ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 174, primo
 comma, n. 3, c.p.m.p., promosso con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 14 dicembre 1993 dal  Tribunale  militare
 di Padova nel procedimento penale a carico di Beruschi Luca ed altri,
 iscritta  al  n.  160  del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  14,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1994;
     2)  ordinanza  emessa  il  1 marzo 1994 dal Tribunale militare di
 Padova nel procedimento penale a carico di Romito Salvatore ed altri,
 iscritta al n. 273 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  21, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto l'atto di costituzione di Beruschi Luca, nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  13  dicembre  1994  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'avvocato  Antonio  Romeo  per  Beruschi Luca e l'Avvocato
 dello Stato Stefano Onufrio  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  - Il Tribunale militare di Padova, investito della richiesta
 di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. - formulata,
 con il consenso del pubblico ministero, da alcuni  militari  imputati
 di  vari  reati,  tra  i quali quello di rivolta commesso nella forma
 degli "eccessi", previsto dall'art. 174, primo comma, n. 3, c.p.m.p.,
 -  ha  sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale   di
 quest'ultima  disposizione  in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo
 comma, della Costituzione.
    Dopo aver affermato che la questione e' rilevante nel  giudizio  a
 quo,  dal  momento che a tutti gli imputati e' contestato il reato di
 rivolta nella forma  degli  eccessi,  il  Tribunale  osserva  che  il
 concetto  di  "eccessi"  utilizzato dall'art. 174, primo comma, n. 3,
 c.p.m.p. appare indeterminato, per la mancanza di  qualsiasi  termine
 di  confronto,  e,  percio',  non  sembra  idoneo  ad  individuare il
 comportamento che, nell'ambito di una gamma  pressoche'  infinita  di
 condotte  contrarie  a  norme  giuridiche,  possa  esser  ritenuto di
 gravita' tale da giustificare la previsione di una  sanzione  penale.
 In altri termini, la utilizzazione della espressione "eccessi", senza
 ulteriori  specificazioni, corrispondendo alle manifestazioni estreme
 dell'indisciplina, vale, nella sostanza, a delegare alla  valutazione
 discrezionale  del giudice l'individuazione, fra i vari comportamenti
 indisciplinati, della condotta penalmente rilevante, con  conseguente
 violazione  del  principio  di  cui all'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione e di quello della parita' di trattamento, a causa  delle
 diverse   interpretazioni  che  possono  essere  adottate  anche  con
 riferimento alla medesima condotta.
    Andando alla ricerca di possibili significati in grado di  evitare
 il  predetto sospetto d'incostituzionalita', il giudice a quo esclude
 che  il  concetto  di   "eccessi"   possa   indicare   un   qualsiasi
 comportamento  che  si  discosti  dalla normale condotta disciplinare
 delineata nel regolamento. Infatti, il riferimento a tali  parametri,
 comprendendovi  anche  l'infrazione  di  norme di tratto, da un lato,
 comporterebbe che ben raramente potrebbe realizzarsi  il  meno  grave
 reato  di  ammutinamento  (art.  175  c.p.m.p.),  consistente  in una
 generica  disobbedienza  collettiva  e,  dall'altro,   determinerebbe
 l'equiparazione  della disobbedienza collettiva armata (art. 174, nn.
 1  e   2)   alla   disobbedienza   collettiva   in   qualsiasi   modo
 "indisciplinata",   con   conseguente  violazione  del  principio  di
 eguaglianza.
    Ne',  secondo  il  giudice  a  quo,  potrebbe  darsi  un contenuto
 determinato all'espressione "abbandonarsi ad  eccessi",  intendendola
 come  equivalente  a  quella  di  "dare  in  escandescenze"  (cioe' a
 manifestazioni verbali o anche gestuali determinate da  irrefrenabile
 ira),  sia  perche'  questa  interpretazione  non e' condivisa ne' in
 dottrina ne' in giurisprudenza, sia perche', se gli eccessi dovessero
 risolversi in manifestazioni verbali o  gestuali,  riaffiorerebbe  la
 violazione    del   principio   di   eguaglianza,   considerato   che
 residuerebbero altri comportamenti indisciplinati che, pur  dovendosi
 ritenere piu' gravi delle semplici manifestazioni verbali o gestuali,
 sarebbero  tuttavia  inidonei  a  tramutare  l'ammutinamento nel piu'
 grave reato di rivolta.
    Del resto, un indice della inadeguatezza della formulazione  della
 disposizione  impugnata  puo' desumersi, ad avviso del giudice a quo,
 dal rilievo che l'art. 73 della legge 1  aprile  1981,  n.  121,  nel
 delineare  la  rivolta per gli appartenenti alla polizia di Stato, ha
 sostanzialmente riprodotto l'art. 174 c.p.m.p., ad  esclusione  delle
 ipotesi della rivolta commessa mediante "eccessi".
    1.2.  -  Si e' costituito nel presente giudizio uno degli imputati
 del giudizio a quo, il quale,  aderendo  alle  argomentazioni  svolte
 nella  ordinanza di rimessione, chiede che venga accolta la questione
 di legittimita' costituzionale con la stessa sollevata.
    1.3. - E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
 chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o  non
 fondata.
   Nell'atto di intervento l'Avvocatura generale  dello  Stato  rileva
 che   la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
 Tribunale  militare  di  Padova  tende   a   spostare   sulla   Corte
 costituzionale  un'attivita'  ermeneutica,  che appare invece propria
 del giudice ordinario. Tanto cio' e' vero, prosegue l'Avvocatura, che
 lo stesso giudice a quo con una argomentata motivazione e'  pervenuto
 a    definire   gli   eccessi   come   "le   manifestazioni   estreme
 dell'indisciplina", non riconducibili alla  condotta  consistente  in
 "atti violenti" (art. 174) o all'ammutinamento (art. 175).
    Sul  piano  del  merito,  prosegue  l'Avvocatura,  non puo' essere
 sottovalutato il rilievo che a definire la fattispecie incriminatrice
 non contribuisce la sola espressione "abbandonandosi ad eccessi",  ma
 concorrono   gli   altri   elementi   descritti  nella  stessa  norma
 incriminatrice, vale a dire il rifiuto, l'omissione o il  ritardo  di
 obbedire  alla  intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine
 fatta da un superiore.
    2.1.  -  Identica  questione  e'  stata  sollevata  dallo   stesso
 Tribunale  militare  di  Padova con ordinanza emessa il 1 marzo 1994,
 nel corso di un procedimento a carico di tre militari  imputati,  tra
 l'altro, del reato di cui all'art. 174, primo comma, n.  3, c.p.m.p..
    2.2.  -  Anche in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri svolgendo argomentazioni  identiche  a  quelle
 riportate sub 1.3.
                        Considerato in diritto
    1. - Con due distinte ordinanze il Tribunale militare di Padova ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 174,
 primo comma, n. 3, c.p.m.p., nella parte in  cui  stabilisce  che  il
 reato  di  rivolta possa consistere anche nella condotta dei militari
 che,  riuniti  in  numero  di  quattro  o  piu',  "abbandonandosi  ad
 eccessi",   rifiutano,   omettono   o   ritardano  di  obbedire  alla
 intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine,  fatta  da  un
 loro  superiore.  Oggetto specifico delle contestazioni dei giudici a
 quibus  e'  l'espressione  "eccessi",  la  quale,  essendo   ritenuta
 sostanzialmente  indeterminata,  configurerebbe:  a)  una  violazione
 dell'art.  25,  secondo  comma,   della   Costituzione,   in   quanto
 affiderebbe  alla valutazione assolutamente discrezionale del giudice
 l'identificazione, entro una gamma pressoche' infinita  di  condotte,
 del comportamento da sottoporre a sanzione penale; b) una lesione del
 principio  di  parita' di trattamento, riconosciuto dall'art. 3 della
 Costituzione, derivante dal fatto  che  le  probabili  differenze  di
 interpretazione  giudiziale  di un concetto indeterminato diano luogo
 ad altrettante diversita' di trattamento di una medesima condotta.
    Poiche' le due  ordinanze  sollevano  una  identica  questione  di
 legittimita' costituzionale, i relativi giudizi possono venir riuniti
 per essere decisi con un'unica sentenza.
    2.  -  Va,  innanzitutto,  respinta l'eccezione d'inammissibilita'
 sollevata dalla difesa del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 tendente  a escludere che i giudici a quibus propongano una questione
 di  costituzionalita',  apparendo  le  loro  argomentazioni  rivolte,
 piuttosto,  a  richiedere  a questa Corte quale sia l'interpretazione
 corretta da attribuire all'espressione "abbandonarsi ad eccessi".  In
 realta',  i giudici rimettenti, dopo aver ricercato inutilmente tra i
 vari possibili significati quello ritenuto conforme  a  Costituzione,
 hanno  concluso  che,  essendo  l'unica interpretazione a loro avviso
 plausibile quella che fa coincidere l'espressione contestata  con  le
 "manifestazioni  estreme dell'indisciplina", l'art. 174, primo comma,
 n. 3, c.p.m.p. appare contrario tanto al principio di  determinatezza
 delle  fattispecie  legali  del  reato, sancito dall'art. 25, secondo
 comma,  della  Costituzione,  quanto  al  principio  di  parita'   di
 trattamento,  stabilito  dall'art. 3 della Costituzione. Stando cosi'
 le cose, non si puo' negare che i giudici a  quibus  formulino  nelle
 ordinanze   di   rimessione   una   vera   e   propria  questione  di
 costituzionalita', non gia' una d'interpretazione, avendo individuato
 con precisione sia una disposizione di legge  ordinaria,  alla  quale
 essi ritengono di conferire una non implausibile interpretazione, sia
 i parametri costituzionali in riferimento ai quali gli stessi giudici
 dubitano della legittimita' della norma denunziata.
    3. - La questione non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione.
    Occorre  premettere  che  i  due  profili  sollevati  dai  giudici
 rimettenti - violazione del principio nullum crimen sine lege  e  del
 principio  di  parita'  di  trattamento  -  non  corrispondono  a due
 distinte questioni  di  costituzionalita',  ma  rappresentano,  nella
 prospettazione   dei   giudici  a  quibus,  due  versanti  dell'unica
 questione:     segnatamente     quella     concernente     l'asserita
 indeterminatezza  di  un  elemento della fattispecie penale contenuta
 nell'art. 174, primo comma, n.  3,  c.p.m.p.  -  cioe'  l'espressione
 "abbandonandosi  ad eccessi" - ritenuta tale da rendere assolutamente
 vaga la fattispecie legale del  reato.  Tuttavia,  sulla  base  della
 costante   giurisprudenza  costituzionale  in  materia  di  principio
 penalistico  di  legalita',  l'assunto  fatto  proprio  dai   giudici
 rimettenti non puo' essere condiviso.
    Questa  Corte  ha  da  tempo affermato che le norme penali possono
 contenere,  senza  con  cio'  violare  il  principio  di   legalita',
 descrizioni  sommarie, elementi valutativi, espressioni meramente in-
 dicative  di  comuni  esperienze  o  termini  presi  dal   linguaggio
 comunemente   usato,  purche'  siano  comunque  tali  da  permettere,
 attraverso      l'ordinario      procedimento      d'interpretazione,
 l'identificazione  del  bene  tutelato  dalle  stesse  norme  (v., ad
 esempio, sentt. nn. 122 del 1993, 247 del 1989, 84 del 1984,  79  del
 1982,  49  del 1980, 27 del 1961). La stessa Corte ha anche precisato
 che "la determinatezza dell'indicazione legislativa  del  significato
 d'un  termine  (o d'una espressione) non puo' stabilirsi prescindendo
 dal rapporto che lo stesso termine ha con gli  altri  elementi  della
 fattispecie"  e  dalla  relazione  di  quest'ultima  con  le  ipotesi
 delittuose piu' prossime (v. sent. n. 247 del 1989).
    Seguendo  i   comuni   criteri   d'interpretazione   delle   norme
 giuridiche,   la   giurisprudenza   penale   militare   ha  conferito
 all'espressione contestata un significato univoco, tale da portare  a
 distinguere  sostanzialmente  la  fattispecie del reato di rivolta di
 cui all'art. 174, primo comma, n. 3, c.p.m.p.  realizzata  attraverso
 "eccessi"  tanto  da  quella  di  rivolta realizzata attraverso "atti
 violenti", prevista  nella  stessa  disposizione,  quanto  da  quella
 dell'"ammutinamento",  riferita ai militari che, riuniti in numero di
 quattro o piu', rifiutano, omettono o  ritardano  di  obbedire  a  un
 ordine di un loro superiore (art. 175, primo comma, n. 1, c.p.m.p.).
    Piu' precisamente, il significato dell'espressione "abbandonandosi
 ad eccessi", riferita alle modalita' di comportamento di chi commette
 il  reato  militare  di rivolta rifiutando, omettendo o ritardando di
 obbedire alla intimazione di disperdersi o di  rientrare  nell'ordine
 fatta  da un loro superiore, e' comunemente individuato negli atti di
 intensa indisciplina  concretanti  una  minacciosa  pressione  morale
 collettiva   sulla   volonta'   del  superiore.  In  tal  modo,  alla
 fattispecie penale sospettata d'indeterminatezza dai giudici a quibus
 e' dato un significato chiaro, preciso e  determinato,  che  porta  a
 interpretare  la parola "eccessi" come equivalente a comportamenti di
 estrema indisciplina tendenti a esercitare una forma di "violenza mo-
 rale" nei confronti del superiore  che  ha  fatto  l'intimazione:  un
 significato che distingue nettamente la fattispecie contestata sia da
 quella  della rivolta di cui al n. 3 realizzata con atti violenti, la
 quale comporta atti diretti a sopraffare con la forza la volonta' del
 superiore, sia dalla fattispecie dell'ammutinamento regolata nel n. 1
 dell'art. 175 c.p.m.p., la  quale  consiste  meramente  nel  rifiuto,
 nell'omissione o nel ritardo di obbedire a un ordine del superiore da
 parte di militari riuniti in numero di quattro o piu'.
    Se,  dunque,  hanno  ragione  i  giudici  a  quibus a ritenere che
 l'espressione "eccessi",  ricompresa  nella  fattispecie  di  rivolta
 contestata,  non denota qualsiasi comportamento che si discosti dalla
 normale condotta disciplinare, attualmente delineata nel  regolamento
 approvato con d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, ma si riferisce soltanto
 alle   manifestazioni   estreme   dei   comportamenti  contrari  alla
 disciplina militare, nello stesso tempo essi erroneamente omettono di
 considerare che tali manifestazioni devono essere qualificate  da  un
 obiettivo contenuto intimidatorio nei confronti del superiore.
    Cosi'  interpretata l'espressione contestata, non e' irragionevole
 che il legislatore abbia sottoposto  alla  stessa  pena  edittale  la
 rivolta  compiuta mediante "eccessi" e quella commessa mediante "atti
 violenti", trattandosi di  lesioni  del  bene  protetto  dalla  norma
 incriminatrice   realizzate   con   modalita'  diverse,  ma  omogenee
 (comportamento  intimidatorio-violenza),  salvo  sempre   il   potere
 discrezionale  del giudice, all'atto della determinazione in concreto
 della sanzione, di calibrare l'applicazione di quest'ultima  tra  gli
 ampi  termini  della  pena edittale prevista (da tre a quindici anni)
 alla reale entita' della condotta posta in essere e  alla  differente
 attitudine  degli  "eccessi"  (o  degli  atti  violenti) realizzati a
 ledere il bene della disciplina militare. Ne' e'  irragionevole  che,
 nel  definire  la  rivolta  di  cui  all'art. 174, primo comma, n. 3,
 c.p.m.p., il  legislatore  ne  abbia  previsto  l'ipotesi  realizzata
 mediante  "eccessi",  oltre  a  quella  commessa con "atti violenti",
 mentre, nel delineare il reato di rivolta per gli  appartenenti  alla
 polizia di Stato (art. 73, primo comma, n. 2, legge 1 aprile 1981, n.
 121),   abbia   omesso   il   riferimento  agli  "eccessi":  infatti,
 l'atteggiamento intimidatorio nei confronti  del  superiore  concorre
 significativamente  a  determinare  la  gravita'  dell'offesa al bene
 tutelato dalla norma incriminatrice, nel caso  di  un  delitto,  come
 quello  previsto  dall'art.  174 c.p.m.p., che e' un "reato contro la
 disciplina militare"; mentre lo stesso elemento puo' essere visto  in
 diversa  prospettiva  nella  delineazione del reato di rivolta quando
 questo sia  riferito  ad  appartenenti  a  un  corpo  smilitarizzato,
 qual'e' la polizia di Stato.