comma). IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sull'istanza di riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso in data 21 ottobre 1994 dalla seconda sezione penale del tribunale - sede - nei confronti di Basco Antonio ed avente ad oggetto l'immobile sito in agro di S. Cipriano d'Aversa alla via Negri n. 5, che risulta intestato a Spierto Concetta; Vista l'istanza depositata in cancelleria in data 11 novembre 1994; Visti gli atti del procedimento, nonche' la documentazione tutta, prodotta dalla difesa; Sciogliendo la riserva espressa all'odierna udienza camerale, osserva quanto segue: Per quanto attiene la ritualita' del procedimento va precisato che il termine previsto dall'art. 309, nono comma, del c.p.p. (cui rinvia l'art. 324, settimo comma, del c.p.p.) decorre dalla data nella quale gli atti siano acquisiti nella loro necessaria completezza (in tal senso, tra le altre, Cass. 31 marzo 1993, ric. Giampaolo, in arch. n. proc. pen. 1994, p. 130). Nel caso di specie il verbale delle dichiarazioni rese dal detenuto Basco Antonio al magistrato di sorveglianza di Frosinone ex art. 101, secondo comma, disp. att. c.p.p., risulta essere pervenuto in data 1 dicembre 1994, come gia' precisato nell'ordinanza emanata da questo tribunale in data 7 dicembre 1994, con relativo nuovo decorso del termine. Nel merito, in relazione al provvedimento emanato in data 21 ottobre 1994 dal tribunale di S. Maria Capua Vetere nei confronti di Basco Antonio, con cui veniva disposto il sequestro preventivo dell'immobile sito in agro di S. Cipriano d'Aversa alla via Negri n. 5 (intestato a Spierto Concetta), ritiene preliminarmente il collegio che il combinato disposto del primo e quarto comma dell'art. 12-sexies della legge n. 356/1992 (definitivamente introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 501/1994) contrasti - per i motivi appresso indicati - con gli artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 42 e 97, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui consente l'emanazione di provvedimenti cautelari reali nel corso dell'accertamento di uno dei reati la cui sussistenza - pienamente accertata - e' prevista - dal primo comma dello stesso articolo di legge - quale presupposto oggettivo del provvedimento di confisca. Trattandosi della disciplina normativa che ha facoltizzato l'emissione del provvedimento impugnato, e di cui il collegio e' pertanto chiamato a fare applicazione nel presente procedimento incidentale - che dunque non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalita' - appaiono sussistere i presupposti di cui all'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 ed appare dunque pregiudiziale all'esame delle doglianze difensive la esplicazione dei motivi configuranti il dubbio di costituzionalita'. Va osservato infatti che, come e' noto, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 48 del 9 febbraio 1994 - concernente l'incostituzionalita' dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992 - il legislatore ha introdotto una nuova ipotesi di confisca di beni, relativamente a soggetti condannati per una determinata tipologia di reati. I presupposti di tale provvedimento risultano essere - oltre l'intervenuta condanna - la constatata sproporzione tra il reddito del condannato e la disponibilita' (anche per interposta persona) dei beni medesimi, di cui il prevenuto non riesca a giustificare la provenienza. In altre parole il legislatore, in virtu' delle motivazioni poste dalla Corte alla base della dichiarazione di incostituzionalita' del testo previgente, ha innanzi tutto modificato il presupposto oggettivo idoneo all'applicazione della misura (necessita' della intervenuta condanna e non della mera "pendenza del procedimento"), ed inoltre accentuato il profilo di sanzione a carattere patrimoniale della misura medesima, escludendo l'ipotesi di responsabilita' penale, in origine connessa all'igiustificato possesso dei beni. Lo strumento introdotto risulta dunque di difficile "catalogazione", atteso che da un lato emergono in maniera ancor piu' marcata gli elementi di affinita' con la misura di prevenzione di carattere patrimoniale prevista dall'art. 2- ter, della legge n. 575/1965 e successive modificazioni (come gia' evidenziato dalla Corte in occasione della citata pronunzia di incostituzionalita'), dall'altro emergono caratteristiche del tutto peculiari come la necessarieta' della condanna ed il possibile inserimento nel procedimento di cognizione, che configurano fattori di assimilazione alla "tradizionale" confisca ex art. 240 c.p. Tuttavia la estrema difficolta' di considerare la misura de quo quale "misura di sicurezza patrimoniale", oltre la evidente assenza del presupposto della "pericolosita' della cosa", va individuata - ad avviso del collegio - proprio nella possibile "non immediata ricollegabilita'" del bene/oggetto del provvedimento al reato/oggetto di accertamento, atteso che, in ultima analisi, la condanna per uno dei delitti indicati dalla norma sembra porsi esclusivamente come "indice rivelatore" della pericolosita' del soggetto, cui deve seguire necessariamente una indagine (ed una valutazione) sui rimanenti presupposti (disponibilita' dei beni, sproporzione con il reddito, assenza di giustificazioni) che, di regola, esorbita dalla cognizione del giudice del procedimento in cui si inserisce la misura, avente necessariamente ad oggetto la verifica di fatti penalmente rilevanti. E' appena il caso di rilevare, in proposito, che nel corso del procedimento di applicazione della (analoga) misura di prevenzione ex art. 2-ter, della legge n. 575/1965, le indagini tese a verificare la fondatezza dei presupposti di legittimita' della confisca possono - decorrendo dal provvedimento di sequestro - avere una durata sino ad un anno (con possibile proroga di durata analoga), a dimostrazione della necessita' di una approfondita e specifica verifica cognitiva in contraddittorio. Viceversa, il procedimento disegnato, con non poca approssimazione, dall'art. 12-sexies parrebbe invece configurare una possibile "sovrapposizione" tra accertamento del reato/presupposto e misura cautelare reale tesa ad assicurare la possibile confisca dei beni risultanti sproporzionati al reddito (cfr. quarto comma), il che provoca evidenti "irragionevolezze applicative" e si pone, a ben vedere, in aperto contrasto con i principi costituzionali richiamati in epigrafe. In particolare va evidenziato - a parere del collegio - il problematico rapporto tra "intervenuta condanna" (da considerarsi presupposto indefettibile della misura de quo) e possibilita' di emanare, nel corso del procedimento, provvedimenti di sequestro preventivo, a carattere "anticipato" ai sensi dell'art. 321, secondo comma, del c.p.p. (espressamente richiamato dal quarto comma dell'art. 12-sexies). Se infatti si ritenesse possibile, sulla base della interpretazione letterale della norma de quo (e come in effetti e' accaduto nel caso di specie), emanare il provvedimento di sequestro nel corso del procedimento di cognizione avente ad oggetto l'accertamento dello stesso reato presupposto risulterebbe vanificata - in realta' - la modifica introdotta dallo stesso legislatore (ed imposta dalla Corte, quale ineludibile corollario della presunzione di non colpevolezza) che ha sostituito (al primo comma) lo status di "indagato" con quello di "condannato". In altre parole, cio' che consente l'emanazione del provvedimento di sequestro ex art. 321, secondo comma, del c.p.p. e' - di regola - lo stretto rapporto pertinenziale tra reato in corso di accertamento e natura delle cose di cui e' consentita la confisca, tanto da ritenersi non necessaria una compiuta verifica circa la fondatezza dell'ipotesi incriminatrice contestata (cfr. Cassazione, sez. un., 25 marzo 1993, ric. Gifuni: " .. il controllo del giudice non puo' investire, in relazione alle misure cautelari reali, la concreta fondatezza di un'accusa, ma deve limitarsi all'astratta possibilita' di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato ..", in Cass. pen. 1993, p. 1969). La giurisprudenza, in particolare, ha piu' di una volta sottolineato la necessarieta' della verifica di tale "intrinseca correlazione": " .. in tema di sequestro preventivo il rapporto di strumentalita' tra res e reato deve essere essenziale e non meramente occasionale, per evitare di allargare a dismisura il concetto di sequestrabilita' ..", (cosi' Cass., 11 febbraio 1993, ric. Bertelli, in arch. n. proc. pen. 1993, p. 646). Ora, in ipotesi di attivazione del quarto comma dell'art. 12-sexies (e dunque di sequestro preventivo ricollegato all'ipotesi di speciale "confiscabilita'" di cui al primo comma), nel corso del procedimento avente ad oggetto il reato/presupposto, appare evidente come si vanifichino da un lato il fondamentale parametro di legittimita' costituzionale esprimentesi nella "intervenuta condanna" (non e' infatti consentito al giudice del riesame ex art. 324 del c.p.p. neanche il necessario controllo sulla gravita' dell'elemento indiziario posto a sostegno dell'ipotesi accusatoria), dall'altro lo stesso ordinario parametro di legittimita' del sequestro preventivo, consistente nella "immediata correlazione" tra beni e reato contestato. In sostanza appare all'interprete che il presupposto della condanna possa costituire unico fattore di legittimazione all'"aggressione giuridica" di beni (costituzionalmente protetti ex art. 42 Cost.), che non risultano (a differenza delle consuete ipotesi di confisca), posti in rapporto di "stretta correlazione" con il reato oggetto di accertamento; di qui il dubbio concernente la legittimita' dell'ipotesi "anticipatoria", rispetto al pieno giudizio di responsabilita'. In realta', appare permanere, nei contenuti della nuova disciplina - ad avviso del collegio - quel " .. confuso ordito normativo che ha preteso di assimilare fra loro settori dell'ordinamento del tutto eterogenei .." (Corte cost., sent. n. 48/1994 in Gazzetta Ufficiale, prima serie spec. n. 9 del 23 febbraio 1994, p. 47): il settore delle misure di prevenzione patrimoniali e quello delle misure di sicurezza reali. Se infatti si prescinde dalla intervenuta condanna e si realizza l'applicazione della misura (sia pure sub specie "sequestro") nel corso del procedimento tendente ad accertare la stessa sussistenza del reato/presupposto, si finisce con innestare l'applicazione di un provvedimento del tutto assimilabile alla misura di prevenzione (basata sul medesimo parametro dell'indizio) nel contesto di un procedimento ontologicamente strutturato al perseguimento di finalita' del tutto diverse, risultando compromessi gli stessi diritti di difesa e contraddittorio, nonche' - a ben vedere - lo stesso principio di "buon andamento" (previsto dall'art. 97 Cost.), cui deve uniformarsi anche l'attivita' giudiziaria. E' stata, infatti, gia' evidenziata la lesione del diritto di difesa ricollegata alla impossibilita' di contestare nel procedimento incidentale di riesame della misura reale (a differenza di quanto avviene nell'ordinario procedimento di prevenzione) la sussistenza dei presupposti indiziari che ricollegano il soggetto indagato al reato/presupposto; tuttavia la "compressione" del contraddittorio emerge ulteriormente dalla constatazione circa l'esiguita' dei margini temporali (dieci giorni) concessi alla difesa al fine di addurre - in sede di riesame - elementi circa la provenienza dei beni e l'assenza di sproporzione con le capacita' reddituali dell'indagato. Va inoltre sottolineato che la constata possibile sovrapposizione tra l'accertamento della responsabilita' penale e la compiuta verifica dei presupposti della misura de quo - di notevole complessita' probatoria, in quanto di regola coinvolgente le posizioni di soggetti terzi, estranei ai fatti processuali, nonche' la dettagliata ricostruzione di complesse vicende proprietarie - finisce inevitabilmente con il determinare una irragionevole (in termini di economia processuale ed impiego delle risorse) dilatazione dei tempi di definizione dei procedimenti penali, con possibile compromissione di valori da ritenersi prioritari (si pensi alla possibile prescrizione dei reati oggetto di accertamento), in palese violazione delle regole costituzionali di cui al citato art. 97. Se soltanto si pone mente alla gia' segnalata ampiezza dei tempi di definizione dei procedimenti ex art. 2- ter, legge n. 575/1965 (sino a due anni), aventi ad oggetto esclusivamente la verifica dei medesimi presupposti (peraltro in presenza di amplissimi poteri probatori ex officio), ben si comprende l'eccesso di "ottimismo legislativo" sottostante ad una scelta di "sostanziale duplicazione" degli strumenti di intervento giudiziario. Le illustrate motivazioni inducono dunque il collegio a dubitare della legittimita' costituzionale della disciplina introdotta dall'art. 12-sexies, legge n. 356/1992, oggetto del presente procedimento incidentale, in relazione agli evidenziati parametri. Ne deriva la sospensione del procedimento medesimo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23, legge n. 87/1953.