IL PRETORE Nel procedimento penale n. 673/92 p.d. contro Borello Armando, nato a Cocconato il 6 aprile 1934, residente in Tonengo Cascina Ottini 13, difeso di fiducia dall'avv. Aufiero del foro di Asti imputato: a) del reato di cui all'art. 21, primo comma legge n. 319/1976 perche' effettuava sul suolo scarichi di liquami (feci, urine e acque di lavaggio) dell'allevamento di suini costituente insediamento produttivo senza aver richiesto la prescritta autorizzazione; accertato in Tonengo nel marzo 1991; b) del reato di cui all'art. 25 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 in relazione all'art. 1, punto 5, legge Regione Piemonte 26 marzo 1990, n. 13 per aver effettuato smaltimento su terreno sotto forma di trattamento dei liquami provenienti dal proprio allevamento suinicolo; accertato in Tonengo nel 1991; Letti gli atti del procedimento; Rilevato che il presente procedimento ha visto la rinnovazione del dibattimento in conseguenza del mutamento del giudice; Rilevato che gia' nel corso del precedente dibattimento il pretore aveva trasmesso gli atti alla Corte costituzionale ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. relativa all'art. 1, punto 5 della legge Regione Piemonte 26 marzo 1990, n. 13, nella parte in cui stabilisce che l'operazione di smaltimento a fini agricoli dei reflui provenienti da insediamenti civili o produttivi costituisce una fase di trattamento dei rifiuti con la conseguente applicazione del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, in relazione agli artt. 25 e 117 della Costituzione; Rilevato che la Corte con ordinanza del 9-23 febbraio 1994, n. 57 aveva ritenuto la questione manifestamente inamissibile essendo carente la motivazione del giudice a quo sulla rilevanza; Rilevato che a seguito della rinnovazione del dibattimento il p.m. ha riproposto la medesima questione di legittimita' costituzionale; Ritenuto che la precedente pronuncia della Corte non costituisca ostacolo alla riproposizione della medesima questione da parte dello stesso giudice e' nella stessa fase del procedimento, trattandosi di pronuncia che non affronta il merito, ma si limita ad una declaratoria di inammissibilita' fondantesi sul difetto o incompletezza di motivazione dell'ordinanza di rinvio (si veda da ultimo l'ord. 23/94 in cui la stessa Corte ha invitato il giudice a quo a completare la valutazione sulla rilevanza della questione); Considerato che, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, l'imputato Borello ha spontaneamente ammesso di aver svolto l'attivita' di spandimento ad uso agricolo dei reflui provenienti dal proprio allevamento di suini senza essersi munito della prescritta autorizzazione e di aver ottenuto quest'ultima soltanto in epoca successiva ai fatti contestatigli nel capo di imputazione; O S S E R V A In punto rilevanza: La questione riproposta a questo pretore appare rilevante al fine di definire il presente procedimento in quanto il Borello, originariamente imputato soltanto della violazione prevista e punita dalla legge Merli, si e' visto successivamente attribuire, in relazione al medesimo fatto, un'ulteriore imputazione la cui previsione scaturisce dal combinato disposto della disposizione della legge regionale n. 13/1990 e del d.P.R. n. 915/1982 regolante la materia dei rifiuti in virtu' del richiamo che la prima fa al secondo. A seconda che la normativa regionale denunciata venga giudicata conforme ai dettami costituzionali evidenziati ovvero contrastante con gli stessi, il Borello verrebbe pertanto a rispondere di due ovvero di un'unica fattispecie criminosa. Appare opportuno sottolineare come la soluzione del dilemma ora delineato non possa essere operata dal giudice comune in via interpretativa, sciogliendo l'opzione relativa al rapporto intercorrente tra le due fattispecie formanti oggetto dei due distinti capi d'imputazione nel senso del concorso apparente di norme. Infatti, le due fattispecie, considerate nella loro previsione generale ed astratta, non si pongono l'una rispetto all'altra in rapporto di specialita', in quanto la prima disciplina attivita' inerenti lo scarico di liquami e la seconda lo smaltimento di rifiuti, difettando pertanto in radice il presupposto logico per la sussistenza del rapporto di specialita' fra norme che consiste nella necessita' che le stesse regolino "la stessa materia" (art. 15 c.p.). Escluso pertanto che il conflitto fra norme possa essere risolto nel senso del concorso apparente delle stesse in virtu' del principio di specialita', ad analoga soluzione si perviene anche facendo applicazione dei diversi ed ulteriori criteri non codificati, enucleati dalla dottrina e fatti propri in alcune occasioni dalla giurisprudenza, per risolvere i conflitti fra norme; ci si riferisce in particolare alla c.d. specialita' in concreto ovvero alla specialita' reciproca ovvero al principio dell'assorbimento. Ad una preliminare verifica, si puo' agevolmente constatare che le due disposizioni penali formanti oggetto delle contestazioni rivolte all'odierno imputato non si collocano reciprocamente in alcuno dei rapporti tipici in cui puo' venire in rilievo un'ipotesi di concorso apparente di norme, in quanto le sfere di applicazione dei due distinti sistemi normativi sono in realta' ben differenziate dal punto di vista delle fattispecie concrete che sono destinate a regolare e la interferenza fra le stesse si verifica soltanto in forza del richiamo che la legge regionale compie al d.P.R. n. 915/1982. In altri termini, in difetto del rinvio operato dalla legge regionale denunciata alla legislazione statale in materia di rifiuti, la fattispecie concreta oggetto d'esame rientrerebbe integralmente ed esaustivamente sotto la disciplina della legge Merli. Invero per la giurisprudenza assolutamente dominante (Cass. 8 gennaio 1991, Valfredi; 24 maggio 1991, Ambrogio; 30 gennaio 1991, Sonaglia), lo spandimento sul suolo agricolo di liquami (non tossici o nocivi) provenienti da insediamento produttivo o civile (e segnatamente quelli prodotti da allevamenti di bestiame o da laboratori di macellazione) integra un'ipotesi di scarico disciplinato dalla legge n. 319/1976 (c.d. fertirrigazione). Deve infatti osservarsi che nel contesto della legge Merli e' indifferenziato l'uso dei termini di scarico e smaltimento di liquami. Ed invero nell'art. 4, primo comma, lett. e) e secondo comma si stabilisce che compete alle Regioni di emanare la normativa integrativa e di attuazione (attraverso il richiamo dell'art. 2, lett. e) n. 2) "dello smaltimento dei liquami nel suolo anche adibito ad usi agricoli", e si ribadisce che "per quanto concerne in particolare gli scarichi sul suolo adibito ad usi agricoli essi potranno in ogni caso essere previsti ( ..) soltanto quando le immissioni siano direttamente utili alla produzione agricola". Eguale indifferenziato uso delle due espressioni si ritrova nella delibera (emanata in attuazione dell'art. 2, legge n. 319/1976) 4 febbraio 1977, all. 5 del comitato interministeriale (di cui all'art. 3 della legge): al punto 1 (Generalita') si dice "la presente normativa relativa allo smaltimento dei liquami sul suolo ( ..) riguarda gli scarichi degli insediamenti", mentre il punto 2, titolato "scarichi sul suolo", esordisce testualmente "Lo smaltimento dei liquami sul suolo ..", e cosi' pure il punto 2.3.2 titolato "Scarichi da allevamenti zootecnici" inizia con le paro1e "Nel caso di smaltimento di liquami zootecnici sui suoli adibiti ad uso agricolo". Non v'e' dubbio dunque che lo spandimento di liquami zootecnici su suolo agricolo e' scarico ai sensi dell'art. 1 legge Merli e come tale e' soggetto ad autorizzazione. Come si desume chiaramente dagli artt. 2, lett. e) n. 2, 4, lett. e), e ultimo comma, 9 ultimo comma, il legislatore del 76 ha ben presente il ruolo ecologico preminente svolto dal suolo che non e' substrato minerale inerte ma strato-base frutto di una lunga evoluzione ambientale, con un suo popolamento biologico essenziale al corretto funzionamento degli ecosistemi terrestri. Per completezza bisogna sottolineare come tale conclusione non trova alcun ostacolo nel disposto dell'art. 21, terzo comma della legge regionale Piemonte n. 13/1990 secondo cui "lo spandimento su terreno a fini agricoli delle deiezioni animali" non rientra nel campo di applicazione della legge n. 319/1976 ne' in quello del d.P.R. n. 915/1982. Infatti, nell'art. 21 in esame, e' netto ed inequivocabile (v. primo comma) il riferimento alle sole deiezioni animali - che coincidono con le materie fecali (solide o semisolide) - mentre ontologicamente e giuridicamente diversa e' la nozione di liquami (anche se di origine animale: es. urine) il cui spandimento su suolo agricolo puo' benissimo integrare un'ipotesi di scarico ai sensi degli artt. 1 e 4, lett. e) legge Merli. Il cit. art. 21, terzo comma della legge regionale si limita a confermare l'irrilevanza - gia' sancita dall'art. 2 d.P.R. n. 915/1982 - dello spargimento delle deiezioni fecali su suolo agricolo tanto con riguardo al d.P.R. cit. quanto con riferimento alla legge n. 319/1976 e pertanto non interferisce minimamente nella valutazione della fattispecie oggetto di causa (la distinzione tra deiezioni fecali e deiezioni liquide non sembra invece essere stata presa in considerazione nell'ord. Corte costituzionale n. 197/1991 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' relativa al cit. art. 21, terzo comma). A questo punto e' chiaro che l'art. 1, punto 5 della legge regionale viene a porsi in contrasto macroscopico con il quadro normativo delineato dalla legge n. 319/1976 e dal d.P.R. n. 915/1982 laddove include nel campo di applicazione di quest'ultimo provvedimento legislativo le operazioni di spandimento su terreni agricoli dei liquami provenienti da insediamenti civili e produttivi. Consegue da quanto siamo venuti dicendo che l'eliminazione dell'evidenziata inutile duplicazione di incriminazioni - in forza della quale la fattispecie concreta considerata sussumibile in tutti ed in ciascuno dei propri elementi costitutivi nella previsione sanzionatoria di cui all'art. 21, legge n. 1976/319 verrebbe ad essere ricompresa anche sotto una nuova e diversa figura criminosa (quella di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 1982/915) - implicherebbe necessariamente la disapplicazione della normativa regionale denunciata con conseguente trasgressione del fondamentale disposto dell'art. 101 della Costituzione che sancisce la sottoposizione alla legge (a tutte le leggi, comprese quelle regionali ed indipendentemente dalla loro legittimita') del potere giudiziario. Su quest'ultimo punto appare opportuno ricordare la decisione con cui la Corte costituzionale, risolvendo un conflitto di attribuzioni tra la regione Emilia-Romagna e la Corte di cassazione, ebbe a ribadire che il giudice non ha il potere di disapplicare la legislazione regionale (come aveva invece fatto la Suprema Corte con una decisione da cui ebbe a scatenarsi il conflitto sollevato dalla regione interessata), ma, qualora dubiti della legittimita' costituzionale di un atto avente forza di legge di fonte regionale, puo' soltanto sollevare la relativa questione alla Corte costituzionale in applicazione di quanto previsto dall'art. 134 della Costituzione. Per quanto siamo venuti dicendo la questione di legittimita' costutizionale denunciata dal Pubblico Ministero appare rilevante, dipendendo dalla soluzione della stessa la circostanza che l'odierno imputato sia chiamato a rispondere di un'unica ovvero di due distinte violazioni di legge e non essendo possibile risolvere l'alternativa in via interpretativa se non a costo di disapplicare la legge regionale. In punto non manifesta infondatezza. La disposizione di legge regionale denunciata recante nel suo complesso la "Disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli scarichi civili" stabilisce letteralmente: "Ai fini della presente legge si definisce: .. 5) Spandimento su terreno: l'operazione di smaltimento ai fini agricoli dei reflui provenienti da insediamenti civili o produttivi. Tale smaltimento, inteso come fase di trattamento dei reflui rientra nell'ambito di applicazione del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915". La norma in esame pone pertanto la seguente equazione: spandimento dei reflui provenienti da insediamenti civili o produttivi = attivita' di smaltimento rifiuti sub specie di trattamento degli stessi con conseguente sottoposizione alla disciplina del d.P.R. n. 915/1982. Cosi' facendo, tuttavia, il legislatore regionale non si e' limitato a specificare una previsione gia' contenuta nella normativa statale, ma ha operato un vero e proprio ampliamento dell'ambito di applicazione di quest'ultima concretando di conseguenza la violazione del principio costituzionale di riserva di legge statale in campo penale emergente dal combinato disposto degli artt. 25 e 117 della Costituzione. Infatti, in primo luogo, nel caso di spandimento sul terreno ad uso agricolo dei liquami animali provenienti da allevamenti non si realizza alcuna forma di trattamento di tali rifiuti, almeno secondo la nozione che di tale attivita' fornisce l'art. 1 del d.P.R. n. 915/1982 e cioe' "come operazione necessaria per il riutilizzo, la rigenerazione, il recupero, il riciclo e l'innocuizzazione dei medesimi". In secondo luogo, l'attivita' di spandimento dei reflui di origine animale sul suolo a fini agricoli non appare concretare alcuna altra fase dello smaltimento dei rifiuti per la quale il d.P.R. citato richieda il rilascio dell'autorizzazione. Infatti, da un lato, l'art. 6, lett. d) d.P.R. n. 915/1982 prevede la competenza delle Regioni a rilasciare "l'autorizzazione ad enti o imprese ad effettuare lo smaltimento dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi; l'autorizzazione ad effettuare le operazioni di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi; l'autorizzazione alla installazione ed alla gestione delle discariche e degli impianti di innocuizzazione e di eliminazione dei rifiuti speciali approvati ai sensi della precedente lett. c)". L'art. 25, primo comma, d'altro canto, commina la sanzione penale ai titolari degli enti e delle imprese che effettuano smaltimento dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi ovvero installano o gestiscono impianti di innocuizzazione e di eliminazione di rifiuti speciali senza l'autorizzazione di cui all'art. 6, lett. d). Dalle due disposizioni discende che l'autorizzazione regionale e' necessaria - e la mancanza della stessa comporta l'integrazione di un reato - quando lo smaltimento riguardi rifiuti di qualsiasi specie prodotti da terzi, mentre per i rifiuti propri l'autorizzazione e' obbligatoria soltanto se gli stessi rientrino nel novero dei rifiuti speciali e solo quando venga in rilievo l'attivita' di installazione di un impianto di innocuizzazione o di discarica degli stessi. La normativa regionale denunciata, sottoponendo in tutto e per tutto alla disciplina del d.P.R. n. 1982/915 l'attivita' di spandimento sul terreno ad uso agricolo dei reflui provenienti da insediamenti civili o produttivi, senza distinguere se si tratti di reflui prodotti da insediamenti propri o di terzi e senza prevedere la necessita' che venga all'uopo installato o gestito un impianto di innocuizzazione o una discarica, ha l'effetto di ampliare la previsione normativa della disciplina statale con assoggettamento all'obbligo dell'autorizzazione ed alla conseguente comminatoria della sanzione penale di attivita' che, in difetto di tale normativa regionale, ne sarebbero escluse. Cio' e' quanto si realizza nel caso di specie poiche' il Borello smaltisce, attraverso lo spandimento sul terreno, i rifiuti provenienti dal proprio insediamento produttivo (e non quelli prodotti da terzi) e senza aver installato o gestito un impianto di innocuizzazione o una discarica. Si evidenzia in tal modo il profilo di illegittimita' costituzionale dianzi prospettato, avendo la legge regionale invaso la competenza statale in tema di potesta' punitiva assoggettando alla sanzione penale fattispecie diverse ed ulteriori rispetto a quelle contemplate nella previsione originaria del d.P.R. n. 915/1982 e venendo cosi' a violare la riserva di legge statale in materia penale discendente dagli artt. 25 e 117 della Costiuzione. E' infatti insegnamento ribadito piu' volte dalla Corte costituzionale (v. ad es. Corte costituzionale 12 maggio 1977, n. 79 e Corte costituzionale 14-22 giugno 1990, n. 309) quello secondo cui: " .. La fonte del potere punitivo richiede solo nella legislazione statale e le regioni non hanno potere di comminare, rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste in una data materia ..". Il giudice delle leggi ribadisce in tal modo la sussistenza di un vero e proprio monopolio della legge statale in materia penale a sostegno del quale si e' soliti addurre la necessita' che vi siano in tutto il territorio nazionale condizioni di uguaglianza nella fruizione della liberta' personale pena la violazione dell'art. 3 della Costituzione, nonche' il disposto dell'art. 120 della Costituzione che vieta alle regioni di adottare provvedimenti che siano di ostacolo al libero esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini. La questione di legittimita' costituzionale sollevata da p.m. appare pertanto oltre che rilevante non manifestamente infondata.