IL PRETORE Nella causa fra Balestrieri Maria, con l'avv. L. Petronio, e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.), con l'avv. A. Campilii, a scioglimento della riserva sulla sollevata questione di legittimita' costituzionale, osserva: FATTO E DIRITTO 1. - Balestrieri Maria, nata il 19 ottobre 1924, dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta', in data 26 ottobre 1989 chiedeva all'I.N.P.S. l'erogazione della pensione sociale di cui all'art. 26 della legge n. 153/1969. L'I.N.P.S. respingeva tale istanza per il motivo che la stessa godeva di un reddito che, cumulato con quello del marito, superava, sia pure di pochissimo, il limite reddituale di legge. Con ricorso del 19 aprile 1990, la Balestrieri chiedeva al pretore la condanna dell'I.N.P.S. al riconoscimento del diritto alla pensione sociale a decorrere dal 1 novembre 1989, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 26 citato e successive modificazioni nella parte in cui attribuisce rilevanza al reddito del coniuge di colui che aspira alla pensione sociale e non estende al medesimo le piu' favorevoli condizioni di reddito previste per gli invalidi parziali aventi diritto all'assegno di cui all'art. 13, legge n. 118/1971. A tal riguardo, sosteneva la ricorrente che col raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta' si perviene ad uno stato che e' perfettamente parificabile a quello degli invalidi parziali infrasessantacinquenni cui e' concessa una prestazione di misura uguale alla pensione sociale; talche' non vi e' ragione di differenziare le due categorie di soggetti quanto ai redditi. Dopo la notifica del ricorso e del decreto, l'I.N.P.S., costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda. 2. - L'art. 26 della legge n. 153/1969 riconosce il diritto al conseguimento della pensione sociale ai cittadini ultrasessantacinquenni sprovvisti di reddito. A tal riguardo sono stati previsti precisi limiti reddituali: in particolare, con l'art. 3, legge n. 114/1974 sono stati stabiliti limiti differenziati a seconda che si tratti di reddito individuale ovvero di soggetto coniugato, da cumulare, in tal caso, col reddito del coniuge. Limiti che, peraltro, sono stati prima elevati con l'art. 3 della legge n. 160/1975 e poi per effetto del meccanismo di perequazione automatica. Sul versante delle invalidita', d'altra parte, il legislatore, a mezzo della legge n. 118/1971, ha provveduto in ordine alla condizione del cittadino inabile al lavoro, disponendo per la corresponsione della pensione di inabilita' in favore dell'invalido totale e di un assegno mensile a favore dell'invalido parziale incollocato al lavoro (artt. 12 e 13). Per tali prestazioni, in quanto riconosciute ai cittadini di eta' compresa fra il diciottesimo e il sessantacinquesimo anno, al compimento di quest'ultima eta', e' stata prevista l'automatica trasformazione in pensione sociale (art. 19); correlativamente e' stato previsto che le condizioni economiche richieste per la corresponsione della pensione o dell'assegno siano identiche a quelle richieste per l'attribuzione della pensione sociale (artt. 12 e 13, citati). Tale parificazione dei limiti reddituali era stata confermata dalle leggi n. 114/1974 (art. 8) e n. 160/1975 (artt. 3 e 7). Successivamente, pero', il legislatore adottava una diversa opzione, in quanto sia per gli invalidi civili totali che per gli invalidi civili parziali, sia pure in diversa misura, elevava i limiti reddituali per il riconoscimento del diritto alle prestazioni di cui agli artt. 12 e 13 della legge n. 118/1971. Tanto veniva disposto con l'art. 14-septies della legge n. 33 del 1980, con la quale veniva stabilita la rivalutazione annuale dei nuovi limiti reddituali, da calcolare con esclusione dei redditi percepiti dagli altri componenti della famiglia. Veniva cosi' stabilita una notevole divergenza fra quest'ultima disciplina e quella relativa alla pensione sociale, anche se poi l'art. 9 della legge n. 54/1982 (di conversione del d.-l. n. 791/1981) ha sancito l'incompatibilita' dell'assegno mensile ex art. 13 legge n. 118/71 con le pensioni dirette di invalidita' e la sospensione della perequazione automatica del limite di reddito per gli invalidi civili fissato dal citato art. 14-septies; e cio' "fino all'assorbimento della parte eccedente il limite di reddito individuale previsto per la concessione della pensione sociale"; venendosi cosi' a determinare un riavvicinamento dei limiti di reddito individuali previsti per l'assegno e per la pensione sociale. Tale operazione di riavvicinamento si e' conclusa con l'entrata in vigore (1 gennaio 1992) dell'art. 12, comma 3 della legge n. 412/1991 che ha equiparato i limiti di reddito individuale. 3. - Con la sentenza n. 769 del 7 luglio 1988 la Corte costituzionale ha affermato che il legislatore, sulla base della normativa in materia, ha ritenuto "in via presuntiva che l'inabilita' connessa all'eta' avanzata sia praticamente indistinguibile da quella derivante ai parzialmente inabili da pregresse condizioni di salute; e che, pertanto, quest'ultima, al compimento dei sessantacinque anni, sia da considerare assorbita nella prima, si che entrambe diano titolo, nelle medesime condizioni di bisogno, ad un'identica prestazione assistenziale". E concludeva la Corte affermando che non e' possibile certo contestare la razionalita' di tale presupposizione e del correlativo sistema normativo. Talche', "se vi e' sostanziale equivalenza fra le condizioni invalidanti che impediscono di procacciarsi i mezzi di sostentamento, non hanno ragione d'essere differenziazioni nell'individuazione delle condizioni di bisogno che danno titolo al sostegno solidaristico della collettivita'; ne' ha senso che, dopo l'eta' suddetta, si riconoscano stati di inabilita', superiori ai due terzi che essa gia' di per se' presuntivamente comporta". Ne discende allora, come scrive la stessa Corte costituzionale che "la coerenza del sistema e' stata vulnerata" con la disposizione dell'art. 14-septies, legge n. 33/1980 relativa agli invalidi civili parziali a causa del divario dei limiti reddituali introdotti per i soggetti non coniugati e per quelli coniugati per la disposta esclusione, ai fini della prestazione, del cumulo con i redditi del coniuge, mantenuto, invece, ai fini della concessione della pensione sociale. E pur riconoscendo che non e' certamente lecito dar luogo a disparita' di trattamento fra soggetti versanti in analoghe condizioni di bisogno e di incapacita' - per ragioni di salute e/o di eta' - di procacciarsi i necessari mezzi di sostentamento, la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 768/88 dichiarava inammissibile la relativa questione di legittimita' perche' spetta al legislatore omogeneizzare, a parita' di condizioni, i livelli reddituali idonei a individuare lo stato di bisogno. 4. - Con la successiva sentenza del 9 marzo 1992, n. 88, la stessa Corte costituzionale pur ribadendo che non e' irrazionale "il presupposto della tendenziale indistinguibilita' tra invalidita' parziale e inabilita' dovuta all'eta'; tuttavia, poi, con un evidente revirement rispetto alla prima sentenza, ha affermato che "pur indubbiamente identica potendo essere la condizione di fatto finale - l'inabilita' assoluta - non puo' ritenersi irrilevante, ai fini della valutazione degli elementi necessari per la determinazione dello stato di bisogno, il tempo in cui tale condizione si e' prodotta: ben diversa e' infatti la situazione di chi si trova ad essere in eta' avanzata sprovvisto di reddito perche' durante la sua vita pregressa l'invalidita' gli ha impedito di procurarsi mediante lavoro il reddito necessario per vivere nonche' la garanzia previdenziale per la vecchiaia, imponendogli prolungati e rilevanti costi umani ed economici, rispetto a quella di colui la cui storia personale, non ha registrato un simile impedimento". In tal guisa, la Corte prospetta, per la prima volta, le ragioni della necessita' del differente regime giuridico, essendo diverse le condizioni di chi abbia raggiunto il sessantacinquesimo anno di eta' in una situazione di accertata invalidita', legittimato, quindi, a mantenere lo stesso trattamento anche dopo i sessantacinque anni in relazione anche al requisito reddituale e di chi, invece, abbia raggiunto i sessantacinque anni senza essere affetto da invalidita'. Cio' posto, la Corte costituzionale, nel presupposto che l'invalido ultrasessantacinquenne non puo' richiedere la pensione di inabilita' o l'assegno, ma la pensione sociale "pura" e che quest'ultima e' preclusa ove il reddito dell'assistito, cumulato con quello del coniuge, superi un certo tetto, ha dichiarato la illegittimita' dell'art. 26, della legge n. 153/1969 nella parte in cui non prevede un tetto di reddito cumulato che sia inferiore rispetto a quello previsto per la pensione sociale pura, in modo che la condizione d'invalidita' non debba pesare integralmente sul reddito del coniuge. 5. - Senonche', se si afferma che sussiste sostanziale equivalenza fra la condizione di inabilita' dell'infrasessantacinquenne e lo stato di vecchiaia (pure presumibilmente invalidante) dell'ultrasessantacinquenne, se ne deve dedurre che "non hanno ragione d'essere differenziazioni nella individuazione delle condizioni di bisogno che danno titolo al sostegno solidaristico della collettivita'; ne' ha senso che dopo l'eta' suddetta (sessantacinque anni) si riconoscano stati di inabilita' superiore ai due terzi, che essa gia' di per se' presuntivamente comporta". Se, invece, si vuol distinguere, come ha chiarito la sentenza n. 88/1992 della Corte costituzionale, fra gli anziani ultrasessantacinquenni e coloro che siano effettivamente invalidi, se ne dovrebbe dedurre, proprio in applicazione del principio di uguaglianza, ex art. 3 Cost., che se l'ultrasessantacinquenne diventa anche invalido (e non solo per l'eta') ha diritto si' di richiedere la pensione sociale, ma alle stesse condizioni reddituali previste per la pensione sociale sostitutiva, in favore dell'invalido ultrasessantacinquenne, gia' titolare di assegno, ex art. 13, legge n. 118/1971. Diversamente, opinando, come si fa nella sentenza n. 88/1992, il sistema normativo appare viziato di incoerenza; mentre piu' coerente sembra essere l'impostazione espressa nella sentenza n. 769/1988, per ribadire che "non e' certamente lecito, alla stregua del combinato disposto degli artt. 3 e 38, primo coma, Cost. dar luogo a disparita' di trattamento tra soggetti aventi diritto a prestazioni assistenziali a carico della collettivita' perche' versanti in analoghe condizioni di bisogno e di incapacita' - per ragioni di sa- lute e/o di eta' - di procacciarsi i necessari mezzi di sostentamento". Se cosi' e', non sembra ammissibile demandare al legislatore o addirittura al giudice (sentenze nn. 88/1992 e 295/1991) le nuove determinazioni del reddito cumulato, posto che, a parere del giudicante, la Corte non si puo' sottrarre dal dichiarare la illegittimita' costituzionale della normativa di che trattasi nella parte in cui, nell'indicare il limite di reddito cumulato con quello del coniuge, ostativo al conseguimento della pensione sociale non prevede, per gli ultrasessantacinquenni, il medesimo meccanismo di determinazione del reddito individuale stabilito per la concessione dell'assegno mensile agli invalidi parziali, di cui all'art. 13, legge n. 118/1971, indipendentemente dall'accertamento della effettiva invalidita' e solo in ragione dell'eta'. Poiche' la questione appare rilevante e non manifestamente infondata se ne rimette l'esame alla Corte costituzionale, con sospensione del giudizio in corso.