LA CORTE D'APPELLO
   Ha  pronunciato  la  presente ordinanza nei procedimenti riuniti n.
 483 e 489/1993 aventi per oggetto iscrizione albo professionale; cam-
 era di consiglio del 23 settembre 1994; fra Antuzzi Quintilio  dom.to
 elett.te  in  Napoli,  via  Gramsci 11, presso il dott. proc.  Andrea
 Abbamonte, che lo rappresenta e difende unitamente all'avv.  Vincenzo
 Mazzei di Roma per procura a margine dell'atto d'appello, appellante,
 e Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali con sede in
 Roma presso il Ministero  di  grazia  e  giustizia,  in  persona  del
 presidente,  dom.to elett.te in Napoli, via Gramsci 16, presso l'avv.
 Giuseppe Abbamonte che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente  agli
 avv.ti  Massimo Severo Giannini e Vittorio Mandel di Roma per procura
 a margine dell'atto d'appello, appellante, e Nardone Umberto e  Campi
 Tommaso,  dom.ti  elett.te  in  Napoli  via Gramsci 11, presso l'avv.
 Amedeo Finizio unitamente all'avv. Luigi D'Andria che li  rappresenta
 e difende per procura a margine dell'atto di costituzione, appellati,
 e  il p.m. in persona del sost. proc. gen.  Luigi Bello, interventore
 ex lege.
    Il Collegio, visti gli atti processuali,
                             O S S E R V A
    1. - Il consiglio del Collegio dei ragionieri e periti commerciali
 di Caserta con deliberazione del 2 dicembre 1986 dispose l'iscrizione
 nell'albo professionale, fra gli altri, di Umberto Nardone e  Tommaso
 Campi, ritenendo che l'abilitazione all'insegnamento della ragioneria
 -  titolo  di  cui  costoro  erano  in possesso - fosse sufficiente a
 legittimarli all'esercizio della professione nonostante  che  non  ne
 avessero   ne'   espletato   la   pratica  ne'  superato  l'esame  di
 abilitazione.
    2. - Contro tale decisione  il  16  gennaio  1987  venne  proposto
 ricorso  al  Consiglio  nazionale da parte del rag. Quintilio Antuzzi
 nella qualita' di professionista iscritto all'albo.
    3. - Il Consiglio nazionale l'accolse  con  deliberazione  del  21
 dicembre  1990,  annullando  l'iscrizione  ai sensi dell'art. 2 della
 legge 15 luglio 1906, n. 327, e dell'art. 31, primo comma, n.  5  del
 d.P.R.  27  ottobre 1953, n. 1068 (si vedano le ordinanze Corte cost.
 n. 207/1983 in Foro it., 1983, I, 2975 e n. 85/1984 in  Giur.  cost.,
 1984, I, 489).
    4.  -  Su  reclamo  proposto  dal  Nardone  e  dal  Campi ai sensi
 dell'art. 28 del citato d.P.R., il Tribunale di S. Maria  C.V.  colla
 sentenza  dell'8  novembre  1990  annullo' la decisione del Consiglio
 nazionale, ritenendo:
       a)   che   l'art.   32  del  medesimo  provvedimento  normativo
 legittimava al ricorso  contro  la  deliberazione  del  Consiglio  di
 collegio  esclusivamente l'aspirante all'iscrizione (evidentemente in
 caso di diniego) e il p.m. (nell'ipotesi  d'illegittimo  accoglimento
 dell'istanza);
       b)   che   fosse   manifestamente  infondata  la  questione  di
 costituzionalita' di tale norma,  proposta  in  via  subordinata  dal
 Consiglio nazionale e dall'Antuzzi.
    5.   -   Dopo   l'annullamento  di  tale  sentenza  per  vizio  di
 composizione  del  collegio,  il  suindicato  Tribunale  ha  ribadito
 l'illustrata  decisione  con la sentenza n. 2243/92 che forma oggetto
 dell'attuale  impugnazione  proposta  dal   Consiglio   nazionale   e
 dall'Antuzzi  sotto  vari  profili,  compresi  quelli  che stanno per
 essere esaminati.
    6. - La formulazione degli ultimi tre commi del citato art.  32  e
 il  disposto  dell'art. 1 del d.P.R. n. 1199/1971 sembrano in effetti
 non consentire un'interpretazione diversa da quella del Tribunale  in
 ordine  alla  legittimazione  al  ricorso contro la deliberazione del
 Consiglio di collegio.
    7. - Non puo' invece condividersi,  ad  avviso  del  collegio,  la
 decisione  del  primo giudice sulla questione di costituzionalita' di
 tale norma, basata sul rilievo che i  professionisti  collegiati  non
 sarebbero  titolari  di  un  interesse legittimo all'osservanza delle
 disposizioni    che    regolano    l'iscrizione    all'albo    (donde
 l'impossibilita'  di  configurare  un conflitto fra la norma stessa e
 l'art. 24 della Costituzione).
    Si  consideri  che  ogni  nuova  iscrizione  all'albo  rappresenta
 un'ulteriore   contrazione   delle   possibilita'  di  lavoro  per  i
 professionisti gia' iscritti e che costoro hanno, innegabilmente,  un
 interesse   alla   salvaguardia   dei  livelli  tecnico-professionali
 dell'intera categoria in quanto il suo scadimento puo' comportare  la
 riduzione  della  domanda  complessiva  delle prestazioni. Si tratta,
 ovviamente, di fattori difficilmente quantificabili ma che, tuttavia,
 impediscono di equiparare  tout  court  la  posizione  giuridica  del
 professionista   collegiato   a   quella   di   un  comune  cittadino
 genericamente interessato all'osservanza delle leggi, tanto piu'  che
 - a differenza dell'epoca in cui la norma vide la luce - nell'attuale
 momento  storico del Paese non appare ragionevole che la tutela delle
 citate esigenze sia rimessa al p.m. in via esclusiva ed entro termini
 cosi' angusti da non consentire neppure di sollecitarne  utilmente  i
 poteri.
    Tali riflessioni, a parere del collegio, escludono quanto meno che
 la  questione  possa  essere giudicata manifestamente infondata ed e'
 quanto basta a privare il giudice ordinario del potere d'interdizione
 del diritto di un soggetto giuridico di adire il Giudice delle leggi.
    8. - E' appena il caso di precisare  che  la  norma  in  esame  ha
 natura  legislativa,  costituendo  il d.P.R. n. 1068/1953 uno dei due
 decreti legislativi d'attuazione della legge-delega 29 dicembre 1952,
 n. 3060.
    9. - Ritiene pertanto il collegio che sussistano le condizioni  di
 ammissibilita' e di rilevanza per rimettere alla Corte costituzionale
 la  questione  di costituzionalita' dell'art. 32 del d.P.R 27 ottobre
 1953 n. 1068 in relazione all'art. 24 della Costituzione, nella parte
 in cui non prevede la legittimazione dei professionisti collegiati  a
 proporre  ricorso  al  Consiglio  nazionale  contro  le deliberazioni
 d'iscrizione all'albo adottate dai Consigli di Collegio.
    10. - In attesa di tale decisione il giudizio dev'essere sospeso.