IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Piazzi Fabio Bruno, evocato in giudizio per rispondere del reato p. e p. dall'art. 708 del c.p. (essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, era colto in possesso della somma di L. 510.000 di cui non giustificava la provenienza). Fatto accertato in Cremona il 30 marzo 1994, anteriormente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, chiedeva ed otteneva, previo consenso del p.m., di essere ammesso alla procedura di cui agli artt. 444 e ss. del c.p.p. Le parti concordavano la pena di 2 mesi di arresto cosi' calcolata: P.B. = 3 mesi arresto - 1/3 ex art. 444 del c.p.p. Poiche' l'esame degli atti esclude il proscioglimento ai sensi dell'art. 129 del c.p.p., la pena dianzi indicata, che appare congrua, dovrebbe essere applicata, ritenute corrette la qualificazione del fatto e la comparazione delle circostanze, con restituzione del denaro al Piazzi, non potendosi disporre la confisca, che l'art. 445, primo comma del c.p.p. contempla solo nei casi di cui all'art. 240, comma secondo, del c.p. Questa conclusione si fonda sul tenore letterale dell'art. 445, ma occorre verificare la corrispondenza di essa alla essenza e funzione dell'ordinamento giuridico penale. Ai fini dimostrativi, occorre premettere la confisca consiste nell'espropriazione, da parte dello Stato, delle cose attinenti al reato, poiche' servirono o furono destinate a commetterlo o perche' ne sono il prodotto o il profitto (confisca facoltativa) o perche' ne costituiscono il prezzo o perche' l'uso, il porto, la detenzione, la fabbricazione e l'alienazione di esse costituisce reato (confisca obbligatoria). Come ogni misura di sicurezza, quella disciplinata dall'art. 240 del c.p. ha lo scopo di prevenire la commissione di illeciti, anche se il presupposto di applicazione, per le altre, e' rappresentato dalla pericolosita' delle res, "che puo' passare per induzione al soggetto, in quanto la disponibilita' di cose, che sono strumenti per commettere reati o provenienti da reati, costituisce un incentivo a compierne dei nuovi", mantenendo viva l'idea e l'attrattiva degli stessi. L'esegesi della disposizione in esame permette di cogliere una differenza di grande importanza sul piano ricostruttivo. Infatti, le cose di cui all'art. 240, comma secondo, n. 2, sono connotate da pericolosita' intrinseca, tanto palese da determinare la illiceita' della loro fabbricazione, detenzione, ecc. La confisca va ordinata pur se non sia pronunziata sentenza di condanna, appunto per la destinazione e l'attitudine di quegli oggetti a recare danno. Invece, il prodotto (risultato che ottiene il reo dalla sua attivita' criminosa), il profitto (vantaggio economico ricavato dal reato) e il prezzo (compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato) assai difficilmente presentano ex se il contrassegno di una reale ed effettiva pericolosita'. Quest'ultimo concetto, in relazione a tali cose, dev'essere inteso come possibilita' che esse, qualora siano lasciate nella disponibilita' del reo, vengano a creare in lui l'impulso per ulteriori illeciti. Il legislatore, tuttavia, ritiene che far acquisire al delinquente il prezzo del reato sia assai pericoloso, sicche' del tutto inutile si rivela la valutazione discrezionale del giudice, il quale deve disporre obbligatoriamente la confisca. Per il prodotto e il profitto sussiste, invece, un ampio margine di scelta, in quanto le cose possono essere pericolose e possono non esserlo: soltanto nella prima evenienza sara' legittimamente disposta l'ablazione. Alcuni esempi chiariscono meglio l'assunto. Il coltello da cucina che servi' a cagionare lesioni personali o il bastone con il quale si intendeva colpire l'avversario non necessariamente dovrebbe essere confiscato, "perche' l'estrema facilita' con cui l'agente puo' venire in possesso di un altro strumento dello stesso genere esclude, almeno nella maggior parte dei casi, che quel determinato coltello o bastone possa costituire un fattore di pericolosita'". Va sempre attuata, per contro, la confisca del macchinario appositamente costruito per commettere reati di falso, a causa della difficolta' di procurarsi altri mezzi simili, o del denaro ricavato dalla vendita di merce rubata, quando non debba essere restituita alla persona offesa, o degli oggetti preziosi acquistati con denaro ottenuto dal p.u. per omettere o ritardare un atto d'ufficio. Non sfugge ad alcuno che, ove quelle cose fossero lasciate al delinquente, costui potrebbe trovare nel vantaggio conseguito la spinta a commettere altri illeciti. Percio', le cose costituenti prodotto o profitto del reato sono pericolose in un gran numero di ipotesi. Premesse codeste nozioni tecnico-giuridiche, lo svolgimento ulteriore dell'indagine impone di evidenziare che il procedimento di cui agli artt. 444 e ss. del c.p.p. caratterizzato dalla volontaria sottoposizione alla pena da parte dell'imputato, il quale rinunzia al dibattimento e alla facolta' di contestare l'accusa, ma consegue indubbi vantaggi dalla sua scelta, non consente l'applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza, ad eccezione della confisca obbligatoria. L'interpretazione sistematica delle norme relative al giudizio de quo e al complesso dei benefici previsti rende chiaro l'intento del legislatore di agevolare il ricorso al rito speciale, sicche' la confisca anche nei limitati casi dell'art. 240, comma secondo, n. 1 e 2, del c.p., appare come eccezione alla regola generale dell'incompatibilita' tra patteggiamento e misure di sicurezza (cfr., sul punto Cass. ss.uu. ud. 15 dicembre 1992 (dep. 24 febbraio 1993), ric. Bissoli, in Cass. pen. 1993, 1388, n. 807). Assai per tempo e' stato, pero', avvertito dagli operatori di giustizia che la soluzione normativa, orientata dalla finalita' di una rapida definizione del procedimento, comporta il parziale sacrificio di un valore pregnante e piu' significativo, rappresentato dall'esigenza insopprimibile di tutelare la collettivita' contro i comportamenti criminosi, che le utilita' derivanti da reato non elim- inate dalla sentenza di patteggiamento, inducono assai spesso a reiterare. Si consideri che la suprema Corte, sulla base di motivazioni ineccepibili, ha affermato che non poteva essere disposta, con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, la confisca di una somma di denaro ottenuta attraverso l'attivita' di spaccio di stupefacenti (sez. IV 22 aprile 1992, Roggi, in Giust. pen. 1992, III, c. 552, n. 143; sez. IV 9 marzo 1992, Iezzi, in Arch. n. proc. pen. 1992, p. 567) o di un veicolo usato per commettere il delitto di detenzione di droga (sez. VI 19 maggio 1992, p. 435) o dei titoli di credito ricevuti dall'imputato e rappresentanti il vantaggio usurario dal medesimo conseguito (sez. II 14 giugno 1990, Ferretti, in Riv. pen. 1992, p. 393), poiche' tali cose devono qualificarsi profitto di reato. Non sfugge ad alcuno che questi esiti, oltre che con il comune sentire, contrastano con un principio connaturato all'ordinamento penale: evitare che il delinquente possa ottenere dal reato i risultati economici programmati, essendo cio' socialmente pericoloso. A giustificare siffatte dissonanze non basta osservare che il regime di favore proprio del patteggiamento sarebbe illegittimamente vulnerato e ristretto, ove si consentisse la confisca di cose esulanti dalla specifica ed unica eccezione fissata dalla legge. In senso contrario, puo' replicarsi che ogni istituto giuridico, essendo parte di un insieme, deve coesistere in modo armonico con gli altri che regolano lo svolgimento corretto dei rapporti della vita collettiva, senza creare differenze che non trovino spiegazione in motivi apprezzabili e condivisi dalla generalita'. Un'apertura nell'ambito del sistema e' stata prodotta dall'art. 2 decreto-legge 22 febbraio 1994 n. 123, il quale stabilisce la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilita', di cui il soggetto non puo' giustificare la provenienza, nei casi di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p. per uno dei delitti previsti dagli artt. 416- bis, 629, 630, 644, 644- bis, 648, 648- bis, 648- ter del c.p., 12-quinquies, primo comma, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, 73 e 74 del testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope. La stessa disciplina opera nei confronti di chi abbia commesso un delitto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416- bis del c.p. ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni indi- cate nello stesso articolo, nonche' di chi e' stato condannato per un delitto in materia di contrabbando. Come emerge dalla motivazione addotta per il ricorso alla decretazione di urgenza, il nuovo assetto normativo mira "ad impedire che imputati e condannati per gravi reati di criminalita' organizzata, o per reati strumentali al proliferare della stessa, continuino ad avere la disponibilita' di patrimoni sproporzionati all'attivita' svolta e al reddito dichiarato, pur quando non sono in grado di giustificarne la lecita provenienza e detta disponibilita' di beni puo' aggravare il reato contestato o agevolare la commissione di altri". La medesima ratio e' invocabile anche in ordine alla contravvenzione p. e p. dall'art. 708 del c.p., tipico reato di sospetto, per la cui sussistenza e' sufficiente, se l'imputato non prova la legittimita' della provenienza del denaro, degli oggetti di valore e delle cose non confacenti al suo stato o non fornisca una prova aliunde, che risulti accertato il possesso di tali beni (Cass. sez. III 17 giugno 1985, in Cass. pen. 1986, 1946; Giust. pen. 1986, II, 300; Riv. pen. 1986, 260). L'interessato deve fornire "validi elementi di concreta valutazione delle circostanze idonee a suffragare l'ipotesi da lui espressa di provenienza dei beni da attivita' lecita", (Cass. 7 febbraio 1986, in Giust. pen. 1987, III, 179), benche' non occorra che egli dia prova piena della legittimita' del possesso delle cose di sospetta provenienza (Cass. 28 febbraio 1985, in Cass. pen. 1987, 86). L'omessa o incredibile giustificazione origina la penale responsabilita' dell'imputato. Durante la vigenza dell'abrogato codice di procedura, al quale era estraneo l'istituto di patteggiamento, con la sentenza di condanna veniva ordinata senz'altro la confisca del denaro o dei valori non giustificati. Nessun inconveniente si determinava nemmeno con l'istituto introdotto dall'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che pure escludeva pene accessorie e misure di sicurezza ad eccezione della confisca di cui all'art. 240, secondo comma, del c.p. Invero, l'art. 80 della legge citata, stabilendo che il provvedimento contemplato dall'art. 77 non poteva essere emesso nei confronti di chi ne avesse in precedenza beneficiato o di colui che avesse riportato condanna a pena detentiva, indicava due condizioni di demerito, le quali consentivano di assicurare, in modo concreto, gli effetti premiali della sentenza solo alle persone di ridotta capacita' a delinquere e nei confronti delle quali doveva formularsi una prognosi fausta circa la loro condotta futura. Percio', il denaro e gli oggetti preziosi di sospetta provenienza erano sempre confiscati, non potendo l'imputato, appunto per le sue pregresse esperienze criminose, essere ammesso a fruire del trattamento di favore dell'art. 77 della legge n. 698/1981. Del tutto diversa e', invece, la situazione creata dal rito speciale disciplinato dagli artt. 444 e ss. del c.p.p., il quale ha ampliato "la significativita' della previsione premiale", estendendola ad ogni imputato, quali che siano i precedenti penali, e comprendendo un gran numero di reati. Poiche' l'art. 445 ha mutuato la formula dell'art. 77 della legge n. 689/1981 per l'esclusione di pene accessorie e misure di sicurezza, ad eccezione della confisca obbligatoria, consegue la rinunzia in via generale ad espropriare cose che con alta probabilita' ritorneranno nel circuito criminoso. La "meritorieta' processuale" dell'imputato, che facilita la rapida definizione del procedimento, viene, dunque, ricompensata ad alto costo sociale, lasciandogli la libera disponibilita' di cose che incentivano la commissione di ulteriori fatti di reato. Con specifico riguardo all'art. 708 del c.p., la mancata confisca del denaro e dei beni addirittura vanifica il contenuto del precetto penale, che perde la sua deterrenza: l'autore del reato, aduso ad esperienze giudiziali (lo status di condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio e' condizione personale necessaria dell'illecito), particolarmente quando si tratti di somme cospicue o di oggetti preziosi di notevole valore, paventa non tanto la pena principale, quanto la perdita delle utilita' patrimoniali che egli si riprometteva di ricavare dalla sua attivita' criminosa e in vista delle quali ha agito. Se le precedenti considerazioni sono esatte, devesi ritenere che l'art. 445 del c.p.p., non consentendo la confisca nel caso dell'art. 708 del c.p., rompa la coerenza interna dell'ordinamento penale, poiche' contraddice il principio di ragionevolezza in base al quale nessuno deve ricavare utilita' dal proprio operare contra legem. Devesi, poi, osservare che, nell'attuale momento storico la dottrina prevalente, considera le misure di sicurezza sanzioni criminali e, per quanto al prodotto o profitto di reato, autorevolmente si afferma che la confisca va assumendo sempre piu' il significato di pena accessoria. L'impossibilita' di espropriare il denaro e le altre utilita' provenienti dall'attivita' delinquenziale, pur nella logica di premialita' che ispira il patteggiamento, neutralizza la funzione di tendenziale recupero sociale che l'art. 27, terzo comma, della Cost. assegna alla pena. Non appare, quindi, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445 del c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 27 della Cost. nella parte in cui non prevede che il giudice, pronunziando la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ordini la confisca delle somme e degli altri oggetto di cui l'imputato dalla contravvenzione p. e p. dall'art. 708 del c.p. non giustifichi la provenienza. La rilevanza della questione nel presente giudizio e' di ovvia constatazione, in quanto l'accoglimento della richiesta nei termini esposti in narrativa, impone il dissequestro e la restituzione del denaro al prevenuto, benche' le giustificazioni del possesso non siano credibili e, in relazione ai molteplici precedenti penali dell'imputato, che non esplica alcuna attivita' lavorativa, si abbia motivo di ritenere che la somma provenga da reato.