IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza: 1. - Procedimento penale a carico di Parasecolo Mario, imputato tra l'altro del reato di cui all'art. 21, terzo comma della legge n. 319/1976, osserva che il p.m. di udienza ha richiesto pronuncia di questo pretore in ordine all'ipotesi di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 16 novembre 1994 n. 629 in sinergia ed in relazione interconnessa con tutti gli altri articoli dello stesso decreto, con richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 3, 9, 10, 32 e 41 e 77 della Costituzione: "Il p.m. di udienza, dott. Francesco Scavo, si oppone all'ammissione all'oblazione del prevenuto Parasecolo Mario in ordine al capo B) di imputazione (violazione art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976) in applicazione della sanzione di cui all'art. 3 del decreto-legge 16 novembre 1994 n. 629, chiedendo al pretore che dichiari rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dello stesso art. 3 decreto citato, in stretta sinergia con gli altri articoli presenti nel decreto, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 32, 41 e 77 della Costituzione. A parere del p.m. la norma citata si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per manifesta disparita' di trattamento sanzionatorio che il legislatore ha previsto per fattispecie analoghe ed anzi di maggiore gravita' sostanziale per quanto in particolare concerne la modifica del comma terzo dell'art. 21, legge-Merli come novellato dal decreto-legge citato; in contrasto altresi' con l'art. 9 della Costituzione in relazione al secondo comma dell'articolo stesso in quanto la mancata applicazione della sanzione penale in di- verse fattispecie prevista dall'art. 3 del decreto-legge citato appare insufficiente a tutelare il paesaggio nell'accezione piu' lata che recenti pronunce delle Corti Supreme hanno dato alla nozione del paesaggio; la norma in questione appare in contrasto altresi' con l'art. 10 della Costituzione che impone allo Stato italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute laddove omette la sostanziale applicazione e attuazione delle direttive CEE in materia di inquinamento ambientale; ancora si appalesa contrasto con l'art. 77 della Costituzione per la sovrapposizione di sanzioni penali alla norma-base con reiterazioni di decreti-legge, nonche' con l'art. 32 della Costituzione perche' lo svuotamento del sistema deterrente normativo si rivolve in un danno per la salute pubblica, nonche' contrasto con l'art. 41 della Costituzione per violazione del principio "chi inquina paga" con incidenza negativa sulla concorrenza tra imprese. La questione appare al p.m. rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'applicabilita' del disposto dell'art. 3 del decreto citato nel caso di specie atteso che l'oblazione per il capo B) della rubrica in caso di dichiarazione di incostituzionalita' della norma denunciata non sarebbe possibile per mancata novella all'ipotesi originaria sanzionatoria dell'art. 21, terzo comma, legge n. 3l9/1976 e succ. mod.". 2. - Osserva il pretore che la richiesta del p.m. e' fondata e si ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 32, 41 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 16 novembre 1994 n. 629 in sinergia ed in relazione interconnessa con tutti gli altri articoli dello stesso decreto il quale modifica in modo globale il terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 e succ. mod. prevede che "fatte salve le disposizioni penali di cui al primo e secondo comma, l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti dalle Regioni ai sensi dell'art. 14, secondo comma, ove non costituisca reato o circostanza aggravante, e' punita con la sola sanzione amministrativa pecuniaria da lire tremilioni a lire trenta milioni, salvo diversa disposizione della legge regionale. Per gli scarichi da insediamenti produttivi, in caso di superamento dei limiti di accettabilita' delle tabelle allegate alla presente legge e, se recapitano in pubbliche fognature, di quelli fissati ai sensi del n. 2 del primo comma dell'art. 12, si applica la pena dell'ammenda da lire quindicimilioni a lire centocinquantamilioni o dell'arresto fino ad 1 anno. Si applica la pena dell'ammenda da lire venticinquemilioni a lire duecentocinquantamilioni o la pena dell'arresto da due mesi a due anni qualora siano superati i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile, di cui al n. 4 del documento unito alla delibera 30 dicembre 1980 del Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, e di cui all'elenco dell'allegato 1 alla delibera medesima. Ai fini della quantificazione della pena e della ammissibilita' dell'oblazione ai sensi dell'art. 162- bis del codice penale, il giudice tiene conto della entita' del superamento dei limiti di accettabilita'". 3. - Circa i presupposti di diritto in ordine alla non manifesta infondatezza si rileva quanto segue. 3. a) - Va premesso che la legge 10 maggio 1976 n. 319 e succ. mod. (cosiddetta "legge-Merli") costituisce la norma-base in materia di tutela del territorio e delle acque dall' inquinamento idrico, e nel suo contesto sanzionatorio il reato piu' grave e significativo in senso assoluto e' stato sempre considerato quello previsto dal terzo comma dell'art. 21 posto che punisce la condotta sostanziale, immediatamente incidente sull'ambiente naturale, di coloro che "inquinano" materialmente nel senso logico-previsionale della legge stessa e cioe' superando nello scarico i limiti di accettabilita' previsti dalla legge stessa come parametri massimi formalmente tollerabili per ciascuna sostanza riversata su quello che viene definito il corpo ricettore (e che in realta' e' in massima parte il patrimonio idrico e poi anche territoriale del nostro Paese). Accanto ad altri reati satellite, si evidenzia altro reato, per cosi' dire preventivo e burocratico, previsto dal primo e secondo comma del citato art. 21 che punisce chi opera uno scarico senza aver ottenuto l'autorizzazione amministrativa allo stesso. 3. b) - Di conseguenza, il reato di cui al terzo comma citato riporta la pena piu' grave (arresto da due mesi a due anni oltre la pena accessoria dell'incapacita' di contrattare con la pubblica amministrazione), mentre nel caso dei reati previsti dagli altri commi o dagli altri articoli si prevedono pene piu' lievi, laddove peraltro la pena detentiva e' alternativa a quella pecuniaria (con possibilita' di oblazione). 3. c) - Il decreto-legge in esame, nella sinergia inscindibile di tutti i suoi articoli, depotenzia in modo rilevante tutti e tre i capisaldi su cui si fonda la legge-Merli e cioe' l'obbligo di richiedere l'autorizzazione, l'obbligo di rispettare le prescrizioni dell'autorizzazione e l'obbligo di rispettare i limiti prefissati. 3. d) - Riguardo al punto inerente il regime autorizzatorio si osserva una regressione temporale pressoche' generale dato che si riaprono i termini per gran parte degli adempimenti (con poche eccezioni relative ad alcune sostanze tossiche) nonostante una mora ben ultradecennale dagli albori della legge-Merli. Detta regressione sortisce peraltro il contestuale effetto di creare una moratoria trasversale in sede penale prevedendo una autorizzazione in sanatoria che estingue ogni reato pregresso in materia. 3. e) - Sempre in ordine al regime autorizzatorio, si rileva che la sinergia delle previsioni contenute nell'art. 6 del decreto, che aggiungono un tredicesimo comma all'art. 15 ed un secondo comma all'art. 21 della legge n. 319/1976, determina una deregulation di fondo (con previsione di sanzioni amministrative) per gli scarichi civili e da pubbliche fognature con conseguente sottrazione di fatto in via permanente degli stessi dalla disciplina generale dell'art. 21 legge-Merli sulle autorizzazioni (con connessa pregressa sanzione penale). Le residue sanzioni penali, che sono connesse ai soli insediamenti produttivi, sarebbero comunque sempre di fatto vanificate per il passato con la citata moratoria trasversale di sanatoria. 3. f) - Riguardo al punto dei limiti da rispettare nello scarico, il testo del decreto-legge in esame determina una cancellazione quasi totale della disciplina nazionale degli obblighi in relazione alle tabelle o, comunque, prefissati in modo uniforme per tutto il territorio dello Stato. L'art. 1, infatti, determina una radicale modifica nel settore demandando alla discrezionalita' delle Regioni la quantificazione dei limiti per gli scarichi da pubbliche fognature e per quelli da insediamenti civili non in pubbliche fognature. Pur se fino a nuove direttive "restano ferme le prescrizioni adottate anteriormente .. ed in particolare quelle di cui alla delibera del 30 dicembre 1980", consegue di fatto che si potra' potenzialmente determinare una classificazione e deliberazione diversa Regione per Regione, secondo principi e concetti eterogenei (peraltro vengono penalizzate le Regioni che si erano adeguate alle delibera del 30 dicembre 1980 con vantaggio per le Regioni inadempienti). 3. g) - Ancora sul punto dei limiti da rispettare nello scarico. Il decreto-legge prevede che gli scarichi da insediamenti produttivi in pubbliche fognature "nuovi" (e cioe' attivati dopo l'entrata in vigore della legge n. 319/1976) vengono estrapolati dall'obbligo di rispetto dei limiti della tabella C) ove sia in funzione un impianto centralizzato di depurazione (ed appare irrilevante e scarsamente comprensibile in questo contesto un non meglio definito "pretrattamento" che le Regioni dovrebbero imporre in alcuni casi). Va osservato che e' previsto solo che il depuratore sia "in funzione" ma non viene chiarito come e quanto debba essere realmente funzionale, talche' in ipotesi anche un depuratore non adatto o non a pieno regime o difettoso sarebbe comunque formalmente e letteralmente "in funzione". Peraltro questa innovazione contrasta in modo stridente con l'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale prevalente in tema di depuratori secondo la quale l'installazione di un depuratore (privato o comunale) non si traduce automaticamente nella messa in regola dello scarico ai fini della legge n. 319/1976. Onere di chi gestisce uno scarico produttivo per essere in regola con la legge non e' infatti quello di dotarsi di un depuratore bensi' quello di non scaricare superando i limiti tabellari e danneggiando il corso d'acqua ricettore o aumentandone il suo stato di inquinamento. Il depuratore, affatto previsto espressamente dalla legge n. 319/1976, e' un mezzo tecnico di libera scelta al quale il titolare dello scarico puo' ricorrere per raggiungere l'obiettivo di fondo richiesto dalla legge: cioe' scaricare in tabella e senza danneggiare il corso d'acqua. E' stato infatti stabilito dalla giurisprudenza che uno scarico in assenza totale di depuratore ove scarichi in tabella e senza danneggiare non e' formalmente inquinante ed e' perfettamente in regola con la legge n. 319/1976; viceversa uno scarico munito di depuratore "in funzione" ma che, nonostante cio', scarichi, per diversi motivi, fuori tabella ed in modo da danneggiare il corso d'acqua, e' in violazione di legge e non in regola con la disciplina specifica prevista dalla legge n. 319/1976. E' stato dunque ritenuto inaccettabile il principio che vuole automaticamente in regola in toto con la legge n. 319/1976 chi dimostra di aver comunque installato un depuratore. Il principio del decreto-legge teste' esaminato, invece, capovolge il fin qui seguito concetto relativo. 3. h) - Circa il punto sulla inosservanza dei limiti, che ha costituito fino ad oggi l'asse portante strutturale della legge n. 319/1976, si prevede una deregulation di fondo. Infatti e' stata depenalizzata (art. 3 - prima parte - primo comma del decreto) la violazione integrata in relazione alle pubbliche fognature ed agli insediamenti civili non immessi in pubbliche fognature in ordine ai limiti previsti dalle Regioni, con cio' creando, con particolare riferimento agli scarichi da pubbliche fognature, un azzeramento del sistema penale in un campo che rivestiva e riveste notevolissima e primaria incidenza ambientale. E' stata poi ridotta sostanzialmente e svuotata di effetto deterrente pratico la restante ipotesi sanzionatoria penale superstite. Infatti l'inosservanza dei limiti tabellari o di quelli previsti dai comuni ad opera di nuovi scarichi da insediamenti produttivi che recapitano in fognature pubbliche con impianto terminale, viene punita con l'ammenda alternativa all'arresto (ipotesi di pena raddoppiata ove si tratti di alcuni elementi tossico-nocivi). Detta residua sanzione penale e' estremamente piu' modesta rispetto alla sanzione originaria del terzo comma in questione giacche' prevede la pena dell'arresto alternativa con l'ammenda e tutti i casi sono soggetti all'oblazione (al contrario della stesura originaria della legge n. 319/1976); consegue che, di fatto, il sistema sanzionatorio si traduce in una depenalizzazione potenziale indiretta, ben diversa dalla previsione originaria del terzo comma come sopra espressa. E che trattasi di tendenza alla oblazione e dunque alla trasformazione di fatto della sanzione penale teorica e di facciata in un sistema sanzionatorio sostanzialmente pecuniario e scevro da conseguenze penali e' confermato dalla dizione espressa nell'ultimo precetto del primo comma dell'art. 3 del decreto in esame il quale prevede che "ai fini della quantificazione della pena e della ammissibilita' dell'oblazione ai sensi dell'art. 162- bis del codice penale, il giudice tiene conto della entita' del superamento dei limiti di accettabilita'". Il principio e' logico e connaturale al concetto di fondo dell'applicazione dell'art. 162- bis c.p. e non potrebbe essere altrimenti e dunque la espressa reiterazione previsionale teste' riportata appare del tutto superfula perche' anche in sua assenza il giudice avrebbe comunque dovuto operare in tal senso secondo i principi generali dell'istituto; e dunque la espressa dizione pare voler sottolineare, ove ce ne fosse bisogno, che il nuovo reato gia' cosi' soggetto alla parziale deregulation penale e poi comunque soggetto alla estinzione in via di oblazione che viene cosi' riproposta e paventata in modo espresso e palese. E' logico argomentare che la tendenza di fatto generale in ordine a tale residua ipotesi di reato sara' il regime di oblazione e dunque la pregressa severa previsione del terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976, che costituiva l'asse portante del sistema sanzionatorio connesso, viene di fatto esposta al rischio concreto e logico di re- stare solo apparentemente una norma penale mentre in realta' gli effetti pratici sortiti saranno equiparabili come conseguenze di fatto a quelle di una depenalizzazione impropria. Ulteriore deregu- lation e' prevista dal decreto in esame in ordine alla inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni allo scarico; ipotesi che, sanzionata in via pregressa dalla legge n. 319/1976 in via penale, e' stato oggi depenalizzata ed e' soggetta soltanto ad una sanzione amministrativa. 3. i) - Considerato che la sinergia tra le previsioni del decreto e la legge modificata ha determinato un quadro legislativo finale confuso e cavilloso (si pensi, ad esempio, al fatto che si sono introdotte modifiche ad alcuni articoli senza considerare che essi, in realta', si riferivano solo ad alcuni scarichi e non a tutti), si osserva che detta nuova formulazione del terzo comma dell'art. 21, legge n. 319/1976 e degli altri articoli novellati e modificati dal decreto in esame appare difficilmente adattabile ai casi concreti in sede di accertamento dell'illecito da parte della polizia giudiziaria (tra gli altri confusi e scarsamente percepibili intarsi regolamentativi, si veda ad esempio la previsione diversa per tipo di insediamento ed in relazione ai "nuovi" e "vecchi" insediamenti produttivi) e dunque un organo di p.g. rischia al momento importante del fatto-riversamento di non poter sapere in quel momento se agisce come organo di polizia giudiziaria che accerta un reato (con tutti i poteri/doveri conferitigli dal codice di procedura penale) o come organo amministrativo che verifica un illecito amministrativo (con schemi operativi del tutto diversi); ne' e' data possibile questa verifica in quei casi di inquinamento oggettivo ai quali la giurisprudenza della Corte di cassazione ricollega un superamento automatico generale, anche se non quantificato, dei limiti tabellari in seguito a riversamento nel corpo ricettore di alcuni tipi di scarico (es. allevamenti) senza alcuna forma di depurazione e trattamento. Peraltro e' di fatto impossibile per l'organo di p.g., per le medesime ragioni, l'immediata percezione in loco in sede di accertamento dei limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile, di cui all'ultima parte dell'art. 3 del decreto in esame cosicche' si profilano realisticamente difficolta' operative connesse. La sinergia di dette previsioni amministrative/penali con labili ed incerti confini di immediata definizione e percezione in sede di accertamento di p.g. crea di fatto una incertezza operativa per gli organi di polizia giudiziaria che rischia di tradursi in una generale casistica di accertamenti mancati e/o inesatti per inevitabili errori ed incertezze interpretative e difficolta' attuative. 4. - Nel cosi' rinnovato e novellato testo generale della legge n. 319/1976, emerge, ad avviso dello scrivente pretore, una violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto si e' creata una ingiustificata disparita' di trattamento tra i cittadini soggetti alle sanzioni per medesimi fatti sostanziali. 4. a) - Si veda, a puro titolo di esempio, il caso di un sindaco con fogne non depurate a causa degli scarichi industriali allacciati, ed il contestuale caso di un industriale con scarico diretto; ove ambedue gli scarichi superano i limiti tabellari e causano un fenomeno di inquinamento idrico sostanzialmente uguale a livello qualitativo e quantitativo, sulla base della sinergia delle previsioni del decreto in esame che ha novellato il testo base della legge n. 319/1976, il sindaco non e' soggetto ad alcuna sanzione ove la Regione ha consentito detto sistema di scarico (in caso contrario sara' al massimo soggetto ad una sanzione amministrativa), mentre l'industriale e' soggetto a sanzione penale che prevede in linea teorica anche la pena dell'arresto. La deregulation operata dal decreto in esame con previsioni piu' favorevoli in linea di massima per gli scarichi di cui sono titolari i pubblici amministratori, crea un ingiustificata disparita' di trattamento tra casi di scarico da insediamenti privati e scarichi da enti pubblici territoriali, mentre e' logico che certamente gli scarichi pubblici non inquinano meno dei privati. 4. b) - Peraltro anche nel contesto dei reati connessi ai pubblici amministratori si appalesano contrasti potenziali. Infatti se un sindaco apre un nuovo carico da pubblica fognatura dopo aver richiesto ma prima di aver ottenuto la prescritta autorizzazione e' punito con sanzione penale ai sensi dell'art. 23 della legge n. 319/1976; ma se lo stesso sindaco non richiede affatto (e quindi non ottiene) la prescritta autorizzazione e' punito solo con sanzione amministrativa ai sensi del nuovo ultimo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 cosi' come inserito dall'art. 6, secondo comma del decreto-legge in esame. 4. c) - Trasferendo l'esame nel campo parallelo delle sanzioni amministrative, si rileva che dopo le novelle introdotte sulla legge- Merli dal decreto in esame il sindaco che non richiede l'autorizzazione e' punito con la sanzione amministrativa da lire 10 a 100 milioni mentre se inquina le acque, superando i limiti impostigli dalla Regione, e' soggetto alla sanzione amministrativa da lire 3 a 30 milioni ai sensi dell'art. 3, primo comma. Dunque a violazione piu' grave corrisponde trattamento piu' favorevole, e viceversa. 4. d) - Va peraltro sottolineato che colui che viola il regime autorizzatorio (ad es. la omessa richiesta di autorizzazione allo scarico) e quindi pone in essere una condotta illecita ben piu' modesta in via sostanziale rispetto a chi scarica inquinando, vede intatta la norma punitiva originaria che prevede, in linea teorica, anche l'arresto che addirittura puo' giungere fino a due anni; mentre chi riversa nell'ambiente naturale sostanze inquinanti in violazione di legge sara' soggetto, alla deregulation amministrativa e/o penale- oblazionabile come nei punti precedenti e quindi di fatto potenzialmente ed indirettamente decriminalizzata. 4. e) - In base all'art. 2 gli scarichi degli insediamenti produttivi che si immettono in pubbliche fognature vengono ad essere esonerati dal rispetto della tabella C) indipendentemente dalla tipologia di impianto di depurazione presente e dai limiti che questo e' capace di rispettare. Conseguentemente abbiamo che non essendoci limiti previsti dalla normativa statale per gli scarichi delle pubbliche fognature, e non essendoci limiti per gli scarichi produttivi che si immettono in pubbliche fognature sempre fissati dalla normativa statale, di fatto per questa classe di scarichi da insediamenti produttivi viene a determinarsi una doppia disparita' di trattamento: una derivante dalle diverse normative regionali per cui uno scarico di insediamento produttivo di una regione potra' avere trattamento piu' favorevole di quella di un'altra; l'altra, cioe' una disparita' di trattamento degli insediamenti produttivi che si immettono in fognatura anche se questa non e' efficentemente depurata rispetto agli altri insediamenti produttivi. 4. f) - Si appalesa una potenziale e realistica eterogeneita' di gestione regolamentativa, diversa Regione per Regione, con diverse conseguenze sanzionatorie per i cittadini, sulla scorta dell'art. 14, legge n. 319/1976, modificato dal decreto in esame, il quale delinea un ampio margine discrezionale per le Regioni in ordine alla fissazione dei limiti alle pubbliche fognature nonche' in relazione al loro superamento (cosi' pare di poter dedurre dall'inciso "salvo diversa disposizione regionale" inserito dopo la sanzione amministrativa prevista per il superamento). Dunque secondo la scelta dei parametri dei limiti (e delle possibili eccezioni per il loro superamento) i titolari di scarichi di pubbliche fognature sostanzialmente identici possono vedere il loro caso regolamentato come lecito o illecito in due Regioni diverse. 4. g) - Si rileva ancora una ingiustificata disparita' di trattamento (sanzioni penali del tutto diverse) tra scarichi produttivi nuovi o esistenti, immessi in pubbliche fognature con depuratore terminale. 4. h) - Nel contesto del citato principio di uguaglianza la Corte costituzionale (sentenza n. 7/1963) ha stabilito che appare legittimo per il legislatore emanare norme differenziate riguardo a situazioni obiettivamente diverse solo a condizione che tali norme rispondano all'esigenza che la disparita' di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l'adozione. In caso di trattamento sanzionatorio irrazionalmente differenziato la Corte costituzionale ha sempre dichiarato l'incostituzionalita' delle disposizioni relativa (da ultimo, sentenza n. 341/1994 in materia di oltraggio con ridimensionamento della pena minima edittale). Ancora la Corte costituzionale ha sancito con la sentenza n. 254 del 20-23 giugno 1994 che si viola il principio di uguaglianza qualora con leggi successivi si dia vita ad un sistema normativo assolutamente squilibrato "come avviene anche quando si favorisce chi ha posto in essere, fra due condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore gravita', discriminando invece chi ha realizzato la fatto che meno offende lo stesso valore giuridico" (sentenza n. 249 del 1993). 4. i) - Detto squilibrio si avverte, ad avviso di questo pretore, non solo in relazione ai casi specifici compresi nel contesto della legge n. 319/1976 cosi' novellata, bensi' anche, esternamente, tra il dettato cosi' modificato della legge n. 319/1976 e le altre leggi di settore parallelo sempre nel campo della tutela ambientale le quali, per le violazioni di base di sostanza, prevedono sempre sanzioni penali (e non amministrative) per fatti di inquinamento o per violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione, chiunque sia il soggetto attivo del reato (si vedano al riguardo, ad esempio, la legge 31 dicembre 1981, n. 979 a difesa del mare e il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133 sugli scarichi di sostanze pericolose). 5. - Il sistema sanzionatorio dell'art. 21, legge n. 319/1976, cosi' come modificato dall'art. 3 del decreto-legge in esame, di fatto e in ogni caso crea un profondo ed oggettivo svuotamento deterrente e punitivo in ordine a quello che puo' essere definito non uno qualsiasi dei reati in materia ambientale ma senz'altro il piu' grave o comunque uno tra i piu' gravi reati in assoluto in questo settore, e cioe' l'inquinamento in senso stretto del patrimonio idrico nazionale e del territorio in linea generale. Va sottolineato al riguardo che, nonostante il titolo del decreto ("Modifiche alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature") in realta' la modifica del terzo comma dell'art. 21 in questione va ad incidere in via diretta e totale sulla regolamentazione sanzionatoria anche degli scarichi da insediamenti produttivi, ivi compresi i grandi complessi industriali. Dunque anche i grandi casi di inquinamento chimico di origine industriale rientrano in detta modifica. Il ridurre le relative sanzioni, che possono dunque riguardare anche casi socialmente gravissimi sotto il profilo biologico-ambientale, ad una sanzione amministrativa o, tutt'al piu', ad una difficilmente accertabile sanzione penale peraltro oblazionabile cosi' come sopra esposto, significa di fatto aver creato uno svuotamento improvviso ed ingiustificato del sistema sanzionatorio originario che era, invece, chiaro, facilmente interpretabile, facilmente attuabile e soprattutto riportava un effetto deterrente e punitivo di ben altra portata. 6. - Va peraltro osservato che sul modificato terzo comma dell'art 21, legge n. 319/1976 si e' innestata una fiorente ed articolata giurisprudenza della Corte di cassazione che ha costruito principi inediti ed importanti ruotando intorno a detto sistema sanzionatorio; si pensi alle innovative sentenze sulla natura dei prelievi operabili anche da organi di p.g., alle problematiche sulle garanzie della difesa in sede di accertamento, alle nuove possibilita' operative offerte alla p.g. in diverse sedi di accertamento nel settore, alla individuazione di concetti-base come quello di insediamento produttivo e civile ed alle innumerevoli problematiche connesse risolte in sede di indagine e processuale, alle decisioni sulle competenze istituzionali, alla individuazione dei punti di scarico ed alle metodiche di prelievo e si potrebbe a lungo continuare; trattasi di una stratificazione, omogenea e per nulla disarticolata, di giurisprudenza che negli ultimi anni ha creato una vera e propria prassi interpretativa-applicativa di supporto e integrazione alla legge n. 319/1976 che ha costituito fino ad oggi l'ossatura portante delle indagini di p.g. e dei processi in materia; il decreto in esame, intaccando alla radice il sistema sanzionatorio su cui si e' basato l'intervento della Suprema Corte, ha azzerato di fatto questa preziosa costruzione giurisprudenziale che appare in larga parte non piu' pertinente. 7. - In detto svuotamento sanzionatorio di uno dei reati piu' importanti in materia di tutela ambientale (forse il reato piu' importante in assoluto in materia di inquinamenti) si profila ad avviso dello scrivente Pretore una violazione del disposto dell'art. 9, secondo comma della Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu' recenti pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici. Il decreto-legge prevede come sostanze pericolose esclusivamente quelle contenute nella delibera del 30 dicembre 1980, ma successivamente a tale data le tabelle allegate alla legge n. 319/1976 sono state modificate inserendo anche altre sostanze notevolmente pericolose come i policlorobifenili ed i pesticidi differenti da quelli clorurati e fosforati; nel momento in cui invece si fa riferimento esclusivamente a quelle contenute nella delibera vengono fatte salve queste sostanze che, pur se pericolose, non vengono ad essere considerate tra quelle soggette alle sanzioni previste per le altre sostanze pericolose (ad es. atrazina). Inoltre si deve evidenziare come la legge n. 319/1976 non prevede che non vengano scaricate esclusivamente le sostanze contenute nella tabella A) ma prevede anche che non vengano scaricate senza autorizzazione tutte le sostanze possibili tossiche e nocive che possono essere presenti in uno scarico, talche' quando pretende l'autorizzazione all'art. 13 prevede che si chieda l'autorizzazione anche per tutte le sostanze inquinanti rendendo appunto necessaria la dichiarazione delle caratteristiche qualitative e quantitive dello scarico ma non limitatamente a quelle previste dalle tabelle. Questo precetto comporta che se un soggetto scarica nella acque una sostanza tipo la diossina, non essendo la diossina stessa prevista tra i limiti tabellari l'autorita' competente che rilascia l'autorizzazione potra' e dovra' certamente prescrivere un limite per la diossina; nel momento in cui, pero', viene ad essere prescritto questo limite, non essendo la diossina annoverata dai limiti tabellari con l'attuale dizione presente nel decreto-legge in esame, abbiamo che pur in presenza di detto scarico che riguarda una delle sostanze piu' tossiche, non e' applicabile la stessa sanzione che e' irrogabile ad esempio per il mercurio; e quanto esposto per la diossina vale per molte altre sostanze tossiche come ad esempio l'argento. Va inoltre tenuto presente che le sostanze tossiche contenute nella delibera del 31 dicembre 1980, cosiddette inderogabili, sono solo una piccolissima parte di quelle che invece sono da considerare tossiche e nocive, perche' solo una piccola parte di queste sostanze possono essere ricondotte alle 129 sostanze previste dalla direttiva CEE madre per quanto riguarda l'inquinamento e quindi andare ad applicare delle sanzioni penali esclusivamente a queste sostanze pericolose e' del tutto limitativo e non rispetta quanto previsto dalla direttiva CEE. 8. - Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9 della Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto anche con l'art. 32 della Carta costituzionale. Infatti nel concetto di tutela della salute come principio costituzionalmente garantito deve, per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto della salute pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente naturale ed urbano ove ciascun cittadino vive. Il diritto alla salute inteso anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai ripetutamente accertato in giurisprudenza (si veda per tutte la famosa sentenza delle sezioni unite n. 517 del 6 ottobre 1979, nonche' la Corte costituzionale in data 30 dicembre 1987, n. 641 ed in data 16 marzo 1990, n. 127). E' fuor dubbio che la diminuita possibilita' di intervento deterrente-punitivo in sede di illeciti da inquinamento idrico, e la connessa oblazionabilita' delle residue sanzioni penali, crea i presupposti per una evoluzione incontrollata del fenomeno, incoraggiata dall'abbassamento della guardia in sede di controlli di p.g. e possibilita' di intervento processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per la salute e salubrita' pubblica in un ambiente che resta cosi' maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante. 9. - Va ancora rilevato che la norma in esame pare porsi in totale contrasto con gli obblighi che derivano al nostro Paese per l'appartenenza all'Unione Europea. Gia' due volte la Corte europea di giustizia ha condannato il nostro Paese per il contrasto tra la "legge-Merli" e le direttive comunitarie, tra l'altro anche per la permissivita' del sistema autorizzatorio previsto e per la "insufficienza" delle sanzioni penali previste dall'art. 22 in relazione alla inosservanza della prescrizioni dell'autorizzazione (Corte di giustizia 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990 pubblicate integralmente in "Amendola - Inquinamento e Industria" - Milano 1992, pag. 69 e segg.). La sopra esposta generale regressione sanzionatoria creata dal decreto-legge in esame concretizza di conseguenza una ulteriore evoluzione del grado di inadempienza italiana verso le direttive CEE e verso le sentenze della Corte europea. Peraltro il decreto stesso, eliminando limiti certi per gli scarichi da pubbliche fognature si pone in evidente contrasto con la direttiva CEE n. 271 del 21 maggo 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane, che lo Stato italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro lo scorso giugno 1993 e che fissa obblighi e limiti ben precisi, con ben pochi margini di discrezionalita' specie per le "aree sensibili". E del resto il contrasto e' apparso evidentemente gia' in sede di redazione del testo in esame se il decreto specifica espressamente nell'art. 1, terzo comma che "le disposizioni del presente decreto si applicano in attesa dell'attuazione della direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991". Dunque da un lato l'Italia non ha recepito la direttiva CEE nei termini stabiliti e dall'altro ha adottato un decreto-legge in antitesi ai principi della direttiva stessa, con una mora temporale applicativa illogica. Ove il decreto 629 dovesse essere convertito in legge, le sue prescrizioni si applicheranno dunque finche' non si sara' data attuazione alla citata direttiva; evoluzione che dovrebbe avvenire, secondo la legge comunitaria 1993 n. 146 del 22 febbraio 1994, entro il marzo 1995 e cioe' entro pochissimi mesi; e, peraltro, con rigidi principi di attuazione predeterminati dal Parlamento (art. 37, primo comma) in evidente contrasto con la elasticita' e genericita' del decreto in esame. Il che provochera' ulteriore confusione ed incertezza del diritto. Ed in ogni caso va sottolineato che, secondo la citata legge comunitaria, il Governo dovrebbe dare attuazione a questa direttiva provvedendo all'"adeguamento della normativa vigente alla disciplina comunitaria, apportando alla prima ogni necessaria modifica ed integrazione allo scopo di definire un quadro omogeneo ed organico delle disposizioni di settore" (art. 36, lett. c). Dato il carattere regressivo in sede sanzionatoria del decreto 629, ritiene lo scrivente che si appalesa un contrasto con l'art. 10 della Costituzione per mancata conformazione alle citate norme del diritto intemazionale. 10. - Si rileva inoltre che la regressione sanzionatoria in esame si pone in evidente contrasto con il principio "chi inquina paga", oggi chiaramente presupposta da diverse decisioni della Corte di cassazione (tra le altre, Cass. pen. sez. III, 2 febbraio 1994, n. 2525 e Cass. pen. sez. III, 6 aprile 1993, n. 3148). La norma denunciata infatti favorisce apertamente chi ha violato la legge e penalizza, invece, anche sul piano della concorrenza tra imprese, proprio le aziende che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale; e cio' appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della Costituzione. 11. - Si rileva ancora che, sotto il profilo della correttezza istituzionale, ritiene questo Pretore di far proprie in questa sede le osservazioni del pretore di Tivoli svolte nella sua ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale (5 ottobre 1994) a proposito del contrasto tra il decreto-legge n. 537 precedente e l'art. 77 della Costituzione: "Violato dalla norma denunciata ed unitariamente dal decreto-legge che la contiene e' altresi' il principio di riserva di legge in materia penale affermato dall'art. 25 della Costituzione, letto in relazione con l'art. 77 della Costituzione sulla decretazione di urgenza da parte del govemo. Si osserva sul punto che la riserva di legge in materia penale possiede quale primo e fondamentale significato quello secondo cui le scelte di politica criminale sono monopolio esclusivo del Parlamento. L'ammissibilita'che nuove norme di diritto penale siano introdotte attraverso decreti-legge o decreti legislativi e' connessa alla circostanza che in entrambi i casi si realizza ed e' assicurato comunque l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata ora quale organo delegante (art. 76 della Costituzione) ora quale organo cui e' rimesso il potere di conferire stabilita' e durevolezza attraverso la legge di conversione a disposizioni normative precarie e soggette a decadenza in caso di inutile decorso del termine di sessanta giorni dettato dall'art. 77 u.c. della Costituzione. Nella specie attraverso la reiterazione a catena di decreti-legge non convertiti disciplinanti l'identica materia penale - l'ultimo e' quello denunciato di incostituzionalita' con la presente ordinanza - si e' di fatto realizzata la sottrazione al Parlamento della sua esclusiva competenza a disporre in materia penale, con l'inammissibile assunzione da parte dell'esecutivo del relativo o potere di bilanciamento e di valutazione degli interessi che in materia penale e' di esclusiva competenza dell'organo assembleare rappresentativo della sovranita' popolare. In altre parole attraverso il procedimento indiretto consistito nella ripetuta adozione di decreti-legge non convertiti si e' realizzato il risultato contrastante con le precisazioni di cui alla Corte costituzionale che vuole assicurata la competenza esclusiva del Parlamento in materia penale". In aggiunta alla condivisibile motivazione del pretore di Tivoli, che lo scrivente fa propria, va peraltro osservato che la legge-Merli e' stata soggetta ad una reiterata modifica in base a sei decreti-legge ripetuti in via continuativa i quali ad ogni reiterazione hanno sempre prospettato principi in alcuni punti diversi, stratificando cosi' di fatto una modifica valida per sessanta giorni e poi diversificata spesso in via sostanziale su una base normativa che ha dunque perso ogni certezza di applicazione. Gli imputati dei connessi procedimenti penali sono dunque stati soggetti, con alternanza di sessanta giorni, ad un sistema sanzionatorio ogni volta modificato, anche profondamente, e che ha di fatto determinato potenziali diversita' di trattamento per casi identici ma valutati nelle more di sessanta giorni diverse per ulteriore ed eterogenea reiterazione. Si pensi, per citare soltanto le diversita' piu' imme- diate, alla diversa formulazione di modifica contenuta nel precedente decreto n. 537 e nell'attuale decreto in relazione al terzo comma dell'art. 21, legge n. 319/1976, laddove il sistema sanzionatorio e' del tutto nuovamente mutato e dunque gli imputati per processi pendenti sotto la valenza del pregresso decreto hanno dovuto seguire una sorte processuale del tutto diversa da quella ipotizzabile per gli imputati per medesimi fatti nella vigenza dell'attuale decreto. Questo crea potenziali gravi ingiustizie, anche considerando che "la norma contenuta in un decreto-legge non convertito non ha attitudine alla stregua del terzo e ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione, di inserirsi in un fenomeno successorio quale quello descritto regolato dai commi 2 e 3 dell'art. 2 del c.p.p." (Corte costituzionale n. 51 del 19 febbraio 1985) e dunque consegue che fatti identici pregressi possono essere definiti con sentenze del tutto diverse secondo la mora di vigenza dei decreti-legge reiterati in materia. 12. - Da quanto sopra esposto, emerge che in applicazione della norma oggetto del giudizio di costituzionalita' dovrebbe procedersi a verifica in ordine al capo B) di imputazione per appurare se al caso di specie debba applicarsi la innovativa disciplina dell'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976, derivante dalla modifica introdotta dall'art. 3 del decreto-legge in esame, in stretta inscindibile sinergia con gli altri articoli dello stesso decreto. E quindi se il prevenuto debba essere ammesso all'oblazione anche per tale reato. Qualora, invece, la questione di costituzionalita' dovesse essere accolta, si dovrebbe procedere a dibattimento secondo prassi ordinaria di rito con esame istruttorio nell'alveo interpretativo del terzo comma dell'art. 21 legge n. 319/1976 sulla base dei principi enunciati dalla Cassazione in materia e conseguente articolazione del dibattimento e del connesso sistema sanzionatorio secondo i canoni di certezza del diritto fino ad oggi seguiti in materia. 13. - Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non puo' essere definito, allo stato e vigente i principi del decreto-legge n. 629/1994 in esame, in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.