ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 159 del codice civile e 246 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 2 giugno 1994 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Addotta Agostino e Albanesi Ottorino ed altra, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto. Ritenuto in fatto Il Pretore di Torino, con ordinanza emessa il 2 giugno 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 159 del codice civile e 246 del codice di procedura civile, "nella parte in cui prevede l'incapacita' a testimoniare del coniuge in presunto regime di comunione legale dei beni, di cui alla sez. III del capo VI del libro I c.c., beni che possono essere incrementati o decurtati in dipendenza del giudizio in cui e' parte in causa l'altro coniuge". La questione trae origine da un giudizio di risarcimento per danni derivanti da circolazione stradale. In ordine alla rilevanza, il giudice a quo osserva che la moglie del convenuto, citata quale teste sul fatto, non e' stata ammessa in conseguenza dell'eccezione sollevata dall'attore, in ragione della preclusione derivante dalla normativa denunciata. Mentre, nell'auspicata ipotesi in cui "intervenisse una decisione di incostituzionalita', la teste potrebbe essere sentita, anche d'ufficio, ex art. 317 c.p.c.". Il giudice remittente specifica inoltre di "avere accertato, pre- via acquisizione di certificato anagrafico, che il matrimonio era avvenuto circa ventuno anni prima, che i coniugi non avevano operato la scelta ex art. 162 c.c., per cui eventuali attribuzioni patrimoniali, relative al risarcimento del danno, oggetto del giudizio, avrebbero inciso sul patrimonio comune ex lege"; aggiungendo che l'autovettura era stata acquistata circa cinque anni addietro. Circa la non manifesta infondatezza, richiamata la sentenza n. 248 del 1974, dichiarativa dell'illegittimita' dell'articolo 247 c.p.c. (che sanciva il divieto di testimoniare per il coniuge, ancorche' separato, nonche' per altri parenti o affini della parte in causa), il Pretore di Torino rileva che quel divieto rivive, per effetto dell'art. 159 c.c, nel testo novellato dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, il quale ha introdotto la presunzione legale di comunione dei beni acquistati nel corso del matrimonio, salvi i casi, da considerare eccezionali, di scelta del regime di separazione a norma dell'art. 162 c.c., nel testo novellato dalla citata legge n. 151 del 1975. Il giudice remittente osserva altresi' che l'irrazionalita' del divieto dell'art. 247 c.p.c. (che comporto' la declaratoria di incostituzionalita' di tale norma, perche' determinante un'irragionevole compressione del diritto alla prova, nucleo essenziale del diritto di azione e di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione) e' ritornato in vita, per il combinato disposto degli artt. 246 c.p.c. e 159 c.c., nei confronti di quel coniuge che non puo' essere teste nella causa in cui e' parte l'altro coniuge. Il contrasto, poi, con l'art. 3 della Costituzione sarebbe ravvisabile nella ingiustificata disparita' di trattamento, cui soggiacerebbero i coniugi in regime di comunione legale rispetto a quelli che hanno scelto il regime della separazione dei beni, nei confronti dei quali il divieto di testimoniare non e' disposto, "e nonostante i primi si siano dimostrati rispettosi delle finalita' di tutela del matrimonio e della famiglia perseguite dalla legge". Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per "l'inammissibilita' e l'infondatezza della questione". A parere dell'Avvocatura, il Pretore non denuncia l'illogicita' della disciplina alla luce di un parametro costituzionale, ma denuncia soltanto una presunta disparita' di trattamento, comunque rapportabile ad un'opzione esercitata o esercitabile dai coniugi in ordine al regime patrimoniale della famiglia. La questione sarebbe infondata nel merito, in quanto l'incapacita' a testimoniare risulta giustificata dalla palese diversita' di situazione esistente tra coniuge in regime di separazione e coniuge in regime di comunione: "diversita' che non discende direttamente dalla legge, ma dalla volonta' delle parti, che sono libere di optare per il regime legale o per quello convenzionale, incorrendo, tra l'altro, nelle conseguenze di cui all'art. 246 c.p.c.". Considerato in diritto 1. - Il Pretore di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 159 del codice civile e 246 del codice di procedura civile, "nella parte in cui prevede l'incapacita' a testimoniare del coniuge in presunto regime di comunione legale dei beni, di cui alla sez. III del capo VI del libro I c.c., beni che possono essere incrementati o decurtati in dipendenza del giudizio in cui e' parte in causa l'altro coniuge". 2. - La questione e' infondata. Con la sentenza n. 248 del 1974, richiamata nell'ordinanza di rimessione, questa Corte ha ritenuto ingiustificato il divieto di cui all'art. 247 c.p.c., perche' non aveva alcun riferimento all'oggetto specifico del giudizio ma discriminava la capacita' (rectius, la legittimazione) dei testimoni secondo che fossero o non fossero in un dato rapporto personale con le parti, sulla base d'un giudizio preventivo, fatto dal legislatore, di inattendibilita' della deposizione resa da chi e' legato alla parte da stretto vincolo familiare. Nella stessa sentenza e' stata invece ritenuta costituzionalmente legittima la norma dell'art. 246 c.p.c., secondo la quale "non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio". La ratio decidendi di quest'ultima pronuncia si coglie nell'osservazione che la norma dell'art. 246 e' da inquadrare, per una razionale assimilazione di dette persone alle parti, nello stesso principio vigente nel nostro ordinamento processuale civile che esclude la testimonianza delle parti in causa. Il giudice a quo non contesta tale osservazione, ne' quella ulteriore contenuta nella successiva ordinanza n. 494 del 1987, secondo cui rientra nell'esercizio del potere discrezionale del legislatore, e non e' da ritenersi irragionevole, il negare fiducia alle dichiarazioni rese da chi abbia nella causa un interesse qualificato. Tantomeno egli adduce argomenti in contrario, incentrando la sua denunzia d'illegittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sul rilievo che l'irrazionale divieto gia' contenuto nell'art. 247 sarebbe "tornato in vita, per il combinato disposto degli artt. 246 c.p.c. e 159 c.c., nei confronti di quel coniuge (comunista), che non puo' piu' essere teste nella causa in cui e' parte l'altro coniuge e sono in discussione entita' patrimoniali riguardanti il patrimonio comune". Ma e' agevole obiettare che l'art. 159 c.c. non fa altro che disporre quale regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma del successivo art. 162, la comunione dei beni. Regime che, come la comunione in generale, fa sorgere quell'interesse conducente alla possibile legittimazione a partecipare al giudizio di cui e' parte altro comunista, e dunque all'incompatibilita' fra due posizioni processuali, in funzione della quale e' prevista l'"incapacita' a testimoniare" di cui all'art. 246 c.p.c. Pertanto ogni considerazione circa la denunziata violazione dell'art. 24 della Costituzione rimane assorbita da quelle gia' svolte da questa Corte nell'escludere l'illegittimita' costituzionale dell'art. 246, e contro le quali - ripetesi - il giudice a quo non svolge argomentazioni. 3. - Resta, allora, soltanto la denunzia riferita all'altro parametro, cioe' all'art. 3 della Costituzione, per l'asserita disparita' di trattamento fra i coniugi nei cui riguardi vige il re- gime legale di comunione e quelli che hanno invece compiuto la scelta in favore del regime di separazione dei beni, rispetto ai quali ultimi non verrebbe in applicazione la norma dell'art. 246 c.p.c. Ma, prospettata in tali termini, la questione e' priva di consistenza, perche' risulta evidente la diversita' di situazione in cui i coniugi vengono a versare nelle due ipotesi. Diversita' che - sembra appena il caso di notare - non e' determinata dalla legge bensi' dalla stessa volonta' delle parti, cui l'art. 159 c.c. rimette appunto la liberta' di optare in favore del regime (convenzionale) di separazione oppure di quello (altrimenti vigente, per norma suppletiva di legge) della comunione dei beni, che comporta, fra le tante conseguenze, anche la c.d. incapacita' prevista dall'art. 246 c.p.c., fra l'altro (nella specie) per la possibile legittimazione passiva all'azione di responsabilita' ex art. 2054, terzo comma, c.c.