Ricorso per conflitto  di  attribuzione  della  regione  Lazio,  in
 persona  del  presidente  della  Giunta regionale pro-tempore, giusta
 deliberazione della giunta regionale n. 537  del  17  febbraio  1995,
 rappresentata  e  difesa, come da delega a margine del presente atto,
 del  prof.  avv.  Franco  Gaetano  Scoca  e  con  lui   elettivamente
 domiciliata  in  Roma alla via G. Paisiello n. 55, ricorrente, contro
 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona  del  Presidente
 pro-tempore,   resistente,   per  il  regolamento  di  competenza  in
 relazione al d.P.R. 21 settembre 1994, n. 698, in Gazzetta  Ufficiale
 22 dicembre 1994, n. 298.
                               F A T T O
    L'articolo  11  della  legge  24  dicembre  1993,  n. 527, recante
 interventi correttivi di finanza pubblica prevedeva  l'emanazione  di
 un regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge
 23  agosto  1988, n. 400 (nel termine di novanta giorni dalla entrata
 in vigore della  legge  n.  537).  Tale  regolamento  avrebbe  dovuto
 disciplinare   il   riordinamento  dei  procedimenti  in  materia  di
 invalidita' civile e sordomutismo sulla base dei generali criteri  di
 semplificazione procedimentale e di differenziazione del procedimento
 di   accertamento  sanitario  da  quello  per  la  concessione  delle
 provvidenze,  con  attribuzione  delle  rispettive  competenze   alle
 Commissioni  mediche  (di  cui  alla  legge  n.  295  del 1990) ed ai
 prefetti.
    Il regolamento in parola e' stato emanato con d.P.R. 21  settembre
 1994,  n.  698,  pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 italiana, serie generale, n. 298 del 22 dicembre 1994.
    L'articolo 3, comma 1, del citato decreto prevede che  le  istanze
 volte ad ottenere l'accertamento sanitario dell'invalidita' civile da
 parte  della  Commissione  medica debbano essere soddisfatte mediante
 convocazione entro tre mesi dalla data di presentazione della istanza
 predetta. Trascorso inutilmente tale termine,  pero',  l'articolo  in
 argomento   prevede   la   facolta'   di   diffida   dell'interessato
 all'Assessorato   alla   sanita'   della   regione   territorialmente
 competente,  il  quale  avrebbe  il  compito di fissare la data della
 visita (da effettuarsi a cura della Commissione suddetta),  entro  il
 termine  complessivo  di  nove mesi dalla data di presentazione della
 domanda ovvero, se la diffida sia stata  presentata  oltre  il  sesto
 mese  dalla  data  della  domanda, non oltre novanta giorni dalla sua
 presentazione.
    Inoltre,   l'art.   3,   comma   5,   nell'ammettere   la   tutela
 giurisdizionale   davanti   al   Giudice   ordinario   dei   soggetti
 interessati, attribuisce alle Regioni la legittimazione  passiva  sia
 nei  procedimenti avverso i giudizi emessi dalle Commissioni di primo
 grado delle UU.SS.LL., sia in quelli che  possono  essere  instaurati
 per le omesse convocazioni alla visita nei termini anzidetti.
    Tali  disposizioni comportano conseguenze gravi per le Regioni. Da
 un lato, infatti, si prevede un considerevole e preoccupante  aumento
 del  lavoro  d'ufficio,  derivante  dall'incombenza  di costituire il
 referente dei soggetti interessati cui far pervenire le diffide volte
 alla  fissazione  della  data  di convocazione alle visite e, piu' in
 generale,  per  aver  un  continuo  aggiornamento  della   situazione
 relativa  agli accertamenti nelle singole UU.SS.LL. In secondo luogo,
 le disposizioni in esame configurano una nuova ed  ulteriore  ipotesi
 di  responsabiita' a carico delle Regioni, con un conseguente obbligo
 di risarcimento dei danni.
    Tali ultime disposizioni  sono  lesive  delle  attribuzioni  della
 regione  Lazio, la quale solleva conflitto di attribuzione impugnando
 il d.P.R. in argomento per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    Violazione degli articoli 117 e 118 della Carta costituzionale  e,
 in  particolare,  della riserva di legge contenuta nell'articolo 118,
 comma  2.  Violazione  dei  generali  principi  di   buon   andamento
 nell'organizzazione  della  pubblica  amministrazione,  art. 97 della
 Costituzione.
    1.  -  Le  disposizioni  in  esame  appaiono   gravemente   lesive
 dell'autonomia  regionale  e,  in particolare, della riserva di legge
 contenuta nel secondo comma dell'art. 118 della Costituzione.
    Come e' noto, tale disposizione prevede che  "lo  Stato  puo'  con
 legge   delegare   alla   Regione   l'esercizio   di  altre  funzioni
 amministrative" oltre a quelle indicate nel precedente art. 117 della
 Costituzione. Ebbene, e' proprio in violazione di  questa  previsione
 che  e'  stato emanato il regolamento emanato con d.P.R. 21 settembre
 1994, n. 698, nella parte in cui impone alle Regioni  l'esercizio  di
 nuovo funzioni amministrative.
    Non  pare  necessario  soffermarsi  su  temi  cosi' noti a codesta
 sovrana Corte per rilevare come nel caso di specie si assista ad  una
 duplice  e  palese  violazione  della  riserva  di legge prevista dal
 costituente, sia sotto l'aspetto  c.d.  negativo,  sia  sotto  quello
 positivo.  Tale  riserva,  infatti,  non  solo  impone  un divieto di
 disciplinare determinate materie con fonti subordinate, ma obbliga il
 legislatore a disciplinare compiutamente  la  materia  riservata,  in
 modo  da limitare gli spazi di discrezionalita' dell'esecutivo. Ed e'
 proprio in questa ultima accezione che la riserva e'  prevalentemente
 intesa nell'insegnamento di codesta Corte.
    Nel  caso di specie, sotto entrambe gli aspetti il principio della
 riserva di legge non ha trovato la necessaria applicazione. In  primo
 luogo,  infatti, le nuove funzioni sono state attribuite alla regione
 Lazio  (ed  alle  altre  Regioni   italiane)   con   un   mero   atto
 regolamentare.  In  secondo  luogo, il provvedimento regolamentare in
 argomento e' stato emanato a seguito di  una  previsione  legislativa
 che  seppure  circoscrive  la  discrezionalita' di chi e' autorizzato
 alla emanazione dell'atto regolamentare non fa cenno alcuno  a  nuove
 competenze regionali.
    La disposizione in questione e' l'art. 11, commi 1, 2, 3 e 4 della
 legge  24  dicembre 1993 n. 537 che, per l'emanazione del regolamento
 fissa "i seguenti criteri:
       a) semplificazione dei procedimenti;
       b) distinzione del procedimento di accertamento  sanitario  dal
 procedimento  per  la concessione delle provvidenze, con attribuzione
 della rispettiva competenza alle  commissioni  mediche  di  cui  alla
 legge 15 ottobre 1990, n. 295, e ai prefetti;
       c)  soppressione  dei  comitati  provinciali  di  assistenza  e
 beneficenza pubblica e  devoluzione  delle  funzioni  concernenti  le
 provvidenze in favore dei minorati civili ai prefetti;
       d)   previsione  della  facolta'  dell'invalido  convocato  per
 accertamenti  sanitari  di  motivare  la  propria  impossibilita'   a
 rispondere  e  di  indicare la data in cui puo' effettuarsi la visita
 domiciliare".  Inoltre,  "le  unita'  sanitarie   locali   competenti
 informano  il  prefetto  in  ordine  alla consistenza numerica e allo
 stato delle domande ancora giacenti .. il prefetto invia al  Ministro
 dell'interno   apposita   relazione   riassuntiva   circa   lo  stato
 amministrativo   delle   pratiche   inerenti    l'erogazione    delle
 provvidenze".
    Da  una  attenta  lettura  si  vede come, sebbene i criteri per la
 redazione del regolamento siano stati indicati  in  modo  puntuale  e
 sufficientemente  dettagliato, nessuna previsione legislativa accenni
 in qualche modo all'attribuzione di competenze alle Regioni. Di piu',
 la disposizione legislativa e' molto precisa nell'indicare gli organi
 e uffici cui spetta, in via esclusiva, la competenza in materia e  li
 individua  nelle:  1)  commissioni  mediche;  2)  prefetti; 3) unita'
 sanitarie locali; 4) Ministero dell'interno. E'  evidente,  pertanto,
 come   sia   arbitrario  non  sono  alla  luce  dell'art.  118  della
 Costituzione, ma anche  alla  luce  della  legge  che  disciplina  la
 materia la scelta dell'esecutivo nella emanazione del regolamento che
 qui si contesta.
    Da  queste notazioni consegue che, nella specie, la violazione del
 principio della riseva di legge sussiste in ogni caso,  anche  se  si
 volesse sostenere che quella indicata nel secondo comma dell'articolo
 118   e'  una  riserva  relativa  di  legge.  Infatti,  la  specifica
 disposizione (art. 3, commi 1 e 5)  che  attribuisce  nuove  funzioni
 alle  Regioni e' stata emanata in assenza di una qualsiasi previsione
 legislativa  che  possa,  anche  indirettamente,   giustificarne   la
 legittimita' costituzionale.
    2.  -  Per  le  medesime ragioni, la disposizione regolamentare in
 argomento concreta  una  ulteriore  violazione  del  principio  della
 riserva  di legge. Ci si riferisce alla previsione dell'art. 97 della
 Costituzione  cui  "i  pubblici  uffici  sono   organizzati   secondo
 disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento
 e  l'imparzialita'  dell'amministrazione". Infatti, avendo ad oggetto
 proprio la organizzazione degli uffici che esercitano  l'accertamento
 sanitario  delle  minorazioni  civili,  il  regolamento  indicato  in
 epigrafe si pone in palese contrasto anche con la  riserva  di  legge
 contenuta  nell'art.  97, limitatamente alla parte in cui attribuisce
 alcune funzioni alle Regioni.
    3. - Il principio della riserva di legge, di cui in questa sede si
 contestano piu' violazioni, prima che la relazione tra atti, riguarda
 i  rapporti  tra  gli  organi.   Alla   luce   dell'origine   storica
 dell'istituto,  puo' concludersi anzi che il rapporto tra atti non e'
 che la conseguenza del rapporto tra organi o complessi di organi  (e'
 questo   l'insegnamento  di  Vezio  Crisafulli,  Lezioni  di  diritto
 costituzionale, II, Padova, 1984, 55 e ss.). Anche nel  caso  che  si
 sottopone  a  codesta sovrana Corte la violazione del principio della
 riserva di legge determina una alterazione dei rapporti tra  soggetti
 pubblici  e  incide in modo negativo sulla ripartizione di competenza
 tra Stato e Regioni.
    Da  tale  violazione, infatti, deriva un abusivo ampliamento delle
 attribuzioni  delle  Regioni  che  costituisce   senza   dubbio   una
 illegittima   invasione   (e  comunque  indesiderata  ed  illegittima
 estensione) della sfera di competenze  riservate  alla  Regione  alla
 Carta fondamentale.