LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti promossi da Maffi Aldo nato il 24 settembre 1941 e Pedemonti Giovanni nato il 10 marzo 1951 avverso la sentenza 3 maggio 1993 della Corte d'appello di Milano. Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dott. Francesco Felicetti; Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. Bruno Ranieri che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; Udito il difensore del Maffi, avv. Giancarlo Lagi il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso. F A T T O Maffi Aldo ha proposto ricorso avverso la sentenza 3 maggio 1993 della Corte d'appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza 20 maggio 1992 del Tribunale di Milano, lo ha condannato alla pena di anni nove, mesi due di reclusione e L. 74.000.000 di multa per i reati di cui agli artt. 75, primo, secondo, terzo e quarto comma della legge n. 685 del 1975; 71, primo e quarto comma, 74, primo comma, n. 2 e secondo comma, della stessa legge. Con i primi due motivi di ricorso ha dedotto l'inutilizzabilita' della rogatoria effettuata a Nizza, per violazione degli artt. 178, lett. a) del c.p.p., 31 delle disposizioni preliminari al codice civile, 101 e segg. della Cost. Tale rogatoria ebbe ad oggetto deposizioni testimoniali di funzionari della polizia francese, che avevano compiuto accertamenti in Francia. Essa fu assunta presso gli uffici della polizia di Nizza, alla presenza dei magistrati della quinta sezione penale del Tribunale di Milano che l'avevano disposta, ma in assenza del difensore del ricorrente, al quale fu negato di partecipare all'assunzione della prova, che fu effettuata da un funzionario della polizia francese a cio' delegato. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto l'erronea applicazione degli artt. 159 e segg. del c.p.p., in relazione all'art. 191 del c.p.p., in quanto erroneamente la Corte d'appello avrebbe ritenuto che, ove la rogatoria dovesse ritenersi nulla, i fatti in essa attestati sarebbero stati comunque validamente acquisiti quali fonti di prova nel processo, mediante le testimonianze de relato dei testi Pardini e Zanin ex art. 195, comma terzo, del c.p.p. I testi francesi, infatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, non erano irreperibili e, comunque, lo stato d'"irreperibilita'" riguarderebbe unicamente l'imputato e non sarebbe estensibile ad altri soggetti. Con il quarto motivo si lamente l'erronea valutazione della prova, deducendo che al ricorrente e' stato attribuito il reato di importazione e detenzione di hashish sulla base di elementi di prova inconsistenti. Contro la sentenza della Corte d'appello di Milano ha proposto ricorso anche Pedemonti Giovanni, condannato alla pena di anni nove, mesi sei di reclusione e L. 78.000.000 di multa per i reati di cui agli artt. 75, primo, secondo, terzo e quarto comma, della legge n. 685 del 1975; 71, commi primo e quarto; 74, primo comma, n. 2 e secondo comma, della stessa legge. Formulava doglianze analoghe a quelle del coimputato Maffi. Su istanza del p.m. i ricorsi sono stati riuniti in udienza. D I R I T T O In relazione ai primi due motivi di ricorso, va premesso che in materia penale le rogatorie internazionali sono regolate in via generale dall'art. 696 del c.p.p., a norma del quale esse sono disciplinate dalle convenzioni internazionali in vigore nello Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. Al caso di specie e' applicabile (ed e' stata applicata) la convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959, relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, sottoscritta - tra le altre nazioni europee - dall'Italia e dalla Francia, resa esecutiva in Italia con la legge 23 febbraio 1961, n. 215 (art. 2) e operante nei confronti della Francia dal 23 maggio 1967, dopo la ratifica da parte di quest'ultima. Detta convenzione, all'art. 3, dispone che lo Stato richiesto fara' eseguire "nelle forme previste dalla propria legislazione" le rogatorie relative a procedimenti penali a lui dirette dall'autorita' giudiziaria dello Stato richiedente. Al successivo art. 4 dispone che le autorita' e "le persone in causa" potranno assistere all'esecuzione della rogatoria se lo Stato richiesto "vi consente". Norma che va interpretata (e nel caso di specie e' stata interpretata), in connessione con il precedente art. 3, nel caso che lo Stato richiesto, ove la propria legislazione lo preveda, puo' escludere che la parte privata assista alla rogatoria attraverso il proprio difensore, rimettendo la norma alal discrezione dello Stato richiesto di consentire la presenza all'assunzione della rogatoria delle "autorita'" e delle "persone in causa", senza garantire il diritto all'assistenza del difensore, anche ove tale diritto sia inderogabilmente garantito dall'ordinamento dello Stato richiedente. Avendo l'Italia reso esecutiva con la legge n. 215 del 1961 detta convenzione, ne deriva che le rogatorie eseguite in conformita' di essa e della legislazione dello Stato richiesto, sono utilizzabili nel processo penale, ponendosi la legge di esecuzione come norma speciale in materia di assunzione delle prove ivi previste - in conformita' di quanto stabilito dal citato art. 696 del c.p.p. - rispetto alle norme processuali generali in tema di assunzione della prova. La tesi contraria, formulata dai ricorrenti, muove dall'erroneo presupposto che l'art. 31 delle disposizioni preliminari al codice civile, sia applicabile anche ai trattati internazionali resi esecutivi con legge nello Stato, cosi' alterandosi la ratio di tale articolo, che e' quella di costituire un limite all'applicabilita' delle norme di diritto straniero da parte del giudice italiano, altrimenti applicabili in base agli articoli precedenti (nonche' un limite all'efficacia nel nostro ordinamento delle convenzioni private e degli atti di Stati enti ed istituzioni estere). Ma in proposito va osservato che l'art. 31, avendo forza di legge, non puo' comunque porsi - in base ai principi generali in tema di gerarchia delle fonti - come limite di validita', e quindi di utilizzabilita', di una prova assunta sulla base di una convenzione internazionale resa con legge esecutiva in Italia, trovando tale prova la sua disciplina specifica in detta convenzione e nella legge di esecuzione, che e' fonte normativa speciale e di pari grado rispetto all'art. 31. Ne deriva che l'eccezione d'inutilizzabilita' della prova ed i relativi motivi di ricorso dovrebbero essere rigettati; essendo stata la prova assunta in conformita' della anzidetta convenzione internazionale, resa esecutiva con legge. Questa Corte, peraltro, deve farsi carico del problema, in parte implicito nei motivi proposti dai ricorrenti, della compatibilita' della legge n. 215 del 1961 - nella parte in cui ha reso esecutiva una convenzione che consente l'esperimento di rogatorie all'estero, anche se disposte in fase dibattimentale, senza la presenza del difensore e con delega a funzionari di polizia giudiziaria per l'esperimento di esse - con gli artt. 24 e 102 della Costituzione. Va premesso al riguardo che la delega comporta l'abilitazione del delegato ad esercitare le funzioni del delegante, con tutti i doveri inerenti a tale esercizio cosicche', negli ordinamenti in cui e' prevista, come in quello francese, la delega a funzionari di polizia giudiziaria del potere di assumere prove, deve ritenersi che essi siano investiti, in relazione a tale assunzione, delle funzioni del delegante ed esercitano, a quegli effetti, funzioni giudiziarie, con i relativi doveri. In tale contesto, l'escussione di testimoni, da parte di ufficiali di polizia giudiziaria, temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie in base a una legge che li autorizzi, non contrasta con gli artt. 102 e 24 della Costituzione, giacche' nessuno di tali articoli impone che le prove testimoniali siano assunte sempre necessariamente e direttamente da un giudice. Invero l'art. 102 della Costituzione, riservando di regola ai magistrati ordinari l'esercizio della funzione giurisdizionale, non vieta la delega dell'assunzione di prove testimoniali ad ufficiali di polizia giudiziaria, imponendo unicamente, quanto alle prove, che ai giudici ne sia riservata in via esclusiva la valutazione e non anche, necessariamente, la formazione, che non rientra, strictu sensu nello iuris dicere, come e' dimostrato dal rilievo che nell'attuale ordinamento processuale sono utilizzabili nel processo anche mezzi di prova non assunti dal giudice. L'art. 24, a sua volta, non risulta violato, di per se', dalla suddetta delega, ove l'espletamento della prova sia accompagnato da idonee garanzie del diritto di difesa. Non manifestamente infondata, invece, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, appare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 23 febbraio 1961, n. 215, nella parte in cui ha dato esecuzione all'art. 4 della convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, in quanto, in connessione con il precedente art. 3, consente l'esperimento di rogatorie all'estero disposte in fase dibattimentale, senza garantire la presenza del difensore dell'imputato. Limitatamente a tale aspetto, la questione e' rilevante nel presente giudizio non potendo esso essere definito, per quanto sopra si e' detto, senza fare applicazione - per decidere sui primi due motivi del ricorso - della norma impugnata, e tenuto conto della pregiudizialita' di detti motivi rispetto ai successivi. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, va innanzitutto rammentato che la Corte Costituzionale, gia' in riferimento al precedente codice di procedura penale, sin dalle sentenze n. 63 e 64 del 1972, ha ritenuto che, mentre non viola di regola l'art. 24 della Costituzione l'assunzione di prove testimoniali in istruttoria senza la presenza del difensore, tale presenza deve essere inderogabilmente garantita - perche' non ne risulti violato l'art. 24 della Costituzione - ove si tratti di prove non ripetibili in dibattimento alla presenza del difensore. Gia' da tali decisioni si evince, pertanto, il principio che l'art. 24 della Costituzione impone che la prova da utilizzare non a meri fini istruttori, ma ai fini della decisione, deve essere necessariamente assunta con la partecipazione del difensore. Va ancora osservato che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il diritto di difesa e' ineludibile garanzia di assistenza tecnico-professionale (sent. n. 125 del 1979 e n. 188 del 1980), deve essere assicurato in modo effettivo ed e' tra i diritti considerati dalla Costituzione inviolabili e irrinunciabili (sent. n. 125 del 1979 e n. 160 del 1982). In tale contesto la presenza del difensore alla prova, non ha solo lo scopo di garantire il contraddittorio, ma anche la stessa legalita' formale e sostanziale dell'assunzione, rientrando fra i compiti del difensore quello da tutelare l'imputato attraverso l'irrinunciabile controllo, tecnico-professionale, che la prova sia assunta in effettiva conformita' alle regole processuali, con particolare riferimento a quelle che ne assicurano la "genuinita'". Inoltre, con la sentenza n. 536 del 1990, la Corte costituzionale, con una decisione interpretativa, ha affermato l'essenzialita', ai fini della garanzia del diritto di difesa, del ruolo del difensore in sede d'incidente probatorio, in relazione all'equiparazione della prova ivi assunta a quella assunta in dibattimento. Ne risulta in tal modo indirettamente, ma espressamente, confermata la necessarieta' della presenza del difensore per l'assunzione di prove in fase dibattimentale, in relazione alla tutela del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione. Pertanto, non appare manifestamente infondato il dubbio che la norma in esame, consentendo l'assunzione di prove testimoniali in fase dibattimentale, attraverso rogatorie internazionali, in assenza del difensore dell'imputato, comprometta il diritto di difesa in maniera irreversibile, consentendo di fondare la decisione su una prova assunta senza che si sia osservata quella garanzia fondamentale per l'imputato che e' data dalla partecipazione del difensore alla prova assunta in fase dibattimentale. Ne deriva che deve essere sollevata, perche' rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 23 febbraio 1961, n. 215, nella parte in cui ha dato esecuzione all'art. 4 della convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale in quanto, in connessione con il precedente art. 3, consente l'esperimento di rogatorie all'estero, disposte in fase dibattimentale, senza garantire la presenza del difensore dell'imputato.