ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 79 e  83  del
 d.P.R.  30  giugno  1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per
 l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  sul  lavoro  e  le
 malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio
 1993  dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente
 tra Albertini Luigi e  l'INAIL,  iscritta  al  n.  630  del  registro
 ordinanze   1993   e   pubblicata   nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti gli atti di costituzione di Albertini Luigi e dell'INAIL;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  13  dicembre  1994  il  Giudice
 relatore Massimo Vari;
    Uditi  gli  avvocati Franco Agostini per Albertini Luigi ed Enrico
 Ruffini per l'INAIL.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza del 19 febbraio 1993  il  Tribunale  di  Ascoli
 Piceno  -  nella  controversia  di  lavoro  in  sede  di  appello fra
 Albertini Luigi ed INAIL - ha sollevato, in riferimento agli artt.  3
 e  38  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 79 e 83 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124  (Testo  unico
 delle   disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli
 infortuni sul lavoro e le malattie professionali),  "nelle  parti  in
 cui non prevedono un diverso computo o la revisione della rendita per
 aggravamento da invalidita' extralavorative sopravvenute".
    Il   Tribunale,  premesso  che  nel  caso  portato  al  suo  esame
 l'Albertini,  assicurato  INAIL  gia'   in   godimento   di   rendita
 infortunistica  pari  al  35% di inabilita', per un infortunio subito
 all'occhio  destro,  richiedeva  la  revisione  della   rendita   per
 aggravamento   dell'inabilita'   dovuta  ad  affezioni  di  carattere
 extralavorativo all'occhio sinistro, osserva che le  norme  impugnate
 regolano  le  situazioni di concorso di inabilita' da infortunio e da
 preesistenza   extralavorativa   (art.  79),  nonche'  di  inabilita'
 derivanti da piu' infortuni  (art.  83),  mentre  "rimane  senza  una
 specifica  disciplina  l'assicurato  che, portatore di un'invalidita'
 per causa  derivante  da  infortunio,  subisca  successivamente,  per
 patologie  non  riconducibili  a  genesi  lavorative, un aggravamento
 dello stesso organo o funzione".
    Ne conseguirebbe una situazione deteriore, sul piano della tutela,
 per  il  lavoratore  gia'  infortunato  che  si  ammali  rispetto  al
 lavoratore gia' ammalato che si infortuni, con violazione degli artt.
 3  e 38 della Costituzione, atteso che "tra le situazioni collegabili
 all'infortunio, non si indennizza il danno successivo che aggrava  in
 qualsiasi modo il precedente derivato dall'infortunio" stesso.
    2. - Costituendosi in giudizio, la parte privata ha chiesto che la
 Corte  interpreti  l'art.  83 del d.P.R. n. 1124 del 1965 in senso ad
 essa favorevole  o  ritenga  fondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale.  Nella  memoria  depositata, ricordate le motivazioni
 con le quali la Corte (ordinanza n. 906 del 1988)  ha  dichiarato  la
 manifesta infondatezza di analoga questione, si osserva che:
       a)  la  particolare  correlazione  tra i due occhi, proprio per
 l'unita' della funzione visiva, induce, nella  interpretazione  della
 norma  sulla  revisione della rendita, a valutare l'aggravamento come
 riferito alla funzione nel suo complesso;
       b) l'incidenza del danno provocato dall'infortunio ad un occhio
 e' diversa a seconda della situazione nella quale  si  trovi  l'altro
 occhio  ("nel  quadro dell'attuale cecita' o quasi il ruolo del danno
 dell'occhio destro  e'  assai  piu'  rilevante  che  non  nel  quadro
 iniziale");
       c)  il  principio della non rilevanza delle cause sopravvenute,
 di cui all'art. 41 c.p., si  riferisce  al  "concorso  di  cause  del
 danno"  e  non  puo'  applicarsi  alla  specie,  trattandosi  qui del
 "concorso di invalidita' di danni diversi";
       d) il concorso  di  invalidita'  tra  danno  lavorativo  e  non
 lavorativo  precedente  e'  gia'  previsto  dall'art.  79, mentre non
 sembra ragionevolmente decisivo l'elemento del momento, e cioe' della
 successione temporale degli eventi, ai fini dell'attribuzione di  una
 diversa  rilevanza  patologica  al  danno  non lavorativo successivo,
 quando egualmente esso risulti in rapporto di sinergia con  il  danno
 lavorativo precedente.
    3. - L'INAIL si e' costituito in giudizio, sostenendo la manifesta
 infondatezza e l'irrilevanza della questione proposta.
    4. - In prossimita' dell'udienza, la difesa della parte privata ha
 presentato  una  ulteriore  memoria,  nella  quale si insiste per una
 pronuncia interpretativa di rigetto, che dichiari  che  la  revisione
 per  aggravamento,  di  cui  all'art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 1965,
 riguarda anche l'inabilita' susseguente  l'infortunio,  se  colpisce,
 come  concorrente  e  sinergica,  lo  stesso organo o apparato; e, in
 subordine, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale delle
 norme impugnate.
    La memoria, dopo aver rilevato che l'ordinanza n. 906 del 1988 non
 puo' costituire un utile precedente ai  fini  della  definizione  del
 giudizio,  ribadisce  le  argomentazioni  gia' svolte, osservando tra
 l'altro che, dalle valutazioni delle inabilita' in base alla  tabella
 allegata  (n.  1)  al  d.P.R.  n. 1124 del 1965 e secondo il criterio
 stabilito all'art. 79  (formula  Gabrielli),  risulta  che  il  danno
 extralavorativo,  sia  preesistente  sia  susseguente, comporterebbe,
 nella  specie,  una   invalidita'   superiore   rispetto   a   quella
 riconosciuta,  in  quanto  il  danno  a un occhio dipende anche dalla
 situazione dell'altro occhio.  Rilevato, altresi', che  il  principio
 della   non   distinzione  tra  danni  precedenti  e  susseguenti  e'
 codificato dalla legislazione in materia di pensioni  di  guerra,  si
 osserva  poi  che la configurazione del concorso tra cause lavorative
 ed  extralavorative  di  danni  come  aggravamento  consentirebbe  di
 considerare,   secondo   un'interpretazione   sistematica,  assorbita
 nell'art. 83 anche l'ipotesi di cui si discute.
    5. - In prossimita' dell'udienza anche  la  difesa  dell'INAIL  ha
 presentato  una  memoria,  con la quale si insiste nella richiesta di
 declaratoria di inammissibilita', irrilevanza o comunque infondatezza
 della questione, sul presupposto dell'identita'  tra  la  medesima  e
 quella decisa con l'ordinanza n. 906 del 1988, ribadendo il principio
 secondo   cui  le  cause  sopravvenute,  autonomamente  efficienti  a
 produrre il danno, non possono essere valutate perche'  al  di  fuori
 del rischio assicurato.
    Poiche'   il   fatto   rilevante   per  l'assicurazione  INAIL  e'
 l'infortunio,  ad  avviso  della  difesa  dell'ente  assicuratore  la
 considerazione  di  altri  fatti  -  come  gli stati patologici a se'
 stanti del tutto indipendenti dal fatto lavorativo, quali titolo  per
 la  revisione  per  la  rendita  -  risulta, pertanto, giuridicamente
 inconcepibile, perche' provocherebbe  un  indiscriminato  ampliamento
 della assicurazione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata dal
 Tribunale di Ascoli Piceno,  con  l'ordinanza  in  epigrafe,  ha  per
 oggetto  gli  artt. 79 e 83 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo
 unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro  gli
 infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
    Il  giudice  a  quo  dubita  che dette disposizioni - nel lasciare
 privo di  disciplina  il  caso  dell'"assicurato  che,  portatore  di
 un'invalidita'   per   causa   derivante   da   infortunio,   subisca
 successivamente, per patologie non riconducibili a genesi lavorative,
 un aggravamento dello stesso organo o funzione" - contrastino:
       a)  con  l'art.  3  della  Costituzione,  per  "la   situazione
 deteriore  in  cui  si  trova  il  lavoratore gia' infortunato che si
 ammali, rispetto al lavoratore gia' ammalato che si infortuni";
       b) con l'art. 38 della Costituzione,  per  "carenza  di  tutela
 legislativa  nella  materia infortunistica, quando, tra le situazioni
 collegabili all'infortunio, non si indennizza il danno successivo che
 aggrava in qualsiasi modo il precedente derivato dall'infortunio".
    2. - La questione non e' fondata.
    Per un piu' puntuale quadro dei problemi che la Corte e'  chiamata
 ad  affrontare,  va  rammentato,  preliminarmente, che la prima delle
 disposizioni denunciate, e cioe' l'art. 79, stabilisce che  il  grado
 di   riduzione   permanente  dell'attitudine  al  lavoro  causata  da
 infortunio,  quando  risulti  aggravato  da  inabilita'  preesistenti
 derivanti  da  fatti  estranei  al  lavoro  o  da altri infortuni non
 contemplati dal titolo I del medesimo d.P.R.  n.  1124  del  1965,  o
 liquidati  in  capitale ai sensi dell'art. 75, deve essere rapportato
 non all'attitudine al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto
 delle preesistenti inabilita'. Secondo la particolare formula per  la
 valutazione  dell'inabilita'  (c.d. formula Gabrielli) prevista dalla
 stessa disposizione, il "rapporto e' espresso da una frazione in  cui
 il  denominatore indica il grado di attitudine al lavoro preesistente
 e il numeratore la differenza fra questa e  il  grado  di  attitudine
 residuato dopo l'infortunio".
    A  sua volta, la seconda delle norme impugnate, e cioe' l'art. 83,
 stabilisce, in tema di rendita di inabilita', che la misura di questa
 puo' essere riveduta, su domanda  del  titolare  o  per  disposizione
 dell'istituto  assicuratore,  in  caso  di  diminuzione  o di aumento
 dell'attitudine al lavoro ed in genere  in  seguito  a  modificazione
 nelle  condizioni fisiche dell'interessato, purche', quando si tratti
 di peggioramento, questo sia derivato  dall'infortunio  che  ha  dato
 luogo alla liquidazione della rendita stessa.
    3.  -  In  base ai principi generali dell'assicurazione contro gli
 infortuni sul  lavoro,  l'evento  assicurato,  e  cioe'  l'inabilita'
 temporanea   o   permanente   del  lavoratore,  intanto  puo'  essere
 ricondotto alla sfera del rischio assunto dall'ente assicuratore,  in
 quanto  sussista un rapporto di derivazione eziologica fra esso ed un
 fatto generatore che si qualifichi come infortunio sul lavoro  ovvero
 come  malattia  professionale, secondo le nozioni e le specificazioni
 degli artt. 2 e 3 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
    In questi limiti l'assicurazione infortuni e' parte integrante del
 sistema generale di sicurezza sociale  previsto  dall'art.  38  della
 Costituzione,  disposizione  che,  come  questa  Corte  ha gia' avuto
 occasione  di  rilevare,  configura  due  modelli  strutturalmente  e
 qualitativamente   distinti:   l'uno,   fondato   sulla  solidarieta'
 collettiva, garantisce  ai  "cittadini",  ove  ad  alcuni  eventi  si
 accompagnino  accertate situazioni di bisogno, "i mezzi necessari per
 vivere"; l'altro, suscettibile  di  essere  realizzato  mediante  gli
 strumenti  mutualistico-assicurativi,  attribuisce  ai  "lavoratori",
 prescindendo da uno stato di  bisogno,  la  diversa  e  piu'  elevata
 garanzia  del  diritto  a "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita"
 (sentenza n. 31 del 1986).
    Ma,  sia  nell'uno  che   nell'altro   caso,   e'   rimessa   alla
 discrezionalita'  del  legislatore  la  determinazione dei tempi, dei
 modi e della misura  delle  prestazioni  sociali  sulla  base  di  un
 razionale  contemperamento  con  la  soddisfazione  di altri diritti,
 anch'essi  costituzionalmente   garantiti,   e   nei   limiti   delle
 compatibilita' finanziarie.
    In  particolare,  per l'assicurazione infortuni, la Corte ha avuto
 occasione di precisare recentemente che la materia non e' ispirata al
 criterio della piena socializzazione del rischio, giacche' il  d.P.R.
 n.  1124  del 1965 circoscrive l'ambito della sua operativita' sia in
 relazione  all'aspetto  oggettivo  sia  con  limitazioni  di   ordine
 soggettivo (sentenza n. 310 del 1994).
    4.  -  I  menzionati principi generali non sono contraddetti dalla
 prima delle disposizioni denunciate, cioe' l'art. 79  del  d.P.R.  n.
 1124  del  1965,  che esprime un criterio - accolto in giurisprudenza
 gia' in epoca precedente alla  sua  prima  enunciazione  legislativa,
 avvenuta con il D.L.C.P.S. 25 gennaio 1947, n. 14 - in base al quale,
 nella  valutazione  del  danno  provocato  dal successivo infortunio,
 acquisiscono  rilevanza  le  condizioni  fisiche   preesistenti   del
 lavoratore,  quando,  a  cagione  della  anteriore  menomazione anche
 extralavorativa, l'infortunio provoca un danno di maggiore  gravita'.
 Quando  uno  degli  organi ovvero dei sistemi organo-funzionali o dei
 sistemi sinergici, vale a dire diversi fra  loro,  ma  reciprocamente
 influenzantisi,  di  cui dispone ciascun individuo, vengano ad essere
 menomati nella loro attivita' globale  a  causa  di  alterazioni  che
 interessano  alcune  parti  soltanto,  le  parti  rimaste funzionanti
 assumono un valore superiore al normale,  per  la  funzione  da  esse
 svolta,  proprio allo scopo di supplire alla parte di funzione venuta
 meno.
    Attraverso il rapporto espresso con la  formula  matematica  (c.d.
 formula  Gabrielli)  richiamata  dal  medesimo  art. 79, la congiunta
 considerazione del danno  pregresso  e  di  quello  sopraggiunto  per
 infortunio  sul  lavoro vale, quindi, ad adeguare piu' esattamente la
 liquidazione dell'indennizzo al  pregiudizio  recato  dall'infortunio
 professionale  alla  capacita'  lavorativa,  nella considerazione del
 plusvalore da attribuire ad arti ed organi residuati alla  precedente
 menomazione.
    La  peculiare  ratio  a  fondamento  della richiamata disposizione
 esclude  la  violazione  del  principio  di  eguaglianza  nei   sensi
 prospettati  dall'ordinanza,  e  cioe' con riferimento a quei fattori
 lesivi sopravvenuti che siano del tutto  estranei  all'infortunio.  E
 questo  a  tacer  del  fatto che, dalla trasposizione cronologica dei
 fattori invalidanti,  potrebbe,  semmai,  conseguire,  in  base  allo
 schema  logico  al quale la norma si ispira, un risultato esattamente
 opposto  a  quello  auspicato  dal  giudice  a  quo:  vale   a   dire
 un'attrazione  degli  effetti  del  precedente  infortunio sul lavoro
 nella sfera dell'incidenza del successivo evento lesivo.
    5. - Quanto, poi, all'art. 83 dello  stesso  d.P.R.  n.  1124  del
 1965,  parimenti denunciato dal Tribunale di Ascoli Piceno, si tratta
 di norma che  si  ispira  ai  principi  gia'  accennati  in  tema  di
 delimitazione del concetto di rischio professionale, come comprova la
 circostanza che la norma richiede che il peggioramento sia "derivato"
 dall'infortunio:  l'evoluzione negativa del danno infortunistico deve
 infatti pur sempre collegarsi al fatto lavorativo, nel senso  che  le
 modificazioni  devono  essere  l'effetto  di  fattori non estranei al
 processo causale aperto dal trauma infortunistico,  mentre  le  cause
 sopravvenute,  autonomamente  sufficienti  a  produrre  il danno, non
 possono essere valutate perche' al di fuori  del  rischio  assicurato
 (in tal senso, ord. n. 906 del 1988).
    6.  -  Quanto  sopra  induce a reputare insussistente la lamentata
 violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione,  non  risultando
 condivisibile  l'assunto dal quale muove l'ordinanza, e cioe' che, in
 entrambi i casi da essa posti a raffronto, si tratti  di  "situazioni
 collegabili all'infortunio".
    La  non comparabilita' delle situazioni poste a raffronto, anzi la
 loro antiteticita', deriva, infatti, dalla  non  riconducibilita'  di
 entrambe,  negli  stessi termini e percio' con gli stessi effetti, al
 criterio   del   rischio   professionale,   su   cui    il    sistema
 dell'assicurazione  contro gli infortuni sul lavoro e' essenzialmente
 basato.