento alla materia "assistenza sanitaria ed ospedaliera" e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' dell'art. 6 dello statuto regione Puglia. L'art. 2 dell'impugnata ordinanza conclude - per cosi' dire - il suo disegno ablativo dei poteri della regione Puglia, conferendo al commissario delegato la facolta' di emanare provvedimenti in deroga anche al r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 ("Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie") e successive modifiche ed integrazioni. Considerando che fra le modifiche ed integrazioni al regio decreto suddetto vi e' anche la legge 23 dicembre 1978, n. 833 ("Istituzione del servizio sanitario nazionale") e' allora chiaro come si sia voluto (surrettiziamente) incidere sulle competenze riservate alle regioni in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, espressamente contemplata all'art. 117 della Costituzione. La sopracitata legge n. 833/1978, infatti, ha conferito alle regioni non solo diverse funzioni legislative e programmatorie, orientate soprattutto alla regolamentazione dell'organizzazione, della gestione e del funzionamento delle allora istituende unita' sanitarie locali (v. gli artt. 11, 15, nono comma, 50 e 55 della citata legge), ma anche una serie di poteri amministrativi, sia in tema di personale sanitario (art. 15, nono comma, n. 4), sia tendenti a realizzare l'obiettivo di eliminare gli squilibri esistenti nei servizi e nelle prestazioni nel territorio regionale (art. 55, primo comma). Potesta', queste, che la normativa successivamente sopravvenuta - parimenti soggetta a deroga commissariale - ha ulteriormente esteso, dotando altresi' le regioni del potere di esercitare penetranti controlli sulle uu.ss.ll., con l'obbligo di avocare a se' le funzioni a quest'ultime spettanti in caso di inadempienze o ritardi (v. l'art. 13, secondo comma, della legge 26 aprile 1982, n. 181 e l'art. 1, nono comma, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge n. 638/1983). 2.2. f ... in riferimento all'avviamento al lavoro e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi degli artt. 7, 14 e 16 dello statuto regione Puglia. Merita altresi' di essere ricordato, seppur incidentalmente, che, a norma del medesimo art. 2 dell'ordinanza in questione, anche la normativa regionale in tema di avviamento al lavoro risulta esposta al potere di deroga commissariale. Cosi' facendo, in evidente contrasto con l'autonomia statutaria della regione Puglia garantita ex art. 123 della Costituzione, si pongono nel nulla non solo l'intera l.r. Puglia 26 marzo 1985, n. 9 ("Interventi per agevolare il lavoro dei giovani e delle categorie svantaggiate"), ma anche le disposizioni di cui agli artt. 5 della l.r. Puglia 18 luglio 1974, n. 25 ("Interventi per la tutela del patrimonio boschivo"); 8 della l.r. Puglia 17 aprile 1984, n. 17 ("Disposizioni finanziarie in attuazione del piano regionale di sviluppo"); 14 e 15 della l.r. Puglia 12 febbraio 1985, n. 3 ("Disposizioni finanziarie per il biennio 1985-86 in attuazione del piano regionale di sviluppo"); 10 della l.r. Puglia 19 febbraio 1986, n. 3 ("Disposizioni finanziarie per il triennio 1986-88 in attuazione del piano regionale di sviluppo della regione Puglia"); e 13 della l.r. Puglia 13 febbraio 1987, n. 6 ("Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1987 e bilancio pluriennale 1987-89 della regione Puglia"), recanti provvidenze in favore dell'occupazione, soprattutto giovanile. 2.2. g ... in riferimento all'autonomia amministrativa e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, nonche' degli artt. 63, 64 e 67 dello statuto regione Puglia. L'impugnata ordinanza, inoltre, ponendosi in tale circostanza in chiaro contrasto con l'art. 118 della Costituzione, autorizza il commissario delegato, da un lato, a prorogare i termini di efficacia dei provvedimenti amministrativi regionali (art. 3, primo comma) e, dall'altro, ad avvalersi, nello svolgimento delle attivita' previste, del personale e delle strutture dell'amministrazione regionale (art. 4, primo comma). 2.2. h ... in riferimento all'autonomia finanziaria e alle corrispettive attribuzioni costituzionali spettanti alla regione Puglia ai sensi dell'art. 119 della Costituzione, nonche' degli artt. 68, 69, 70 e 71 dello statuto regione Puglia. 2.2. h.1. (con specifico riferimento rispetto a quanto stabilito dall'art. 2 dell'impugnata ordinanza). La (potenziale) menomazione dell'autonomia regionale causata dall'emanazione dell'ordinanza che qui s'impugna, infine, appare manifesta nel considerare che perfino la "legge della regione Puglia concernente norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e contabilita' regionale" (v., di nuovo, l'art. 2 del provvedimento in questione) rimane esposta al pericolo di essere derogata: si tratta della l.r. Puglia 30 maggio 1977, n. 17 ("Norme sulla contabilita' regionale"), cosi' come coordinata con le successive modifiche ed integrazioni. Fermo restando quanto detto in tema di programmazione ( sub par. 2.2. b.) - che vale anche per quanto contemplato al riguardo dalla legge ora in esame, il cui titolo primo e' integralmente dedicato alla programmazione regionale -, per la parte che qui interessa riteniamo di non dover spendere molte parole, dal momento che l'autonomia finanziaria delle regioni (che significa soprattutto liberta' di formare un proprio bilancio) e' garantita in modo non equivoco dall'art. 119 della Costituzione. Si vuole soltanto aggiungere, in questo senso, che al commissario delegato e' stato attribuito anche il potere di derogare al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 ("Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421"), come modificato dall'art. 1, undicesimo e dodicesimo comma del d.lgs. 1 dicembre 1993, n. 528, che al titolo terzo disciplina i tributi riservati alle regioni. 2.2. h.2. (con specifico riferimento rispetto a quanto previsto dall'art. 5 dell'impugnata ordinanza). A dare il colpo di grazia all'autonomia finanziaria della regione Puglia, pero', interviene l'art. 5 dell'impugnata ordinanza, che assegna al commissario delegato le risorse finanziarie per l'attuazione degli interventi previsti. Gli effetti che qui si determinano sono pressoche' assurdi, dal momento che ivi si prefigura la situazione secondo cui, alla richiesta della regione Puglia di intervento finanziario da parte dello Stato - emanata sulla base di quanto accaduto in precedenti numerose occasioni a favore di altre regioni -, il Governo ha risposto (sic|) con l'ablazione di risorse proprie della regione, gia' ad essa assegnate: a conferma del disegno di esautorare completamente la regione Puglia, con il suddetto art. 5 il Governo non ha individuato risorse aggiuntive da assegnare alla regione, ma, al contrario, ha sottratto alla regione medesima finanziamenti gia' programmati e finalizzati. In tale ambito, poi, quel che e' piu' grave e' che tali finanziamenti, pur legislativamente previsti, non sono stati mai materialmente assegnati alla regione (e agli enti locali), cosicche', a mezzo del sopracitato art. 5, il Governo tenta di ritorcere in danno della Puglia un proprio comportamento omissivo, dando al commissario delegato cio' che (in teoria) era dovuto alla regione stessa. E' evidente la falsa applicazione della legge n. 225/1992 perpetrata dal Governo, con l'impugnata ordinanza, ai danni della regione Puglia, qualora si parta dal presupposto secondo cui, all'art. 19 della legge n. 225/1992, il legislatore, ai fini dell'attuazione degli interventi atti a fronteggiare le situazioni di emergenza in tema di protezione civile, prevede l'impiego di risorse finanziarie statali e non l'espropriazione di risorse finanziarie regionali. A cio' si aggiunga che e' radicalmente da escludere che il Governo possa effettuare variazioni di bilancio (sia statale, sia - e soprattutto - regionale) con un semplice atto amministrativo, occorrendo all'uopo uno specifico atto legislativo. E qui si apre il campo ad un (ulteriore) dubbio di costituzionalita' (che va ad aggiungersi a quelli trattati piu' avanti nel terzo motivo di ricorso), che dovrebbe (in ipotesi) investire la legge n. 225/1992, qualora si volesse sostenere che il cit. art. 19 cio' consenta, in violazione degli artt. 81 e 119 della Costituzione. Nell'elencare le sottrazioni di risorse finanziarie subite dalla regione Puglia, seguiremo lo schema seguito dall'art. 5, primo comma, dell'impuganta ordinanza: lett. a): L. 24.875 milioni, assegnati pro-quota alla regione, di cui: L. 17.500 milioni, previsti dalla legge 4 agosto 1989, n. 283 (di conversione del d.-l. 13 giugno 1989, n. 227 "Provvedimenti urgenti per la lotta all'eutrofizzazione delle acque costiere del Mare Adriatico e per l'eliminazione degli effetti"); L. 1.000 milioni, previsti dalla legge 28 agosto 1989, n. 305 (contenente il programma triennale per la tutela dell'ambiente), per il risanamento del Mar Jonio; L. 6.375 milioni, previsti dalla legge 3 luglio 1991, n. 195 ("Conversione in legge, con modificazioni, del d.-l. 3 maggio 1991, n. 142, recante provvedimenti in favore delle popolazioni delle province di Siracusa, Catania e Ragusa, colpite dal terremoto nel dicembre 1990 ed altre disposizioni in favore delle zone danneggiate da eccezionali avversita' atmosferiche dal giugno 1990 al gennaio 1991"), per il risanamento idrico di alcune parti del territorio regionale. Premesso che del predetto importo complessivo, pur essendo esso rientrato nel Piano triennale dell'ambiente adottato dalla regione per il 1991-93, non e' mai stata assicurata la relativa provvista, bisogna qui rilevare che il Governo non puo' distrarre per altri scopi somme aventi una destinazione specifica in base a quanto stabilito da leggi statali di settore ed un'altrettanto specifica finalizzazione loro impressa a mezzo di programmazione regionale; lett. b): L. 25.000 milioni (di pertinenza statale), di cui: L. 15.000 milioni previsti dal piano triennale dell'ambiente (quota volta statale) come stanziamento di somme per le aree ad elevato rischio ambientale, in attuazione dell'art. 7 della legge 8 luglio 1986, n. 349 ("Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale"); L. 10.000 milioni, previsti dalla gia' cit. legge n. 305/1989 (contenente il programma triennale per la tutela ambientale). In relazione a cio', bisogna dire, alla luce di quanto gia' evidenziato sub par. 2.2. c.2. del presente motivo di ricorso, che lo Stato non puo' unilateralmente disporre di tali somme, dato il necessario concorso delle regioni alla formazione dei piani e dei programmi di cui sopra; lett. c): L. 50.974 milioni "mediante utilizzo delle somme derivanti dalla revoca disposta con la presente ordinanza dei finanziamenti destinati all'attuazione di altri interventi ambientali nella regione Puglia, di cui all'elenco allegato. Conseguentemente il Ministro dell'ambiente e la regione Puglia provvedono a versare all'entrata del bilancio dello Stato, rispettivamente, gli importi di L. 48.581,2 milioni e di L. 2.392,8 milioni". In tale ambito, vale quanto gia' messo in evidenza per cio' che concerne la lett. a). Si deve solo ricordare che, dei 50.974 milioni di lire di cui si parla, L. 8.100 milioni sono stati assegnati pro- quota alla regione in base a quanto previsto dalla piu' volte cit. legge n. 305/1989 ("Programma triennale per la tutela dell'ambiente") e i rimanenti 42.874 milioni, in base a quanto stabilito dalla legge finanziaria del 1988 (legge 11 marzo 1988, n. 67). Si parla di somme assegnate, pero', ma solo per una modestissima parte trasferite: fino ad oggi, infatti, la regione ha avuto la materiale disponibilita' di soli 2.392,8 milioni, la medesima cifra, cioe', che ritorna allo Stato tramite l'art. 5, primo comma, lett. c), dell'impugnata ordinanza; lett. d): "le ulteriori somme gia' destinate dallo Stato, dalla regione, nonche' dagli enti locali per la realizzazione di impianti di approvvigionamento, di adduzione e di distribuzione dell'acqua, di fognature di collettazione, depurazione e recapito delle acque depurate, di smaltimento e di recupero di rifiuti urbani, anche con una diversa localizzazione degli stessi, di bonifica ambientale ..". Crediamo che, in proposito, non vi sia nulla da aggiungere al tenore letterale dell'ordinanza, salvo riferire ancora che " .. in tale caso il commissario assumera' in nome e per conto dei rispettivi enti locali i mutui con la Cassa depositi e prestiti" (sic|), indebitando cosi' ad libitum gli enti locali suddetti; lett. e): "le somme derivanti dai finanziamenti comunitari ricompresi nell'ambito di operativita' dei fondi strutturali e di altre iniziative comunitarie ricadenti nella competenza regionale e degli enti locali, in relazione ai quali il commissario e' autorizzato a predisporre e a presentare tutti gli atti necessari". .. E cosi', a tacer d'altro, il Governo si pone in contrasto anche con la normativa CEE, che vede gli enti locali e le regioni quali soggetti di diritto comunitario pleno jure (v. infra par. 3.3. del terzo motivo di ricorso) e, come tali, ammessi in via immediata ai finanziamenti di cui sopra, senza, cioe', riservare allo Stato, nel caso specifico, poteri di ingerenza (e tanto meno di sostituzione); lett. f): "le somme derivanti dalla legge 10 gennaio 1983, n. 8 (("Norme per l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi")), dall'art. 15 della legge 2 agosto 1975, n. 393 (("Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione o sull'impiego di energia elettrica"), che assegna provvidenze finanziarie in favore degli enti locali e delle regioni, per le opere di urbanizzazione secondaria connesse all'installazione di dette centrali) e dal d.P.C.M. 27 dicembre 1988 ("Norme tecniche per la redazione degli studi di impianto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilita' di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell'art. 3 del d.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377"), limitatamente ad interventi interessanti le aree beneficiarie fino al limite di 100 miliardi. E' di tutta evidenza che l'importanza degli obiettivi perseguiti dagli indicati provvedimenti normativi destituisce di giuridico fondamento (a tacer d'altro) la possibilita' da parte del Governo di distrarre le somme ivi previste per altri scopi. 2.3. - Conclusioni. A questo punto, tirando le fila del discorso, se cio' che si e' detto finora ha un senso, e' chiaro che, qualora il commissario governativo decidesse - e niente potrebbe impedirglielo - di far uso dei poteri di ordinanza extra-ordinem conferitigli ai sensi dell'art. 2 dell'ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994, non rimarrebbe praticamente nulla delle prerogative regionali (sia quelle che la regione Puglia istituzionalmente esercita ex artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, sia quelle riservatele dalla legge n. 225/1992 in tema di protezione civile). Una volta chiarito cio', non si potra' di certo negare che il Governo abbia falsamente applicato la legge n. 225/1992 (quanto meno) nell'emanare l'ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994: la pervasivita' dei poteri conferiti al commissario delegato, mettendo a rischio le funzioni costituzionalmente attribuite alla regione Puglia - che la medesima legge n. 225/1992 ha inteso preservare (anche in tema di protezione civile), cosi' come chiarito dalla cit. sentenza n. 418/1992 di codesta ecc.ma Corte - non consente di giungere ad una conclusione di tipo diverso. Ci si consenta - a questo punto - di svolgere un'ulteriore considerazione, che dimostra (in maniera, a dir la verita', un po', grottesca) l'esattezza di quanto appena affermato. Il Governo, tutto proteso nell'annientamento delle attribuzioni della regione Puglia, ha conferito al commissario delegato anche il potere di derogare .. l'inesistente: si veda, al riguardo, l'art. 2 dell'impugnata ordinanza, che annovera fra la normativa statale e regionale deroganda anche la l.r. Puglia 3 novembre 1989, n. 5, mai approvata. 3. - In subordine al non accoglimento del secondo motivo di ricorso. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 225/1992 per contrasto con gli artt. 1, 5, 11, 70, 76, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione e conseguente illegittimita' dei provvedimenti impugnati in quanto invasivi delle attribuzioni costituzionali della regione Puglia. In subordine al secondo motivo di ricorso, nel caso cioe' in cui (per mera ipotesi) si ritenesse che il Governo abbia rettamente applicato la legge n. 225/1992 - all'uopo emanando l'impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 - si chiede a codesta ecc.ma Corte di sollevare dinanzi a se stessa la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della citata legge, per contrasto con gli artt. 1, 5, 11, 70, 76, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione. Essendo la problematica scindibile in piu' parti, ne divideremo l'esposizione cosi' come segue. 3.1. - Disciplina specifica ed esaustiva, da parte della Costituzione, dei poteri normativi "derogatori". Il primo punto della questione consiste nel verificare se sia possibile tollerare, secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti amministrativi di emergenza (o di necessita' ed urgenza) che possano derogare - se del caso - le leggi vigenti, incidendo pertanto sulla ripartizione costituzionale dei poteri, che vede, ancor oggi, la funzione legislativa affidata, in via di principio, al Parlamento (art. 70 della Costituzione). Detto in altri termini, la problematica che qui si affronta verte sulla possibilita' (o meno) di considerare la necessita' come "fonte istituzionale del diritto". La necessita', quindi, come fondamento autonomo di poteri normativi extra-ordinem. Tale possibilita', nella prospettiva che qui si accoglie, dovrebbe essere radicalmente esclusa gia' a partire da una semplice considerazione di teoria generale: non si puo' accogliere e al contempo negare l'idea stessa di ordinamento giuridico, la quale implica - prima fra tutte - la potesta' di regolare le proprie fonti e, fra queste, in primo luogo, di decidere a quali organi debba essere attribuito il potere legislativo, e cioe' il potere di emanare le norme primarie che andranno a comporre (o a derogare) l'ordinamento medesimo. Questa decisione, una volta adottata, vale per sempre, almeno se si vuole continuare a parlare di validita' di quel determinato ordinamento. Ora, la nostra Costituzione, dopo aver attribuito, in via generale, al Parlamento il potere legislativo, ha specificamente ed esaustivamente previsto le ipotesi, ricorrendo le quali, il potere esecutivo possa derogare a tale generale attribuzione della funzione legislativa in favore delle Camere; e cio' la Costituzione ha fatto in via espressa e con limiti garantistici tali da assicurare sempre e comunque il rispetto del principio della centralita' del Parlamento (e, mediatamente, del principio della sovranita' popolare). La Costituzione ha pertanto previsto un apposito istituto atto a derogare le norme legislative in situazioni di emergenza, vale a dire il decreto-legge. Ma se cosi' e', sorge spontanea la seguente domanda: quale mai fondamento possono avere nel nostro ordinamento "le ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente?" E la risposta - gia' data da codesta ecc.ma Corte, in altra occasione - non puo' che essere: nessuno. Ed invero, tale domanda non varrebbe nemmeno la pena di formularla, dal momento che e' assolutamente contraddittorio affermare (art. 5, secondo comma, della legge n. 225/1992) che si possa derogare ad "ogni" disposizione vigente, pur continuando a rispettare i "principi generali dell'ordinamento giuridico". Se cio' e' vero, e' evidente come in questa prospettiva dovrebbe palesarsi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 225/1992 per contrasto con gli artt. 1, 70, 76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui essa prevede che "per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione (dello stato di emergenza) di cui al primo comma, si provvede .. anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico". Per evitare che tale disposizione si risolva in una chiara contraddizione in termini, bisognerebbe infatti sostenere - con inimmaginabile "disinvoltura" - che fra i principi generali dell'ordinamento giuridico non vi siano ne' le norme costituzionali, ne' il principio della separazione dei poteri, cosi' come configurato (e con le deroghe solamente ivi previste) dagli articoli della Costituzione qui presi a parametro di riferimento. Il che, ovviamente, non e' e non puo' essere. 3.2. - Insospendibilita' dell'efficacia di norme costituzionali in forza di ordinanze amministrative. Quanto appena detto, assume coloriture ancora piu' forti, qualora si ponga l'accento del discorso sulla problematica della sospensione dell'efficacia delle norme costituzionali. In questa prospettiva, si partira' dal presupposto secondo cui, anche a voler considerare legittime nel nostro ordinamento le ordinanze di necessita' ed urgenza (sia in generale, sia quelle previste dall'art. 5, secondo comma, della legge n. 225/1992) esse, tuttavia, non potrebbero comunque essere adottate in spregio delle situazioni giuridiche soggettive e dei poteri aventi un'immediata copertura costituzionale. Cio' e' stato messo in evidenza a piu' riprese nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte dalla quale discende, da un lato, che le ordinanze amministrative "non possono in nessun modo considerarsi di carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti. Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finche' si mantengono nei limiti dei principi dell'ordinamento giuridico, non possono mai esser tali da invadere il campo riservato all'attivita' degli organi legislativi ne' a quella di altri organi dello Stato: il rispetto di quei limiti impedisce ogni possibile violazione degli artt. 70, 76 e 77 e dell'art. 1, secondo comma, della Costituzione" (cosi' la sentenza n. 26/1961, in Giur. cost. 1961, p. 534; v. anche le sentenze nn. 4/1977, ivi 1977, p. 23; e 201/1987, ivi 1987, p. 1513); dall'altra, che rientrano sicuramente (rectius: ovviamente) fra i principi dell'ordinamento "quei precetti della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardinali dell'ordinamento, non consentono alcuna possibilita' di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria" (cosi' la sopracitata sentenza n. 26/1961, ivi, p. 535) e, a maggior ragione, da parte di semplici provvedimenti amministrativi, ancorche' emanati per far fronte ad una situazione di emergenza. Ne' si dica che le ordinanze amministrative troverebbero un limite nella Costituzione, ma non nelle riserve di legge da questa previste (v., nella specie, gli artt. 117 e 118 della Costituzione). Si legge, infatti, nella sentenza n. 26/1961: "Per quel che si riferisce alle riserve di legge, la Corte ritiene che si debba distinguere. Nei casi in cui la Costituzione stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una determinata materia (per esempio, art. 13, terzo comma), non puo' concepirsi che nella materia stessa l'art. 2 permetta la emanazione di atti amministrativi che dispongono in difformita' alla legge prevista dalla Costituzione. Per quanto riguarda quei campi rispetto ai quali la Costituzione ha stabilito una riserva adoperando la formula 'in base alla legge' o altra di eguale significato, giova ricordare che la costante giurisprudenza di questo collegio, formatasi principalmente nei riguardi dell'art. 23 della Carta costituzionale, ha ritenuto ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'autorita' amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purche' la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalita' dell'organo a cui il potere e' stato attribuito. E, pertanto, nulla vieta che, nelle materie ora indicate, una disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il potere di emettere ordinanze di necessita' ed urgenza, ma occorre che risultino adeguati limiti all'esercizio di tale potere" (loc. ult. cit.). E pertanto, poiche' non esiste alcuna norma di legge che specificamente detti "criteri idonei a delimitare la discrezionalita'" del commissario, si deve concludere che esso non e' costituzionalmente abilitato a incidere nemmeno su materie coperte da riserva relativa di legge. Ma c'e' di piu'| Se infatti si considera specificamente la problematica dei provvedimenti d'emergenza in riferimento alle attribuzioni regionali, fondamentale e' quanto stabilito dalla successiva sentenza n. 307/1983, nella quale e' enucleato il principio secondo cui "nell'ordinamento italiano le competenze regionali possono e debbono essere esercitate anche nelle condizioni d'emergenza, sicche' la regione partecipa, nel proprio ambito di competenza, alla gestione dello stato d'eccezione. Pertanto non puo' accadere che le attribuzioni regionali 'cedano' allorquando occorra fronteggiare una condizione d'emergenza con mezzi non previsti dall'ordinamento di regola vigente. Questi mezzi, infatti, se rientrano nell'ambito di competenza regionale, possono e debbono essere utilizzati dalle regioni. Da qui la coerente conclusione che le attribuzioni regionali vanno in ogni caso rispettate" (P. Pinna, Le competenze regionali in "condizioni" d'emergenza, nota a commento della sopracitata sent. n. 307/1983 di codesta ecc.ma Corte, in Le Regioni 1983, pp. 166-167). Detto questo, possiamo allora stabilire un punto fermo: data la ricomprensione della ripartizione costituzionale delle funzioni tra Stato e regioni nell'ambito dei principi generali dell'ordinamento, le attribuzioni costituzionali delle regioni sono comunque insuscettibili di essere soggette a deroga tramite provvedimenti amministrativi d'emergenza. Ma, da tale sentenza si potrebbe ricavare molto di piu'. Sembrerebbe, cioe', che, nell'interpretazione fornita da codesta ecc.ma Corte, le prerog- ative regionali siano piuttosto da annoverare, ancor piu' di altre situazioni giuridicamente garantite dalla Costituzione, fra le norme costituzionali del tutto insuscettibili di sospensione, "poiche' il loro 'infrangimento' determinerebbe una 'rottura' insanabile dell'impianto costituzionale. In altri termini, anche nello stato d'eccezione conserva piena efficacia quel minimo di struttura costituzionale che determina 'l'identita'', per cosi' dire, dell'ordinamento stabilito dal costituente. Diversamente lo stato d'eccezione andrebbe considerato non gia' come un particolare e straordinario modo di essere dell'ordinamento, ma un vero mutamento dell'identita' di questo; sarebbe, cioe', un ordinamento alienato" (P. Pinna, op. cit., pp. 178-179). In tale ottica interpretativa, pertanto, si potrebbe evincere dalla sopracitata sentenza n. 307/1983 che le attribuzioni delle regioni facciano parte di quel minimum organizzativo costituzionale di cui si e' parlato. Cio', del resto, non dovrebbe meravigliare, dal momento che, secondo la tesi prevalente in dottrina, l'autonomia e' una manifestazione della sovranita' popolare, "cosicche' le attribuzioni delle regioni si configurano in modo tanto fondamentale da dover essere considerate come uno dei modi e limiti entro cui nell'ordinamento costituzionale italiano si esercita la sovranita'" (P. Pinna, op. cit., p. 179). 3.3. - La q.l.c. dell'art. 5, secondo comma, legge n. 225/1992 per contrasto con gli artt. 1, 70, 76, 77 nonche' 5, 11, 117, 118 e 119 della Costituzione. Considerato che le attribuzioni della regione Puglia incise dall'impugnata ordinanza P.C.M. 8 novembre 1994 hanno un sicuro fondamento costituzionale negli artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione (v. supra: par. 2.2.), non sembra possa sfuggirsi, alla luce di quanto rilevato nel precedente paragrafo, alla seguente alternativa: o il Governo ha invaso le attribuzioni costituzionali della ricorrente violando e falsamente applicando la legge n. 225/1992, oppure, la causa dell'illegittima situazione denunciata risale alla (e va identificata nella) legge n. 225/1992, che, all'art. 5, secondo comma, ha reso possibile, a mezzo di semplici ordinanze amministrative di emergenza, la sospensione delle attribuzioni costituzionali dell'ente regione. Prerogative che, in forza della legge 30 dicembre 1989, n. 439, contenente la "Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Corte europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985", godono al momento attuale anche della copertura internazionale, con ovvie implicazioni costituzionali ai sensi dell'art. 11 della Costituzione. Si giustifica, percio', la richiesta secondo cui, in subordine al non accoglimento del secondo motivo, dovrebbe ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 225/1992, per contrasto, da una parte, con gli artt. 1, 70, 76 e 77 della Costituzione e, dall'altra, con gli artt. 5, 11, 117, 118 e 119 della Costituzione. 3.4. - La sottoponibilita' della regione Puglia a "totale" regime commissariale e l'art. 126 della Costituzione. Va comunque aggiunto che, in favore dell'accoglimento del secondo motivo di ricorso e' decisiva la constatazione che, operando cosi' come ha operato, il Governo sembrerebbe aver voluto sottoporre a "totale" regime commissariale la regione Puglia. Depongono in tal senso le seguenti considerazioni: a) l'estensione materiale dei poteri del commissario delegato che, se usati in una certa maniera - e niente, lo si ripete, potrebbe impedirlo - rischia di privare completamente la regione Puglia della sua autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria; b) il tenore letterale del d.P.C.M. 8 novembre 1994, secondo cui lo stato di emergenza e' dichiarato "a far tempo dal 27 ottobre 1994 e fino al 31 dicembre 1995", con la conseguenza che, la durata di tali poteri sicuramente oltrepassera' il periodo di gestione dello stato di crisi (rectius: lo ha gia' oltrepassato, dato che, al momento in cui si scrive, l'emergenza e' gia' da tempo passata: v., infra, il quarto motivo di ricorso); c) la segretezza con la quale e' stato avvolto il contenuto della nota del prefetto di Bari - successivamente nominato commissario delegato del Governo - n. 5507/13.3/Gab in data 23 settembre 1994, ancorche' tale documento occupi, materialmente e sostanzialmente, la parte preponderante fra i considerata posti a base dei provvedimenti impugnati (v. la richiesta di accesso, ai sensi della legge n. 241/1990, alla suddetta nota prefettizia, con nota del presidente della regione Puglia prot. n. 01/4599/Gab in data 23 novembre 1994: doc. n. 4; il diniego di accesso, con nota del prefetto di Bari prot. n. 6136/15.6/Gab in data 26 novembre 1994, motivato parlando della nota richiesta come di un "atto interno, prodromico ad un provvedimento di alta amministrazione": doc. n. 5; e la nuova richiesta di accesso, direttamente indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri, con nota del presidente della regione Puglia prot. n. 01/04702/Gab in data 30 novembre 1994, che non ha, a tutt'oggi, nemmeno ricevuto risposta: doc. n. 6). Posto cio' in evidenza, il sospetto che il Governo abbia voluto sostanzialmente (e surrettiziamente) commissariare in toto la regione Puglia, espropriandola completamente di quei poteri che le spettano secondo Costituzione quale ente esponenziale della propria collettivita' territoriale, risulta piu' che legittimo. Qualora cio' fosse vero deve pero' rilevarsi che, per realizzare un obiettivo di tal fatta, al Governo non sarebbe bastato nemmeno il ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza ex art. 77 della Costituzione, dovendo ricorrere alle procedure, ben piu' garantistiche, previste all'art. 126 della Costituzione. 4. - In via ulteriormente subordinata. Illegittimita' sopravvenuta del d.P.C.M. 8 novembre 1994 e conseguente illegittimita' della conseguenziale ord. P.C.M. emessa in pari data. In estremo subordine, illegittimita' costituzionale degli artt. 3, quinto comma, e 5, primo comma, della legge n. 225/1992 per contrasto con l'art. 97 della Costituzione e conseguenziale illegittimita' dei provvedimenti impugnati in quanto invasivi delle attribuzioni costituzionali della regione Puglia. Con questo motivo di ricorso si intende mettere in evidenza che, qualora il discorso precedentemente svolto nei primi tre motivi fosse ritenuto privo di fondamento - e, quindi, i provvedimenti impugnati fossero ritenuti legittimamente adottati -, cio' non di meno non cambierebbe, oggi, il giudizio negativo sulla conformita' dei suddetti provvedimenti rispetto alla legge n. 225/1992. Tale legge, infatti, prevede all'art. 5, primo comma, che, con le medesime modalita' previste per la dichiarazione dello stato di emergenza (vale a dire, con decreto governativo), si procede alla sua revoca "al venir meno dei relativi presupposti". In tale prospettiva, e' l'art. 3, quinto comma, della medesima legge n. 225/1992 a suggerire quando vengano meno i presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza, nel momento in cui stabilisce, in via generale e cioe' con una formula valida per tutti i tipi di emergenza regolati dalla medesima legge n. 225/1992, che "il superamento dell'emergenza consiste unicamente nell'attuazione, coordinata con gli organi istituzionali competenti, delle iniziative necessarie ed indilazionabili volte a rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita". Fermo restando, quindi, che e' la legge n. 225/1992 a determinare la cessazione dello stato di emergenza individuandola nella ripresa delle normali condizioni di vita, e' chiaro come, nel caso in cui i poteri governativi possano assumere addirittura la configurazione di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, la revoca dello stato di emergenza costituisca un vero e proprio imperativo categorico per il Governo. In altri termini, l'esistenza di poteri eccezionali come quelli di cui si e' parlato - incidenti, cioe', sulla ripartizione costituzionale delle funzioni fra Stato e regioni - risulta giustificata (ammesso che cio' sia esatto, ma cosi' non e') solo in situazioni di stretta emergenza e non oltre (si v. in termini Corte costituzionale, sentenza n. 15/1982, in Giur. cost. 1982, p. 102: "l'emergenza, nella sua accezione piu' propria, e' una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima, si', misure insolite, ma che queste perdono legittimita' se ingiustificatamente protratte nel tempo"). Ricordiamo, in proposito, che anche Santi Romano, ancorche' (anzi: proprio perche') sostenitore della necessita' come fonte istituzionale del diritto, ammetteva che "la necessita' puo' far uscire temporaneamente dalla legalita', ma nella legalita' si deve rientrare quando la prima cessa", altrimenti "non vi e' modo di distinguere la necessita' vera dall'arbitrio e dalla confusione incostituzionale dei poteri" (Santi Romano, Sui decreti legge e lo stato di assedio in occasione del terremoto di Messina e Reggio Calabria, ora in Scritti minori, Giuffre', Milano 1950, I, p. 305). Che, poi, i provvedimenti extra- ordinem d'emergenza (o di necessita' ed urgenza) emanati da autorita' amministrative, per essere correttamente inquadrabili nell'ambito del nostro ordinamento, debbano (per lo meno) essere attuati in riferimento alla concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare e che percio' essi debbano adeguarsi alla dimensione spaziale e temporale della situazione medesima, e' opinione costante nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., ad esempio, la gia' ricordata sentenza n. 201/1987, proprio in tema di protezione civile, in Giur. cost. 1987, soprattutto p. 1513 e segg. e ivi ampi riferimenti alla precedente giurisprudenza costituzionale). Nel caso di cui ci si occupa l'emergenza (che, comunque, non ha mai assunto dimensioni tali da indurre il Governo a far uso dei poteri conferitigli dall'art. 5, primo comma, della legge n. 225/1992) e' cessata da tempo; che cio' sia vero e' riconosciuto anche dalla stessa amministrazione statale, come testimoniano non solo le dichiarazioni rilasciate il 16 novembre 1994 dal Ministro della sanita', on. Raffaele Costa, al Corriere della Sera (doc. n. 3), ma anche un documento ufficiale, quale il gia' citato Rapporto sull'attivita' di sorveglianza nella fase di emergenza legata al focolaio di colera in Puglia (doc. n. 2), redatto in data 21 novembre 1994 dalla direzione generale dei servizi per l'igiene pubblica del Ministero della sanita': ivi, infatti, a pag. 8 si parla di "presente fase di 'non emergenza'" e, alla pag. successiva, si specifica che "si deve considerare conclusa la fase di emergenza". E' allora evidente l'illegittimita' dei comportamento tenuto dal Governo nel mantenere in vita l'impugnato d.P.C.M. 8 novembre 1994 (e la parimenti impugnata ordinanza P.C.M. emessa in pari data, quale suo atto conseguenziale), una volta cessati i presupposti che ne hanno (in via ipotetica) giustificato l'emanazione. In estremo subordine, qualora, invece, si volesse adottare una diversa soluzione interpretativa delle disposizioni da ultimo citate della legge n. 225/1992 e si sostenesse che l'unica ipotesi di superamento dell'emergenza sta nell'attuazione delle iniziative necessarie e indilazionabili (art. 3, quinto comma) e non, invece, nel venir meno dei presupposti di fatto che hanno determinato la deliberazione dello stato di emergenza (art. 5, primo comma), si chiede a codesta ecc.ma Corte di sollevare dinanzi a se stessa la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, quinto comma, e dell'art. 5, primo comma, ultima parte, della legge n. 225/1992, che, non condizionando il mantenimento dei poteri di emergenza alla permanente sussistenza dei presupposti, finiscono col conferire un'eccessiva discrezionalita' al Governo, ponendosi cosi' in sicuro contrasto con l'art. 97 della Costituzione, anche e soprattutto (per quel che si e' detto in precedenza nei primi tre motivi di ricorso) con riferimento, da un lato, agli artt. 5, 11, 117, 118 e 119 della Costituzione, e, dall'altro, agli artt. 1, 70, 76 e 77 della Costituzione. 5. - Istanza di sospensione dell'esecutorieta' dei provvedimenti impuguati ai sensi dell'art. 40 della legge n. 87/1953. Da quanto premesso e considerato nei precedenti motivi di ricorso, risulta evidente la gravita' e l'irreparabilita' del pregiudizio arrecato alle attribuzioni costituzionali della ricorrente regione Puglia dall'adozione da parte del Governo, degli impugnati provvedimenti. Poiche' dai surriportati motivi risulta altresi' ampiamente provato il fumus boni juris del presente ricorso, la regione Puglia chiede che codesta ecc.ma Corte voglia disporre la sospensione dell'esecutorieta' degli impugnati provvedimenti.