IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Visti gli atti del sopracitato procedimento, rg. n. 165/94, r.n.r. n. 1877/91 contro Ferrara Nunzio, nato a Gela il 28 gennaio 1954, imputato dei reati di cui agli artt. 110 c.p., 20 lett. c) della legge n. 47/1985, artt. 1, 2, 4, 13, 14 della legge n. 1086/1971 e artt. 17, 18 e 20 della legge n. 64/1974 per aver eseguito una costruzione costituita da un muro di contenimento e da un ampliamento di un fabbricato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza concessione edilizia e nell'inosservanza delle prescrizioni di cui alle citate leggi. Per avere inoltre alterato con la suddetta costruzione le bellezze naturali circostanti. In Gela, il 3 aprile 1991; Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in particolare l'art. 23, commi terzo, primo e secondo; Preso atto dell'istanza del p.m. a che sia sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 5 del d.-l. 26 luglio 1994, n. 468, in riferimento all'art. 79 della Costituzione; Ritenuto di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 1, commi primo, secondo e quinto, del d.-l. 26 luglio 1994, n. 468, in cui e' ravvisata la violazione degli articoli 79, 3 e 6 della Costituzione; Ritenuto che le prospettate questioni appaiono tutte rilevanti e non manifestamente infondate per i seguenti motivi: MOTIVI DI RILEVANZA L'imputato ha chiesto che il processo venga sospeso; tale richiesta rende evidente, e processuale, la volonta' di valersi dell'intera procedura di sanatoria per ottenere il "condono edilizio". Ne consegue che, come ha gia' stabilito la Corte costituzionale in caso identico (sentenza 23-31 marzo 1988 n. 369) divengono rilevanti nella specie le questioni di costituzionalita' relative a tutte le summenzionate disposizioni aventi forza di legge, che risultano intimamente collegate fra loro nell'unico fine di regolamentare (esternamente ed internamente) il meccanismo procedimentale di sanatoria. Ad ogni buon conto, dal combinato disposto degli artt. 1, secondo e quinto comma, del d.-l. n. 468/1994, e 44 della legge n. 47/1985 discende che la sospensione opera anche a prescindere da una richiesta di parte, e serve a creare la condizione necessaria per l'operativita', (immediatamente successiva) del meccanismo procedimentale del condono; dunque le disposizioni che regolamentano piu' direttamente tale meccanismo assumono rilevanza nel presente processo (e con esse le questioni di costituzionalita' che le investono) nel momento stesso in cui il giudice deve provvedere a sospendere (o meno) il processo. Come precisato poi da giudice di legittimita', non ogni processo per illeciti urbanistici o edilizi va sospeso, ma soltanto quelli relativi a reati suscettibili di essere estinti attraverso la procedura amministrativa; il giudice deve dunque esaminare, ad esempio, il tempus commissi delicti, e nel far cio' deve osservare le norme contenute nei commi primo e secondo dell'art. 1 del d.-l. n. 468/1994. Tali norme assumono dunque a maggior ragione rilevanza nel presente processo. Le restanti norme di cui all'art. 1, e agli articoli 2 e 5 del d.-l. in questione, rilevano nel presente processo nella misura in cui disciplinano modalita' e fasi del procedimento di sanatoria. MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA a) Violazione dell'art. 79. Il "condono edilizio" si configura come istituto di clemenza attraverso il quale viene meno, limitatamente a fatti tipici, commessi in un circoscritto periodo di tempo, anteriore alla sua operativita', la pretesa punitiva dello Stato. Analizzandone il meccanismo operativo, la Corte costituzionale si e' espressa (con la sentenza n. 369/1988) nel senso che tale istituto non possa essere ricondotto la figura tipica dell'amnistia condizionata, e introduca invece una causa atipica di estinzione del reato. Rimane tuttavia inesplorato dalla Corte costituzionale l'argomentazione, addotta dal p.m., circa la ciconducibilita' dell'istituto del condono a quello dell'amnistia sottoposta ad obblighi; tale figura e' espressamente prevista dall'art. 151 del codice penale. Il "potere di clemenza" incontra dei limiti, anche procedurali, nella Carta costituzionale; tra essi quello, recentemente posto dal legislatore costituzionale con la revisione dell'art. 79 (legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1): prevede la norma che l'amnistia sia concessa con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Conclude dunque il p.m. che il "condono", in quanto rientrante nella tradizionale figura dell'amnistia, e' stato incostituzionalmente concesso dal Governo con d.-l. Il quesito che invece viene posto da questo pretore alla Consulta muove dall'assunto che il condono, comunque lo si etichetti, costituisce forma d'esercizio della generale potesta' di clemenza dello Stato, e debba percio' essere concesso con le forme dinanzi prospettate. Anche tale questione, per molti versi analoga alla prima, appare non manifestamente infondata: a ritenere che l'esecutivo sia legittimato a dar vita, con decretazione d'urgenza, ad una misura generale di clemenza che si distingue solo per fisionomia, e non anche per effetti giuridici, dall'amnistia, si giungerebbe ad un sostanziale elusione del dettato costituzionale. Dal disposto dell'art. 79 della Costituzione emerge chiaramente la volonta' che l'emanazione di misure clemenziali generali, comportanti, l'estinzione del reato, debba essere riservata all'apprezzamento del Parlamento, al quale soltanto e' rimessa la potesta' di limitare con tale estensione la pretesa punitiva pubblica. E dunque il termine "amnistia", contenuto nel citato art. 79, non va inteso in senso strettamente tecnico (dando cioe' rilievo preminente al peculiare meccanismo operativo dell'istituto", ma ricondotto ad una nozione generale di misura di clemenza, caratterizzata da elementi "sostanziali" tipici (effetto estintivo del reato limitato a fatti determinati, commessi in un circoscritto periodo di tempo, anteriore alla sua entrata in vigore) comuni tanto alla tradizionale amnistia quanto al condono. Violazione dell'art. 3. La rinunzia alla pretesa punitiva da parte dello Stato relativamente a determinati reati, comporta un'inevitabile pregiudizio al principio di uguaglianza; essa deve dunque "trovare giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato" (Corte costituzionale sentenza n. 369/1988), ed adeguato bilanciamento dell'interno della gerarchia dei valori e dei beni costituzionalmente tutelati. Cio' a pena d'irragionevolezza. Con riguardo al condono edilizio del 1985 la Corte costituzionale verifico' che l'eccezionale introduzione di una causa atipica di "non punibilita'" e "non procedibilita'" per condotte recanti pregiudizio a fondamentali esigenze della collettivita', trovava giustificazione nell'intento di "chiudere un passato d'illegalita' di massa" e di "porre sicure basi normative per la repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze" quali il governo del territorio; la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata ed il suo coordinamento a fini sociali; la funzione sociale della proprieta'; la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico. E' ritenuta non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' concernente l'irragionevolezza delle norme che oggi reiterano, a distanza di nove anni, il meccanismo del condono edilizio: non si puo' infatti parlare piu' di eccezionalita' della misura clemenziale (stante la sua riproposizione ciclica), e neppure far nuovamente valere l'intento, gia' vanificato una volta, di chiudere con un passato di diffusa illegalita'. Appaiono invece compromessi, nella materia edilizia, in virtu' di tale reiterazione, gli aspetti di certezza, uguaglianza ed obbligatorieta' (dell'azione penale, e della pena) che informano il sistema costituzionale- penalistico. Deve infine osservarsi che le norme incriminatrici su cui incide il condono edilizio mirano a salvaguardare beni fondamentali per la collettivita': a) il paesaggio, e dunque sia il razionale sviluppo urbanistico del territorio che la tutela del pregio naturalistico: b) la salute psico-fisica, compromessa particolarmente in zone dove l'enormita' del fenomeno dell'abusivismo edilizio ed il conseguente degrado dei centri abitativi sottrae all'individuo il diritto di vivere in un ambiente sano. La questione di costituzionalita' sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione appare non manifestamente infondata anche quando involge l'aspetto del corretto (o meno) bilanciamento tra le ragioni del nuovo "condono" (e cioe', in base alle premesse del d.-l. n. 468/1994, il "rilancio dell'attivita' economica .. la ripresa della attivita' imprenditoriali .. la semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia";) e le ragioni di tutela dei beni sopra indicati. Considerando la questione secondo la prospettiva del divieto di irragionevoli disparita' di trattamento per situazioni meritevoli di pari tutela, si rileva che il nuovo (seppur limitato) sacrificio dei beni costituzionali tutelati dagli articoli 6 e 32 della Carta (le cui offese non vengono sanzionate penalmente) non pare trovare adeguata giustificazione, e dunque razionale bilanciamento, a fronte della promozione di altri beni pur di rango costituzionale, ma che proprio per dettato della Costituzione non devono comunque contrastare con l'utilita' sociale e la dignita' umana.